| facciamo un passo indietro nel tempo, leggete: poi vi dico la fonte...
16/12/2006
La storia di un ex seminarista vittima a 12 anni di abusi sessuali da parte di un sacerdote: lui denuncia tutto e la Curia gli chiede 200mila euro di danni. Ieri su Raitre, nel giorno del richiamo – in Vaticano – alla lotta contro questi abomini.
ROMA - La predica al mattino, la vergogna e lo scandalo a sera, e in diretta tv. Tutto in un giorno, quello di ieri, 15 dicembre 2006; e per tema la pedofilia nella Chiesa, gli abusi sessuali commessi da preti, e il minimo comune denominatore di questa e di tante altre storie. Silenzio. Fate silenzio. Nessuno sappia, nessuno dica, nessuno racconti. Conta l’immagine, conta il prestigio, conta il decoro. E del dolore di un ragazzo, e della sua dignità, si faccia carta legale, materiale per liti giudiziarie. Alla vergogna non c’è mai fine.
LA PREDICA IN VATICANO - La giornata inizia presto, al mattino, con una predica in Vaticano. La ascolta il papa e la curia romana, la svolge il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap. Parla di pedofilia nella Chiesa, parla di severità e fermezza, ma anche di “un giorno di digiuno e preghiera” per esprimere la solidarietà della Chiesa e dei cristiani alle vittime della pedofilia. Il cappuccino ricorda il pianto e i sospiri della Chiesa per gli “abomini commessi in tempi recenti dai suoi stessi ministri”: una Chiesa che “ha pagato un prezzo altissimo per questo e - secondo Cantalamessa - “è corsa ai ripari” dandosi “regole ferree” per impedire che tali abusi si ripetano. “Dopo l’emergenza, è venuto il momento” - ha però aggiunto il predicatore - “di fare la cosa più importante di tutte: piangere davanti a Dio, affliggersi come si affligge Dio; per l'offesa fatta al corpo di Cristo e lo scandalo recato 'ai più piccoli dei suoi fratelli', più che per il danno e il disonore arrecato a noi”. Condizione questa perché “da tutto questo male possa davvero venire del bene e si operi una riconciliazione del popolo con Dio e con i propri sacerdoti”.
Un discorso che critica anche la cattiva tendenza - riscontrata in qualcuno resosi responsabile di tali abusi - di “approfittare del clamore per trarre vantaggi anche dalla propria colpa, rilasciando interviste e scrivendo memoriali, nel tentativo di far ricadere la colpa sui superiori e sulla comunità ecclesiale”. Un’azione, ha affermato Cantalamessa, rivelatrice di “una durezza di cuore davvero pericolosa”. A conclusione del discorso, una proposta formulata sotto forma di interrogativo: “Non si potrebbe indire un giorno di digiuno e di penitenza, a livello locale e nazionale, dove il problema è stato più forte, per esprimere pubblicamente pentimento davanti a Dio e solidarietà con le vittime, operare insomma una riconciliazione degli animi e riprendere un cammino di Chiesa, rinnovati nel cuore e nella memoria?”.
LA STORIA DI AGRIGENTO – La giornata iniziata presto con la predica in Vaticano finisce tardi di fronte alla televisione: diretta per “Mi manda Raitre”, la storica trasmissione del terzo canale di stato che racconta da anni di raggiri, truffe, imbrogli e storie di ordinaria follia. Di fronte alle telecamere c’è stavolta un giovane ragazzo siciliano: si chiama Marco Marchese e dodici anni fa è entrato in seminario, ad Agrigento. Trovandoci anni di abusi sessuali ad opera di un diacono poi diventato sacerdote. Racconta come “don Bruno”, un giorno di dicembre del 1994 (Marco aveva dodici anni) lo fece accomodare nella sua stanza, abusando di lui. “La mia prima esperienza sessuale”. “Mi diceva che la nostra era un’amicizia particolare, e di non parlarne con nessuno: credevo fosse qualcosa di divino”. Un rapporto che continua anche a distanza, ancora fino ai sedici anni di Marco: don Bruno è nel frattempo diventato sacerdote e ha lasciato il seminario minore, vedendosi affidata una parrocchia.
Finisce davvero tutto quando Marco si confronta con un assistente e scopre la gravità di quanto accaduto: il consiglio che riceve è quello di parlare della cosa al vice-rettore e al rettore. “Lo feci, perché a me non interessava fare del male a quell'uomo, ma fare in modo che nessun altro ragazzo dovesse più soffrire quello che io avevo sofferto”.
Il vice-rettore ascolta il racconto di Marco, promette di parlarne con il rettore per le dovute decisioni, invita il ragazzo a tacere e a tener la cosa per sé.
Tempo dopo, anche il rettore ascolta il racconto di Marco, assicura di esserne stato messo al corrente, promette di parlarne con il vescovo per le dovute decisioni e nel frattempo invita il ragazzo a tacere e a tener la cosa per sé. Non accade nulla: don Bruno è ancora là, al suo posto in parrocchia, fra i bambini e i ragazzi.
Marco riesce a parlarne direttamente con il vescovo, mons. Carmelo Ferraro. “Gli confidai la mia paura che don Bruno potesse continuare a fare del male ad altri ragazzi; aggiunsi anche che quel sacerdote andava aiutato”. Arrivò la rassicurazione che ci avrebbe pensato lui, e l’invito a stare tranquillo.
Ma l’unica cosa che succede è che don Bruno bussa alla porta di Marco: proprio il vescovo ce lo aveva mandato, per chiedere scusa. “Non lo fa, anzi mi rimprovera perché avevo fatto perdere al vescovo la fiducia in lui”. Del racconto della vicenda è reso partecipe anche il parroco di Marco: “Mi disse che quella storia era acqua passata. Ormai sono anni che è successa, tu stai tranquillo, fatti la tua vita, chiudiamola qui”.
Marco esce dal seminario nel 2000: non diventerà sacerdote. Non è la sua strada. Si confida con i genitori riguardo agli abusi del passato, e mentre don Bruno continua tranquillamente a fare il parroco ecco che la vicenda diventa pubblica: stavolta il racconto di Marco è davanti alla magistratura. Si apre un’inchiesta: sono ascoltate tutte le parti in causa ed è accertato che Marco non fu il solo. Altri sei ragazzi subirono violenze. I timori del giovane erano fondati. Non si arriva al processo perché don Bruno patteggia una pena di due anni e sei mesi di reclusione.
Non finisce qui. Marco scrive al vescovo tutta la sua delusione per il modo indifferente con il quale la sua vicenda è stata trattata, per la responsabilità morale della quale il presule si è macchiato nel non prendere adeguati provvedimenti volti ad allontanare don Bruno da bambini e ragazzi in pericolo. E, di fronte agli anni di abusi subiti, chiede in solido all’autore dei crimini, al seminario e alla curia di Agrigento un risarcimento in sede civile di 65mila euro. “Nessuna somma di danaro potrà risarcirmi dei pianti e dei dolori subiti, ma questo tipo di segnale nei confronti di chi ha mostrato solo indifferenza, sapendo e tacendo, andava compiuto”.
La risposta della Curia di Agrigento è sbalorditiva: contro-citazione. La Curia chiede a Marco, ex seminarista vittima di abusi sessuali, 200mila euro per averne leso l’onorabilità, l’immagine, il prestigio. Ai fatti “presuntivamente e asseritamene accaduti nel 1994” la Curia “è totalmente estranea” - dicono i legali - e di fronte a tale affronto non si poteva non rispondere sullo stesso terreno.
Secondo la Curia agrigentina, dunque, Marco Marchese - ex seminarista, per anni vittima di abusi sessuali da parte di un diacono poi divenuto sacerdote - deve sborsare 200mila euro per aver infangato l’onore e la reputazione della diocesi. Deve pagare per non aver taciuto e per aver cercato di evitare che quei crimini si ripetessero. Non c’è davvero limite al peggio.
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