Cheesy Prova, Apprendimenti Camillo Breendbergh

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view post Posted on 19/1/2024, 16:35
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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Exp necessaria: ✓
Protego Totalus: ✓ (Appreso nella Stanza delle Necessità)
Libro [Teoria di Magia Difensiva]: ✓


1 — Nel retrobottega del suo Atelier, circondato da una miriade di scatoloni colorati, Camillo aveva appena finito di leggere l’ultimo acquisto della sua personale, seppur scarna, collezione di libri di incantesimi. Teoria di Magia Difensiva.
L'aria era densa di aspettativa, mentre il fu-Tassorosso un po’ se la stava facendo sotto, considerata l’entità di quel sortilegio. Era vestito di tutto punto per l'occasione, indossava un paio di occhiali da laboratorio, precauzione contro le schegge volanti – presto capirete. La sua postura era rigida, ma la determinazione non mancava di certo, a dispetto del nervosismo.
Ennesima magia di cui abusare, si disse per dissacrare l’aura solenne ed opprimente che emanava quel tomo scrafagnato, una come tante altre che con l’esperienza aveva reso sue.
Camillo fissò la tazza di ceramica posta davanti a lui. La sua mente pareva un vortice di paranoie e di sogni, frullati a dovere per mandarlo in tilt, mentre tentava di visualizzare il risultato finale: una barriera magica, invisibile ma impenetrabile, che avvolgesse la tazza, come una pellicola da applicare intorno ad essa. Giocava nervosamente con la bacchetta, qualche trick tra le dita, cercando di raccogliere la concentrazione necessaria per fare un po’ di pratica.
Dopo un respiro profondo, l’olandese cominciò. Puntò il braccio verso la tazza, abbassando il polso, la bacchetta diretta leggermente verso il basso. Il suo movimento era macchinoso, quasi esitante. Disegnò una linea retta orizzontale nell'aria, un gesto che avrebbe dovuto seguire il profilo dell’oggetto. Poi il suo polso si sollevò di nuovo, completando la procedura. Con un mormorio evaso dalle sue corde, a quel punto pronunciò la formula: «Occludo Magistre».
Il salice vibrò leggermente, indicatore che l'incantesimo era in qualche modo partito, ma non c'era alcun segno visibile di successo o fallimento. Il raggio dell'incantesimo aveva colpito la tazza, quello era vero, ma si domandava se fosse riuscito ad appiccicarci il “pluriball” antimagia.
C’era un modo divertente per verificarlo.
Senza perdere tempo, Camillo, ancora in silenzio, si concentrò brevemente e lanciò un secondo incantesimo contro la tazza. Reducto. Idea malsana, ma che faceva il suo dovere, per testare l'efficacia della protezione imposta.

2 — Nel quieto angolo del suo Atelier, l’olandese si trovava nuovamente di fronte alla tazza di ceramica, restaurata alla sua forma originaria. I cocci si erano sparpagliati un po’ ovunque e l’atto di raccattarli e ricomporli gli era sembrata la giusta punizione, autoinflitta, per essersi messo a giocare con una magia simile. Gli occhiali da laboratorio riflettevano la luce soffusa dell'ambiente, mentre il cretino si concentrava sul suo secondo tentativo di lanciare l'incantesimo. La sua espressione era più decisa ora, un segno della sua crescente determinazione, turbata solo dall’idea tediosa che quell’oggetto sarebbe stato bersaglio di piú Reparo di quanto sperasse.
Il silenzio era rotto solo dal suo respiro calmo e regolare. Le rotelle fuori posto lavoravano febbrilmente, cercando di incastrare potenziali miglioramenti rispetto al precedente tentativo. Camillo, con una rinnovata voglia di fottere con le leggi che governavano il mondo dei maghi, impugnava fermamente la sua bacchetta, sentendo il leggero fremito del salice, quasi come un avvertimento. Lo ignorò.
Muovendo il catalizzatore con più sicurezza, alzò il braccio indirizzandolo contro il bersaglio, abbassò il polso e tracciò una linea orizzontale nell'aria, seguendo la figura di ceramica con la punta della bacchetta, visualizzando la creazione di una barriera magica intorno ad essa. Un piccolo, sottile ed invisibile strato extra, resistente ad ogni forza esterna. Risollevò il polso. La sua voce, chiara e più forte a quel punto pronunciò la formula: «Occludo Magistre».
Il raggio dell'incantesimo sfiorò la tazza, e ancora una volta, nessun segno visibile gli avrebbe rivelato il successo o il fallimento dell'incantesimo.
Camillo, senza esitazione, si preparò a testare la resistenza della sua opera. La mano si alzò di nuovo, pronta a lanciare un Reducto sulla tazza. I suoi occhi, protetti dagli occhiali, fissavano il bersaglio con curiosità. E intanto lui pregava che le schegge volanti – nel caso in cui avessero optato di spiccare effettivamente il volo – non gli si conficcassero laddove non si era riparato. Pensò che fosse il caso di indossare una conchiglia, di nocciola gliene restava una e se anche quella fosse partita… addio progenie.
O forse era meglio così, pensò, meno Breendbergh in giro.

3 — Per la terza volta, nel retrobottega silenzioso e isolato dopo l’orario di chiusura, Breendbergh si trovava di fronte alla tazza di ceramica, nuovamente integra per mezzo del secondo Reparo di cui si era avvalso.
La sua sagoma, mogia, era avvolta da un'aura di intensa frustrazione, una rabbia meditativa che montava ogniqualvolta la mente tornava al ricordo di quanto si smonasse a rimettere insieme i pezzi di quel macello, mentre gli occhiali da laboratorio riflettevano la tenue luce che pervadeva lo spazio circostante. Ogni tentativo precedente aveva rafforzato il suo desiderio di padroneggiare quella magia e affinato lievemente la sua comprensione dell'incantesimo, anche se sentiva che gli stava sfuggendo ancora qualcosa, ma non capiva esattamente cosa.
Camillo si posizionò un po’ sbilenco, con il solito sorrisetto da “fanculo a me” a scavargli le labbra. La bacchetta in mano, un'estensione della sua persona, sembrava vibrare con un’energia diversa questa volta. Chiuse gli occhi per un momento, cercando di visualizzare la barriera magica che avrebbe dovuto circondare e proteggere la tazza. Una patina dal potere difensivo senza pari.
Con una calma ritrovata, aprì gli occhi e iniziò il rituale. La bacchetta seguì l’estensione del braccio, puntata verso la tazza. Abbassò il polso in modo più fluido e naturale rispetto ai tentativi precedenti, poi tracciò una linea orizzontale nello spazio, un gesto che ora sembrava impresso nella memoria muscolare. La formula «Occludo Magistre» pronunciata con una chiarezza e una sicurezza che fino a quel momento erano mancate, ma solo a seguito del movimento che chiudeva l’esecuzione, ovvero quel risollevarsi repentino del polso.
Il raggio a malapena visibile dell'incantesimo colpì silenziosamente la ceramica, la cui sorte rimaneva in bilico, sull’orlo di un’esplosione contenuta.
Senza perdere un istante, l’olandese si preparò a lanciare un Reducto su di essa. La tensione nell'aria si poteva tagliare con una tachipirina sbriciolata e lui si mostrava così impaziente, mentre cercava disperatamente un responso. La bacchetta del disgraziato si alzò, pronta a sferrare il colpo finale.

4 — La scena del delitto, illuminato dalla luce soffusa di un paio di lampade, era il teatro del quarto tentativo di Camillo. Il giovane imprenditore se ne stava di fronte alla tazza di ceramica, nuovamente riparata, con lo sguardo che rifletteva un mix di determinazione ed empietà. Gli occhiali da laboratorio erano posizionati saldamente sul suo viso, una precauzione ormai familiare, ma che non gli era mai davvero servita. Non fino a quel momento.
Con ogni tentativo fallito, la comprensione dell'incantesimo si era in un certo senso approfondita, iniziava a sentirlo piú naturale ed avvicinabile. Il corpo storto, con le sue movenze placide, emanava una calma concentrata, la quiete prima dell’ennesimo disastro annunciato. La bacchetta, tenuta con una presa più salda, sembrava rispondere al suo tocco con un leggero ed allegro tremolio. C’era poco da essere felici, non era lei che doveva raccogliere le macerie con la scopa e spatolarle al loro posto. Ogni. Singola. Volta.
Camillo prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi per un istante, focalizzandosi sulla visualizzazione dell'incantesimo. Quando riaprì gli occhi, c'era una nuova lucidità nel suo sguardo. Iniziò il rituale con un movimento fluido e preciso. Estese il braccio e puntò la bacchetta verso la tazza, abbassando il polso con sicurezza. Tracciò una linea orizzontale che dalla sua prospettiva la seguiva, lasciando ampi margini; un gesto visto e rivisto, ricalibrato di volta in volta per sperimentare. Poi risollevò il polso ed il Salice rispose.
«Occludo Magistre». Quelle due parole avevano una nuova profondità, una risonanza che sembrava estendersi oltre il loro eco sommesso. Un raggio inoffensivo partì dalla bacchetta, colpendo la tazza come di consueto.
Immediatamente dopo, senza perdersi tanto nelle sue pare mentali, Camillo si preparò per il test finale. La sua bacchetta si alzò, pronta a scatenare l’inferno sulla tazza.

5 — Ripensando al fatto che Niah e Lex gli sarebbero tornati utili per sistemare il macello che ogni volta combinava, Camillo si trovava nuovamente di fronte alla tazza di ceramica, restaurata ancora una volta con un Reparo. Lui la guardava e lei guardava lui. Allora la guardava e lei lo guardava. Io la guardo e lei mi guarda. E beh, sapete com’è tutta la tiritera.
I suoi occhiali da laboratorio ormai gli parevano uno spreco, una precauzione non necessaria – ma in fin dei conti tutte le precauzioni lo erano, finché ops, non lo diventavano – testimoni silenziosi dei tentativi precedenti, di quanto aveva appreso. Ogni fallimento lo aveva portato a questo punto della sua malsana ossessione, mentre lui ignaro della propria tossicità competitiva si approcciava al quinto tentativo per aggiungere l’Occludo Magistre al suo arsenale.
Con una serenità di superficie, che nascondeva la tensione sottostante, Camillo si concentrò sulla tazza. La sua presa sulla bacchetta era ora ferma e sicura, un riflesso della sua crescente fiducia – psicosi et delirio di onnipotenza. Chiuse brevemente gli occhi, immergendosi nella sua mente; una barriera magica intorno alla tazza, impenetrabile e invisibile, ecco cosa immaginava.
Riaprendo gli occhi, Camillo ripartì con la solita solfa. La sua mano si mosse con una grazia svogliata, figlia di un ripetere e ripetere. Alzò il braccio destro e puntò la bacchetta verso la tazza, abbassando il polso in modo fluido e controllato. Una linea orizzontale venne tracciata nello spazio davanti a lui, un gesto che sembrava ora quasi naturale. Da bordo a bordo, seguendo l’oggetto. Poi sollevò il polso e la bacchetta reagì.
«Occludo Magistre», la sua voce risuonò autoritaria, un tono che sembrava portare con sé il peso dell'esperienza e dell’esasperazione.
Il raggio quasi invisibile partì dalla bacchetta, sfiorando l’oggettino in un silenzio che era quasi comico. Nessun segno visibile indicava l'esito dell'incantesimo, lasciando Camillo e il suo desiderio di spuntare dalla checklist quel conseguimento sospesi in un momento di incertezza.
Senza perdersi a cincionare, l’olandese si preparò per il test conclusivo. La sua mano si alzò con la bacchetta, pronta a lanciare un Reducto sulla tazza. L'aria era frizzante, desiderosa di accogliere i cocci di un disastro che si ripeteva in loop.

6 — Lamentele, improperi. La vigliacca era nuovamente scoppiata come un palloncino troppo gonfio delle stronzate dell’olandese.
La tazza di ceramica, ripristinata con cura, attendeva sulla superficie davanti a lui, quasi con aria di sfida. In fin dei conti vantava un cinque a zero e brutta com’era, pareva volerglielo rinfacciare.
Indossando i suoi buffi occhiali da laboratorio, Camillo incarnava lo spirito caricaturale dello scienzato pazzo, il serial killer delle ceramiche. Ogni tentativo precedente aveva raffinato la sua tecnica, ma ancora qualcosa non gli era chiaro. In fin dei conti quella era la bellezza del metodo scientifico. Provare, provare e riprovare, prendendo di volta in volta i dovuti accorgimenti e cambiando qua e là qualcosa nella procedura.
C'era un'aria di calma risoluta in Camillo, un cambiamento sottile ma significativo rispetto allo stress che fino ad allora aveva permeato il suo corpo tarantolato. La sua presa sulla bacchetta era ora rilassatissima, sintomo di una mente che si stava arrendendo all’idea che ce ne sarebbe voluto ancora, prima di regolare i conti. Chiuse gli occhi per un momento, concentrando la sua mente sulla formazione di una barriera magica intorno alla tazza – se la magia fosse stata plastica, avrebbe voluto plastificarla.
Quando tornò alla realtà, Camillo ricominciò con l’ambaradan, con una precisione che ormai era dovuta, considerando quanto tempo, lacrime e sangue ci stava buttando in quell’impresa. Alzò il braccio e puntò la bacchetta verso la tazza, abbassando il polso con un movimento ora fluido e misurato. Tracciò una linea orizzontale davanti a sé, un gesto che sembrava ormai aveva tagliato l’aria una manciata di volte; sollevò quindi il polso.
«Occludo Magistre». La formula la pronunciò con chiarezza e convinzione, quasi certo del fatto che quella sarebbe stata la volta buona. Un raggio a malapena visibile guizzò dalla bacchetta, colpendo la tazza in un silenzio che sembrava racchiudere tutte le speranze di quel disgraziato. Almeno un tin soddisfacente se lo sarebbe meritato, pensò. Come quando colpivi in testa i nemici negli sparatutto. L'esito dell'incantesimo rimase nascosto, un segreto tra lui, la tazza e la palla che gli si stava rattrappendo.
Con un respiro profondo, Camillo si preparò per verificare la sua prodezza. La sua bacchetta si sollevò e conseguentemente lui lanciò un Reducto sulla tazza.
Boom? Crack? Spimmmmm?

7 — Bang! E tanti cocci sparsi qua e là.
La tazza di ceramica, ormai familiare al tocco del Reparo, riposava intatta, in condizioni a dir poco eccellenti. Come se non l’avesse dovuta raccogliere con la scopa nei meandri dimenticati dal Buon Signore in cui si era rifugiata, pezzetto per pezzetto.
Gli occhiali da laboratorio di Camillo catturavano i bagliori sparsi, mentre lui si preparava con il suo solito fare melodrammatico, perché il divertimento delle prime volte ormai aveva lasciato spazio solo a parole irripetibili. Un po’ alla volta, quella stanza ricolma di scatoloni dai colori sgargianti, si stava trasformando in un tempio di sofferenza.
Se non altro ogni tentativo passato aveva affinato la sua familiarità con quella diavoleria, avvicinandolo ad un traguardo che in qualche modo sentiva… prossimo?
La sua presa sulla bacchetta era ferma e stabile, e con l’altra mano si grattava un fianco. L’etichetta della t-shirt aveva iniziato ad infastidirlo oltre ogni misura, un po’ come tutto.
Chiuse gli occhi, fece mente locale e sprofondando nella visualizzazione della barriera magica, immaginò la tazza nel suo stato di assoluta invulnerabilità.
Riaprendo gli occhi, ripartì. Il movimento del braccio era repentino, ma ben calibrato. Lo sollevò, puntò la bacchetta verso la tazza, abbassando il polso in un gesto ormai automatico. La linea orizzontale che tracciò nel vuoto era precisa, seguiva millimetricamente il profilo del bersaglio, poi giunto al bordo il polso si alzò.
«Occludo Magistre». Sentenziò, rimanendo concentrato, quasi atono. Il raggio trasparente emanato dalla bacchetta toccò la tazza, come una carezza silenziosa. Il risultato dell'incantesimo, tuttavia, rimaneva un mistero.
Con un senso di inevitabilità, Camillo si preparò per il test finale. Sparò un Reducto alla ceramica, cercando di sfogare la tensione accumulata e gli occhi, ben schermati, ancora una volta si prepararono a registrare il momento dello scoppio.

8 — Per il momento, non starò a raccontarvi di tutte le altre volte che Breendbergh aveva provato e fallito miseramente. La tazza di ceramica, esplosa, raccattata e riparata a profusione, se ne stava immobile sul suo ripiano. Gli occhiali sempre al loro posto. La solita scena vista e rivista.
Qualcosa, però, era cambiato, e l’ex-Tassorosso decise di tentare con un approccio differente.
Era vero che l’Occludo Magistre non era poi così dissimile, per certi versi, dal Protego Totalus; lo diceva anche il libro con le istruzioni. Non si poteva apprendere il primo, se già non si conosceva il secondo (ordine di menzione). Ma se c’era una cosa che Camillo aveva imparato sulla magia, in tutti quegli anni passati a cazzeggiare, era che l’impronta del mago che lanciava gli incantesimi era un fattore determinante, e nel suo modo assurdo di vedere le cose, ciò che rendeva interessante qualcosa di altresì – passatemi il termine – banale. E aiutava. In questo caso lo aiutava non immaginarsi più l’incantesimo come una barriera da applicare intorno ad un oggetto, ma come una sorta di trasfigurazione. In quelle se la cavava piú che bene.
Lo so, sembra assurdo, ed in fin dei conti anche il suo modo di pensare, in linea generale, lo era. Ma si era detto che forse non era il caso di tentare di avvolgere la tazza nel pluriball, quanto piú di trasformarla. Donarle una qualità non presente al suo stato originale. Un po’ come accadeva nelle trasfigurazioni sub-molecolari, con un Verto Tenuis, Lucidus o qualunque altra cosa studiata in precedenza.
Ora, la qualità che Camillo voleva donare alla tazza, era l’impermeabilità alla magia. Non serviva renderla dura e resistente agli impatti, per quello c’era un incantesimo che già conosceva, anzi, piú di uno. E anche con quelli, rimaneva pur sempre vulnerabile alla volontà di un incantatore. Il problema si presentava proprio perché desiderava che essa si trovasse al di fuori di ogni regola conosciuta e sperimentata fino a quel momento; un oggetto a sé, imperscrutabile rispetto alle leggi che governavano quel sistema magico.
Così si immaginava la ceramica, sempre fragile, ma che vantava una nuova e peculiare caratteristica. Come se le molecole che la componevano vietassero a qualunque altro sortilegio di trapassarle, disgregarle, di modificare il loro stato in qualsiasi maniera. Quella, pur non essendolo, sarebbe stata la sua piú grande trasfigurazione. Così si disse. Così la visualizzò.
La sua presa sulla bacchetta rilassata gli permise un movimento sereno e convinto. Sollevò il braccio e puntò la bacchetta verso la tazza, abbassando il polso con una fluidità che lasciava trasparire quanto avesse affinato la sua concentrazione. La linea orizzontale che tracciò era nitida e definita, un gesto che rifletteva la sua nuova consapevolezza riguardo l'incantesimo. Infine, sollevò il polso, chiudendo l’esecuzione quando la punta della bacchetta aveva raggiunto – dalla sua prospettiva – il limite opposto della figura di ceramica.
«Occludo Magistre». Non perse tempo, la sua voce era chiara, così come l’idea che cercava di inseguire.
Un raggio a malapena visibile scaturì dal legno di salice, toccando la tazza in un silenzio privo di tin o altre onomatopee. L'esito dell'incantesimo, ancora una volta, rimaneva da scoprire.
Con un respiro profondo, Camillo si preparò per verificare se il suo esperimento era andato a buon fine. Scagliò un Reducto alla tazza e aguzzò lo sguardo, preparandosi a catturare l’istantanea del suo successo o quella dell’ennesimo fallimento.



IN ATTESA DEL MASTER

 
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view post Posted on 10/2/2024, 17:05
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Il Fato

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Camillo Breendbergh e la tazza di ceramica sembra il titolo di un romanzetto scadente con un protagonista senza speranze, ma è una storia vera, senza fronzoli e senza menzogne. La tazza esiste, persino Camillo è un giovane uomo in carne ed ossa e questo è quello che è accaduto in una sera qualunque nel retrobottega del suo negozio.

Abbandonati gli studi, il ragazzo apre il suo negozio e assume amici fidati per sostenere la baracca che - in teoria - dovrebbe dargli di che vivere; sembra aver messo la testa a posto, non è così? E invece no.
Gli piace ancora curiosare nei libri per scoprire cose assurde di cui non sa di aver bisogno e, soprattutto, si cimenta in operazioni magiche complesse e potenzialmente pericolose; tuttavia, Camillo è cresciuto, oramai, e sa bene che il coraggio non basta più a proteggerlo dalle sue passioni e dai suoi guai.
Occhiali protettivi al loro posto, per proteggere quegli splendidi occhioni da cerbiattino, ed eccolo lì: pronto a far strage di… tazze.
Chissà che cosa gli aveva fatto quella povera suppellettile: se avesse avuto capacità di pensiero e parola se lo sarebbe chiesta, colpo dopo colpo, coccio dopo coccio. C’era un rapporto strano tra loro. Prima pronunciava una formula che non portava nulla con sé - se non frustrazione - e poi si sentiva andare in mille pezzi, grandi e piccini. Alla fine, però, Camillo rimetteva sempre insieme i pezzi.
Era un rapporto proprio strano e la tazza, di per sé, non avrebbe potuto spiegarsi che cosa fosse andato storto finora. Serviva il caffè e il tè alla temperatura giusta. Conteneva la quantità perfetta della bevanda preferita dal suo possessore e sopportava perfino lo zucchero che appiccicava dappertutto.

Un fendente dopo l’altro Camillo si ostinava a ripetere la sua routine e meno male che il negozio era chiuso, i dipendenti al sicuro altrove, mentre si compiva una, due, cinque volte ancora la stessa tiritera. Prima la posa, poi la presa sulla bacchetta, infine i movimenti non proprio precisi. C’era da sistemare anche l’idea! Se vuoi proteggere qualcosa nel profondo devi pensarci meglio, su!

Alla fine, forse un po’ ansimante, ma con la mente attiva Camillo era giunto alla conclusione di tutte quelle elucubrazioni mentali: doveva concentrarsi di più, fare proprie le convinzioni stesse dell’incantesimo fino a carpirne i segreti più reconditi. Ed ecco, dunque, che l’Occludo Magistre si carica di magia e aspettativa, funzione e scopo. Finalmente, una patina invisibile si avvolge attorno all'oggetto prescelto, intingendo della propria forza le molecole che legano insieme l'argilla e il colore, ma questo Camillo non lo sa. Deve provare a distruggerla ancora prima di sapere davvero se abbia avuto o meno successo. Carica l'ennesimo colpo, il Reparo rimbalza sulla superficie patinata della ceramica e schiva Camillo per un soffio, infrangendo una cornicetta vuota appesa alla parete alle sue spalle. Il suono che ne scaturisce è l’unico per qualche istante, mentre la tazza - se potesse - tirerebbe un sospiro di sollievo. Anche stavolta è finita bene.


Ben fatto, Camillo!
Hai appreso l’incantesimo e puoi aggiungerlo in scheda.

 
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view post Posted on 16/2/2024, 17:09
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1 — Il primo tentativo di Camillo per padroneggiare il Magisterium era intriso di un'energia tutto sommato frizzante e di un'innata sicurezza, sebbene ancora non avesse fatto pratica. La sua bacchetta, di un salice flessibile e ricettivo, vibrava nelle sue mani, mentre la scuoteva come per risvegliarla da un torpore dato dalle molte ore di inutilizzo. In piedi davanti alla lavagnetta nel retrobottega, i suoi occhi nocciola si fissarono sul messaggio che aveva scarabocchiato sulla lavagnetta: “Non ci riuscirai!”. Un rinforzo negativo, qualcosa per rendere un tantinello piú speziata la sua esperienza. Il Guardiae a renderlo indelebile.
Con lo stesso umore di chi stava per farsi la scalinata piú lunga e ripida della sua esistenza, cercò di raccogliere tutta la sua voglia di vivere, visualizzando mentalmente il risultato che desiderava: la protezione che svaniva sotto il potere del suo incantesimo. La concentrazione di Camillo era tangibile, come se l’aria intorno a lui si fosse trasformata in una spugna antistress, da schiacciare e stritolare per dare sfogo a quella punta d’ansia che si stava insinuando nei suoi pensieri. Si posizionò con tutto l’ambaradan conscio di dove fosse il nord geografico. Sollevò la bacchetta, i suoi movimenti ancora un po' incerti, ma carichi di determinazione.
Iniziò il rituale dell'incantesimo, con la bacchetta disegnò nell'aria un rombo che, sì era un rombo, ma che una rotazione del polso dopo l'altra aveva reso quella pratica un tantinello macchinosa, un po’ inceppata in alcuni punti, e quindi tanto rombo in fin dei conti non si poteva definire. Prima verso est, poi nord, poi ovest e infine sud. La sua esecuzione era tecnicamente corretta, ma la tensione articolare lo tradiva in una leggera esitazione, una mancanza di fluidità che era essenziale per lanciare l’incantesimo. Con un colpo secco, mirò al centro della figura geometrica immaginaria, pronunciando con forza «Mágistérium». Gli accenti martellavano l'aria con un'eco vibrante.
Per un istante, gli sembrò che qualcosa si stesse per spezzare, ma non seppe dire se fosse stato il suo tunnel carpale o il Guardiae. Tuttavia, il Magisterium non riuscì a penetrare la barriera magica che proteggeva la scritta. Camillo sentì la frustrazione pizzicarlo da dentro, un'ombra che sfiorava la sua solita aria da “che vuoi che sia?”. Prese il cancellino e tentò di rimuovere la scritta, ma come previsto, le parole rimasero lì.
Che dire? Nessuna sorpresa. Era consapevole che quel controincantesimo richiedeva non solo una precisione gestuale impeccabile, ma anche una forza interiore e una sicurezza insormontabili, elementi che ancora doveva affinare. Almeno così c’era scritto nel manuale. Mentre riponeva il cancellino, un sorriso lievemente ironico sfiorò le sue labbra. Era solo all’inizio, pensò tra sé e sé, ma almeno il primo gradino era andato. Si domandava quanti ne mancassero.

2 — Il petto di Breendbergh si gonfiava e si sgonfiava ritmicamente, seguendo il suo respiro profondo e regolare; cercava la quiete. Dopo il primo tentativo, la scritta "Non ci riuscirai!" sulla lavagnetta sembrava coglionarlo un tantinello di più. Con la bacchetta di salice stretta fermamente tra le dita, si preparava ad un nuovo tentativo, nella speranza di cavarsi dalle scatole quella rogna il prima possibile.
Questa volta, il suo approccio era leggermente differente. C'era una maggiore consapevolezza nei suoi movimenti, un controllo più raffinato della bacchetta. Le rotazione del polso disegnavano un rombo nell'aria con piú precisione, ogni tratto marcatamente definito, verso est, nord, ovest e per ultimo in direzione sud. La concentrazione di Camillo era qualcosa pareggiata solo dalla sua determinazione, un muro invisibile che lo isolava dal mondo esterno.
Arrivato al momento cruciale, con un colpo secco al centro del rombo, pronunciò la formula «Mágistérium». La voce di Camillo era più ferma, più convinta, con gli accenti sulla 'A' e la 'E' scanditi con chiarezza. La parola vibrò nell'aria, una dichiarazione di guerra al Guardiae che proteggeva la scritta.
Sentì un'ondata di energia fluire attraverso di lui, più intensa rispetto al primo tentativo. La sua bacchetta risuonava in sintonia con le proprie aspirazioni. Camillo ne fu quasi sopraffatto, immaginandosi il potere del Magisterium avvicinarsi alla soglia di una potenziale realizzazione.
Tuttavia, nel profondo, un seme di dubbio continuava a germogliare. Nonostante tentasse di progredire, una parte di lui sapeva che qualcosa ancora mancava. Era come se un ultimo, cruciale pezzo del puzzle fosse appena fuori dalla sua portata.
Con una mistura di cautela e un’altrettanto misurata speranza, si avvicinò alla lavagnetta. La scritta "Non ci riuscirai!" lo sbeffeggiava ancora, imperturbabile. Con il cancellino in mano, Camillo tentò di rimuoverla. Il suo braccio si mosse con un gesto deciso, ma l'esito del suo secondo tentativo rimase identico al precedente: un fallimento.

3 — Il Cretino per antonomasia, con lo sguardo incendiato dalla frustrazione di due tentativi andati al demonio, si posizionò di nuovo davanti alla lavagnetta, conscio di dove fosse esattamente il nord. La scritta "Non ci riuscirai!" sembrava quasi ridergli in faccia, intoccabile, e piú lui la guardava, piú gli sembrava brutta. La sua calligrafia non era delle migliori. Stringendo il Salice con una sprezzemolata d’ira ad intorbidirgli i pensieri, si preparò per spogliarla della sua protezione.
Questa volta, la sua esecuzione era improntata da un'urgenza calma, un equilibrio tra velocità e precisione. Iniziò la rotazione del polso, tracciando il rombo nell'aria con una fluidità e una sicurezza che prima non aveva riscontrato. Il polso ruotò, passando per ogni punto cardinale - in ordine: est, nord, ovest, sud - con i movimenti marcati da una gestualità più sicura e raffinata. Era concentrato, deciso a strappare il velo dietro il quale quelle parole trovavano un rifugio piú che confortevole.
Alla fine di quella composizione geometrica, infilzò il centro del rombo con la bacchetta e pronunciò la formula. «Mágistérium» Sembrava piú fiducioso, questa volta. Gli accenti sulla 'A' e la 'E' risuonarono ben delineati, come di consueto. La formula sembrava echeggiare contro le pareti del retrobottega, portando con sé la promessa di una magia che forse, e dico forse, stava iniziando a concretizzarsi.
La risposta della sua bacchetta fu immediata e più intensa. Un'onda di energia si riversò attraverso di essa, quasi come se l'incantesimo fosse sul punto di cedere al suo volere. O almeno questo era quello che pensò. Camillo sentì un'emozione genuina crescergli nel petto, con la speranza che magari – si disse – questa volta, avrebbe spezzato l'incantesimo protettivo.
Nonostante egli stesso riconoscesse di aver compiuto qualche progresso, un filo di incertezza rimaneva. Un fischio ovattato a disturbargli i timpani. Un piccolo granello di sabbia nell'ingranaggio della sua fiducia. Questa sensazione gli ricordava che, nonostante tutto, l'esito non era ancora assicurato.
Avanzando verso la lavagnetta, il cuore di Camillo batteva in sintonia con il respiro profondo e controllato. La scritta "Non ci riuscirai!" se ne stava ancora lì, come un monito costante della difficoltà dell'impresa. Con il cancellino in mano, si preparò a rimuoverla. Il suo movimento era deliberatamente lento, un gesto che portava con sé il peso dei due fallimenti precedenti e la speranza di un successo imminente. Ancora una volta, riscontrò, aveva mandato i suoi buoni propositi all’aria.

4 — Nel retrobottega, il buon vecchio Breendbergh affrontava nuovamente la sua nemesi: la scritta "Non ci riuscirai!" sulla lavagnetta. I tre tentativi falliti non avevano fatto altro che alimentare la sua voglia di passare a miglior vita. Con la bacchetta di salice in pugno, si concentrò con una fermezza rinnovata, forse un po’ dalla psicosi che si stava scatenando, pronto per ripetere quella tiritera ancora ed ancora.
Questa volta, l'approccio di Camillo era impregnato dalla consapevolezza acquisita durante le esercitazioni precedenti. La sua esecuzione rifletteva un mix di pazienza e celerità, un equilibrio delicato tra la riflessione e l’azione che stava compiendo. Con movimenti fluidi, iniziò a disegnare il rombo nell'aria, la rotazione del polso precisa e intenzionale verso est, nord, ovest e alla fine sud. Ogni direzione vedeva il polso ruotare fluidamente.
Tracciato il rombo immaginario, con un colpo deciso al suo centro, Camillo pronunciò «Mágistérium». Un po’ di grinta donava una vitalità genuina alle parole. Gli accenti sulla 'A' e la 'E' echeggiavano con forza, come chi era venuto a capo di quella diavoleria – primo tra tutti, l’ideatore – comandava.
L'energia che fluiva dalla bacchetta aveva un vigore tutto suo, come un torrente affamato e desideroso di inghiottire l'ostacolo. L'atmosfera intorno a Camillo vibrava di potenziale magico, preludio di quello che sarebbe potuto essere un successo.
Tuttavia, c'era ancora un velo di dubbio che offuscava la sua prospettiva. Era piccolo tarlo, la manifestazione del tormento causato dai fallimenti passati. Era cauto e realistico.
Si avvicinò comunque alla lavagnetta fiducioso. La scritta "Non ci riuscirai!" se ne stava ancora lì, imperturbabile e provocatoria. Con il cancellino in mano, Camillo tentò di rimuoverla. Un gesto a cui ormai si era abituato e che di volta in volta gli confermava fosse meglio darsi a Golf, o qualunque altra attività egualmente noiosa. Una passata, la scritta ancora lì, un improperio gettato al vento.

5 — Il bastardo se ne stava ancora una volta di fronte alla lavagnetta, la scritta "Non ci riuscirai!" a testimonianza dei suoi sforzi infruttuosi. Considerate le sue recenti esperienze con gli incantesimi avanzati, si era illuso di saperci fare; ogni volta che tentava di apprenderne uno nuovo, invece, la disillusione gli arrivava sui denti come il gancio di Mayweather.
Ciò a prescindere, i fallimenti non avevano scalfito la sua risolutezza, ma avevano acceso in lui un fuoco ancora più ardente. Un’ossessione malsana. Il disturbo di chi, quando iniziava qualcosa, non si schiodava finché non l’aveva portata al termine.
Con la bacchetta di salice pronta a scattare, si preparò.
La sua postura era un po’ storta, fiacca, ma questo non rifletteva affatto il suo stato d’animo, anzi. Iniziò a tracciare il rombo nell'aria con una precisione affinata dagli errori passati. Ogni movimento, in ordine, verso est, nord, ovest e sud era un equilibrio tra velocità e leggerezza, calibrato dalle rotazioni di un polso che ormai gli riuscivano quasi del tutto naturali. Un colpo secco al centro del rombo immaginario che aveva disegnato nel vuoto di fronte a sé.
Quando arrivò il momento di pronunciare la formula, quasi la ringhiò.
«Mágistérium». Tuonò, la voce di Camillo era chiara, potente, con gli accenti sulla 'A' e la 'E' che risuonavano fastidiose come le campane di un funerale. La formula vibrava nell'aria, carica di una nuova intensità, a testimoniare la sua determinazione.
Questa volta, la bacchetta di Camillo sembrava rispondere con un’energia più coerente, quasi in armonia con il suo mood. Era sicuro che presto avrebbe aggiunto al suo repertorio anche quel controincantesimo, sapeva che era questione di tempo e di buona volontà. La sensazione di potere che emanava era più controllata, meno rozza, si aggrappava al suo stato d’animo.
Tuttavia, una traccia di incertezza persisteva, un leggero tremore nell’Io, la disgrazia dei tentativi falliti. Era una sfumatura di realismo che temperava la sua speranza e che bilanciava la brama di successo e la consapevolezza della difficoltà della sfida che stava affrontando.
Con un’ampia falcata, Camillo si avvicinò alla lavagnetta. "Non ci riuscirai!", la scritta ancora lì, la guardava pronto a smentirla. Afferrò il cancellino con un gesto che era allo stesso tempo sgraziato e ben mirato. Muovendo la mano verso quelle parole, le sue movenze riflettevano la speranza di aver finalmente segnato la fine di quel supplizio. Nulla da fare, ancora una volta non era riuscito a rimuovere la protezione.

6 — Dopo una breve pausa e qualche snack, l’olandese si mise ancora una volta in posizione. Era andato a controllare di non aver disincantato nulla in negozio, un po’ traumatizzato dai film di Nolan, in cui la cosa del “sta funzionando, ma non nel posto in cui credi” sembrava essere un tema ricorrente.
La serie di fallimenti precedenti non aveva intaccato il suo desiderio di portare a termine l’impresa; al contrario, sembrava aver infuso in lui un vigore che ormai conosceva bene. Quello di chi, dopo una corsa estenuante, vedeva comparire traguardo nella sua visuale. Con la bacchetta di salice ben salda, il suo sguardo era concentrato e deciso, pronto a sfidare nuovamente il suo stesso Guardiae.
I movimenti di Camillo stavolta erano ancor più misurati, frutto di un apprendimento costante e di una volontà indomita. Un perfezionamento costruito tentativo dopo tentativo. Tracciò il rombo nell'aria con una precisione, frutto della pratica e di una memoria muscolare che si stava abituando a quei gesti. Ogni direzione, da est a nord, a ovest e poi a sud, era eseguita con una fluidità che rasentava l'eleganza, mentre il polso ruotava per permettere al catalizzatore di toccare i punti cardinali. Infine, piantò la punta della bacchetta al centro del rombo che aveva segnato.
Nel pronunciare «Mágistérium», la sua voce era ferma, impregnata di una fiducia maturata attraverso il superamento delle difficoltà iniziali. Gli accenti sulla 'A' e la 'E' erano scanditi con precisione. La formula sembrava abradere lo spazio che lo separava dal suo obiettivo, pronta a raschiare via il sortilegio difensivo dal bersaglio una volta raggiunto.
L'energia che fluiva dalla bacchetta di Camillo era quasi tangibile, un flusso che sembrava pronto a incanalare l'intera forza dell'incantesimo. Sembrava. Ogni esperimento fallito aveva contribuito a costruire quel momento, una somma di esperienze che si concretizzava in un potenziale successo.
Nonostante ciò, non gli piaceva cantar vittoria prima di avere le conferme di cui andava in cerca. Era un po’ colpa della consapevolezza che, nonostante i progressi, il successo non era garantito.
Avvicinandosi alla lavagnetta, il cuore di Camillo batteva con un ritmo regolare, un eco dei suoi pensieri e delle sue emozioni. "Non ci riuscirai!" ancora lì, un monito della sfida che stava affrontando. Con il cancellino in mano, mosse la mano verso la scritta. Il suo gesto era prudente e ben calcato fece cigolare il cancellino sulla superficie liscia. Controllò. Ancora una volta nulla da fare.

7 — Camillo cercava la nocciola che gli era caduta. Doveva essere rotolata sotto qualche armadio, si disse, sfilando lungo la gamba attraverso i jeans che indossava. Di fronte a lui, la lavagnetta con la scritta "Non ci riuscirai!" sembrava ricordargli costantemente che, in fin dei conti, il promemoria poteva essere veritiero, non piú un rinforzo per spronarlo. Tuttavia, l'espressione dell’olandese era serena, per quanto non ne potesse piú di cincionare con quel sortilegio, e la determinazione nei suoi occhi rifletteva la volontà di cavarsi quell’impiccio dai piedi, così da potersi dedicare alla ricerca del gioiello perduto. La sua mano stringeva la bacchetta di salice con una presa sicura, pronta a ripercorrere un rituale già praticato un’infinità di volte.
I movimenti che seguirono furono meticolosi, una sinfonia di gesti precisi e ponderati. La rotazione del polso di Camillo aveva tracciato un rombo nell'aria con una fluidità quasi ipnotica. Ogni direzione - in ordine: est, nord, ovest, sud - era marcata da una rotazione del polso controllata, specchio di una padronanza sempre più prossima a quella che avrebbe potuto considerare la perfezione.
Una pugnalata al centro del rombo, la punta del salice infilzò la figura geometrica segnata nell’aria.
Quando pronunciò «Mágistérium», la sua voce si caricò di entusiasmo. Aveva un timbro che vibrava con fiducia e nel quale risuonava la sua brama indomabile di spellare via il Guardiae dalla superficie che proteggeva. Gli accenti sulla 'A' e la 'E' spiccavano con una chiarezza cristallina, come una sorta di sfida lanciata all'incantesimo che si faceva custode di quelle parole. Ci sono io e ci sei tu, poi vediamo chi muore.
L'energia che emanava dalla bacchetta era ora coerente con il carisma che esercitava, un flusso che sembrava allinearsi perfettamente con la volontà di Camillo. C'era una sensazione di armonia tra il fu-Tassofrasso e il suo strumento, una connessione che suggeriva… beh non voleva cantare vittoria troppo presto
Nonostante questo, l’agitazione gli rimaneva incollata addosso. Era un sussurro nella mente di Camillo, il tormento postumo dei fallimenti passati.
Breendbergh si avvicinò alla lavagnetta con un passo svogliato, ciondolante, il suo sguardo fisso sulla scritta. "Non ci riuscirai!". Afferrando il cancellino, mosse un gesto verso carico di aspettative, ma rilassato. Si era detto che se avesse fallito di nuovo, avrebbe sempre potuto riprovare.
Verificò e sì, a quanto pareva avrebbe dovuto tentare di nuovo la sorte.

8 – Il cretino, tanto esasperato quanto in vena di portare a termine ciò che aveva iniziato, al netto di innumerevoli tentativi falliti, si trovava di nuovo a fronteggiare la sua stessa calligrafia: "Non ci riuscirai!". Ormai gli era così familiare, nel suo modo beffardo e silenzioso di sfidarlo, che quasi gli sarebbe dispiaciuto riuscire nel suo intento. Quasi. Ma in Camillo c'era qualcosa di diverso; una quiete profonda, una concentrazione salda, la perseveranza di chi aveva trasformato ogni fallimento in un gradino calpestato verso la vetta della maestria. Stringendo la bacchetta di salice, si preparò per lottare ancora con quel nemico invisibile.
I suoi movimenti erano naturali come il respiro, una sequenza maturata a suon di batoste, ormai impressa nella memoria muscolare. La rotazione del polso formava un rombo perfetto nell'aria, ogni direzione venne toccata - est, nord, ovest, sud -, ed i punti cardinali vennero accarezzati con una grazia elegante che non gli apparteneva, una profonda sicurezza che solo la ripetizione costante gli aveva permesso di affinare. Era come se ogni tentativo passato avesse lasciato aggiustato le sue movenze quel tanto che bastava per portarlo a quel punto del suo percorso. Se avesse fatto caso ai suoi movimenti, nemmeno si sarebbe riconosciuto.
Fu quando piantò il catalizzatore al centro del rombo che divampò in lui l’incendio della determinazione, quella autentica, quella che portava la sua firma sgraziata. Era sicuro che, questa volta, nulla avrebbe separato il cancellino dall’inchiostro.
«Mágistérium». Ringhiò. La sua voce era carica di un'intensità che rifletteva il suo stato d’animo, così come la chiarezza con cui aveva visualizzato il risultato. Gli accenti sulla 'A' e la 'E' erano stati esaltati, in inflessioni che echeggiando con autorità nel piccolo spazio in cui era rinchiuso. E così, la formula vibrò nell’aria, seguendo la traccia del controincantesimo.
La risposta della bacchetta fu immediata e sorprendentemente potente, o almeno così gli sembrò. L'energia che emanava era un flusso puro, svincolato da ogni ostacolo, fisico e mentale. In fin dei conti, il potenziale magico che gli scorreva nelle vene aveva avuto diverse occasioni per adattarsi alle necessità del suo portatore.
Con passo sicuro, si avvicinò alla lavagnetta. La scritta "Non ci riuscirai!" lo attendeva, ed ora che la guardava da vicino, quasi aveva l’impressione avesse le ore contate. Afferrò il cancellino, carico di speranza, poi tentò di strofinare via le lettere con un gesto rapido della mano. Magari, si disse, avrebbe potuto finalmente aggiungere il Magisterium al suo repertorio, questa volta. Ciò nonostante, per un primo momento, non osò guardare, lasciando che fosse il fato a determinare la riuscita della sua impresa. Se ne sarebbe accertato solo pochi istanti a seguire.



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view post Posted on 19/3/2024, 09:05
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Il Fato

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L’aria nel retrobottega dell’Atelier di Camillo Breendbergh si fece densa, mentre risoluto egli si apprestava ad eseguire l’incanto, tanto affascinante quanto complesso. La sua intraprendenza era ineccepibile, così come la sicurezza nel calcare i movimenti. Non doveva essere stata una scelta presa a cuor leggero, quella di dedicarsi all’apprendimento di una magia di tale potenza. L’esito dipendeva da talmente tanti fattori tutti insieme, che la determinazione dell’ex Tassorosso fu da subito lesa dalla grandiosità dell’impresa.
In quanto a carisma, poteva ritenersi all’altezza del compito, ma per una perfetta esecuzione del Magisterium era indispensabile che ogni parte di sé lavorasse all’unisono, che corpo e mente divenissero una cosa sola.
Nel primo tentativo, il giovane commerciante fallì nel dedicare alla muscolatura la giusta attenzione. La mancanza intaccò la fluidità dei movimenti.
La volontà la faceva da padrone e quella di Camillo vacillò.
Era consapevole della mole di quell’incanto, per cui, abbandonare l’impresa così presto non fu minimamente contemplato.
Tentò una seconda volta, focalizzandosi sulla pronuncia, quasi impeccabile, ma mancò di nuovo di coordinare pensieri, parole e movimenti in un’azione fluida e convincente. Quindi, passò a un terzo tentativo, dedicandosi alle proprie emozioni, convogliandone la determinazione nella bacchetta, e poi a un quarto, in cui il coordinamento tra gli elementi iniziava a prendere forma.
Ma non era ancora abbastanza.
La frustrazione si fece pressante. La smania di successo, invasiva.
Memento dei suoi insuccessi, la scritta istigatrice non voleva saperne di lasciarsi cancellare. La sua protezione sembrava prendersi gioco delle abilità di Camillo.
Il mago sapeva di dover mantenere calma e concentrazione per far sì che l’incantesimo riuscisse. Per cui, non potè far altro che rimboccarsi le maniche e proseguire.
Tentare ancora e attingere alla delusione del fallimento, come legna da ardere, invece che soccombervi.
A dimostrazione della sua resilienza, non cedette al supplizio.
Provò di nuovo. Più volte. Fino allo sfinimento. Fin quando ne risentì la postura, si presentò la necessità di riprendere fiato e ritrovare la calma.
Se il Magisterium fosse stato facile da imparare, chiunque avrebbe saputo usarlo. Una magia di tale potenza poteva appartenere solo a un mago abbastanza degno da poterla usare. D’altronde, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” ed era fondamentale che Camillo entrasse in simbiosi con l’incanto per poterne essere all’altezza.
Dovette ritrovare la giusta concentrazione. Fare di muscoli, tendini, nervi e ossa i catalizzatori della sua assoluta fermezza. Far sì che la magia si formasse dai suoi movimenti e attraversasse la bacchetta con fiera energia. Che la pronuncia dell’incanto risultasse poderosa ed emanasse la determinatazione di cui quel connubio necessitava.
E quando, per l’ennesima volta, si avvicinò speranzoso alla lavagna, dopo tanto tribolare poté finalmente veder sparire la scritta sotto il passaggio del cancellino.


INCANTO APPRESO

Puoi aggiungerlo in scheda. Complimenti, Camillo!

 
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view post Posted on 6/5/2024, 14:41
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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Exp necessaria: ✓
Accesso al reparto proibito di Hogwarts in qualità di supplente: ✓ (incantesimo segnato in rosso chiaro)


1 — Ennesimo round con una delle diavolerie che aveva scoperto in biblioteca. L’olandese, con la sola compagnia delle pareti spoglie del piccolo magazzino nei pressi di Brixton, se ne stava come un salame a fissare le istruzioni che si era ricopiato. L'aria era satura di un odore di muffa, quasi come se ogni angolo ricoperto da quei funghi tossici e verdastri si fosse reso testimone silenzioso di ciò che stava per accadere. Breendbergh, la cui presenza era un turbinio di determinazione e bizzarria, si accingeva a sfidare un incantesimo meno complesso degli ultimi aggiunti al suo repertorio, ma non per questo da sottovalutare.
Con la bacchetta di salice in pugno, la cui superficie liscia sembrava pulsare di una vita propria, Camillo si concentrò. Le sue movenze, sgraziate ed impazienti, anticipavano il tentativo che stava per compiere. Orientò la punta della bacchetta alle proprie spalle, sollevando il braccio con precisione e piegando leggermente il gomito affinché questo puntasse in avanti. La posizione era un po’ scomoda, a suo avviso, ma pensò che presto ci si sarebbe abituato.
Chiudendo gli occhi per un istante, l’ex-tassofrasso immaginò un braciere di fuoco crepitante alle proprie spalle. L'immagine mentale era così vivida che quasi poté sentire il calore lambire la sua schiena, un bagliore che prometteva di diventare reale. Quando riaprì gli occhi, il mondo sembrò attendere il suo comando.
«Igni», sussurrò con voce ferma, iniziando a tracciare nella mente il percorso del fuoco, che avrebbe dovuto seguire la traiettoria immaginata, in un momento carico di un'intensità quasi tangibile. Tuttavia, nonostante la concentrazione e l'impegno che metteva nel visualizzare il braciere, il legame tra la sua volontà e l'elemento che cercava di dominare sembrava volergli disobbedire, caratteristica naturale dell’elemento che voleva sottomettere.
Con un movimento fluido, tentò di compiere la seconda parte dell'incantesimo, lanciando il braccio in avanti con un gesto che avrebbe dovuto trascinare la lingua di fuoco dal braciere immaginario e scagliarla come una frusta verso l'obiettivo prefissato, un punto vuoto di fronte a lui, senza nulla che si potesse intendere nei suoi paraggi. La bacchetta dapprima in verticale, con la punta verso il basso per attingere alle fiamme, si slanciò lungo la traiettoria. «Menti», pronunciò, con un timbro che voleva essere deciso.
Eppure, non appena la parola lasciò le sue labbra, Camillo percepì la discrepanza tra la sua visione e la realtà. Non vi fu alcuna fune di fuoco, nessuna scia ardente a tagliare l'aria del magazzino. L'unica cosa che si mosse fu una leggera corrente d'aria, provocata dal movimento azzardato del suo braccio.
Rimase lì, immobile, la bacchetta ancora tesa in avanti come se potesse cogliere l'eco di un potere che, per il momento, proprio non aveva voluto saperne di dargli retta. La delusione si manifestò come un velo sottile sul suo volto, solitamente sicuro di sé – fin troppo alle volte –, ma nei suoi occhi nocciola si accese una scintilla di sfida. Era solo il primo tentativo, dopotutto, e Camillo non era tipo da piantare tutto in asso e frignare perché le cose non erano andate come voleva sin da subito.

2 — Dopo il primo tentativo fallito, il disgraziato si fermò un momento a riflettere. La frustrazione era un nemico insidioso, ma non avrebbe permesso che prendesse il sopravvento. Con un respiro profondo, cercò di scacciare ogni insicurezza, riordinando i propri pensieri, facendosi pervadere da uno spirito battagliero, come chi prepara un secondo assalto dopo aver misurato la forza dell'avversario.
Questa volta, il suo approccio fu leggermente diverso. Concentrandosi maggiormente sulla componente mentale dell'incantesimo, tentò di rafforzare l'immagine del braciere di fuoco nella sua mente. Doveva essere più che una semplice visione; doveva sentirne il calore, il potere, quasi bruciandosi con la sua essenza. Con la bacchetta fermamente in mano, Camillo ripeté il gesto iniziale, puntandola verso il basso alle sue spalle, il braccio alzato in una posa che ormai gli risultava familiare, e quel gomito puntato in avanti che già aveva iniziato ad infastidirlo un po’ di meno. Ora era la spalla a farsi carico di qualche acciacco.
«Igni», pronunciò con una voce che portava in sé una convinzione ferrea. La sua mente lavorava febbrilmente per alimentare il fuoco immaginario, per renderlo reale. Per un attimo, quasi credette di percepire un aumento di temperatura, un segnale che il suo sforzo stava per essere ripagato.
Con un movimento più deciso rispetto al primo tentativo, il suo braccio scattò in avanti, guidato dalla volontà di dare vita alla fiamma che avrebbe dovuto seguire l'arco della sua bacchetta, come una frusta.
«Menti». Ringhiò, questa volta con un tono che non ammetteva repliche, quasi volesse costringere l'aria stessa a ubbidire, facendosi fiamma.
Tuttavia, il risultato fu nuovamente deludente. Anche se aveva affinato la tecnica, e per un fugace istante sembrò che qualcosa stesse per accadere, l'effetto visibile fu minimo. Forse una scintilla, così breve da poter essere stata solo un'illusione, balenò all'estremità della bacchetta, scomparendo prima che potesse anche solo essere considerata una manifestazione dell'incantesimo che cercava di scagliare.
Camillo rimase fermo, il braccio ancora teso in una posizione che sottolineava la fine del suo gesto compiuto con insuccesso. La delusione era ormai familiare, ma non era un semplice sentimento di sconfitta. Era piuttosto un riconoscimento: ogni errore era una lezione, un passo in avanti sul percorso che aveva deciso di intraprendere.
Il fu-tassofrasso si preparò mentalmente per provare ancora una volta, cercando di determinare cosa gli impedisse di attingere alle fiamme del braciere che visualizzava.

3 — Camillo fece una breve pausa. Si sgranchì la schiena, le gambe e riscaldò braccio e spalla facendoli roteare nel nulla. Con il viso segnato da una risolutezza rinnovata, l’olandese comprese un paio di cose in più riguardo quell’incantesimo e si decise a sperimentare con un nuovo approccio. La sua mente, ora più che mai focalizzata, sapeva come lavorare in sintonia con il corpo per far sì che il suo desiderio si realizzasse.
C'era un'aria di calma, assoluta concentrazione, mentre Breendbergh riprendeva la posizione iniziale. Questa volta, tuttavia, vi era un'aggiunta quasi impercettibile nel modo in cui teneva la bacchetta: un leggero cambio di angolazione, frutto delle riflessioni maturate nei tentativi precedenti. Il legno sembrava vibrare dolcemente al tocco, come se anch'esso fosse impaziente di liberare il suo potenziale. Quella posizione piú rilassata eliminava le distrazioni date dal fastidio che provava mettendo in tensione la spalla, ma la bacchetta rimaneva sempre perpendicolare al braciere vivido nelle sue fantasie.
Fissando un punto invisibile davanti a sé, Camillo visualizzò il suddetto braciere, il fuoco, con una chiarezza mai raggiunta prima – questo, nei suoi pensieri, prendeva forma alle sue spalle. Poteva quasi udire il crepitio delle fiamme, sentire il loro calore avvolgerlo. Era un'esperienza sensoriale completa, che lo legava al fuoco, tanto che l’emozione che stava provando si trasformò nel riflesso delle braci accese.
«Igni». Parlò. La sua voce era ora un sussurro, una promessa fatta a sé stesso, e l’inflessione faceva risuonare le sue corde come una sfida lanciata a quella diavoleria.
Mentre la sua mente abbracciava il calore del braciere immaginario, il suo corpo rispondeva con un'armonia ardente. La bacchetta era ora puntata alle sue spalle, con la punta desiderosa di agganciare il lembo della fiamma. Il gomito in avanti, non piú teso, con i muscoli del braccio pronti a scattare. Il movimento per scagliare la frusta di fuoco fu più fluido, quasi elegante, carico di una raffinatezza che solitamente non gli apparteneva.
«Menti». Disse, con un'improvvisa esplosione di energia. Il suo braccio completò l'arco con una forza e una precisione che sembravano voler strappare il fuoco dalla fonte. Era un gesto potente, un comando impartito alle fiamme: prendere consistenza e obbedire.
Per un istante, l'aria sembrò tremare in risposta. Camillo, gli occhi fissi sull'obiettivo, percepì un cambiamento, come uno spiffero ardente che scivolava sinuoso nello spazio tra lui e il punto dove la frusta di fuoco avrebbe dovuto colpire. Qualcosa stava accadendo, qualcosa che suggeriva una maggiore connessione con l’elemento che voleva rendere suo.
Ancora una volta, tuttavia, l'attesa si sciolse in una quiete anticlimatica. Non vi fu l'apparizione della fune di fuoco, nessuna manifestazione visibile dell’incantesimo che aveva cercato di evocare. Solo l'eco di un potere che sembrava danzare appena fuori dalla sua portata, tentatore e sfuggente.
Camillo si fermò, il respiro irregolare. La delusione divenne dapprima un'ombra leggera sul suo volto, rapidamente spazzata via dal solito sorriso che prendeva vita quando la posta in gioco era alta. Aveva percepito un chiaro segnale dei suoi progressi, lo aveva sentito chiaramente quel senso di vicinanza al suo personale successo. Era una sfida, sì, ma una che era determinato a vincere. La maestria, capì, non era solo una questione di tecnica, ma di persistenza e fede nelle proprie capacità.

4 — L’odore di muffa pizzicava lievemente il naso di Camillo, mentre questo si apprestava a sperimentare ancora con quella magia. Il silenzio del magazzino era alienante, un abbraccio soffocante che lo separava dal mondo esterno. Il giovane negoziante aveva assorbito ogni insegnamento che i fallimenti precedenti gli avevano impartito, ogni lezione si era sedimentata nel profondo, costruendo una base più solida per poter procedere con lo step successivo.
Con uno sguardo che rifletteva un vigore rinnovato, Breendbergh riacquisì la posizione iniziale. La sua presa sulla bacchetta di salice era ora più sicura e morbida, infusa di una confidenza che presagiva un esito diverso. L'attimo di preparazione fu un rituale di concentrazione, dove ogni dubbio veniva scacciato, lasciando spazio solo alla certezza di un'immagine mentale vivida.
Questa volta, l'immaginazione del braciere dietro di sé non fu solo un esercizio di visualizzazione. Camillo riuscì a immergersi così profondamente nella scena che i confini tra realtà e fantasia iniziarono a sfumare. Il calore del fuoco immaginario sembrava avvolgerlo, scaldando l'aria intorno a lui, alimentando la sua volontà di successo. Bacchetta puntata alle sue spalle, con la punta in basso, gomito in avanti. Rilassato e pronto a sferzare l’aria.
«Igni». Pronunciò, la parola era un ponte tra il mondo in cui si era isolato e quello tangibile, carica di un'energia che fremeva per constatare un futuro progresso.
Il movimento per scagliare la frusta di fuoco fu eseguito con una grazia e una fluidità che l’autoimposizione aveva reso necessarie. Era come se il corpo di Camillo avesse calibrato ogni movimento, affinando la sua tecnica fino a raggiungere un equilibrio quasi perfetto tra pensiero e azione. «Menti». Esclamò poi, con un tono che era al contempo comando e preghiera, un invito aperto alle forze che cercava di dominare.
Per un momento, il tempo sembrò sospendersi. L'aria attorno alla punta della bacchetta si scaldò, caricandosi di una tensione che preannunciava la nascita di qualcosa di straordinario. Il cuore di Camillo batteva aritmico, sincopato, in eco al crepitio di un fuoco che sentiva vicino a scaturire.
Tuttavia, nonostante l’innegabile aspettativa che si era costruito e il miglioramento nell'esecuzione, l'incantesimo non si manifestò come sperato. Non vi fu alcuna fiamma a seguire il gesto della bacchetta, nessuna lingua di fuoco a danzare nell'aria davanti a lui. Solo il leggero fruscio del movimento e una piacevole scia di calore, testimoni di un potere che, sebbene più vicino, rimaneva ancora poco più in là rispetto alle sue grinfie.
Camillo restò fermo, il braccio ancora teso in una posa di sfida al vuoto davanti a sé. La delusione fece capolino nei suoi occhi nocciola, ma fu subito sostituita da una luce di caparbietà. Perché ogni tentativo lo aveva portato un passo più vicino al suo obiettivo, rivelando nuove sfumature della sua forza e della sua determinazione. Era chiaro che il percorso verso la maestria richiedeva tempo, pazienza e una volontà indomita. E Camillo aveva riserve abbondanti di tutte e tre.

5 — Ci riprovò ancora ed ancora, sistemando di volta in volta i dettagli della sua performance con pignoleria. Breendbergh lo voleva evocare davvero quell'incantesimo, a tal punto da appellarsi a tutta la sua buona volontà, alla sua esperienza con sortilegi ben piú complessi, ed al suo malsano rapporto con le fiamme, che nel corso della sua breve esistenza erano state sin troppe volte sue alleate e nemiche.
Dopo gli insegnamenti carpiti dai tentativi precedenti, c'era una nuova profondità nella prospettiva adottata, un riflesso di introspezione che suggeriva un approccio fiorito nella meditazione. Il magazzino, con i suoi spazi vuoti e le pareti mute, si faceva in disparte, lasciando che l’olandese fosse il solo ed unico protagonista di questa nuova fase, un palcoscenico silenzioso per un momento di svolta.
Camillo si posizionò con calma, una postura studiata e raffinata, le mani che non tremavano più tenendo la bacchetta di salice, e che quasi ghermivano avidamente il legame tra lui e l'elemento che cercava di domare. C'era un ritmo nel suo respiro, un'intenzione in ogni movimento che preparava il terreno per l'atto della creazione.
Con la bacchetta puntata alle spalle – puntata verso il basso, verso il fuoco – ed il gomito indirizzato in avanti, la mente di Camillo non si limitò a visualizzare un braciere dietro di sé; questa volta, cercò di diventare un tutt'uno con l’incendio che era scoppiato nei suoi pensieri, che consumava tutto ciò che si trovava oltre la sua schiena. Sentì il crepitio delle fiamme, il calore che prometteva di farsi strada nel mondo fisico.
«Igni», la parola fluttuò nell'aria, un soffio che portava con sé il peso di ogni esperienza precedente, arricchita dal desiderio di agganciare un lembo di fuoco e trasformarlo in un’arma.
Mentre il suo braccio si muoveva in un gesto che ormai gli era divenuto naturale, percepiva vi fosse qualcosa di diverso in questo tentativo. La sua azione non era solo il risultato di una sequenza di movimenti meccanici e di fantasie blande; era una connubio tra volontà e possibilità, tra il mondo tangibile e quello dell'immaginazione. Quando pronunciò «Menti», con il braccio che scattava in avanti in un gesto fluido e deciso, lo fece con l’intenzione ferrea di trascinare le fiamme nella sua sferzata.
Il silenzio che seguì fu denso, un attimo sospeso che conteneva tutto ciò su cui aveva scommesso. Camillo rimase fermo, con il braccio teso e la bacchetta ancora diretta verso il punto dove la fune di fuoco avrebbe dovuto manifestarsi e schioccare. Il suo respiro era l'unico suono nel magazzino, un affanno lieve che riecheggiava contro le pareti spoglie.
E di nuovo, era la curiosità ad impadronirsi del suo animo. Voleva constatare con i propri occhi il frutto dei suoi sforzi, della pratica, di tutti quegli accorgimenti che aveva adottato, un fallimento alla volta. Della sua fantasia che prendeva forma, del suo modo poco ortodosso di approcciarsi alla magia – quell’idea che sempre lo aveva aiutato nel momento del bisogno: guardare alle istruzioni solo come linee guida e mettere una parte di sé in ogni incantesimo lanciato. E così, con il cuore che gli si scatenava nel petto, andò in cerca della prova inconfutabile del suo successo. O dell’ennesimo fallimento, che lo avrebbe spinto a ricominciare, ancora ed ancora, fino a quando l’Ignimenti non fosse diventato parte del proprio arsenale.



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