Le parole erano da sempre uno degli incantesimi più potenti nell'arsenale di Camillo. A volte parlava a macchinetta e sparava una marea di sciocchezze, così rintronanti che nemmeno un Confundus – o una mazzata in testa – sarebbe stato in grado di eguagliare metà di un suo pippone. Altre volte, spontaneamente, si lasciava sfuggire qualche pensiero dolce, riflessioni genuine che riservava per coloro ai quali voleva bene davvero; e più era forte il legame d'affetto che stringeva con l'altro, più quell'esperienza diventava intensa, per entrambi.
Adeline doveva aver capito, ormai, che il suo studente non era uno che si faceva problemi a dire – o scrivere – le cose in faccia ai suoi interlocutori. Che fosse perché, colto dall'ira, rimbeccava una guardia, che fosse perché, in un moto di disapprovazione, rimproverava qualcuno a cui teneva, anche a rischio di diventare inopportuno, incoerente.
Ma quella volta il pennarello aveva tracciato linee morbide ed indelebili sul foglio di carta bianca, tratti gentili, portatori di una riflessione spontanea, in un'attesa breve che gli sembrò infinita, prima che queste venissero svelate agli occhi bicromi della professoressa. Quelli nocciola di Camillo erano andati in cerca di qualche dettaglio rivelatore, manifestazione dei pensieri dell'altra, colto improvvisamente dal profondo timore di aver superato una linea che non avrebbe dovuto oltrepassare.
Nel momento piú buio, quello in cui il timore stava per tramutarsi in panico, nel processo di una lenta realizzazione, vide il viso dolce di Adeline ammorbidirsi ed illuminarsi di una luce calda e accogliente. Qualcosa che trafiggeva il vetro dello specchio comunicante come una lama affilata. Qualcosa che lo sezionava in mille fettine, lembi di morte, e qualcosa che lo pungeva, come l'intreccio di un ago e del suo filo pronti a rimettere insieme i pezzi di ciò che era una volta. Una persona sicura. Quella che, per forza di cose, voleva dare l'impressione di avere sempre tutto sotto controllo. La stessa che ora si trovava distrutta e riaggiustata da un solo sguardo luminoso e da un sorriso sereno.
Era felice, sinceramente felice, che l'amica non avesse frainteso le sue parole. Era altrettanto felice che le avesse accolte con la medesima spensieratezza con cui lui le aveva tracciate sul suo quaderno. Era felice di vederla, ancora, ancor di piú di quando lo specchio aveva rivelato i suoi tratti soffici e carezzevoli dopo una lunga giornata d'attesa.
Le persone nelle pareti si erano date alla pazza gioia, e ora bussavano e grattavano incessantemente, neanche avessero voluto farsi strada attraverso mattoni e intonaco. Si lasciò distrarre per un momento, trascinato via da chissà che pensiero, con il solito sorriso ebete ed un po' sottratto alla realtà.
Quando il senno gli tornò in corpo, fu perché gli venne chiesto qualcosa riguardo i polipi. Lui amava i polipi e annuì. Li amava davvero in tutte le salse: piastrati, nell'insalata di patate, con qualche tipo di pasta e anche, soprattutto, in qualche ricetta orientale. Non proprio in tutte, se prendiamo la questione in senso lato, mai aveva capito l'ossessione di alcuni per… neanche sto a dirvelo.
Ciò che conta è che si ritrovò inconsciamente ad annuire, lasciando nuovamente residui dei suoi spostamenti in tinte di blu e di giallo.
Loro due erano un polipo. Tre cuori. Come poteva una metafora assurda e così surreale, avere allo stesso così tanto senso?
Ascoltò tutta la spiegazione, neanche fosse stato un documentario di National Geographic sui cefalopodi, e poi ciò che ne seguì.
Aveva visto Adeline prendere le difese dei quadri, e l'aveva vista adombrarsi, come coperta da un velo di eccessiva serietà, mentre gli spiegava del suo desiderio di ricevere chiarimenti. Li avrebbe ricevuti, a tempo debito. Ma in quel momento lui aveva smesso di sentirsi una medusa, ed era erantrato in modalità polipo. Due terzi, per essere pignoli, almeno a livello cardiaco.
Avrebbe voluto abbracciarla, per poi dirle che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi per lui, ma non sarebbe riuscito nemmeno volendo. Al di là del dolore fisico che i gesti d'affetto, donati e ricevuti, gli impartivano, la distanza che li divideva era reale. Ed anche se quegli specchi attenuavano un po' il senso di lontananza, mettendoli in comunicazione, non avrebbe potuto toccarla neppure rompendo la superficie riflettente a cui si trovava di fronte. Quello che fece, in virtù degli ostacoli che si ritrovava ad affrontare, fu di sollevarsi con le braccia protese in direzione del vetro e verso la sua cornice, sganciarla dal cacciavite che la teneva ancorata a tutto l'ambaradan di cavi e lampadario, e prendere l'artefatto tra le mani.
Si ributtò quindi nel letto, spostando il quadernino ed il pennarello, per poi stendersi sul fianco, con la guancia appoggiata al cuscino e gli occhi stanchi che seguivano i lineamenti del viso di Adeline come una carezza. Sistemò l'oggetto in modo che potesse continuare ad inquadrarlo, tenendolo distante dal viso per quanto possibile, sempre con un braccio steso e la mano a sorreggerlo. Anche lo specchio era orizzontale, in balia di quel letto che a tratti gli ricordava essere una barchetta alla deriva del nonnulla. Blu e giallo.
«Mi vedi?» Le chiese, pronto a regolare lo specchio che teneva sul pizzo del cuscino, mentre lui se ne stava affondato sul lato opposto. Trovata una posizione che andasse a genio ad entrambi avrebbe commentato; di tempo in effetti se n'era preso parecchio.
«Se conti che abbiamo quattro arti a testa, otto in totale… non saprei, mi sembra una coincidenza molto buffa. Ma trovo carino il fatto che in due si faccia un polipo». Spiegò, con quella sua espressione accogliente e confortevole, al netto di quanto sonno avesse in corpo – e un po', la sua faccia, questo non riusciva a celarlo. Si risparmiò inutili precisazioni su quante parti extra avanzassero, tipo il fatto di avere due teste. Il polipo era perfetto così e nessuno doveva toccarlo. Specialmente i Giapponesi.
«Sei tenera ad empatizzare con i quadri, anche io penso che la loro condizione sia… agrodolce tanto per rimanere in tema di ricette ma non mi dimentico nemmeno del fatto che sono reminiscenze di una vita vissuta e giunta al suo decorso naturale. Ora formano un sistema di sorveglianza che farebbe tornare in vita Orwell per venire a dirci che ce l'aveva detto». Neanche fosse stato veramente 1984. «Gli dà il diritto di raccontare a tutto il Castello che ho dato un bacetto alla mia ragazza nei corridoi, quando, come e con quanta passione? Stesso discorso vale per i fantasmi». Il senso del discorso era che loro la loro vita l'avevano vissuta in santa pace, chi piú chi meno – sicuramente il Frate Grasso, suo acerrimo nemico, se l'era passata meglio dello Spettro di Grifondoro – ma ora era finita e dovevano lasciare un po' di privacy alle nuove generazioni, perché fossero loro a campare serene. Cosa che, vi assicuro, non facevano. Forse era anche per quello che gli era sfuggito quel commento sul fatto che fosse giusto rifilargli qualche dispetto. Fosse stato per lui, in realtà, non ci sarebbe stata la necessità di ricorrere a tanto; vivi e lascia vivere, qualche chiacchiera di passaggio e via! Ma ora bisognava sbrogliare l'ultimo nodo rimasto.
«Con il fornitore è andata male perché ha provato a rifilarmi una ciofeca invendibile, mi ha fatto perdere due ore ed è diventato aggressivo quando mi sono rifiutato di chiudere l'accordo». Rispose tagliando corto, omettendo un po' di dettagli.
«Ma me la so cavare, vanno così queste cose; domani torno. Come vedi sono qui, sto bene, ti sto…» Si era reso conto che stava accarezzando il bordo della cornice – fuori dall'inquadratura – con la punta dei polpastrelli, un po' come gli capitava di fare…
Si bloccò, irrigidendosi e chiudendosi a riccio, almeno da un punto di vista emotivo. Almeno per un momento.
«Ti sto parlando. E penso che non sia una priorità sciocca desiderare il tuo benessere psicofisico, sapere che non ti fai del male e che i marmocchi non si approfittino di te perché sei l'insegnante nuova, quella gentile». Le avevano pure fatto i muffin, in realtà, meglio di così non si poteva. Il tono, neanche a dirlo, era drasticamente cambiato ed ora, raccogliendo tutte le forze che gli erano rimaste per poter resistere al veleno di medusa, Camillo si era fatto molto piú serio.
«So che sei adulta e vaccinata, non voglio sembrare troppo apprensivo». Confessò, alla fine. Senza aggiungere altro, ma domandandole con lo sguardo curioso se trovasse tanto strano che una persona che le voleva bene si allertasse quando c'erano tutti i segnali, in effetti, per andare nel panico. Primo tra i tanti, la smorfia di dolore che ogni tanto compariva sul suo viso.
Ignorò la questione dei drink con la medusa, perché il suo primo impulso era stato quello di invitarla, al diavolo tutto, pur di vederla di persona. E invece, le circostanze suggerivano fosse la cosa piú stupida che potesse fare. La vera linea da non oltrepassare.
Messo com'era, corpo e anima, sentiva che era meglio buttar giú la chiamata e dormirci sopra, piuttosto che combinare il piú grande casino della sua intera esistenza – e di casini ne aveva fatti così tanti, che non sarebbero bastati tutti i quadri di Hogwarts per raccontarli.
Voleva solo dirle "buonanotte", e sperava di poterglielo dire presto.