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| Occultato da prassi, Camillo era entrato nell'ufficio di Adeline. A distanza di qualche giorno dal colloquio ancora non aveva capito la ragione per cui non chiudesse la porta a chiave, ma gli tornò utile e non si soffermò troppo a rifletterci. Il tempo scarseggiava, e si sentì di dover fare le cose con una discreta fretta nell'intermezzo tra una lezione e l'altra. Lasciò sulla scrivania un vassoio con un dolce che le aveva preparato lui stesso, quello stesso dolce che la professoressa aveva avuto il coraggio di definire semplice. E invece, metti per l'ansia da prestazione, metti perché gli piaceva fare le cose fatte come il buon Signore comandava, si era sentito in diritto di scomodare Isabella per chiederle ricetta e consigli. Oltre ad aver corrotto metà degli elfi che lavoravano nelle cucine, per ovvie ragioni. Un verto lucidus a rendere trasparente il coperchio. Sotto alla campana traslucida, un bicchiere ricolmo di fragole fresche, qualche spicchio di limone per ragioni estetiche, il cui succo era stato spremuto sul resto della frutta in un dosaggio che – a parere di Isabella, ma che aveva acceso un dibattito tra gli elfi – era "perfetto". Meglio un po' di meno, tanto Adeline poteva aggiungerne a piacimento. Cristalli di zucchero e ghiaccio tritato a mantenere tutto fresco. Poi una cannuccia, abbastanza appuntita da fungere da spiedino. Infine posò sulla scrivania lo specchio incartato ed un biglietto criptico:
Un bacino scoccato all'aria verso Regn, se fosse stato presente e vigile, poi si defilò.
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