| La sensazione di non essere all’altezza dell’argomento in discussione con Lyvie si fa più concreta di minuto in minuto. Sorvolando sul presupposto che non concepisco nemmeno l’idea di dover esprimere il proprio orientamento sessuale, che nessun etero ha mai provato pressione sociale nel farlo, come se fosse dato per scontato, mi rendo conto di non avere un’esperienza o una conoscenza in merito da poterle fornire –se non proprio le rassicurazioni di cui ha bisogno– quantomeno dei consigli su come essere semplicemente se stessa. Nel momento in cui hai timore di ciò che ti circonda, dei giudizi, dei costrutti entro i quali dovresti mantenerti… Come ti dovresti comportare? Il solo pensarci basta a generarmi un’emicrania lancinante. A me non potrebbe fregare di meno di ciò che pensa la gente, di ciò che faccio o non faccio. Ognuno è libero di vivere la propria vita come vuole e se il resto del mondo prova più interesse a sprecare energie su di me che a pensare ai cazzi suoi la cosa non mi riguarda. Ma Lyvie, purtroppo, ha una sensibilità diversa dalla mia. Si mostra sempre così tosta e disinteressata, ma dal modo in cui l’ho messa in soggezione semplicemente ponendomi in difensiva per le mie mamme mi sono reso conto che per lei, tutto quello che sta provando, è ben più complicato di come lo affronterei io. E io non sono proprio ciò che si definirebbe empatico. Porca merda. Mi ingozzo di cereali per avere una scusa per non parlare, come se dentro di me stia sperando che il discorso si chiuda lì. Vorrei darle le risposte che cerca, essere in grado di capire ciò che prova, ma non so nemmeno come fare, capita così di rado che mi interessi di qualcuno che non sia io. Rimuginarci mi sta mandando fuori di testa. Sono quasi tentato di darle i contatti di Eliana e suggerirle di parlare con lei. La fidanzata di mia madre ha una propensione particolare che definirei al limite del logorroico quando si tratta di dare consigli e parlare con le persone; insomma, non so se sia sempre stata così, ma per avere a che fare quotidianamente con mia madre, da cui ho ripreso la splendida indole introversa e misantropa, credo che abbia sviluppato, o coltivato, un certo talento nell’essere empatica e paziente. Mi va di traverso un cereale quando il discorso verte sulle coppiette. So dove andrà a parare ancora prima che la senta pronunciare il nome di Megan. Siamo stati più o meno discreti per mesi, finché non mi sono rotto i coglioni di nascondermi tra corridoi e aule abbandonate solo per stringerle la mano come un bambino infelice e ho iniziato ad approfittare dei piccoli momenti nella giornata, tra una lezione e l’altra, prima e dopo i turni di lavoro, per poter stare con lei; immagino che ciò non sia passato inosservato in una scuola in cui il massimo divertimento è gossippare. Gli stessi quadri e fantasmi che bazzicano nel castello si interessano della vita degli studenti, figuriamoci gli stessi umani coinvolti più o meno attivamente. Insomma, non che pensassi di essere invisibile, ma comunque davo per scontato –principalmente per mancanza di vita sociale– di non ritrovarmi mai a parlare di lei o di noi. Nelle rare volte in cui qualcuno ha provato a cacciare l’argomento solo per dare sfogo alla sua curiosità, mi è capitato di ringhiargli addosso senza concedere risposta. È il modo in cui Lyvie costruisce la sua domanda che la salva da una reazione simile. Non mi chiede com’è la relazione, non mi chiede di lei, mi chiede solo di me.
Mi sento a mio agio. – rispondo di getto, con tutta la sincerità di cui dispongo, ma senza accennare alle mie innumerevoli paure. Ho sempre il timore che un giorno Megan possa capire che non ho niente da offrirle o che i miei modi scorbutici la mettano in imbarazzo, che un giorno possa stufarsi della mia apatia e mancanza di originalità, dei miei silenzi, di qualsiasi cosa. Al contempo, però, mi viene spontaneo flirtare con lei, giocare e scherzare in un modo che non credevo di avere in me e che ho scoperto con lei. Mi sento sicuro in superficie a starle vicino, pur percependo tutte le mie insicurezze di fondo, perché mi fa stare bene e mi rende felice; non in un modo effimero o estemporaneo, ma proprio nel concetto di vivere ogni giorno sapendo che c’è lei con me, anche quando non c’è.
Quando qualcuno ci sta provando lo leggi negli occhi. Che dipenda da un’emozione o da attrazione, è come se gli occhi si illuminassero di aspettativa. Non so se hai mai avuto qualcuno che ti ha guardato così, ma forse non hai mai nemmeno voluto farci caso. – aggiungo, riagganciandomi al suo discorso.
Io non ci ho mai fatto caso, per esempio. Ma so che i miei occhi erano così quando l’ho vista per la prima volta. Non mi sono fatto domande, non mi sono nemmeno chiesto cosa pensasse di me, credo… Le ho semplicemente detto che mi piaceva, perché era giusto lo sapesse. E credo che io non le piacessi affatto. Non spicco per simpatia e fascino. – continuo, accennando uno sbuffo divertito. Prendo in mano la tazza di cereali e l’avvicino alle labbra per bere il latte rimasto. Non so se l’improvvisa tachicardia sia un effetto del caffè bevuto poco fa o di quanto ho appena raccontato a Lyvie, ma ignoro la cosa e mi volto a incontrare il suo sguardo.
Se ti piace qualcuno diglielo e basta. Se resti nel dubbio senza esprimerlo non ottieni nulla, tanto vale accettare un eventuale rifiuto e andare avanti, piuttosto che restare in balia delle onde, no? Non ti serve saper flirtare e cose così... viene tutto da sé. – proseguo a dire, con la consapevolezza di averle appena suggerito un consiglio che io stesso, a suo tempo, mi rifiutai di accogliere. Per paura di un rifiuto evitai Megan per mesi dopo la mia dichiarazione lanciata come una bomba senza preavviso. Ripensandoci, col senno di poi, capisco di aver solo perso tempo, ma nel mio caso il tutto era dipeso da una stupida speranza senza fondamenta, come se non consentendole di rifiutarmi apertamente mi fosse concessa una possibilità. Forse non ha molto senso, ma lo aveva per me allora.
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