Seventeen, Colloquio di orientamento - Camillo Breendbergh

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view post Posted on 18/5/2023, 21:29
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Buongiorno signor Breendbergh!
Mi farebbe molto piacere aiutarla con il colloquio,
potremmo vederci questo giovedì pomeriggio alle 17 nel mio ufficio (nella Torre di Astronomia) –
- non si preoccupi per eventuali lezioni e/o compiti, posso scriverle io una giustificazione.

PS.
Questa gabbianella è magnifica Camillo - dove l’hai trovata? – ha una bellissima voce.
Le ho dato un po' da mangiare prima che ripartisse, spero non sia un problema.





Sono in fermento.
Ho iniziato a lavorare a scuola da qualche giorno ormai, ho recuperato piuttosto in fretta l’orientamento tra corridoi, scale, classi e ambienti vari - la prima volta in cui sono rientrata nella Sala Grande ad ogni modo ho dimenticato di respirare per così tanto che arrivata al tavolo degli insegnanti mi girava quasi la testa.
Ho anche iniziato a tenere le mie prime lezioni: vedere tutti quei volti, dai più giovani e fanciulleschi ai più maturi, e relazionarmi con tutte queste persone cercando di trasmettere una delle mie più grandi passioni è a dir poco splendido e come se già non lo fossi di mio, il tutto mi carica maggiormente entusiasmandomi ancora di più durante le spiegazioni – mi sono resa conto che spesso saltello da una postazione all’altra, o piroetto su me stessa mentre parlo.
L’arrivo della gabbianella di Camillo così, tra le altre cose mi ha letteralmente meravigliata, per motivi diversi: innanzitutto per la gabbianella in sé – l’ho osservata per lunghi minuti con la sola scusa di darle un po' da mangiare, cercando anche di coccolarla un po' (con gran dispetto di Regn) – e in secondo luogo, ma non per importanza, per Camillo in sé.
E’ stato uno dei pochi volti conosciuti ancor prima dell’inizio del mio nuovo lavoro – cosa alquanto insolita per la sottoscritta – e quando l’ho intravisto tra la marea di studenti che quotidianamente popola le mura del castello, gli ho rivolto un enorme sorriso cercando di salutarlo – anche se tutt’ora non ho la certezza di non aver salutato in contemporanea gli altri dieci, quindici alunni bene o male sparsi attorno a lui.
Lo stesso breve messaggio mi ha fatta contenta: sarà in realtà il mio primo colloquio orientativo in qualità di docente, ma ho dei bei ricordi del mio e mi incuriosisce quanto mi entusiasma approfondire il tema con il Tassorosso.

Al momento così, dopo essere rientrata da circa una mezzoretta da una lezione con una classe del primo anno, sono seduta alla mia scrivania: lo sguardo scorre lungo gli ultimi appunti e abbozzi per le prossime esercitazioni e parti teoriche mentre Regn mi tiene compagnia dal suo nido, cantando ogni tanto con il suo verso basso e pulsante, vagamente lugubre.
Appunto con la piuma intinta di inchiostro un’ultima idea, poi ripongo tutto con ordine e mi alzo.
Mancano pochi minuti alle 17 e nel turbinio caotico del mio petto non riesco a definire con esattezza cosa prevalga tra l’entusiasmo, l’agitazione, una più quieta serenità e una confusionaria accozzaglia di dubbi e domande – mi sistemo la veste da strega leggera, di un azzurro pastello e con le maniche ampie, e mi avvicino alla finestra a bovindo dove, nella sua rientranza, ho sistemato la tana incantata del mio Augurey, incastonata tra la pietra nuda delle mura, i vetri puliti e i fiori rampicanti.
La mancina gli accarezza piano il becco, ma le iridi di mare e di bosco saltellano tra Regn e la porta: appena il Giallo Nero busserà alla porta trillerò un sin troppo contento "Avanti, entra pure!" - e l’orologio infine inizia il suo ritmico canto - sono le cinque precise del pomeriggio.

Io però, sto già sorridendo da parecchio.
 
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view post Posted on 19/5/2023, 15:48
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CodiceGiovedì. Erano quasi le diciassette, l'ora del tè per gli Inglesi, e Camillo era giunto davanti all'ufficio della Professoressa Walker con un lieve anticipo. Voleva essere puntuale, ci teneva a fare buona impressione. Appoggiato con le spalle ad una parete, rimuginava sullo strano rapporto che si era instaurato con la donna. Aveva conosciuto la dolce pozionista prima che ricoprisse la carica di docente, si era abituato a darle del "tu". Poi, con l'arrivo della nomina, aveva dovuto adeguarsi alle nuove norme comportamentali imposte dalla sua carica. Nel breve spazio intercorso tra la loro prima interazione ed il giorno del colloquio, si erano susseguiti una serie di avvenimenti che in un certo modo e con un certo peso, avevano radicalmente cambiato l'olandese da dentro. Primo tra tutti, per ordine di importanza, quel battibecco con il senzatetto che aveva scomposto e ricomposto i tasselli della sua esistenza, così da potergli mostrare quanto di cattivo gusto fosse il puzzle che formavano nel loro insieme. Ma era sereno. Aveva colto quel consiglio con un solido abbraccio, lo stesso abbraccio che – trasposto nel piano materiale – in quel momento sorreggeva il vaso di girasoli che aveva preparato per la professoressa.
Lo sguardo scese sulle piante, generate e confezionate con le proprie mani. Era buona norma portare dei fiori interrati quando si andava a trovare qualcuno fresco di trasloco. Così gli era stato insegnato. Lui aveva optato per quelle corone di petali dorati a causa di una serie infinita di ragioni e turbe mentali tutte sue. S'era dovuto studiare il linguaggio dei fiori a causa di un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Profeta e riteneva fossero quelli che piú si addicevano alla personalità solare della professoressa, al rapporto che aveva con lei. Pensò; si sarebbe imbarazzato molto a portarle un mazzo di rose, delle orchidee, boccioli e corolle carichi di colori e profumi che celavano intenzioni di diversa natura, piú romantiche e sensuali. Ma nemmeno voleva far leva nel verso opposto di quello spettro. Eppure, per quanto si fosse scervellato per trovare una soluzione meno ardita, anche i girasoli comunicavano a modo loro un senso di totale devozione. C'era anche dell'altro, accezioni e valori che si nascondevano timidamente dietro la propria decisione, ma proseguire questa disquisizione di natura floreale non porterebbe da nessuna parte, ora come ora.
Amen, s'era detto, guardando il vaso. *Mi sento come se avessi trent'anni*. Nato vecchio, morto da bimbo.
Un'occhiata fugace all'orologio gli aveva comunicato che erano le cinque del pomeriggio. Affilate come la lama di un rasoio. Bussò, tre colpetti con le nocche contro la porta di legno massiccio in rapida sequenza. Dall'altra parte percepí una risposa carica di energia ed entusiasmo, che fece inevitabilmente comparire sulle sue labbra un sorriso divertito. Già si immaginava come sarebbe stato fare quel colloquio con il professor Toobl, la nausea, la noncuranza, il desiderio costante di schiaffeggiarlo con una platessa viva. A lui avrebbe portato una platessa viva, a costo di trascinarsi dietro il peso dell'acquario. E invece, a quanto pareva, aveva avuto la fortuna di beccarsi una passeggiata su un sentiero meno impervio, metaforicamente parlando. Ed era felice.

CodicePermesso accordato, fece capolino dalla porta, un po' goffo per via della delicatezza di ciò che trasportava ed il timore di frantumarla.
«Buon pomeriggio, professoressa! È un piacere rivederla». L'esordio, da cui traspariva una vivacità frizzante, riflesso cristallino dell'emozione che stava provando. Sondò rapidamente l'ufficio alla ricerca della figura di Adeline e la trovò come una delicata pennellata d'azzurro vicino ad un'arcata orizzontale di finestre, una sorta di spazio luminoso e ben curato che ospitava una creatura a lui sconosciuta, ma molto affascinante. Le avrebbe chiesto qualcosa a riguardo in seguito, se lo promise, ma prima doveva sbrigare alcuni doveri sociali.
«Ha un ufficio bellissimo». Confermò a voce il suo pensiero, introducendo così il discorso dei fiori. «Le ho portato un pensierino, spero possa piacerle. L'ho fatto io, dai fiori al vaso, quindi non garantisco camperanno in salute e non garantisco nemmeno che non esploderanno. Ma ci ho messo il cuore». Scherzò, almeno sulla parte dell'esplosione e si trattenne dall'aggiungere un "giurin giurello" finale, ancora si stava abituando a contenere quelle uscite allergiche. Aveva un'altra sorpresa per la professoressa.
«Le ho portato anche un regalo, in realtà». Qualcosa che restasse come ricordo della sua visita e che non fosse soggetto all'azione spietata del tempo, nonché della sua incapacità di lanciare incantesimi per generare cose belle e durature. Nulla di effimero, quindi, ma frutto della maestria di un artigiano piú competente. Quello era sì un dono, ma portava il peso della sua duplice natura di rompicapo e indizio su quanto sarebbe emerso durante il colloquio. Ad ogni modo, ogni cosa aveva il suo tempo, prima avrebbe dovuto sistemare i girasoli ove gli fosse stato indicato – cosí voleva la tacita convenzione – e porgere alla professoressa Walker la busta di carta pervinca, anonima ed elegante, nel quale trasportava la sorpresa promessale, senza darle indizi sul contenuto.
Il sorriso imperturbabile e lo sguardo serafico, immutati. L'attesa.



Edited by Camomillo - 19/5/2023, 17:06
 
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view post Posted on 19/5/2023, 19:31
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Fa capolino dalla porta d’ingresso e mi saluta, e sul mio volto sento già prendere vita un sorrisone a trentadue denti.
Mi alzo immediatamente e gli vado incontro anche perché – la sorpresa che mi sgrana immediatamente lo sguardo – Camillo porta con sé qualcosa:
-Ma sono splendidi – è – hai fatto tutto tu? -
So benissimo che – direi “come sempre in situazioni simili” ma la realtà è anche che, nel complesso della mia sufficientemente-lunga-vita, non è che si siano presentate poi così tante situazioni simili in effetti - ad ogni modo gli occhi si fanno immediatamente più grandi e lucidi per la commozione e meraviglia, il sorriso si amplia tra le labbra e ho questa specifica voglia di battere velocemente le mani o i piedi per terra, come i bambini entusiasti di fronte al più bel regalo di Natale mai ricevuto in vita loro.
Non riesco mai ad esprimere il quantitativo di gratitudine che in momenti del genere mi pervade, ma quantomeno, adesso, riesco a trattenermi dal battere mani e piedi - ma non dai ringraziamenti più sinceri che rivolgo così al Tassorosso: -Grazie Camillo, non dovevi! I girasoli poi, sono meravigliosi..!-
E mentre allungo le mani per aiutare il mago ed afferrare il grazioso vaso, egli in realtà prosegue con un secondo dono: ho il viso affondato tra i petali per inspirarne a fondo il profumo, e per un attimo sento tremarmi letteralmente il cuore - per cui poso i fiori sulla scrivania in legno chiaro e voltandomi nuovamente verso il ragazzo per qualche istante rimango con le mani appoggiate al bordo ligneo - mi serve un sostegno fisico e ben stabile.
Sono letteralmente stupefatta, del tutto disabituata a gesti di questa portata – per la sottoscritta a dir poco enormi, soverchianti nella loro gentilezza, altruismo e genuina bontà – non so se ho più voglia di ridere, piangere, abbracciare -Accidenti, ma potrei? D'altronde oramai sono un’insegnante a tutti gli effetti e per di più in tali vesti entro le mura scolastiche..- o riempire di baci il maghetto lì davanti – ancora peggio dell’abbraccio mi direte, ma l’idea è decisamente priva di qualsivoglia sentimentalismo, decisamente più attigua all’immagine di una bambina travolta dalle emozioni e quindi in confusione su come poterle esprimere in un contesto tanto nuovo, tanto formale - mh, già.
Sbatto le ciglia e credo che l’accozzaglia di emozioni intrappolate nel mio costato sia non solo visibile ma persino quasi tangibile nello spazio che ci divide: nel complesso non solo ho scrollato le spalle contenta - forse è stato più un tremore inconsapevole in risposta a tanta emozione - ma credo di aver anche allungato una mano in direzione del mago come a volerlo sfiorare/abbracciare/prendereeregalargliununicorno/chi lo sa, mano appena ritratta l’attimo dopo e riavvicinata ancora l’attimo seguente - sono entrata in tilt, t i l t si chiama T I L T apnea senza rendermene conto, e mi salva Regn con il suo basso verso pulsante.
Stacco l’altra mano dalla scrivania – ok, mi reggo ancora in piedi – e afferro così il secondo pensiero del Giallo Nero, non prima di accarezzargli appena il braccio, se me lo permetterà, cercando di trasmettere in quel minuscolo gesto quasi letteralmente tutto di cui sopra – sì alla fine questa scelta mi pare nulla rispetto a quanto personalmente provato ma quantomeno accettabile visti i panni che entrambi rivestiamo in questo preciso spazio/tempo – e sedendomi l’istante successivo sulla scrivania stessa – sì, beh, mi reggo in piedi ma meglio non osare troppo -.
-Sono pensieri bellissimi.- riesco solo a dire, quasi in un sussurro ma sempre sorridente, le iridi di bosco e di mare che scivolano ora alternativamente tra la carta pervinca che ho tra le mani e Camillo - il senso di colpa e inadeguatezza improvvisi - Ah – ah! che forse pensavate mancassimo all’appello?! Questo mai. - a stringermi dolorosamente il muscolo cardiaco.
Fisso lo sguardo in quello nocciola del mago, in un solo istante dispiaciutissima, affranta dalle mie lampanti mancanze nei suoi confronti – tanto più a fronte di tanta gentilezza, carineria e generosità.
-Io non..- poso con delicatezza il pacchetto sulle gambe, inclinando appena la testolina dorata, un cruccio triste tra i lineamenti del volto: -Non so se riuscirò a ricambiare, Camillo, anche se.. ci terrei davvero tanto.-
Respiro appena, silenziosamente.
Abbasso lo sguardo sul pacchetto e piano piano – con una delicatezza estrema, tacitamente convinta che il contenuto sia fragilissimo e con il solo sguardo si possa infrangere (tutto si può infrangere d’altronde, tanto più con un solo sguardo il più delle volte) lo scarto: ..è un cofanetto.
Lo apro – non respiro di nuovo più, ma ne sono beatamente inconsapevole.
All’improvviso la stanza, il mondo, l’intero universo si sono annullati eccezion fatta per me, Camillo, i girasoli al mio fianco il cui lieve profumo silenziosamente mi alleggerisce l’animo e quel cofanetto con il suo contenuto.
Sono due piccoli anelli, molto fini ed eleganti, in oro, con due gemme incastonate che brillano appena: uno smeraldo ed uno zaffiro.
Inizialmente ciò che mi risuona più familiare sono i colori: riflettono la bicromia che caratterizza – talvolta affligge, mi viene da pensare - il mio sguardo.
Questi però, non sono semplicemente due anelli. Sono incastrati, legati tra loro in maniera apparentemente indissolubile.
L’improvvisa curiosità, quasi necessità di risolvere il mistero, il perché, il bisogno di sciogliere quel nodo, segreto, tranello o indizio che sia – d’altronde il sangue Bronzo Blu mi scorre nelle vene da sempre – riesce miracolosamente incredibilmente a non farmi annegare nella marea di emozioni che in burrasca imperversano nel mio petto.
Già di per sé considero da sempre i regali portatori di senso e significato, di messaggi, più o meno espliciti – senza neanche dover approfondire il carico attribuito da me ai miei di doni e pensieri – ma questo per la mia razionalissima mente da diligentissima ex Corvonero è davvero lampante:
-Perché?- sollevo con delicatezza i due piccoli gioielli e li porto in mezzo allo sguardo di entrambi sebbene le mie iridi tornino a fissarsi incredibilmente curiose su quelle nocciola del mago -Perché incastrati così?-
Una bambina di fronte al più straordinario ed imponente degli alberi di Natale (con tanto di regalo inaspettato già precedentemente scartato e amato) non sarebbe stata più incantata di me in quegli istanti.
Assottiglio lo sguardo, con fare meditabondo, riformulo i pensieri e propongo una domanda diversa:
-Mi racconti la loro storia?-

Edited by Adeline Walker - 20/5/2023, 06:33
 
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view post Posted on 20/5/2023, 11:18
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CodiceQuando l'olandese si era presentato nell'ufficio della professoressa Walker, era stato immediatamente investito con la forza di un treno in corsa da un'energia briosa, spumeggiante, zuccherina ed al contempo indulgente. Un dessert per l'anima di un vagabondo che a lungo aveva sofferto le pene della sua permanenza al Castello, la fame di libertà. Gli parve assurdo, in vero, trovare dopo cosí tanto un posto in cui poteva finalmente respirare a pieni polmoni, con l'entusiasmo a rinforzargli il diaframma, quando per anni si era sentito soffocare nella claustrofobica modestia di un'immensa roccaforte. Un ossimoro tanto imponente, quanto lo era stata la conversione tra i primi anni intrisi di meraviglia e gli ultimi, trascorsi in preda alla disillusione piú totale.
Hogwarts era stata a lungo la sua prigione e se anche dalle sue finestre vedeva scivolare i raggi di luce del giorno, i panorami stellati che la notte gli donava, e la brezza incontaminata dell'oasi nel quale era stata edificata, non era mai riuscito ad ignorare le sbarre invisibili che gli ricordavano costantemente quale fosse la sua condanna. Esserne ospite e studente.
Gli pareva tanto assurdo, ad onor del vero, che fosse stata la sola presenza di una persona a fargli provare il sentimento opposto. Una persona che nemmeno conosceva profondamente, per giunta. Quando invece, nemmeno i suoi amici, chi aveva intensamente amato, seppur in modi e misure differenti, erano mai riusciti a detergere quella patina malinconica dalla sua anima. Perché sapeva che se finalmente si sentiva cosí, non era affatto merito di un luogo.
Ma non ci rimuginò molto, preferí godersi quel momento, scacciando via i pensieri tanto intimi quanto pesanti. E cosí, affascinato dalla reazione della professoressa Walker, si godette da spettatore ogni momento della reazione che seguí il suo ingresso. Se potessi redigere quanto appena scritto e mi fosse concesso di utilizzare un'altra metafora, direi che per Camillo fu piú come farsi una corsa sulle montagne russe, una giostra costruita sopra il tracciato delle emozioni che Adeline lasciava trasparire con innocenza. A partire da una vertiginosa salita di felicità rampante, scattata ad un cenno affermativo del capo.
I fiori li aveva fatti lui, sì, esisteva un incantesimo apposta; era raro che qualcuno lo usasse per non creare un bouquet di rose destinato ad appassire, ma piante a cui veniva concesso il lusso di vivere con le radici piantate nella terra. Al di là di questo, non era stato quello il vero scoglio della sua creazione, quanto il vaso che li ospitava, fatto di quel materiale che ricordava la ceramica e le linee di colore impostate per seguirne le venature. La osservò inebriarsi del profumo delle corone d'oro e la scena gli strappò un sorriso sincero per via della sua dolcezza.
S'era appoggiata alla scrivania e aveva allungato una mano verso la sua figura, esitando, quasi come se avesse voluto toccarlo per accertarsi che fosse lì. Fu in quell'istante che toccò a lui sentire il cuore tremare. Avrebbe potuto intravederlo nella sua espressione, che seppur adornata da una gioia priva di riserve, celava un pizzico di timore. Non sapeva se aspettarsi una carezza o un abbraccio, i momenti che sarebbero seguiti erano celati da un velo di imprevedibilità. Si irrigidì, per quanto avesse tentato di nasconderlo dietro una compostezza fasulla.
Vi confesso che il contatto lo spaventava, specialmente da quando la relazione con il Caposcuola Grifondoro era terminata e lui aveva progressivamente deciso di costruire un muro di mattoni invisibili tra sé e il prossimo. Il che era ironico, considerato che non si era mai fatto problemi ad accogliere serenamente urti violenti, lame e sbuffi di fiamme, come fossero stati parte di un destino ineluttabile che aveva accettato di vivere con spensieratezza. Ma quello era diverso, le dimostrazioni fisiche d'affetto – salvo rare eccezioni – sfregavano sulla sua pelle come carta vetrata e blandizie gelide fatte con il filo di rasoi taglienti. Rimase lucido e tirò qualche considerazione, prima che una carezza gli sfiorasse il braccio, percependo lievemente ed attraverso i tessuti leggeri che indossava il calore della mano di Adeline.
Il verso lugubre della creatura che aveva osservato al suo ingresso, un po' come per la professoressa, inconsciamente lo aveva aiutato a rasserenarsi. Il che, ammetto, fu strano. E si promise di tornarci, a tempo debito.
Poi arrivò l'istante della discesa, in picchiata, quando la professoressa scartò il regalo e trovò gli anelli nella confezione. Percepí, da parte sua, una malinconia che non aveva preventivato, sentendosi trafitto al centro del petto. Sapeva, come gli era stato confermato, che le erano piaciuti, ma non avrebbe voluto metterla a disagio, né che si sentisse in alcun modo in debito con lui. Non lo era affatto.
«Professoressa, scherza vero? Non esiste al mondo cosa piú preziosa del tempo che mi sta donando per questo colloquio». E i dolci sorrisi, gli sguardi ricolmi di gioia priva di qualsivoglia condizione, che mi alleggeriscono il cuore; avrebbe voluto aggiungere. Invece si fermò dove era giusto, per via dei loro ruoli, fermarsi, e fu il modo in cui l'aveva guardata a completare la sentenza al posto delle parole. Ma il suo tono era tanto deciso che non lasciava spazio ad alcun dubbio, pensava davvero che il tempo speso in sua compagnia fosse qualcosa che trascendeva la materia, a cui lui attribuiva un valore immensamente piú grande. Il tempo era inestimabile, potevi spenderlo, potevi guadagnarlo in certe occasioni, ma mai nessuno ti avrebbe ridato indietro quello perso. L'ennesimo sorriso, questa volta per rassicurarla, mentre lo sguardo nocciola tornava a posarsi su quello eterocromatico della dolce pozionista, da cui carpì l'interezza della sua curiosità.
«Oltre all'ovvia scelta dei colori e dei materiali». Zaffiro e smeraldo, mare e bosco, l'oro dei suoi capelli biondi. «Le ho portato un rompicapo in effetti». E lì, portandosi le braccia dietro la schiena, come un vecchietto che si metteva a riposo, iniziò a scoprire le carte. Poi si sporse leggermente in avanti, non tanto da invadere lo spazio personale di Adeline, ma abbastanza per poterla studiare piú attentamente.
«Quello è un vincolo semplice, all'apparenza, e penso che il modo in cui una persona decida di scioglierlo riveli qualcosa della sua personalità. Prometto che le racconterò la loro storia, a patto che lei mi mostri come ha intenzione di farlo». L'entusiasmo qui guadagnò una nota di curiosità scientifica. Gli venivano in mente almeno 5 modi per dissolvere quel legame senza rovinare gli anelli, così, su due piedi. Anche perché vi confesso che la vera impresa fu quella di legarli insieme. Ma già nella sua affermazione si nascondeva un piccolo indizio. Era un do ut des, rivelare qualcosa di sé all'altro per conoscersi meglio. Il suo approccio, non lo svelò per non condizionarla, fu quello di prendere un incantesimo e dargli la sua impronta personale, cosa che ultimamente si trovava far più spesso di quanto ci tenesse ad ammettere, sperimentando con la trasfigurazione. Il vincolo, per quanto concerneva la creazione degli anelli cosí come erano stati presentati – che Sauron non s'azzardi ad offendersi – era stato fatto seguendo questa bizzarra legge non scritta della magia, infrangendo una piccola convenzione a cui maghi e streghe inesperti si appellavano con una discreta riverenza. Ma in fin dei conti le regole erano regole e la loro bellezza stava proprio nel piacere di infrangerle.
Aveva annoverato anche l'ipotesi che, per una serie infinita di ragioni plausibili, Adeline decidesse di lasciarli com'erano. In quel caso non avrebbe insistito, conscio che il colloquio sarebbe proseguito su binari piú… conformi. E forse, chissà, avrebbe anche perso il vizio di eludere le domande che gli venivano poste.

 
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view post Posted on 20/5/2023, 20:32
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-Professoressa, scherza vero? Non esiste al mondo cosa piú preziosa del tempo che mi sta donando per questo colloquio.-

Gli credo, un po' perché io stessa do enorme valore al tempo – figlia di chi d’altronde non mi ha mai concesso un solo intero minuto in quasi trent’anni di vita – un po' perché se questo mago ha un potere tra i tanti, è quello di saper trasmettere con il solo sguardo tanto e – ancora – tra quel tanto, la sicurezza, la decisione – il che per un solo attimo mi riporta al nostro primo incontro, spazio/tempo in cui in modi diversi mi ha già trasmesso questa precisa sensazione.
Do grande valore al tempo consapevolmente speso con e per qualcuno - ciò non toglie tuttavia che riconosca qualcosa di ben più prezioso da poter donare – a Camillo in particolar modo, mi viene da pensare, dato il valore al suddetto concetto condiviso da entrambi: la linearità, la costanza – il tempo, sì, distribuito però nel tempo.
La stabilità dunque, la sicurezza, la presenza non pregiudicata, non giudicante, l’accoglienza e la cura adesso, come tra potenziali cent’anni.
Questo.
Questo è il dono più prezioso di tutti – ma anche per ciò serve tempo per l’appunto, e per quanto il mio cervellotico cervellino da Bronzo Blu ami perdersi in certi concetti non è questo in effetti il tempo, letteralmente.

Alla parola “rompicapo” mi illumino.
Il gioco in realtà, dalla mia prospettiva, ha una doppia valenza: sappiamo bene entrambi come in realtà questo appuntamento sia stato concordato per il colloquio del Tasso ora qui davanti a me, eppure quel che mi porta lui non sono domande, né tantomeno banali affermazioni su chi sia e cosa voglia dalla vita.
Camillo mi porta in dono un nodo da sciogliere, che è un suo nodo, una sua parte ma – com’è d’altronde giusto che sia – essendo intimamente suo il contenuto di quel nodo, sua la storia, non me la serve su un piatto d’argento – mi sarei preoccupata probabilmente del contrario, questo invece lo apprezzo per svariati motivi.
Mi porta qualcosa di sé, un suo modo di essere, di fare, un suo pensiero o una sua emozione, magari un ricordo – ne ignoro ancora il contenuto (e forse lo ignorerò per sempre, questa parte in fondo dipende unicamente da lui) tant’è che di rompicapo si tratta – un adeguato meccanismo di difesa, penso e concordo – d’altronde se incapace di sciogliere quel nodo, non sarei probabilmente degna di accedere al suo contenuto e significato più profondi.
Un suo nodo con una sua storia ma che sembrano portare caratteristiche prettamente mie: in prima battuta penso che avrei accolto qualsiasi cosa avesse voluto donarmi, anche senza che questa mi assomigliasse tanto, l’attimo seguente mi domando - sciogliendo il nodo svelerò qualcosa di me o qualcosa di lui?
Probabilmente qualcosa di entrambi.

Inclino leggermente la testolina dorata, ancora osservandolo e sorridendo quieta – no, orgogliosa, assolutamente ed espressamente fiera sebbene io nello specifico non possa vantare assolutamente nulla rispetto a questo mago: -Mi stupisco che tu non sia un Corvo, Camillo.-
Il sorriso si amplia tra le labbra e i miei lineamenti, le iridi tornano sui due piccoli anelli, ancora sul palmo della mia mano.
-Detesterei l’idea di spezzare uno dei due anelli per separarli, anche se potrei riparare il danno l’istante successivo.- inizio quindi a condividere ad alta voce i miei pensieri -Così come fonderne una piccola parte per creare un punto di stacco, rischierei di rovinarli.-
La mia mente torna al concetto di tempo, si fonde con quella parte di me tanto legata e devota alla cura e all’accoglienza dell’altro, esattamente così com’è: -Potrei anche lasciarli esattamente così come sono, sarebbero uno splendido ciondolo per una collanina.-
Sì, sarebbe proprio da me prendermi cura di un “nodo” altrui, portandone il peso ma cercando al contempo di proporlo all’altro e al mondo intero come un’unicità ad ogni modo splendida, con cui tuttalpiù avere tanta pazienza per poterla risolvere al momento opportuno – se non addirittura, vederla risolversi da sola, per la sola presenza costante, supporto, calore datole in quel tempo.
-Potrei trasfigurarli. Farli divenire temporaneamente qualcosa di diverso, slegarli e riportarli alla loro natura originaria.-
Sto dondolando la testa, assorbita dai miei pensieri.
-Sarebbe una possibilità non aggressiva, per cui già decisamente migliore – metaforicamente e letteralmente parlando una possibilità di cambiamento, di trasformazione in grado di liberarli da qualcosa per poter tornare poi se stessi ma nella loro forma più indipendente, effettivamente libera.-
Era questo, quello che desiderava il mago?
Torno a scrutare il Tassorosso, attenta ma serena: -Il punto è che, la loro storia, dipende anche e soprattutto dal narratore.
Se la racconto io, questi due anelli, più che dividersi.. dovrebbero fondersi.-

Respiro silenziosa, mi prendo un attimo.
-Nella mia storia, sono due parti che lottano per escludersi a vicenda, per distanziarsi l’una dall’altra, rifiutandosi e negandosi reciprocamente – ma insieme sarebbero solo più forti, più definite, una cosa sola con confini, definizione ed essenza, più complessa magari – ma magnifica.-
Razionalità ed emozioni, ordine e caos, presente e passato, cura e lotta, presenza ed assenza – ho appena regalato a Camillo una delle mie chiavi di volta, un frammento della mia essenza altalenante e confusionaria proprio perché frammentata in alcuni specifici punti, il mio essere creatura accogliente, dolce, premurosa ma anche puma feroce, solitario, protettivo sì – ma nella sua versione più aggressiva.
Nessun rompicapo da parte mia, se desiderava una verità della sottoscritta – eccola qua, in tutto il suo frammentato splendore.
-Se desideravi qualche “rivelazione” della mia personalità... Camillo- ripeto il suo nome, perché vorrei chiarire un punto – sono seria ma ancora serena, la gioia e curiosità frizzantine si sono temporaneamente attenuate per una questione di rispetto per la complessità, fragilità ma anche forza del mago che mi sta di fronte - facendo spazio a quella parte di me più quieta, accogliente, calda, gli sorrido ancora, sincera -Se pensi ti possa aiutare, servire, banalmente interessare, posso consegnarti tutte le verità e storie che mi riguardano e non, sino a che sono in grado di raccontarle.-
Gli porgo i due anelli.
-Io vorrei davvero conoscere la tua, di storia. Ma è tua anche la scelta.
Sei forte abbastanza - per quanto ti lasci libero accesso anche al mio aiuto.

Sei libero e basta, in effetti.-
 
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view post Posted on 21/5/2023, 11:05
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CodiceClic. La lampada si era accesa, diffondendo una luce tenera e soffusa di calore curioso. Sfida intellettuale o passione per i puzzle, qualcosa doveva essere scattato nella testa della professoressa Walker. L'idea di vederla ingegnarsi per svincolare il nodo che teneva legati i due anelli d'oro, ammetto, aveva fatto brillare nello sguardo dell'olandese un interesse raro e smanioso. E quell'interesse non si era affievolito man mano che la dolce pozionista aveva iniziato a vagliare le diverse opzioni che aveva a disposizione – e che propose, ragionando ad alta voce – ma era di volta in volta mutato per abbracciarne la natura. Un po' come se le parole di Adeline fossero stati potenti incantesimi trasfigurativi, raggi sfavillanti e dipinti di sfumature vivaci che lo colpivano in pieno, suscitando sempre emozioni differenti. Distruggere per poi aggiustare; un colpo al cuore. Dare il metallo in pasto alle fiamme; gli piaceva la sua grinta. Lasciarli immutati per variare la natura dei gioielli al fine di creare un accessorio del tutto nuovo; ammirava la sua capacità di adattamento. Trasformarli e riportarli allo stato originale; si avvicinava a quel che lui aveva fatto per incastrarli.
Il punto era chiaro e la professoressa aveva ragione. La storia dietro quell'inaspettata unione era portatrice di grandi significati, molteplici sfumature che nessuno singolarmente avrebbe mai potuto cogliere nella loro interezza, ciò nondimeno chiunque aveva la capacità di fare della propria interpretazione uno strumento potente al fine di scrivere una storia.
La storia di Adeline, sono sincero, lo colpí. Lo colpí perché anche lui aveva vissuto in prima persona la confusione causata dalla dualità, il dover bilanciare costantemente due parti della propria natura. Era arrivato al punto in cui aveva pensato addirittura di scegliere e lanciarne una nel bidone come se fosse stata qualcosa di rotto, perché era piú giovane e piú stupido, perché non aveva considerato un'opzione diversa.
Lo ammise con un cenno del capo, lui aveva in effetti desiderato una rivelazione sulla personalità della professoressa. E vi dirò di piú, era anche certo sarebbe stata qualcosa di complesso, un elemento ricco di sfaccettature. Le personalità piú dolci spesso erano quelle che avevano sperimentato un profondo dolore, un conflitto, che avevano dovuto scontrarsi con le avversità di ciò che si portavano dentro. Adeline, per quanto poco la conoscesse, non gli aveva mai dato l'idea di essere una persona superficiale; gli indizi non erano mancati sin dal giorno del loro primo incontro, a partire da quel modo tutto suo di scaricare la tensione nei contesti sociali.
Quando lei gli porse gli anelli, quando gli rivolse quelle parole di incoraggiamento, gli angoli delle bocca dell'olandese – prima distesi in una linea che esprimeva la serietà e l'interesse profondo con cui l'aveva ascoltata – si sollevarono in un sorriso mite, seguito a ruota da un'occhiata imperturbabile, che balzò prima al nodo dorato, adornato dalle due pietre preziose, e tornò a posarsi sugli occhi chiari della donna, la cui bellezza e i cui colori erano omaggiati dalla squisitezza delle due gemme dal taglio raffinato.
«Dedicherei volentieri una vita intera per ascoltare la sua storia e le sue verità, i suoi pensieri piú profondi, anche quelli piú caduci e fugaci. E qui le prometto che troverò sempre il tempo per esserci, se dovesse sentirne il bisogno o il piacere di confessarmeli». Fu difficile per lui mantenere un registro formale, tant'era preda di quel tumulto indecifrabile che scatenava il caos nella testa e nel petto, ma fece del suo meglio per mantenere la serietà imposta dalla propria promessa solenne.
Le mani, che mai avevano abbandonato la schiena, dapprima a riposo, quasi inconsciamente lasciarono la posizione di partenza per avvicinarsi a quella di Adeline. Lentamente, con il timore reverenziale provocato dall'idea del contatto fisico. Ma si sforzò di scavalcare anche quella barriera, senza dare segni evidenti di esitazione. Se la professoressa Walker glielo avesse permesso, le mani dell'olandese avrebbero raggiunto quella che sosteneva i due anelli, per chiuderla a pugno con una carezza delicata, affinché potesse stringerli tra il palmo e le dita lievemente serrate; sentirli finalmente suoi. Un movimento delicato, come se lui fosse stato fatto di pietra e la sua controparte di fragile cristallo.
«Nella mia personale visione dell'Io, iniziamo a viverci con serenità quando accettiamo la nostra natura come qualcosa di omogeneo. Niente confini, né etichette. È bene indagare l'origine delle singole parti di ciò che ci caratterizza, comprenderle a fondo, conoscere i vari perché e percome».
Spiegò, cercando di riassumere un discorso piú ampio e profondo in qualcosa che si confaceva comodamente ai tempi di una conversazione. Non quelli di un saggio. Il che significava tralasciare parti anche importanti, precisazioni dovute. La presunzione che quella fosse una verità universale era totalmente assente, innanzitutto, ciò che funzionava per lui non era detto valesse anche per gli altri. Per quanto gli esseri umani fossero simili, per quanto l'inconscio lavorasse dritto per dritto, erano anche unici nell'insieme della loro maturità.
«Conosco, a mio modo, quella sensazione di essere diviso tra forze opposte, che sembrano volersi respingere, negare l'una la presenza dell'altra. Ma non penso sia l'opposizione in sé a generare conflitto, bensì il nostro rifiuto di accettarle. Sa, penso anche che ciascuna possegga una bellezza unica, che si amplifica e si rafforza quando ne metabolizziamo l'unione».
Forse la stava annoiando. Forse stava dicendo cose che non stavano né in cielo, né in terra. Si buttò sull'acqua.
«Per usare un'immagine un po' meno astratta, mi viene da descrivere queste parti come fiumi che nascono da sorgenti diverse. Ognuna ha il suo percorso unico, il suo ritmo e le sue acque sono portatrici di esperienze e sentimenti differenti. Ma i loro percorsi inevitabilmente si incontrano e quando capita non avviene una lotta, non c'è una competizione. C'è una danza appassionata che dà vita alla fusione. Formano un unico corso d'acqua che porta con sé la memoria delle sue sorgenti, ma è al contempo un'entità nuova, piú vigorosa. Il flusso di ciò che siamo… e sono fermamente convinto che muterà in eterno, man mano che si aggiungerà acqua da altre fonti».
Ci aveva provato. Non era sicuro di aver trasmesso quel concetto con la chiarezza cristallina con cui l'aveva visualizzato. Gli sarebbe tornato comodo usare metafore musicali, con il rischio di fare ancora piú confusione. Le avrebbe detto che nella sinfonia della nostra vita, ogni parte di noi è una nota, individualmente irrilevante, e che solo quando è unita a tutte le altre trova il suo posto nella composizione, la meravigliosa melodia del nostro progresso.
«Per me è stato l'essere mago e l'essere uomo». Uomo nell'accezione di "babbano". Ecco la sua verità, il dilemma che lo aveva corroso per anni, facendogli dubitare del suo ruolo e del suo posto del mondo. «Alla fine ho scelto semplicemente di essere e non è stata una decisione scontata». Soppresse la pesantezza di quell'ultima uscita, delle implicazioni che celava, virando immediatamente altrove, tornando al punto principale della conversazione, con una serenità spiazzante che cancellava la promessa di morte che aveva fatto a se stesso nemmeno fosse stata una linea di gesso dalla lavagna.
«Se la raccontiamo insieme, la storia degli anelli è quella del principio della nostra amicizia. Spero che condivida questo mio desiderio». Ennesimo, immancabile sorriso. Qualcosa che poteva andare al di là di quello che veniva imposto dai loro ruoli, insegnante e studente. Non un nodo pesante da portare, per Adeline, ma un vincolo leggero, un voto di fiducia e speranza. Monito materiale della parola data, avrebbe sempre trovato il tempo per lei.

 
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view post Posted on 21/5/2023, 18:58
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Mi fa una promessa - e io sento il muscolo cardiaco stringersi, le orecchie fischiare appena tappandosi come se sottovuoto, il respiro assottigliarsi per una tempesta gelida intrappolata nel costato.
"Troverà sempre il tempo per esserci" - mi ripeto queste parole come una litania, con l’intento e intima speranza di pacificare l’animo sebbene attualmente ottenga come unico effetto l’esatto contrario - e ad ogni ripetizione sento una nuova lacerazione tra la gola e il diaframma.
"E se gli facessi del male? Se mi conoscesse davvero e questo lo disgustasse, se anche lui fuggisse, se inconsapevolmente lo ferissi – SE -"
Dannazione posso dare quasi letteralmente pezzi di cuore se richiesti e non, ma al tempo stesso – altre dicotomie ed altro caos, che novità signori - la vicinanza, quella vera, quella intima, mi trascina indietro nel tempo e riporta in superficie terrori, incubi profondi e solitamente nascosti nelle parti più remote e buie di me: le persone che mi sono vicine, in realtà.. non ci sono.
Chi muore per colpa mia, chi mi abbandona, chi mi odia e mi repelle, chi ad un certo punto sceglie di allontanarsi, chi - ma forse mi dico, meglio così – a priori mi rifiuta e si allontana senza poi grandi perché.
Nel mio patologico, clinico ideale, io do tutto di me, ogni singola particella ed atomo se serve, ma l’altro non si avvicina mai.
O meglio, si avvicina quel tanto da farsi aiutare, ascoltare, accogliere - perchè ci tengo, ci tengo davvero – ma mai, mai tanto da permettergli di conoscermi davvero nella mia quotidianità, nella mia confusione - le mie ferite d'altronde ormai so disinfettarle a dovere anche se bruciano, sono autonoma, indipendente, io so stare da sola e non importa se talvolta fa male - io me lo merito posso permettermelo, posso gestirlo questo dolore -- ma chi mi sta accanto.. l'altro non può avvicinarsi quel tanto da rischiare, da fargli fare la fine di mia madre, mio padre, farlo divenire mia zia che, consapevole di tanto schifo ed orrore, si è allontanata appena possibile del grillo.
Il "meglio sola che cattiva" di una me bambina, alla fine si è trasformato in un "meglio sola che colpevole" - e tanti saluti al raziocinio.
Fondamentalmente in questi frangenti mi muove la paura.
Capiamoci bene, non sono stata programmata per questa – non per me stessa quanto meno, i vissuti legati a questo specifico stato d’animo li conto sulle dita di una mano - ma la conosco però, ne provo per gli altri, soprattutto se corrono rischi a mio dire mortali o detta in altri termini, “soprattutto se si avvicinano troppo a me”.
Troppe emozioni, troppi pensieri, troppo caos a fronte di una mente razionale che davvero poco può su questi lidi impervi - non ho mai avuto d’altronde riscontri differenti, confutazioni, prove tangibili di una vicinanza simile a me che abbia portato ad esiti altri.

Sto annegando - ed è il calore tiepido, inaspettato - è il contatto umano che mi salva.


Sgrano lo sguardo stupefatta, osservo le mani dell’olandese che avvolgono con delicatezza la mia facendola chiudere attorno ai due anelli.
Saldo la presa su quel nodo dorato e le iridi di bosco e di mare tornano a fissarsi in quelle nocciola.
Mi parla.
Finalmente.
Mi racconta la sua storia.
Mi ancoro al suono della sua voce e lì concentro ogni fibra del mio essere: cerco di capire, di afferrare, non mi interesso dei punti in cui sono più o meno d’accordo, quel che unicamente mi importa ora è il solo ascolto attivo e partecipe della storia di Camillo.
E’ una storia particolare: è una storia dove c’è una serenità da raggiungere, c’è omogeneità insita alla natura e laddove questa omogeneità è riconosciuta ed accettata come tale, allora c’è pace – è una storia dove non ci sono confini e definizioni - è una storia dove le origini sembrano avere la loro importanza: mi parla di singole parti che ci compongono e sottolinea come “sia bene indagare l’origine” di queste stesse parti, sviluppando ancor di più il suo pensiero a riguardo, approfondendo il concetto e così la sua importanza – non bisogna semplicemente capire quali siano le nostra fondamenta e lì banalmente fermarsi, bisogna “comprenderle a fondo”, bisogna afferrarne le motivazioni, “i perché e i percome”.
Mi chiedo come si possa parlare di omogeneità e assenza di confini se al contempo ci sono singole parti da identificare e comprendere – ma non so ancora che, di lì a breve, il Tasso mi spiegherà ulteriormente questa sua prospettiva.
Nel mentre riprende la mia storia – che scopro così essere in parte anche la sua – e mi meraviglia il fatto che alla sua età sia così tanto avanti su certi aspetti e consapevolezze: mi meraviglia e mi intristisce – cosa ha passato per essere arrivato a determinate conclusioni così tanto in fretta?
Poi, tornano le origini.
Sembra essere un tema ricorrente nella sua storia.
Racconta di sorgenti diverse, di interi fiumi che si sviluppano nella loro complessità a partire da esse - mi fa sorridere l’idea della danza appassionata, mi piace.
Per la sottoscritta è sempre più stata una questione di lotta: chi vince tra le due fiere? Quella a cui dai più da mangiare.
Da questo punto di vista Camillo è mille passi avanti a me chiaramente – ma ho sinceramente poco spazio per le riflessioni personali, mi lascio trasportare da quelle parole, immagini, assorbita dalla narrazione di quella che in fondo è, in tutto e per tutto, una storia di vita.
-Per me è stato l'essere mago e l'essere uomo.-
Ah.. eccole. Le origini – le singole parti, le fonti.
-Alla fine ho scelto semplicemente di essere e non è stata una decisione scontata.-
Per nulla scontata. Per nulla semplice.
Non ho staccato lo sguardo un attimo dal volto del mago, i suoi lineamenti, gli occhi – come baia accogliente, tiepida culla posso anche essere discretamente brava ma non riesco a neutralizzarmi così tanto da non lasciar trasparire la meraviglia, l’affetto, e tutte quelle emozioni che istante dopo istante mi attraversano in risposta alla storia che sto ascoltando – ma in fondo, mi dico, va anche bene così.
-Sono contenta che alla fine.. ci sia tu qui, oggi.
..Ti ringrazio. -

E gli sorrido, perchè nulla posso contro le sue battaglie passate se non esserci nel qui ed ora con lui -
E gli sorrido, perchè non saprei fare altrimenti per ringraziarlo della storia, del nodo che ha voluto sciogliere e regalarmi -
E gli sorrido, perchè non saprei fare altrimenti con e per lui.


Amicizia.
Se c’è qualcosa al quale il mio cuoricino anela è l’amicizia.
Il mio cuore trema – di nuovo, anche se indeciso: è gioia e troppa emozione, come qualche minuto fa, ma è anche paura – i terrori infantili ma mai disconfermati che in agguato tornano –
così sorrido, spontaneamente, sincera, ma anche un cruccio l’istante dopo prende vita tra i miei lineamenti - allora respiro, distendo lo sguardo e rispondo senza alcuna logica né pensiero preventivato: -Lo condivido. La preferisco come storia.- ridacchio, felice ma vagamente nervosa, non posso dondolare sui talloni per cui dondolo un poco le gambe -Promettimi però..- il battito di ciglia successivo sono tristemente seria, non riesco a farci nulla -Se dovessi mai ferirti tu.. allontanami, scappa lontano.-
Sempre meglio rimanere ancora, nuovamente da sola piuttosto che fare consapevolmente del male a qualcuno – a lui - con la mia sola vicinanza, presenza - con la mia sola esistenza.
-Promettilo.-
Respiro profondo.
Sopprimo tutto con una manovra magistrale – dopo anni di esercizio sono diventata discretamente brava – e l'attimo seguente cambio completamente rotta (vedete che ad essere portatrici di caos c'è sempre qualche bonus utile, soprattutto in momenti come questo): se questo è l’inizio della nostra amicizia, avremo sicuramente il tempo per tutto – preferisco pensare a del gelato da Florian ma so anche che molto probabilmente toccheremo temi ben più difficili soprattutto “se questo è l’inizio della nostra amicizia”.
-Perciò.. mettiti comodo, mangia qualcosa e preparati a coccolare Regn.- l’Augurey canta lugubre, evidenziando le mie parole ed il fastidio per essere stato ignorato così a lungo – ben qualche intero minuto, sia mai.
Salto giù dalla scrivania felice e pimpante come sempre - e lo sono sul serio, anzi, persin di più considerando le nuove amicizie - e mi avvicino al carrellino in argento colmo come al solito di dolcetti, panini e bibite: afferro un grosso biscotto con le gocce di cioccolato e mi volto con una piccola piroetta nuovamente verso Camillo: -Ce l’hai un dolce preferito?-
E con la muta minaccia “Perché quel dolce ti verrà preparato dalla sottoscritta per il resto della vita, a valangate" gli rivolgo un sorriso enorme.
 
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view post Posted on 22/5/2023, 22:11
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CodiceOra che il nodo dell'amicizia era stato saldato ed il solenne giuramento pronunciato, il destino aveva lasciato a Camillo il privilegio di prendersi una libertà inattesa.
Vi era qualcosa di celato nel cuore di Adeline che la spaventava profondamente, qualcosa che l'olandese ancora non era stato in grado di comprendere. E sì, qualche parola era stata sicuramente spesa per metterlo in guardia, magari si trattava proprio di quella forza interiore che ancora lei in principio non era riuscita ad accogliere come avrebbe voluto. La mancanza di armonia. L'assenza di equilibrio. Eppure ne era stato menzionato il valore. Ma non vi era nulla dell'animo umano che potesse spaventare il Tassorosso, non per spavalderia, né per ignoranza, ma per avidità. Quando stringeva un legame con una persona, un nodo, un vincolo, ormai il danno era fatto. Lui voleva tutto. Non solo la parte migliore, la facciata innocua che veniva destinata alle conoscenze superficiali, quella che si sfoggiava con fare spensierato agli osservatore lontani, ma anche quella che veniva mostrata solo a chi aveva il coraggio di avvicinarsi abbastanza da poterla toccare con mano.
Poteva davvero dirsi amicizia, quella di due individui che innalzavano muri per proteggere e proteggersi dall'altro? Se lo domandò piú e piú volte, mentre la figura della professoressa Walker tornava ad illuminarsi di quella gioia immancabile che la contraddistingueva. Quel suo superpotere contagioso che permetteva di brillare anche alle persone di cui si circondava, contrapposto all'ombrosa e profonda malinconia che pochi istanti prima l'aveva inghiottita. E Camillo le sorrise, ancora, come si era ritrovato inavvertitamente a fare piú e piú volte, comprensivo, grato delle parole dolci che gli erano state ancora una volta donate, ma al contempo determinato a prendersi la parte di sé che l'altra sembrava volergli negare.
Spazio. Tempo e spazio. Due concetti gemellati da un'unione profonda. Era giusto rispettare il suo desiderio, nella misura che si confaceva ad un rapporto sano. Questo lo comprese, e vi dirò di piú, giurò silenziosamente che mai sarebbe stato una presenza soffocante nella sua vita. Ma allo stesso modo, per principio, mai si sarebbe sottratto alla sfida di conoscerla a fondo.
Il rapido scatto tra uno stato d'animo e quello opposto riscosse un'occhiata curiosa, una smorfia divertita che si abbandonava alla leggerezza del momento. Dai discorsi piú seri e profondi, l'esplorazione dell'io, i conflitti interiori, si era immediatamente finiti a parlare di dolci.
Adeline era balzata giú dalla scrivania, concedendogli anche l'onore di una piroetta; dispensava biscotti e lusinghe pasticcere, dipingendo un futuro di zucchero con una prospettiva di delizia. Un quadro unico, una piccola opera d'arte in via di realizzazione, di cui ancora non sapeva nulla, ma che già non vedeva l'ora di vedere completa. La mente vagabondò, regalandogli un'esperienza sinestetica, fatta di colori, profumi e sapori. Vividi, come fossero già sfornati, seppur in divenire. Seppur celati dietro un mistero solo intuito.
«Il mio dolce preferito?». Breendbergh, con il viso acceso dallo stesso entusiasmo della prima volta a Mielandia, controbatté ripetendosi quella domanda. Come prima cosa, a dire il vero, pensò a quanto spesso si ritrovasse a doversi mordere la lingua per trattenere pick-up lines scontate. Erbacce infestanti in un armonioso giardino dalle tinte pastello, con boccioli e petali di velluto. Ovviato quel problema, la risposta che ne seguí fu lampante. «Amo i muffin con il ripieno al limone e… con la crema pasticcera con me si va sempre sul sicuro».
Solenne, tant'era sicuro della sua scelta. Poi, per gioco, se la professoressa Walker non avesse avuto i riflessi di un puma felino, avrebbe allungato la mano verso quell'invitante biscotto costellato di gocce di cioccolato, intenzionato a strapparne un pezzetto, spaccandolo dalla sua forma rotonda. Rapido e deciso, con la smorfia in viso di chi aveva intenzione di concedersi una burla – e forse anche di chi si stava un po' lasciando andare all'armonia del momento.
Regn cantava, il suo verso lugubre e profondo in un certo senso gli permetteva di rimanere con i piedi per terra. Cosa che in effetti trovava alquanto strana, specialmente perché quella sensazione era originata da una creatura in grado di volare – presumeva. Non esagerava, non andava troppo fuori dalle righe come suo solito e razionalizzò che forse era anche merito di quelle pulsazioni basse, che facevano vibrare l'aria donandogli un conforto inaspettato.
Gli occhi nocciola scattarono dai lineamenti delicati della professoressa alla creatura, il Gabbianodattilo, come l'aveva rinominato nella sua testa.
«Sa, una volta ho fatto a cazzotti con uno Spinato». Ancora ne portava i segni, quella cicatrice sul bicipite sinistro e l'ustione sulla gamba dallo stesso lato, sempre presenti per ricordargli le marachelle combinate da pischello. Non lo disse come un "Voglio fare a cazzotti anche con il suo gabbiano gigante", e se proprio vogliamo essere sinceri, con l'Ungaro sputafiamme non era andata proprio cosí, ma sintetizzò a tal punto da omettere fatti meno rilevanti. «Quindi non mi tiro indietro se mi dà il permesso di strapazzare di coccole quel bellissimo… pecco d'ignoranza, non me ne voglia. Che creatuta è?» Lo guardava, con rispetto, ammirazione, ma anche con l'impavido desiderio di spupazzarselo, mentre ignaro andava incontro al suo destino dalla comodità del suo rifugio. Mordeva? Graffiava? Era velenoso? Sputava fiamme? Prendeva fuoco? Diventava veleno? Sparava ragnatele? Galoppava??? Ormai le aveva viste tutte – o almeno questo si era detto – gli si avvicinò piano, morituro, ma senza timore. La mano libera dal biscotto – condizionale d'obbligo – accorciava lentamente le distanze dal becco di Regn, con una lentezza straziante, palmo rivolto all'insù. Ne sapeva poco di creature magiche, Camillo, o almeno di come prendersene cura pacificamente. Aveva un po' di esperienza come dog sitter e si basò su quella, per quanto poco ci azzeccasse. Se i cani odiavano da morire che uno sconosciuto gli imponesse la mano sulla capoccia, quasi a volerli sottomettere, doveva valere lo stesso un po' per tutto il resto del creato. Lui, umano, compreso. Il palmo all'insú, d'altro canto, comunicava un'intenzione meno ostile. Piano. Delicato. Una lieve carezza. Le piume che si arruffavano erano un segnale che non riuscí ad interpretare, ma si decise a procedere, con la noncuranza di uno che se anche perdeva un arto poco gli importava. Gli sfiorò la guancia, morbida. Lo sguardo dell'animale era al contempo tenero e buffo/destabilizzante.
Tornò alla supplica che poco prima gli era stata rivolta e che fino ad allora si era deciso ad eludere.
«Professoressa, io non faccio promesse che so in principio di non poter mantenere». Parlò piano, con un'impostazione delicata della voce, per non agitare il suo nuovo amico piumato. «Ma la invito a fare del suo peggio». E quella frase si dipanò nell'aria come una sfida. Se fosse stata in grado, anche in una singola istanza, di fargli piú male di quanto non ne facesse quotidianamente a se stesso, ne sarebbe rimasto piacevolmente sorpreso. Era serio, granitico. Via libera, guerra totale, poteva strappargli l'anima dal corpo se lo desiderava. Poteva consumarlo lentamente o in un solo boccone, come una scintilla in un bagno di benzina, se cosí preferiva. Poteva lacerargli lo spirito e la carne, a suo piacimento. Era un prezzo irrisorio da pagare, per come la vedeva, se il privilegio era di portare avanti quell'amicizia. La sua abilità di gestire chiunque, meno che sé stesso, gli diede una sicurezza mai sperimentata prima di allora.
Senza lasciarle il tempo di metterlo nuovamente in guardia, voltò il capo all'indietro, non troppo di scatto, inarcando un po' la schiena per tornare ad osservare la figura di Adeline. La prospettiva rovesciata, la stanza sottosopra, le aveva dato inconsciamente le spalle per dedicarsi al signorino/alla signorina dalla morbidezza inaspettata. In effetti non ne conosceva il sesso biologico. Non che fosse fondamentale saperlo, ma era curioso.
«È un fanciullo o una fanciulla?»
La domanda giunse con spontaneità assoluta, spezzando l'eventuale tensione appena creata. Era fatto cosí. Come Adeline era capace di cambiare stato d'animo in un batter di ciglia, lui dondolava costantemente tra la serietà piú tirannica e la leggerezza disinvolta. Un guaio, per chi provava a prevedere le sue intenzioni.

 
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view post Posted on 25/5/2023, 19:25
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Mi appunto mentalmente la risposta del Tassorosso – muffin con ripieno al limone e crema pasticcera – il che porta inevitabilmente la mia testolina dorata ad aprire una parentesi mentale dove compare una lista pressoché infinita di dolci che coinvolgono la suddetta crema – per non parlare di tutte le potenziali variabili di gusto sempre della sopra citata, o della classica ma con essenze che ne declinano in maniera più sottile profumi e sapori – gli abbinamenti poi? Frutta, cioccolata, gli impasti stessi con i quali si può presentare –
D’accordo, manteniamo la calma Adeline, ho tutto il tempo per sommergere, riempire, inondare, imbottire ok OK, “dare a Camillo la possibilità vaga e sottointesa mh di capire” che il cibo è uno dei miei canali preferenziali di comunicazione non verbale – tanto più in dinamiche relazionali simili alla nostra, anche se appena nascente.
In altre parole, sebbene non sia affatto avara di parole anche gentili e sincere, così come di gestualità effettivamente più esplicite e chiare nell’espressione dei miei sentimenti.. si beh, alla fine al posto di un semplice “ti ho pensato, spero tu stia bene” spesso preferisco passare quelle dieci, undici ore in cucina per preparare quantitativi di cibo che sfamerebbero il chiunque-più-famiglia-e-circondario per circa un mese.
Fondamentalmente mi ha fatto felice semplicemente rispondendomi – e su queste basi ridacchio divertita quando si avvicina e rompe un pezzo del mio biscotto con fare scherzoso: di tutta risposta mi verrebbe da offrirgli un biscotto tutto suo oltre alla parte che ha già in mano – così a me rimarrebbe solo la metà spaccata, ma è così tanto da me un gesto simile che neanche ci ragiono troppo sopra.
Lo sguardo però viene catturato dai movimenti del mago, che nel frattempo si avvicina al mio Augurey: -Sa, una volta ho fatto a cazzotti con uno Spinato.-
Io sto già masticando in silenzio con le guance piene il mio primo boccone di dolce – molto stile cricetino in effetti – ma l’immagine di Camillo che se la prende con una delle specie di drago più pericolose – già il solo fatto che si tratti di un drago comunque.. - mi fa sgranare lo sguardo di bosco e di mare, deglutire tossicchiando e replicare: -Il fatto che tu sia qui a raccontarlo dice parecchio – ma non abbastanza, questa è un’altra storia che vorrei ascoltare!-
Gli sorrido ridacchiando mite ancora un po', e mentre si avvicina a Regn torno all’attacco sul mio biscotto, osservandoli curiosa, tutti e due: -E’ un Augurey, o Fenice Irlandese..- gli rispondo lieta, catturata dai loro reciproci movimenti -Le Fenici nascono e muoiono in un divampare di fiamme.. gli Augurey invece, si portano la pioggia dentro.-
L’olandese avvicina con calma una mano, il palmo all’insù, per poi accarezzare dolcemente il piumaggio di Regn: l’Augurey d’altrocanto risponde con deciso entusiasmo e parecchia energia, arruffa le piume soddisfatto e con gli occhietti neri fissi sul mago sollecita il contatto piacevole con il becco e la piccola testolina dai riflessi verdastri che spinge contro la mano con movimenti rotatori, come se cercasse quasi di auto-coccolarsi.
La scena mi fa ridere e commentare: -Dovrebbero essere creature riservate, silenziose eccezion fatta in caso di pioggia.. Regn invece si offende se non guardato e coccolato a dovere, canta se c’è troppo silenzio – o troppo rumore – e arruffa le penne come un buffo gufo spennacchiato.-
Di tutta risposta la Fenice Irlandese canta ancora, senza comunque nulla togliere all’attenzione ed energie rivolte al mago perché questo continui ad accarezzarlo: -Professoressa, io non faccio promesse che so in principio di non poter mantenere. Ma la invito a fare del suo peggio.-
Le iridi tornano saettando sui lineamenti del Tasso, un lampo di paura che le attraversa: non mi piace che non mi abbia dato la sicurezza che gli ho chiesto, quasi implorato – anche se un’altra parte di me apprezza l’onestà del mago.
Cruccio un po' lo sguardo, arriccio il naso e sbuffo un poco, con silenzioso disappunto come i bambini.
-Siamo amici, già mi dici “no” ad una richiesta importante.. almeno, se siamo da soli, fammi il piacere di darmi del tu, Camillo.-
Gli faccio una linguaccia perché è il modo migliore che ho di stemperare il rifiuto – non è vero, è perché sono momentaneamente talmente impegnata a soffocare certe bufere, paure e ondate gelide nel mio costato per quella non-promessa che perdo per qualche istante la cognizione della realtà – e comunque le linguacce sono buffe e divertenti, mi piacciono.
Il quadretto del mago e della mia Fenice ad ogni modo si presenta ancora rassicurante e profondamente bello, tanto quanto pochi attimi fa: -E’ un fanciullo.- sorrido e mangio ancora un boccone di biscotto mentre mi avvicino a una delle sedie di fronte alla mia scrivania e lì mi siedo, lo sguardo rivolto a Camillo – liberissimo di sedersi lì accanto al nido dell’Augurey nell’interno della finestra a bovindo, di raggiungermi sull’altra sedia disponibile - per quel che mi riguarda potrebbe persino sedersi sulla scrivania come me poco fa o saltellare su una mano sola in verticale – anche se ecco forse.. si, beh, Regn preferirebbe decisamente la prima possibilità – perché fondamentalmente adesso, ciò che più mi interessa.. -Perciò bel Tasso? Cosa ti piacerebbe fare una volta conclusi gli studi?-
Alzo le gambe incrociando le caviglie sopra la sedia, dondolo un poco tutta contenta: -Magari escludendo le scazzottate con gli Spinati, ti prego, mi costringeresti ad una burocrazia infinita!-
 
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CodiceRegn sembrava a tutti gli effetti un pavone, per quanto l'aspetto tradisse il suo carattere. Camillo non era uno che giudicava i libri dalle copertine, ma la fisionomia di quel pennuto gli aveva suggerito una natura malinconica, solitaria, ipotesi che si era rafforzata ascoltando il suo canto. Se dapprima quel suo verso lugubre gli era parso quasi come una sorta di lamento, gli ci era voluto poco per capire che in realtà fosse tutt'altro. Piú cose Adeline gli rivelava sugli Augurey e sul suo in particolare, piú si convinceva della sua ipotesi. Era… una richiesta di attenzioni? "Esisto, amatemi".
La questione rinforzò il sorriso che già ormai aveva plasmato il suo viso, per forza di cose, donandogli un'aria un po' ebete, mentre si beava dell'esperienza di pet therapy in cui si era totalmente immerso. Dopo essersi raddrizzato a dovere, mangiò il pezzo di biscotto rubato alla Professoressa Walker – delizioso, ennesima meraviglia della giornata – e si sedette accanto al bellissimo e buffissimo pollastrello, liberando anche l'altra mano così da poterlo strapazzare in un secondo momento. Per ora, le carezze sul piumaggio morbido e arruffato non avevano smesso di essere elargite.
«Quindi è un fanciullo! Piacere Regn, mio nuovo amico».
Tornò con lo sguardo sulla figura di Adeline, che sempre di piú gli ricordava un'elegante pennellata d'azzurro su una tela armoniosa. Il suo ufficio, come sfondo, era la manifestazione dell'opera della sua personalità. Ricco di dettagli e sfumature, accogliente, ordinato, luminoso. E lei se ne stava lì, come l'ultimo – ma non per questo meno importante – tocco di quell'opera artistica, a dare un senso di completezza a ciò che la circondava.
L'aveva ascoltata in silenzio, aveva riso per la sua linguaccia, ma questo non significava che non avesse accolto con serietà le sue parole. E aveva ragione, in un certo senso. Aveva gonfiato il petto e fatto vibrare le corde con grandi discorsi sul tempo e sull'amicizia, ma come prima cosa aveva posto un'immensa negazione per schiacciare l'intima richiesta di allontanarsi. Era un po' un controsenso, per lui. Si chiedeva come si poteva fuggire da qualcuno che si considerava un amico, un'amica in questo caso. Come si poteva cedere alla prima avversità. Quale fosse l'entità del peso che si portava dentro, il timore di ferire e distruggere chi le si avvicinava. Non aveva da temere.
Sgraziato, ma al contempo con premura, si prese Regn in braccio, un po' come si faceva con un peluche, sperando di non agitarlo. In tutta risposta quasi gli era sembrato che l'Augurey fosse ben lieto di essere accolto nell'abbraccio delicato dall'olandese. Gli occhi si erano abbassati e lo sguardo, che prima si era beato delle iridi bicrome e dei lineamenti delicati di miss Walker, era piombato sul fanciullo dalle piume arruffate. Lo strapazzò, con un tocco lieve ed energico, un ondeggiare costante delle mani sul piumaggio morbido, mentre il suo canto grave e ombroso gli dava conforto.
«Non si pr-... Ok, mi devo riabituare. Non preoccuparti Adeline, non sono mai stato bravo a prendermi cura delle creature magiche. Da quel giorno ci ho dato un taglio, loro non mi percepiscono, amenoché non sia io a volerlo, e io non disturbo loro. È un contratto importante, tacito, una sorta di norma che rispettiamo ai fini di una convivenza pacifica. Esistiamo in due contesti separati».
Provò a spiegarsi come meglio riusciva, con una convizione tale da far risuonare le sue parole come un dogma. Fortuna aveva voluto che non indossasse il ciondolo che lo schermava alla vista degli animali magici, quel pomeriggio, altrimenti il povero Regn si sarebbe sentito disorientato nel farsi coccolare da un signor chissacchí, invisibile. E invece si beccò un leggero grattino sotto al becco, come a voler dire: "Guarda un po', sono qui. Esisto e ti coccolo".
«Posso estendere questo discorso anche alle persone, negli anni sono diventato bravo ad eludere i sensi di chi non voglio mi noti. Ormai nel Castello sono pochi quelli che riescono ad individuarmi contro il mio volere».
Spiegò, un po' malinconico, seppur inconsciamente. Il sorriso che gli increspava le labbra aveva preso una curvatura piú tenue.
«Non so se dovrei dirtelo, ti eri preoccupata di scrivermi una giustificazione per la mia assenza alle lezioni e l'ho trovato molto dolce, premuroso, ma non serve che ti esponi per me o ti disturbi. Non sono quasi mai a scuola e tendo ad arrangiarmi per vie traverse. I compiti arrivano sempre puntuali, quello sì, ma ho dimenticato quando è stata l'ultima volta che mi è stato insegnato un incantesimo che già non conoscessi o come preparare una pozione che non fossi già in grado di produrre. Preferisco spendere il mio tempo altrove, il mondo per cui voi professori ci preparate è fuori da queste mura e io mi sento pronto».
Aveva messo sul tavolo della conversazione la propria espulsione, quasi come se non gli interessasse granché del suo destino. O meglio, di avere un pezzo di carta in mano che attestasse le sue competenze. Al contempo, confidava nella riservatezza della Professoressa Walker, considerato che ormai erano amici a tutti gli effetti. E gli amici, per la sua esperienza personale, non tradivano la fiducia che riponevano gli uni negli altri. Poteva succedere, sì, ma decise di impegnarsi in un grande atto di fede, la dolce pozionista, per come l'aveva conosciuta, aveva un cuore d'oro.
«Mi dispiace, non voglio sembrare arrogante, non ho nulla di speciale come mago, specialmente se facciamo un paragone con altri studenti piú brillanti; è un sentimento comune tra le aule. Ma questo è quel che passa e approva il Ministero, dico bene?»
Tornò ad osservare la Professoressa Walker, con l'aria curiosa imposta dal suo desiderio di capire se la stava annoiando, o peggio, irritando.
«Tutto questo per dire che non sarò molto presente quest'anno, sicuramente cercherò di partecipare alle lezioni di Pozioni. Ma ho degli affari da gestire fuori da Hogwarts, degli agganci in giro per il Regno Unito, a Rotterdam e oltreoceano. Se i Folletti non fanno storie e il Ministero lo permette, dopo i GUFO vorrei aprire un negozietto, e vorrei fosse una sorpresa. Sento addosso la fretta di dover organizzare tutto per quando uscirò».
Niente certificazioni MAGO, per l'olandese. Tante erano le porte che cosí facendo si chiudeva da solo in faccia, quanto era incommensurabile il suo desiderio di liberarsi dall'impiccio scolastico.
«Ma ho anche altri progetti, se le cose vanno male. Mi piacerebbe continuare la collaborazione con la Gazzetta e magari…»
Realizzò in quell'istante che si era smascherato. Nessuno, al di fuori di pochi all'interno della redazione, sapeva che lui in effetti scriveva articoli per il noto quotidiano. Di satira, era vero, ma negli anni aveva imparato a scrivere di tutto con una discreta competenza. Sapeva come parlare alla gente, anche attraverso pagine stampate in serie. Lì il suo errore fu evidente, la marachella di un bimbo che si era tradito con le sue stesse parole. Per un istante quasi soffocò. Ormai il danno era fatto.
«Dicevo, non credo gli dispiacerebbe passarmi a rubriche di cronaca o comunque a progetti seri. In effetti, essendo un piano B, non ne ho mai discusso con i piani alti. Mal che mi vada, mi trasferisco e mi sistemo a Rotterdam, lì ho un porto sicuro».
Spiegò, mentre un brivido gli correva lungo la spina dorsale. Marlise, sua nonna, era perfettamente in grado di trovargli un impiego degno, ma preferiva non ricorrere al suo aiuto. All'aiuto di nessuno, in realtà, era parte del processo di realizzazione nel mondo del lavoro.
In tutto quel futuro costellato di desideri e di incertezze, l'unico punto inamovibile era il desiderio di tranciare i rapporti con la Scuola alla fine del quinto anno.
«Dobbiamo trovare un modo di comunicare efficacemente, quando sarò fuori. Ci tengo a mantenere la parola data, ma potrei non essere sempre rintracciabile attraverso i canali ufficiali, o reperibile di persona. Però voglio esserci nel momento del bisogno e anche quando ci va, semplicemente, di fare quattro chiacchiere».
Tornò cosí alla questione iniziale, alla promessa. Il tempo lo avrebbe sempre trovato e nulla glielo avrebbe impedito. Salvo una condanna e la detenzione ad Azkaban.
Sollevò leggermente Regn.
«Adeline, tu hai sempre desiderato diventare docente di pozioni? Qual è il tuo dolce preferito? Ma soprattutto…»
Sorrise, appoggiando il piccolo viso dell'Augurey al proprio, in modo che fossero guancia a guancia, mentre la osservava con una scalpellata ricurva sulle labbra che voleva trasmettere serenità, ma forse sarebbe potuta risultare un tantinello inquietante.
«Perché ritieni di potermi ferire? Cosa ti spaventa tanto?»
Quelle ultime domande erano state impostate in modo da trasmettere una confidenza disarmante. Era vero, la richiesta di darsela a gambe non l'avrebbe mai accolta, ma era certo sarebbe riuscito a trovare una maniera per gestire adeguatamente qualunque problema fosse sorto tra loro. Non sapeva, in effetti, a cosa stava andando incontro, ma sapeva quali fossero le armi nel proprio arsenale. Affetto e supporto incondizionati, spazi sicuri in cui potersi confidare. Ma anche la capacità, affinata negli anni, di risolvere con pragmatismo catastrofi di varia natura; disastri e marasmi che prendevano forma nel mondo tangibile e non solo nel reame etereo di un rapporto tra due individui.
Un coltellino svizzero ambulante, con uno strumento, una soluzione, per ogni evenienza. Fatta eccezione per la grana piú fastidiosa: se stesso.

 
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view post Posted on 27/5/2023, 17:46
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I miei occhi si riempiono di fotogrammi che la mia mente cerca di memorizzare per poter custodire per sempre – Camillo si siede nella rientranza dell’ampia finestra a bovindo, proprio accanto al mio Augurey e al suo nido – Augurey che d’altrocanto accoglie con entusiasmo quella scelta: arruffa le piume, canta con quel suo tipico verso basso e pulsante, si gode le coccole senza staccare per un solo attimo gli occhietti neri dalla figura del mago.
Di questo passo potrebbe benissimo svendersi e abbandonarmi, inseguendo l’olandese ovunque egli decida di andare – cosa non succede poi quando quest’ultimo lo prende in braccio, ”Merlino santissimo” mi ritrovo a pensare divertita, con una punta di sconcerto e stupore: Regn asseconda volentieri le intenzioni del Tasso e una volta in braccio si sistema con le zampette, arruffa le piume come non mai e canta ancora, affondando così tanto il muso contro il corpo del mago che quasi mi stupisco non riesca a fondercisi dentro.
-Incredibile..- commento più tra me e me che effettivamente rivolta a qualcuno, l’Augurey che si agita così tanto – tutto contento ed arruffato – tra le braccia di Camillo, da rischiare di perdere la presa con quelle sue zampettine da pennuto non particolarmente sicure sopra il tessuto dei vestiti.
-Sarà come dici tu, ma pare che Regn sia più che entusiasta di esistere nel tuo stesso contesto.- e ridacchio stranita indirizzando una piccola smorfia buffa alla mia Fenice.
-Ed è proprio un peccato.- torno a scrutare i lineamenti dell’olandese quando rispondo poco dopo alla sua estensione del discorso sulle persone -Precludi qualcosa di bello al mondo.-
Dondolo un po' la testa, rimuginando su quanto, su cosa, mi stia dicendo di sé il mago – e sento quasi il ronzio della mia testolina che lavora frenetica, tanto più alle sue successive parole: lo ascolto in silenzio, osservandolo curiosa e registrando attenta ogni sua frase.
-Sono contenta che tu ti senta pronto, non è da tutti - inizio quindi dopo una breve pausa di riflessione -ma mi dispiace che tu percepisca questa scuola come.. non efficace, per te e i tuoi obbiettivi.-
Mi stringo appena tra le spalle, impensierita – sto riflettendo su come in realtà il mio vero scopo e desiderio sia la realizzazione di questo giovane mago – al di là dei mezzi e dei modi in fondo, pur rimanendo entro i limiti del legale, è ovvio che poi, sul serio? Io che farei letteralmente di tutto, io mossa dal caos – chi mi assicura che in caso di bisogno, tantopiù per qualcuno a cui tengo, non mi spingerei ben oltre il legale? Sfruttando magari quei canali che nego ma di cui dispongo benissimo sin dalla nascita, “grazie” a mia zia Ada, chi mi assicura che.. - scrollo la testolina dorata ancora una volta, non capisco perché improvvisamente stia rimuginando su quale contatto legato a mia zia e quindi a me disponga di più risorse potenzialmente utili – motivo per cui potrei mandargli un gufo – ho in mente un indirizzo ed un nome ma - basta, impongo allo sguardo bicromo di fissarsi in quello nocciola del Tasso e recupero in fretta: -Ti andrebbe di raccontarmi qualcosa di questi “affari”? O beh, quantomeno del negozietto, anche solo in linee generali se vuoi che rimanga una sorpresa.-
Gli sorrido e finisco il mio biscotto, sinceramente curiosa e con il desiderio di aiutarlo come posso:-Se credi che in qualche modo possa aiutarti, dimmelo pure Camillo.-
Non ho contatti al Ministero né, in effetti, in generale al di là del San Mungo dove ho lavorato per diversi anni: questo Tasso ha beccato probabilmente la docente più inutile di tutti da questo punto di vista, una delle più isolate dal mondo “reale” ma in compenso con improbabili legami con maghi e streghe di tutt’altro che buon sangue e buoni propositi.
-Collabori con la Gazzetta? Scrivi?-
Mi ritrovo quindi a domandare contenta perchè se lui si era appena tradito dichiarandosi con le mani nella marmellata, sebbene senza effettivo barattolo in mano, cos'altro avrei potuto rispondere io, se non un equivalente metaforico del "OH WOW, in effetti è buona la marmellata!" – è un ottimo piano B, in realtà sarebbe persino un ottimo piano A – ma senza sapere ancora quali effettive intenzioni ha il mago.. mi chiedo (e in realtà già un po' mi rispondo) quanto sarebbero inutili con lui i classici opuscoli che solitamente girano tra gli studenti del quinto anno – il che comunque non mi fa demordere dal mio intento di sostegno e aiuto laddove possibile: -Facciamo così, io qualche gufo per chiedere informazioni o contatti posso inviarlo – o potrei anche stilare una raccomandazione caso mai ti servisse!-
Di fatto è rimasto piuttosto sul vago in effetti, quindi mi ritrovo con pochi appigli stabili per poterlo aiutare o banalmente indirizzare/suggerire.
L’idea che ad un certo punto però il ragazzo ora di fronte a me – e di cui il dorato dono ancora stringo silenziosamente nel palmo della dritta – non sia più “reperibile di persona” – anzi, peggio – “non rintracciabile attraverso i canali ufficiali” riesce a farmi piombare nel cupo abisso della preoccupazione in un battito di ciglia.
Ok, questo è vagamente un pò troppo.
Cosa accidenti ha intenzione di fare?
E poi dove?
Con chi?
Perché un comunissimo gufo non dovrebbe essere in grado di ritrovarlo?
Lo scruto, assottigliando lo sguardo con fare indagatore – realizzo esplicitamente che nel complesso mi ha dato così tanti elementi in mano ma al tempo stesso il più completo nulla mi sembra di avere tra le dita ombre che fremono assumendo forme diverse, suggerendo pressoché infinite possibilità ma senza davvero raccontarmi alcunché.
Elusività level 100.
Camillo intanto, apparentemente sereno – con un Regn sovraeccitato affiancato al suo volto, gli becchetta piano un orecchio per poi tornare a spiaccicarsi contro la sua guancia come se fosse uno dei posti e momenti più belli del mondo – capovolge quasi completamente la discussione e sposta il focus su di me: -No no- sgrano gli occhioni e scuoto la testa con fare di diniego, ho le caviglie ancora incrociate sulla sedia, ma per ribadire la mia posizione incrocio pure le braccia -Non funziona mica così.-
Ho la vaga sensazione di sembrare una di quelle bambine che di fronte ad un nuovo amichetto vuole mettere i puntini sulle i “guarda che se non mi presti il pastello blu io mica ti presto quello rosso eh” – ho un’espressione buffa in volto, ma sono seria.
-Non vuoi che le persone, gli animali – in generale gli esseri viventi pare – ti notino, parli di tempo speso “altrove” e di elusivi “affari” e “agganci” e “negozietti” di cui non specifichi nulla - faccio l’elenco del tutto e del niente che mi ha offerto, alzando le dita della mancina una alla volta -Come ciliegina sulla torta mi dici anche che l’unico porto sicuro “mal che vada” sarebbe all’estero e che in più sarà difficile rintracciarti..- poggio le mani chiuse a pugno sui fianchi, molto stile superman ma con in volto un’espressione decisamente più confusa, divertita e indispettita al tempo stesso, le iridi bicrome inchiodate in quelle del mago:
-E io come dovrei fare per aiutarti, me lo dici?!-
Aaaaah eccolo il nocciolo della questione, il fulcro di tanto ilare dispetto che mi si legge in volto: -Se mai, possiamo fare “una domanda ed una risposta per uno”, mh.-
Mi sporgo un po' dalla sedia e mi allungo per riafferrare con la punta delle dita il carrellino poco distante alzarsi no eh, lo riavvicino e afferro un secondo biscotto.
-Non ho sempre desiderato diventare docente di Pozioni.. sono stata una Medimag per tanti anni e ho amato quel lavoro. Questa è stata una possibilità maturata col tempo – e una decisione ponderata prima di passare all’effettiva pratica.-
Rispondo alla prima domanda posta dal Tasso - poi spezzo una parte di biscotto e la sventolo con fare minaccioso basta crederci, giusto? in direzione del mago.
-Ora tocca a te! Che cosa intendi con “affari”?-
E tutta contenta (?) seria (?) con aria di sfida (?) divertita o soddisfatta(?) mi riempio le guance di biscotto in curiosa attesa.
 
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view post Posted on 28/5/2023, 09:06
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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CodiceCamillo concesse le ultime coccole all'Augurey, che per tutto quel tempo gli era stato di supporto nel gestire le emozioni durante il colloquio. Posò un piccolo bacio sulla sua fronte morbida e arruffata, poi lo aiutò a scendere affinché potesse appollaiarsi comodamente nel suo nido, elargendo un delicatissimo grattino finale sul suo dorso. Un po' come se avesse voluto dirgli "grazie amico mio, ora ti lascio in pace".
Era certo che se anche fosse mancato il contatto fisico, avrebbe continuato a confortarlo con il suo canto grave e pulsante. Ne aveva bisogno, ma al contempo sentiva di doversi occupare dei propri sentimenti da solo. Sentiva come se ci fossero dei nodi che dovevano arrivare al pettine il prima possibile, prima che la curiosità si tramutasse in un timore fondato. E più lentamente si muoveva il pettine, più lui viaggiava rapido con le proprie preoccupazioni.
Se non altro, sapeva qualcosa in più su di lei, su Adeline. Doveva essere nella sua natura prendersi cura degli altri, tanto che per diversi anni era stata la sua professione. Ma in fin dei conti era grato che avesse deciso di percorrere la via della docenza, anche perché riconosceva in sé il tipo di persona capace di cacciarsi nei guai solo per finire ricoverato al San Mungo e rivederla. Piú per il fatto che attirava le mazzate come una calamita, lungi da lui farsi del male di sua spontanea volontà. Un incentivo extra era proprio ciò di cui non aveva bisogno.
«Hai ragione, Lì. Mi son posto proprio nel modo peggiore in effetti, non volevo darti dei pensieri». Era stato svelto a passare da Professoressa Walker ad Adeline ed infine ad un soprannome. Non voleva essere una mancanza di rispetto, cercò di mantenere un tono che trasportasse la giusta quantità di reverenza istituzionale, controbilanciato dal carico d'affetto che provava per la docente.
Le aveva parlato a cuore aperto, in un flusso di coscienza che era andato a toccare argomenti di varia natura, senza mai far luce sulle questioni importanti. Perlopiù, si era reso conto di aver gettato ombre anche su questioni ovvie e trascurabili, rendendole di fatto un elemento di disturbo, qualcosa che potesse destare fastidiosi campanelli d'allarme. Dal canto suo, gli era stato riservato lo stesso trattamento e ancora non gli erano state date spiegazioni. Ma era ben disposto a fare il primo passo, se questo significava venirsi effettivamente incontro. Trovarsi a metà strada.
Forse era troppo presto per aprirsi completamente, ma era necessario – per come la vedeva lui – uno sforzo commisurato da entrambe le parti. Altrimenti ogni parola, ogni buon proposito speso per saldare il vincolo della loro amicizia, si sarebbe ben presto trasformato in qualcosa di vano.
«Ma tu ne stai dando a me e questa cosa mi fa stare male, da Medimag dovresti saperlo meglio di chiunque altro». Ragionò, serio, rivolgendo all'amica uno sguardo intransigente, mentre s'alzava in piedi per riacquisire la propria statura. «Non voglio che sia un gioco, dove io ti dico una cosa e tu ne dici una a me. Se proprio dobbiamo essere pignoli, mi basterebbe fare piú domande che progetti per chiudere questo colloquio in bellezza. Annuire un paio di volte a vuoto e fare comunque quel che mi pare una volta che mi sarò richiuso la porta alle spalle».
Stava arrivando il ma, come si poteva intuire dal modo in cui aveva deciso di impostare quell'osservazione.
«Ma se ho deciso di affrontare questa grana burocratica con te e non con la mia Capocasa o qualunque altro docente, è perché ci tenevo a conoscerti meglio, prima di togliere il disturbo. Quindi ora ti dico tutto e in cambio… in cambio voglio tutto».
A conti fatti, era da diverso tempo che non sentiva il desiderio di legarsi a qualcuno e quelli per cui si era prodigato in un atto di fede cosí imponente, o se n'erano già andati dalla sua vita o avevano iniziato ad essere meno presenti, con un destino che si faceva via via piú ovvio man mano che le lancette dell'orologio ticchettavano. E in ogni caso, i pochi rimasti poteva ripescarli quando e come voleva, fuori dalle mura del Castello. Quella scuola per lui poteva anche essere vuota, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Ma Adeline non apparteneva ad Hogwarts, non apparteneva ad un posto, nella sua testa era ancora la dolce pozionista che aveva conosciuto per caso ad una grigliata. Eppure, portava la luce con sé ovunque andasse, e la prospettiva di seguire quella luce, tutto sommato, lo rendeva felice. Anche se per seguirla doveva tornare nel luogo in cui piú di tutti aveva sofferto. La verità era che quel sentimento era mutato con il suo arrivo, e non voleva privarsi di una dolcezza così genuina, di una persona in grado di fargli cambiare prospettiva in maniera cosí drastica semplicemente perché esisteva, in un determinato spazio, rischiarandolo con la propria allegria e rivelando dettagli inaspettati e incantevoli, fino a poco prima divorati dall'ombra. Una persona con il potere di trasformare una prigione in un posto dove il cuore trova pace, era una persona da cui sarebbe sempre tornato, ovunque si trovasse. Se lei glielo avesse permesso.
Lo sguardo balzò inconsciamente sui girasoli, perché erano la manifestazione del modo in cui si sentiva in sua presenza, per poi tornare su Adeline.
«Tu leghi una lettera ad un gufo. Apri la finestra e gli dici: "Vai, consegnala a Camillo!". Io sono a Londra. Il Gufo si fa tutto il viaggio alla massima velocità possibile, è una bella distanza da qui. Ma quel giorno ho un appuntamento in Scozia con un fornitore, o magari in Galles. Allora, mentre la povera bestia svolazza, quasi giunta a destinazione, prendo una passaporta o mi metto a smaterializzarmi per tutto il Regno Unito come se fossi una pedina impazzita sul tabellone del Monopoli. Il Gufo, se ti va bene, mi cerca, non mi trova e quando si stanca torna da te».
Provò a spiegarle, con un sorriso rassicurante, tralasciando l'opzione in cui il gufo stramazzava. Era uno scenario facile da immaginare. «O magari ho preso un volo per fare una capatina a Rotterdam, dove ho un altro contatto, dove vive la mia famiglia – i miei nonni, che hanno diversi agganci con aziende magiche piú o meno importanti e sanno quali sono le piú adatte a fornirmi ciò che cerco»
In quel caso dubitava che il Gufo si mettesse a seguire un Boeing alla stessa velocità.
«Capisci che è difficile?» Domandò, cavando la bacchetta dal taschino interno della giacca. La impugnò, con una gestualità ponderata, che lasciava intendere non avesse intenzioni pericolose, ma anche che fosse curioso di testare i sensi della Professoressa. La puntò contro la propria figura e pronunciò a mente la formula del Seoccùlto, con l'accento sulle vocali giuste, affinché funzionasse a dovere. Poi uní i piedi, e tenendo la bacchetta di Salice con il polso morbido e una presa salda, la rivolse verso le scarpe. Pronunciò mentalmente la formula del Felpato, con l'accento tonico sulla a, immaginando morbidi cuscini imbottiti al di sotto delle proprie suole e tenendo alto il livello di attenzione. Doveva mantenere attivi due incantesimi contemporaneamente.
Si spostò piano, con un passo silenzioso, facendo attenzione a non urtare nulla per non fare casino. Arrivò alle spalle di Adeline, posò il palmo di entrambe le mani sulla sedia – la bacchetta tornata nel taschino – che a quel punto, come richiamata, avrebbe dovuto vederlo nuovamente e si affacciò sporgendosi in avanti per guardarla in faccia. Era serio, seppur provasse un pizzico di ilarità.
«Se sono bravo a sparire è perché non mi piace che gli altri si facciano gli affari miei quando esco dal castello. Devo stare attento a non farmi sgamare da qualche persona in particolare, ma una volta superate le sentinelle, tengo attivo il seoccùlto per non lasciare testimoni non magici quando mi sposto. Ho altri assi nella manica, ma mi dilungherei troppo».
Si domandò se non fosse stato scortese a scomparire e riapparire in quel modo, mentre prendeva un biscotto dal carrellino argentato. Poi si sedette sulla scrivania, come aveva fatto Adeline poco prima.
«Il tempo speso "altrove", sbrigando "affari" con "agganci", e "negozietti" vari è perché sono un Signor Nessuno. Alle imprese commerciali sensate già scoccia trattare con un ragazzino, figuriamoci per posta. Se voglio che mi prendano sul serio devo almeno farmi vedere in presenza. Per di piú io non faccio accordi se prima non ho visto la merce con i miei occhi. Sono stato garzone per un po' di anni, riesco a riconoscere la qualità di un oggetto quando lo ispeziono. Ma voglio, appunto che sia di qualità. Quando aprirò la mia attività, con tutti i se ed i ma del caso, desidero fare le cose fatte bene. Non dico nulla sulla sua natura, ma se riesco a realizzare il mio sogno sono sicuro che lo troverai… interessante».
Ultime verità da elargire, non prima di aver dato un morso al biscotto.
«La rubrica di satira della gazzetta è mia, non so se ti è mai capitato di leggere qualcosa, ma sei l'unica persona che lo sa al di fuori dei piani alti della redazione, quindi mantieni il segreto o mi toccherà cimentarmi nell'arte dell'obliviazione di massa». Imitò il gesto di minacciare col biscotto, come Adeline prima aveva fatto con lui. Lo trovava divertente.
«Prometto che quando questo calvario sarà finito mi comprerò casa e diventerà tutto piú semplice, anche solo ricevere la posta, ma fino ad allora dobbiamo trovare un modo per organizzarci. Lo dico perché so che sei impegnatissima, sarebbe facile per me dirti che ti cerco io, purtroppo però sono in balia del caos e della tua agenda. Mi bastano date, ore e luoghi. Credo sia tutto. Ed ovviamente non voglio né aiuti, né raccomandazioni. È una cosa che sento di dover fare da solo, perché voglio sentirla mia, altrimenti non mi sbatterei cosí tanto e lascerei fare tutto a mia Nonna, perché per lei sarebbe come schioccare le dita». Concluse, sondando con uno sguardo ebete ed un po' curioso la sua pennellata d'azzurro preferita. Probabilmente non le stava piú tanto simpatico – si era detto – ma aveva voluto la verità e la verità le era stata servita. Toccava a lei.
«Ti va di spiegarmi perché dovresti farmi del male? Me ne fai di piú tenendoti questa cosa per te. E ci sono altre dieci milioni di cose che voglio sapere di te, ma questa credo sia in cima alla lista delle priorità, ora». Dritto al punto, come una coltellata. Non c'era altro modo. Se non voleva parlarne lo avrebbe rispettato, ma si domandava se sarebbe riuscito a reggere a cuor sereno il peso dell'ignoto e lasciarsi lentamente schiacciare dalla sua malinconia. «Chi sei veramente?»
A volte le preoccupazioni celate erano proprio così, un carico di pietre pesanti portate sulle spalle che curvavano la schiena sotto l'imponenza dell'isolamento, fino a seppellirci vivi. Erano le parole a renderci piú leggeri, ad erodere la loro superficie come la corrente di un fiume, finché non si trasformavano in ciottoli sottili da lanciare via con serenità. La condivisione rendeva quel fardello un gioco ed in quel contesto, voleva che Adeline si sentisse come una bimba che tirava con fare scherzoso i propri sassolini in uno specchio d'acqua cristallina, solo per vedere quante volte rimbalzavano prima di sprofondare, come un ricordo lontano inghiottito in un guizzo burlesco. Lui voleva essere lì al suo fianco, per dirle "Guarda un po', pensavi di increspare la superficie del lago, alzando onde imponenti e minacciose, di rovinare la sua quiete e la sua armonia, e invece…". Invece, il peso che si portava sulle spalle lo conosceva solo lei, ma non sarebbe mai stata veramente serena se non se ne fosse sbarazzata.

 
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view post Posted on 28/5/2023, 18:58
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Ho il cuore che batte rapido e leggero, come il battito d’ali di un colibrì.
Mi capita spesso di notarlo, e in realtà non gli do poi tutta questa importanza, lo ricollego all’idea che, per quanto quieta e pacifica mi possa sentire e possa apparire, c’è sempre qualche parte di me sull’attenti – in rapido movimento, in una vibrante attesa – di cosa, poi – come se la possibilità effettiva di rasserenarmi in un morbido nido, quietarmi per qualche attimo, non esistesse neanche.
Mi commuove il fatto che Camillo sia dispiaciuto – anzi, di questo dispiace probabilmente il doppio a me, mi commuove invece il fatto che non avesse intenzione di farmi impensierire e preoccupare.
Peraltro non poteva neanche saperlo – di quanto sia sensibile, non tanto all’elusività in generale, alla mancanza di chiarezza, ma piuttosto al potenziale pericolo che può nascere e crescerci dentro e tutt’attorno, sensibile alla distanza, sensibile a - -Ma tu ne stai dando a me e questa cosa mi fa stare male, da Medimag dovresti saperlo meglio di chiunque altro.-
..Anche a questo.
Lo guardo e il senso di colpa, la tristezza, più che leggermisi negli occhi urlano nello spazio che ci divide.
Lo sto già ferendo – ma com’è possibile?
Sono davvero così mal costruita – perché in un modo o nell’altro finisco sempre a pormi le stesse domande - anzi a darmi sempre le stesse risposte.
Muovo le gambe ancora incrociate sulla sedia come la ali di una farfalla, agitata e nervosa – ho l’impressione che mi stia facendo una piccola ramanzina – e il peggio è che effettivamente ha pure ragione, il che mi rende più fragile e piccola di una farfalla vera.
I timpani continuano a vibrare al suono della sua voce – e lo ascolto attenta perché la mia lucidissima mente dorata è brava in questo – anche se il muscolo cardiaco si contrae e fa scomode capriole tra il costato.
-Quindi ora ti dico tutto e in cambio… in cambio voglio tutto.-

Mi mordo l’interno delle guance e mi impongo lucida attenzione, soffoco qualsivoglia spiraglio di vita e movimento entro il mio costato.
..Difficile, però.
Per una rarissima, quasi unica a conti fatti, volta.. non riesco a domare completamente quel mare che mi abita dentro.
Camillo parla, mi spiega, seppur serio mi sorride rassicurante:
e il mio cuore si riempie.
Sento tante cose accadere dentro di me: innanzitutto, riprendo a respirare.
Con calma, silenziosa, ero entrata in apnea senza neanche accorgermene – come spesso mi capita – ma adesso ogni respiro è tiepido e salvifico nei miei polmoni.
Poi, rifaccio caso al mio battito: è strano, in effetti, il muscolo cardiaco sembra più quieto, in pace, pompa il sangue lungo tutto il mio corpo – caldo, sempre più rilassato attimo dopo attimo, parola dopo parola.
Mi viene quasi da ridere ora all’idea del gufo che disperato torna indietro, incapace di raggiungere il mago – ma credo di sorridere appena perché sono talmente.. tranquilla.
Camillo non rischia la vita, non sta male e non vuole impelagarsi in chissà quale attività – ha anche ben in mente risorse, limiti, potenzialità e difficoltà del suo mondo interno e di quello esterno.
E’ capace, è in grado, non è in pericolo e quantomeno attualmente non ha bisogno di cure.
Il fatto che riesca a trasmettermi tutto questo – e riesca a farlo perché da una parte così è la realtà, dall’altra perché così è lui - il fatto che riesca a capire più o meno esplicitamente l’importanza della mia richiesta sottointesa, il fatto che decida di risponderle rassicurandomi, e pur ricordandomi la mia parte il fatto che aspetti con pazienza facendo lui il primo passo, avvicinandosiquesto -
Il fatto che si sia avvicinato in un modo che non riesco neanche a spiegare a me stessa, perché talmente priva – talmente – forse è questo quel che si prova quando qualcuno ti abbraccia, senza sfiorarti.
Mi dico, mi chiedo, se è questo quel che si prova quando – pressochè dal nulla – qualcuno riesce ad intravedere uno spiraglio di cuore, forse quella me bambina sola, tanto arrabbiata quanto in fondo ferita – e al posto di allontanarsi in tutti i mille modi di cui avevo fatto esperienza.. le sorride e le parla e la rassicura –
e non se ne va.

Sgrano gli occhioni di bosco e di mare quando Camillo scompare alla vista – ma quando lo sento ricomparire, più vicino, alle mie spalle, inclino il collo e sollevo lo sguardo incrociando il suo – mi sento sorridere come fanno i bambini quando al cucù dei genitori tornano a vedere il volto a cui sono affezionati.
Forse un po' dovrei imbarazzarmi - adulta e vaccinata come sono – ma sto lasciando libera in superficie la parte di me più fragile? infantile? insicura? tenera? dolce? Si potrebbe definire in tanti modi – ma in fondo adesso, neanche mi importa poi granché.
Annuisco serissima quindi alla richiesta di tacere rispetto al ruolo del Tasso nella Gazzetta – ma mi viene da ridere quando poco dopo vengo minacciata da un biscotto, come io stessa ho fatto poco fa.
Poso il mio di biscotto - per seguire i movimenti del mago in realtà ora sono accucciata in ginocchio sulla mia stessa sedia, le braccia appoggiate sullo schienale e la testa a sua volta sopra – e con la mancina (la destra ancora tacitamente salda sui due piccoli anelli) mostro il palmo con fare ufficiale: -Prometto.-
Mi limito a dire, pensando che poi avrei dovuto trovare il modo di duplicare la mia agenda – accidenti, questo si che sarebbe stato un problema.
Le iridi si sono appena abbassate prese dal rimuginio mentale su quanti impegni io abbia e come possa in un futuro prossimo tenere aggiornato l’altrettanto impegnato mago – ma le sue parole successive fanno correre nuovamente lo sguardo alla ricerca del suo -
inchiodandocisi.

Improvvisamente mi sento come un cerbiatto abbagliato dai fari, sono terrorizzata e marmorea sulla mia sedia, immobile ancora in questa posizione tanto da bambina.
Che è forse sempre quella parte di me ancora in superficie, che si è sentita tanto al sicuro da venir fuori e adesso atterrita rivede dietro le iridi di bosco e di mare tutti i “perché” tutti i “chi sono” richiesti da Camillo.
Prendo un piccolo respiro e trattengo per qualche secondo l’aria nei polmoni – chissà, magari così si ferma pure il tempo.
-Io..- ho la voce piccola piccola, boccheggio per un istante -Faccio male a tutti - io non so come, non so - tanti saluti alla “mente lucida e razionale”, io ho delle lezioni importanti apprese da tempo, anzi, ho delle lezioni importanti aggrappate, artigliate da tempo al costato, al cuore, alla mia spina dorsale - fisica e mentale, emotiva - e sono talmente radicate in profondità, talmente forti, talmente mie ormai, essendo le mie uniche compagne di giochi.. che vincono, vincono da sempre ogni battaglia, ogni guerra con il razionale, con la logica, con la realtà esterna.
-Se ne sono andati via tutti. Se ne vanno tutti. E la colpa è la mia – credo – mia zia - non riesco a formulare una frase degna di essere chiamata tale, farfuglio, balbetto - e pensieri, emozioni, ricordi, si scontrano creando un grande boato nella mia testa -Mi hanno insegnato questo, da sempre. E’ colpa mia. Non sono .. giusta, non sono abbastanza, penso- no, no è più di così, lo so bene -Sono cattiva - e poi alcune volte mi arrabbio - io non – io - non mi vuole nessuno e – è giusto così credo -
Sbatto le ciglia confusa, lo sguardo prima fisso sul mago ma senza davvero vederlo, ora lo rimette a fuoco: -Mio padre.. mi ha abbandonata, la notte in cui sono nata. E mia madre è morta, per colpa mia.- riesco infine a sillabare a scatti, come un automa -Ed è colpa mia, tutto qui. Non sarei dovuta.. mia zia – non sarei dovuta nascere, ecco tutto.-
Tremo, un brivido che mi scuote l’intera spina dorsale, vertebra dopo vertebra.
Ripenso a tutte le volte in cui per un motivo o per un altro mi sono arrabbiata e di casini ne ho combinati sul serio – io che inconsapevole inverto cause ed effetti – colpevoli e vittime - mi viene da piangere.
E forse lo sto facendo, mentre alla fine sussurro: -E lei ha ragione. Io mi..-
Lo guardo, terrorizzata da me stessa, consapevole che quando mi trasformo assumo le sembianze di un feroce predatore - solitario, territoriale, aggressivo.
-Mia zia.. ha sempre avuto ragione.



[Chi nascendo porta morte -
morte sempre porta -
morte poi arriva -
morte porta via.
E' giusto, così sia.]
 
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view post Posted on 29/5/2023, 12:42
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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CodiceRotta. L'aveva rotta. La balistica del colpo gli era sfuggita, ma nel momento in cui aveva chiesto ad Adeline di aprirsi con lui, piú che aprirsi sembrava fosse andata in mille pezzi. Ed era anche colpa sua, che aveva forzato quell'apertura anticipandone i tempi. Forse era stato quello il suo sbaglio; ma si era anche convinto del fatto che le avesse solo dato una spintarella, innescando un crollo inevitabile, che prima o poi sarebbe dovuto arrivare. Andava bene così. Per quanto il dolore di vedere Adeline in frantumi gli avesse fatto stringere il cuore, era una parte cruciale del processo di ricostruzione. Non stava bene – forse non lo era mai stata davvero. Quei pensieri guasti di cui si era fatta carico, come colpi di martello sgraziati sull'espressione artistica di un marmo già scolpito, erano riusciti pian piano a disintegrarla.
Gli occhi nocciola di Camillo si erano posati con malinconia sulla figura dell'amica, mentre prestava ascolto a quello che sembrava un discorso raffazzonato, confuso. Riuscì a carpire il senso generale di ciò che gli aveva voluto comunicare, ma si era limitato soltanto a raccoglierne i cocci e ancora non riusciva a vedere l'opera nel suo insieme, com'era in origine, cosa aveva causato le crepe che avevano portato alla distruzione.
Si irrigidí, stringendo con il palmo della mano libera il legno della scrivania, sentendolo comprimersi come gomma morbida all'interno di quella morsa – e abbandonando subito dopo il biscotto. Non gli fece danni, ma scaricò su quello stesso legno la prima ondata di tensione che lo travolse.
Come poteva, proprio lei, pensare di essere un male, di non meritarsi il dono della vita? Proprio lei, che con la sua anima dolce e la sua vivacità era capace di donare calore e conforto a chiunque incontrasse. Si chiedeva come era stato possibile che le venissero inculcati timori cosí atroci, traumi raccapriccianti, probabilmente frutto delle parole di chi mai aveva compreso la sua delicatezza. Di chi le aveva addossato colpe che non le appartenevano. Di chi l'aveva abbandonata. Come aveva potuto anche solo crederci, per un singolo istante?
Se Regn, col suo canto pulsante, si era prodigato per confortarla in quel momento di crisi, Camillo era rimasto impalato come un idiota, in silenzio, consumato da una rabbia che sfumava la vista, faceva fischiare i timpani e ribollire il sangue nelle vene.
Sua zia. I suoi genitori non erano mai stati presenti nella sua vita, probabilmente – tirò delle conclusioni affrettate – doveva averla cresciuta lei in quel modo. Doveva essere stata lei, per prima, a piantare i semi di un male così persistente tra i suoi pensieri. Era difficile, per lui che aveva avuto una famiglia amorevole, pensare che proprio un consanguineo potesse macchiarsi di un delitto simile. Eppure, razionalmente sapeva che anche la famiglia era in grado di compiere certe prodezze, forse addirittura piú di chiunque altro. Il peso delle parole di chi ti aveva cresciuto, doveva valere molto di piú di quello di mille sconosciuti messi insieme, per la vicinanza emotiva, perché in fin dei conti, di quello che pensava chi ti era distante, non poteva importartene granché.
Poi c'era l'abbandono. Quello del padre, che aveva scelto di andarsene e di una madre, morta prematuramente, prima di poterla conoscere per davvero. Quale cazzo di colpa poteva avere una bambina appena messa al mondo, se le cose erano andate in quel modo? Si tornava alla zia, che gliel'aveva comunque recriminato senza mostrare la minima pietà, il minimo senso di empatia. Alcune persone, semplicemente, non erano in grado di adempiere ai loro obblighi genitoriali e quello ne era il risultato lampante.
Smontò dalla scrivania, adagio, con il passo silenzioso ancora alterato dall'incantesimo lanciato pochi istanti prima.
Si sentiva come un mostro fatto di lamiere taglienti, vicino ad Adeline, una creatura assemblata in un crudele artificio con lamine affilate, arrugginite e grossi cluster di viti e bulloni, pure chiodi piantati male, a tenere insieme l'ammasso di ferraglia pericolante che era. Un mostro che cercava con delicatezza il contatto con una tela fragile, incantevole, intrisa di oli colorati e sfumature preziose, come se facendolo avesse potuto in qualche modo restaurare la bellezza originale invece di lasciarle delle lacerazioni evidenti e peggiorare le cose. E invece era solo un'uomo, che con un abbraccio voleva rimettere insieme tutti i lembi in cui si era strappata di fronte ai suoi occhi, come se stringendola abbastanza fosse stato sì in grado di tenere tutto unito.
Ma ci doveva ancora arrivare a quell'abbraccio, per una serie infinita di ragioni. Ultima per importanza, quella sedia che rendeva tutto cosí goffo e difficile.
La raggiunse, oltre lo schienale e con un tremolio soppresso delle mani, le avvicinò piano alle sue guance rosee, che promettevano una morbidezza confortevole.
«Non puoi farti carico del peso delle decisioni altrui». Provò a spiegarle calmo – calmo non era – in quello che sembrava lo sforzo piú oneroso della sua intera esistenza. Ma la voce era ferma, lo sguardo amorevole, amico, e portava con sé sia il supporto che la malinconia di un'anima che c'era già passata in quel girone infernale. Chi se ne andava decideva di farlo per mille ragioni ed aggrapparsi alla scusa de "ma la costante sono io" era l'esercizio piú pigro che potesse immaginare del dono di poter analizzare a freddo le proprie esperienze.
Poi posò piano il palmo delle mani sulle guance, con una delicatezza che solitamente non gli apparteneva, un contatto lento e tenue, una leva dolce per alzarle il viso, cosí che non potesse sfuggire al contatto visivo dei suoi occhi indulgenti.
«Hai la voce spezzata di qualcuno che si rifiuta di guardarsi dentro, che per tutta la vita ha prestato l'orecchio alle bugie che gli hanno raccontato, fino a crederci per davvero». Un rimprovero, che non voleva essere una stoccata per darle il colpo di grazia, quanto piú la ferita necessaria inferta dalla lama di un bisturi che doveva aprire un taglio prima che si potesse operare sulla zona interessata. In quel caso, voleva fosse lei stessa a sbirciare dentro quello stesso taglio, attraverso il riflesso degli occhi nocciola che si erano adagiati sui suoi con premura. Era poi sopraggiunto l'invito tacito ed esile delle mani a tirarsi su, almeno in ginocchio sulla sedia, se proprio non aveva la forza di alzarsi in piedi, cosí che potesse portarsela a livello del petto.
«Ti faccio sentire una cosa». Ed infine, se l'avesse seguito, l'abbraccio. Un gesto dolce espresso con la fragilità intrinseca di chi non voleva imporsi con la forza, ma guidare l'altra persona con timore verso di sé, perché potesse ascoltare con l'orecchio posato sul torace il battito di un cuore in corsa. Un cuore che, anche grazie a quella fievole stretta, sarebbe riuscito a rallentare fino a stabilizzarsi; piano, con i suoi tempi, perché di fretta non ce n'era alcuna, perché quando la stanza si fosse riempita del silenzio, ed il suo animo avesse smesso di cigolare pericolante, avrebbe domandato ad Adeline quiete e quiete avrebbe voluto trasmetterle. Una serenità distesa che non avrebbe trovato spazio nel vuoto che li divideva, ma nel contatto che li univa.
«Questo è il dono che fai agli altri, semplicemente perché sei, esisti. Pensi davvero di non essere abbastanza? Di essere sbagliata? Di non meritare la vita?»
Pensi davvero tutto questo, ascoltando un cuore sincero che bussa regolare, allegro e che con tutto l'amore di cui è capace ti sussurra l'esatto opposto?
C'era ancora tanto da sviscerare, una serie infinita di verità da portare alla luce, ma bisognava procedere per gradi, un passo alla volta, grande o piccolo che fosse. Per prima cosa Adeline avrebbe dovuto ricomporsi, comprendere quale fosse stato il suo piú grande errore e solo in quel momento sarebbe stata in grado di raccontargli la verità. Non la lezione lacerante che le avevano dolorosamente impartito. La sua verità.

 
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view post Posted on 2/6/2023, 17:53
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Sono in balia di una tempesta che conosco talmente bene – ma che al tempo stesso non sono mai riuscita a governare.
Nella mia testa rimbombano echi di un’infanzia solitamente intrappolati in zone buie e remote della mia mente - che adesso rimbalzano prepotenti e affilati, calabroni impazziti che pungono e mordono sempre negli stessi identici punti.
Sono andata in tilt – mondo della ragione e dell’emotività si stanno scontrando, ed è una guerra che compie gli anni insieme a me – chissà chi alla fine vincerà, a quanto ammonterà la conta dei caduti o se invece – come ogni scontro tra mondi che si rispetti – il mio universo collasserà su sé stesso e di Adeline Walker non rimarrà che un puma inselvatichito disperso tra i boschi.

Àncora di salvataggio della mia esistenza – è la rabbia, che piano piano inizia a farsi spazio nel mio costato, lacera i ricordi come stoffa vecchia ed usurata, brucia ogni cosa, sopprime e soffoca echi e ricordi.
Sento il sangue defluire dalle mani che diventano gelide e di un pallore nocivo – [è la rabbia, che] prende tra le mani quella bufera ghiacciata che imperversa il mio sin troppo fragile e tenero muscolo cardiaco e inizia a stringerla tra gli artigli, ammainando le vele della mia lucidità e dandogli una direzione: direzione discutibile aggressiva e violenta, direbbero in molti me inclusa ma è quella guida, quell’unica guida, che mi tiene in vita da sempre, non lasciandomi preda e inerme vittima di quella tempesta che altrimenti mi trascinerebbe a fondo annegandomi senza alcuna pietà e misericordia.
La rabbia infatti, mi guida verso altri lidi: sono terre aride – terre disabitate, inospitali e bruciate – ma sono terre dove riesco a camminare, muovermi – respirare e lottare per me stessa, a dispetto dell’oceano più profondo e freddo entro il quale in altro modo sarei solo in balia delle correnti, a buttare giù secchiate di acqua salata e gelida dalla gola sin dentro i polmoni.
Sento i lineamenti del mio visto mutare leggermente, gli occhioni lucidi si crucciano in un broncio arrabbiato, il respiro si normalizza anche se sento il cuore pompare con forza il sangue caldo lungo tutto il mio corpo – come se dovessi lottare di lì a breve e ogni mio singolo muscolo si preparasse alla battaglia.
Camillo si muove ed il passo ancora silenzioso mi mette sull’attenti.
Blocco il respiro quando muove le mani verso di me – sinceramente non capisco quali intenzioni abbia – “non puoi farti peso delle decisioni altrui” – nessuno ha deciso niente, è la realtà dei fatti, la mia realtà di cui lui ha a malapena saggiato la superficie.
La mia espressione si fa ribelle alle sue successive parole, e sento una parte dentro di me che ringhia piano – ma non così piano da non sovrastare il piccolo tremito del cuore che mi scuote appena al contatto delle sue mani sul mio volto: io sono capacissima di guardami dentro e lui è solo che l’ultimo arrivato che non sa quasi niente di me - per potermi parlare così di bugie e non. sono. ancora. pronta. convinzioni sue completamente prive di fondamenta.
Non mi conosce – non conosce il mio passato, la mia storia, così come in effetti neanche il mio presente nel suo complesso – tutti elementi che gli fornirebbero in realtà innumerevoli prove delle mie di convinzioni – assolute verità.
-Ti faccio sentire una cosa.-
Gli scocco un’occhiataccia, sento i muscoli irrigiditi dalla sensazione che arriverà qualcosa di brutto per cui sono pronta al contrattacco ma assecondo la muta richiesta e mi alzo in piedi.
Sono dritta e impettita come un bacchetto di legno, le braccia lungo i fianchi e le mani strette in due piccoli pugni: la destra, ancora avvolta attorno ai due piccoli anelli, ne riprende coscienza -
e istantaneamente i miei tratti si ammorbidiscono.

Sono mutamenti rapidi i miei – non ne ho il controllo ma quantomeno la consapevolezza – e non mi stupisco ora di battere confusionariamente le ciglia, come se soltanto adesso mi rendessi conto di chi in effetti mi sta di fronte, mi parla, e si muove con tanta delicatezza e premura e dolcezza nei miei confronti.
Mi lascio avvolgere da quell’abbraccio – persa nel mio personalissimo caos interiore – ancora immobilizzata in questa assurda posizione difensiva, le braccia strette al costato e lo sguardo girato di lato, come se mi aspettassi da un momento all’altro qualche dolorosa bastonata, gli occhi strizzati e le spalle rigide - ma cosa sto provando, di preciso, in questo momento?
Stupore – confusione – sono ancora triste come pochi attimi fa o forse ancora arrabbiata? – mi sto quietando – il ricordo di quel piccolo nodo dorato che ancora stringo nella mano è stato sufficiente oppure no? E questo abbraccio – quanto durano gli abbracci? – dire che la mia schiena è irrigidita tanto da farmi quasi male adesso è superfluo e scontato, non sono affatto abituata a gesti simili: mi piace? Non mi piace? Mi trasmette qualcosa? E se sì, che cosa?
Strizzo gli occhi con ancor più forza e cerco di fare l’unica cosa che in questo momento – dilatato nella mia mente come se stesse durando un’eternità – credo mi possa aiutare: mi ancoro alla realtà.
La prima cosa che sopraggiunge è il suono del battito del cuore di Camillo – non è agitato come il mio, perso in una marea di emozioni e pensieri ingarbugliati – è.. non so, cosa sia.
Ma trasmette quiete, trasmette pace, e sento i lineamenti del volto rilassarsi ancora, così come i muscoli di spalle, braccia e schiena.
Percepisco anche il calore della sua presenza che passa attraverso il tessuto dei vestiti – ne sento il lieve profumo - sento quanto e come lui sia qui, ora e in tutto questo non voglia ferirmi né con la sua assenza – chiaramente, a quanto pare – né con la sua presenza – il che mi stupisce il doppio.
-Questo è il dono che fai agli altri, semplicemente perché sei, esisti. Pensi davvero di non essere abbastanza? Di essere sbagliata? Di non meritare la vita?-
I muscoli si sciolgono completamente e riapro lo sguardo sul mondo circostante.
Faccio una lieve pressione con le mani perché il mago si allontani un poco, e se questo assecondasse le mie tacite richieste accadrebbero diverse cose l’una di seguito all’altra.
Le iridi di mare e di bosco si incastrerebbero in quelle nocciola, l’attimo prima di essere io, questa volta, a muovermi: sarei io allora ad abbracciarlo leggera, solo per qualche istante, ringraziandolo muta dei suoi pensieri.
Tre parole quindi, a colmare subito dopo lo spazio che nuovamente sarebbe tornato fra di noi – perché io non penso, io non ipotizzo - quando il tuo unico compagno di giochi per anni ed anni di silenzi e di vuoti è il senso di colpa.. io non penso, semplicemente, certe cose.
-Io lo so.-
Ma comunque un piccolo sorriso sarebbe tornato ad allungare le labbra.
-Ma ti ringrazio, davvero.-

Il lugubre canto di Regn cancella in maniera definitiva quelle ultime gocce di acqua salata e sabbia bruciata di cui il mio animo ancora saggia il sapore in gola e il calore bruciante tra le dita.
Mi allontano, avvicinandomi al mio Augurey, la mancina che si alza per accarezzare piano il becco della fenice: -Hai voluto tutto..- mi siedo con un piccolo salto sul bordo della mia finestra e torno ad inquadrare il Tasso, la me razionale curiosa, la me emotiva dispiaciuta e quella me più profonda, ringhiante e tanto arrabbiata, alla difesa strenua e tenace delle mie vulnerabilità e punti fragili – arriccio il naso e dondolo le gambe -Magari la prossima volta – limitiamoci ad una Burrobirra, mh?-
Gli rivolgo un grande sorriso, ridacchiando persino un pò.
-Quindi un colloquio.."solo" per questo? Detesto l'idea di non poter fare davvero nulla per aiutarti. Hai persino le idee chiare.. -
Sbuffo scherzosa, alzando gli occhi al cielo.
- A quanto pare come studente e/o come amico non è affatto divertente signorino Breendbergh.- e annuisco convinta, prendendolo in giro proprio alla grande.
 
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