Stitches, Privata.

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view post Posted on 16/2/2023, 07:46
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Ocean eyes.

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And you’re not sleeping. Where are you now? Where’d you go?
When life can be so much harder and you keeping on running.
I
l vociare intenso nella Sala Grande, disturbava i pensieri. Megan beveva l’ultimo sorso d’acqua dal bicchiere concludendo una cena scarna.
Non aveva fame. Nervi tesi, stomaco chiuso.
Posò la mano sul tavolo sollevandosi, sciogliendo le gambe accavallate da sotto la panca. Era di turno per la ronda a breve e sì premurò che fossero i Prefetti ad occuparsi di far rientrare i Corvonero in Sala Comune.
A passo svelto, coperta dal cappotto, attraversò il labirintici corridoi del castello, prese le scale fino a raggiungere la Torre di Divinazione, arrivando davanti al batacchio a forma d’aquila.
Inspirò ed espirò profondamente. Aveva tentato di scaricare l’ansia lungo il tragitto con scarsi risultati. Il cuore batteva veloce, le dita tremavano, la mano destra stringeva la bacchetta di ciliegio accesa e la sinistra dondolava lungo il fianco.
Megan brancolava nel buio delle sue emozioni, aveva immaginato quell’incontro diverse volte e mai era riuscita a definirne il contenuto o l’esito finale. Le domande erano tornate a farsi spazio nella testa, vorticando freneticamente senza dare possibilità a risposte precise. Sentiva il terrore avvinghiarsi al corpo, tentare di colmare e raggiungere lo strato di pelle sotto le sue vesti.
Aveva paura di averla persa e non riusciva a sottrarsi a quel pensiero che, saldo, trapanava le tempie da parte a parte. Il fischio sibilante che penetrava nelle ossa e la lasciava vacillare su quel filo teso dove camminava a fatica da tempo.
Rischiava di perdere l’equilibrio ancora una volta.
Non adesso.

Ricordi chiari invasero le stanze della sua mente e l’immagine di quella sera riaffiorò come un bocciolo il primo giorno di primavera. Un rapporto appena nato, che Megan non aveva fatto altro che tenere ancorato al petto. Una mano tesa, la presa salda a stringere quel legame invisibile. Poi, le carezze sul viso e il tessuto morbido del vestito su cui aveva poggiato la testa. Lo scorrere delle parole ancora chiare, i fotogrammi precisi, appigli ai quali si era aggrappata trovando la forza necessaria per andare avanti.
Varcò l’aula di Divinazione, i profumi d’arancio e zenzero inondarono i suoi sensi. Si sentì meglio, esigui secondi necessari per fare un lungo e profondo respiro, prima di ritornare in apnea.
«Devi capire chi combattere e chi può, invece, aiutarti a farlo.» Ecco le parole di Lei tornare come un’eco nelle orecchie.
Perché? chiese in silenzio. La rabbia trovò conforto nel petto e pizzicò in gola. Allora, poggiò la mano sulla botola tirandola su e riempì i polmoni d’aria. Lei non c’era. Il silenzio la travolse, solo il bubbolio lontano riempiva per pochi secondi la scena.
Uscì allo scoperto salendo gli ultimi gradini e avanzò verso il confine della torre poggiando le mani sulla fredda pietra. Il tramonto ormai lasciava i colori sbiadire al di là delle Highlands scozzesi, il viola attraversava lo spettro mutando in blu laddove la luce si perdeva. L’oscurità avanzava veloce, piccole luci a farsi avanti nell’immensità dello spazio. Il cobalto riflesse il chiarore della luna crescente, Megan distese il collo verso l’alto per sentire meglio l’aria accarezzarle la pelle.
« Non devi mai, e dico mai, allontanare chiunque. »
Tu hai allontanato me.
Un piglio amaro irrigidì il suo volto e un sospiro sfumò via dalle labbra appena schiuse.


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Edited by Megan M. Haven - 19/2/2023, 11:24
 
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C
amminasti nella sua scia, senza però scorgerla. Avanzasti piano, camminando su invisibili frammenti di vetro, eco di quel che, non molto tempo addietro, consideravi prezioso e indistruttibile.
Avevi già percorso quella strada di sera; la luce delle candele, chete e silenti, avevano carezzato il vostro intimo avanzare. Avevi Megan in una mano e i tuoi passi fermi la guidavano verso una destinazione salvifica. Ti ricordi? Ricordi il suo dolore?
E il tuo, Emily, lo rammenti?
La bassa luce scarlatta ti accolse ma socchiudesti gli occhi, infastidita. Non hai mai amato quel posto e, con il passare degli anni, non vi hai più fatto visita. Chissà se avvertivi, con l’accapponarsi della pelle e il lento avvampare del tuo coraggio, che quella sarebbe stata una delle ultime volte.
Il caldo era soffocante, e bramavi l’aria fredda della notte tanto quanto la possibilità di lasciarti quella torre alle spalle. Non perché non volessi vedere Lei, ma perché l’Abbandono era un nemico che non sapevi ancora affrontare.
L’odore malsano del bollitore, lasciato a se stesso, ti pizzicò il naso e accelerasti il passo come se la distanza potesse impedirgli di raggiungerti. La classe aveva tutte le sembianze di una vecchia mansarda trascurata. Divinazione non era mai stata il tuo forte; sei sempre stata attratta da ciò che è in grado di smuoverti l’animo, accendere la passione, esaltarti persino; tutt’oggi basta trattenersi in quel posto per più di cinque minuti per comprendere quanto sia lontano da quel sentimento di bellezza e infatuazione che cerchi in ogni cosa.

Passasti oltre le sfere di cristallo. Ammiravano la tua figura proiettandola - distorta - sulla loro superficie. Coglievano solo l’apparenza e, incaute, distorcevano la sostanza. Urtasti una tazza da tè posata sul pavimento, per voluto errore, a testa in giù; il suono stridente ti inchiodò sul posto e arricciasti gli occhi, maledicendoti.
Riapristi le iridi sugli scalini che ti mancavano per raggiungerla. Perché lo sapevi, vero? Lei era già lì. Fu per questo che il cuore accelerò di un battito, il corpo inveì contro i tuoi stessi comandi e supplicò di tornare indietro.
Facciamola finita, pensasti risoluta e in uno slancio di sconsiderata prodezza, salisti tre gradini alla volta trovandoti faccia a faccia con la sua schiena.

Avevi perso la luce del tramonto ma dannazione se il crepuscolo le rendeva giustizia.


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view post Posted on 5/4/2023, 20:50
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L
a sentì arrivare ancor prima che potesse varcare la soglia della botola e spingersi sulla torre. Cocci infranti sul pavimento imitarono il suono del suo cuore ormai arreso a quell’incontro. Poteva dirsi di essere morta, giacché aveva smesso di sentire il petto contrarsi e distendersi nello stesso momento in cui i passi silenti arrivarono alle orecchie come sottile ghiaccio appena calpestato.
Il tempo era fermo e chiedeva una resa dei conti al quale Megan avrebbe voluto sottrarsi e nascondersi più lontano possibile. Eppure non vi era spazio per fuggire altrove, né aveva la sicurezza che fosse la soluzione migliore. Tenere il cuore in tasca, tacere e lasciare che il silenzio parlasse per lei, che venisse fraintesa... Non vi sarebbe stato danno peggiore e lo sapeva. Lo aveva vissuto sulla sua pelle e il cuore tremò al solo ricordo di quella sera ai piedi della rimessa.
Respirò. Le dita salde sul parapetto impallidirono.
Coraggio.
Si voltò e la vide. Non seppe quali emozioni attraversarono il suo viso ma d’improvviso sentì il naso pizzicare e gli occhi inumidirsi.
Non posso.
La chioma vermiglia si accese sotto la volta celeste riflettendo la poca luce intorno a loro. Megan seguì le trame, sino a posare le iridi oltremare sul profilo costellato da migliaia di lentiggini.
Un passo, due; si spinse verso Emily istintivamente. Aveva smesso di pensare a cosa sarebbe stato giusto fare e come farlo nel momento in cui il blu del mare riflesse le nuvole cineree. Rifuggire non fu più una necessità, bensì la certezza di sprofondare nell’abisso. Non poteva.
Ce la faccio.
Nell’esigua distanza che adesso le separava, a pochi centimetri da lei, Megan l’avrebbe afferrata e accostata a sé se le fosse stato concesso. Il viso nascosto nell’incavo del suo collo, le palpebre chiuse e un lungo respiro ad accompagnare quel gesto. L’avrebbe tenuta tra le braccia, come si stringe un fiore tra le dita, delicatamente, senza spezzarla, accarezzando i petali cremisi sino alle punte.
«Mi dispiace così tanto, E.»
Un attimo di pausa, il tempo di un altro profondo respiro e sarebbe tornata a guardarla.
«Non meritavamo questo.»
La voce rotta nelle note finali, acuendo l’emozione che Emily non avrebbe fatto fatica a vedere riflessa nei suoi occhi.


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view post Posted on 29/4/2023, 20:29
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C
he codarda.
Continuavi a inveire, nell’osservare la sua figura di spalle.
Immobile. Nell’ombra impalpabile della sua esile figura.


Coraggio.
Mi ripetevo con gli occhi che seguivano la curva della sua schiena.
Coraggio, fatti avanti.
Eppure giacevo sul posto, incapace di muovere anche solo un passo verso di lei. Verso la fine di ciò che saremmo potute essere.
Era così che vedevo le cose, al tempo e forse era stato Lui, Ra, a convincermi che ci fossero solo due strade percorribili: le persone restano al tuo fianco oppure rinunciano a te.
Con Megan non poteva andare diversamente.
Non ebbi modo di far altro perché, nell’esatto momento in cui lei si voltò, mi ritrovai a trattenere il respiro.
Che pena, a ripensarci.
Ogni suo movimento raccontava ciò che avrei voluto, che avrei dovuto, fare io. E in quell’istante, nell’esatto attimo in cui protendeva le braccia verso di me, sentii l’impulso di scostarmi.
Non lo feci, però, perché insieme all’istinto di fuggire via da quel salvifico tocco, giunse la sfacciata consapevolezza che ero io, non Megan, a fuggire da Noi.
Socchiusi gli occhi serrando i pugni; non ero in grado di oppormi alla sua presa ma nemmeno capace di stringerla a me con più forza.
Perché lo sapevo, se solo mi fossi abbandonata a ciò che il mio cuore reconditamente desiderava, avrei perso ogni capacità di rifugiare il dolore.
Non aveva funzionato, perché insistere? Perché rischiare?
Piegai il collo verso di lei, mostrando una piccola crepa.
«Mi dispiace così tanto, E.»
Avrei tanto voluto dirle di non dispiacersi ma la verità è che ancora oggi non comprendo di cosa dovesse mai rammaricarsi lei. Di avermi abbandonata, avrei forse risposto al tempo, errando dinanzi all’evidenza. Ero stata io a spingerla via; io a rinchiudermi nel mio tormento.
« Non… »
Le parole arsero in gola e, dinanzi al fallimentare tentativo di parlare, il mio corpo s’irrigidì.
Le mani s’alzarono, fiduciose, ma non si chiusero ai suoi fianchi. Poggiarono invece sulle spalle, la schiena già che curvava all’esterno del suo abbraccio e… La spinsero dolcemente via.
Se solo avessi potuto spiegarle tutto senza dover attingere a ogni energia che avevo preservato, sarebbe stato tutto più semplice. Avvertii nuovamente il dolore risvegliarsi sul petto, cibarsi dei ricordi, alzare il capo all’alba di una nuova rinascita.
« È colpa mia, Megan. »
Riprovai. Il suo nome bagnò la punta delle mie labbra danzando una melodia così stonata, così sbagliata.
« Dopo quella sera… Mi sono persa. E la verità è che… »
Le braccia caddero lungo i fianchi come se, con quel miserabile gesto, avessi potuto allontanare tutta la sofferenza da me, da lei… Da noi.
« Mi sono chiusa, lo so. E quando ho pensato di averti persa mi sono convinta che non mi importava. Non avevo le forze… »
Voldemort, Ra… Il volto di Matthew riflesso nel fuoco contro cui si stagliava la sua casa… Lilian… I loro volti si mescolarono in una nube confusa, tossica.
« … Le forze di sopportare altro. »
Un passo indietro. Il mio corpo bramava la distanza perché convinta che sarebbe stato più facile.
« E non le ho nemmeno adesso. »
E finalmente la guardai. Avrebbe letto la mia disperazione? Nonostante il tentativo di eclissarla, avrebbe visto quanto tenevo disperatamente a lei?

E proprio per questo, avrei dovuto lasciarla andare.


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n respiro profondo.
Megan strinse Emily a sé.
Per pochi istanti concessi si rifugiò in quell’abbraccio. Desiderava che durasse in eterno. La consapevolezza di una probabile fine che non avrebbe accettato la lasciava vacillare in quel vuoto che conosceva bene ma al quale sapeva non potersi mai abituare.

Abbandono.
Dolore.

«È colpa mia, Megan.»
Il battito del cuore accelerò al suono di quelle parole.
Smise di respirare.
«Dopo quella sera… Mi sono persa. E la verità è che…»
La vide abbandonare le braccia lungo i fianchi e mai come in quell’istante le parve che l’amica si stesse arrendendo. Le parole successive arrivarono lontano tanto il cuore tamburellava forte dal petto, fino alle tempie. Un suono ovattato che si diramava nella testa come lunghe radici sul terreno: scavavano in profondità, soffocando in un esiguo spazio.
Non voleva sentire altro. Non sarebbe riuscita a sopportare il suono di un altro addio, lo sapeva.
Scostò lo sguardo da un lato, gli occhi si chiusero e le mani seguirono lo stesso movimento. La rabbia raccolta nei pugni stretti. Unghie a tentare di ferire la carne lasciando spessi solchi lungo il palmo. Era così che si difendeva da quel dolore, dal nugolo di sensazioni che attanagliavano la sua mente mettendola all’angolo senza vie d’uscita.
Doveva avere il controllo.
Megan ingoiò il nodo in gola e strinse gli occhi di riflesso. Inspirò ed espirò lentamente. Non poteva rinunciare al loro rapporto e non credeva possibile che Emily fosse in grado di farlo. Lo leggeva nei suoi occhi, nell’espressione non troppo celata del viso: stava soffrendo così come soffriva anche lei.

«Non devi sopportare niente che tu non voglia» disse a fatica tornando a sondare le iridi cineree.
«Per anni mi sono aggrappata alle tue parole, a quello che mi hai detto quella sera dopo il ballo.»
Non un solo passo, non ancora.
«Io sono sempre stata qui» continuò con voce ferma, le labbra appena schiuse. Continuava a cercare aria, a trovare il coraggio di non rinunciare a ciò che fino ad allora aveva sempre considerato prezioso. Non le importava quante volte Emily l’avrebbe respinta, non le avrebbe permesso di voltarle le spalle e andare via lasciando solo il vuoto a colmare l’assenza.
Non lei.
Non di nuovo.
Non senza una spiegazione.
«Non è tardi. Possiamo rimediare. Possiamo semplicemente sederci e parlare come facevamo un tempo.»
Ancora nessun passo in avanti. Megan manteneva le distanze e immobile guardava Emily. Accarezzava il suo volto bramando che fossero presto le sue dita a farlo spazzando via quel dolore che vedeva riflesso nella sua espressione, nascosto, poi, da una ciocca smossa da un improvviso soffio del vento.
Il solo pensiero di un rifiuto lasciava cadere in frantumi i pezzi del suo cuore.
Ti prego.
«Non devi essere forte per forza, puoi lasciarti andare... Si ha sempre bisogno di qualcuno.» Si protese verso di lei questa volta, nel tentativo di rompere quel muro che lentamente minacciava di separarle.
«Io ho avuto bisogno di te…»
Le parole tremarono fra le labbra rendendo evidente l’intensità di quel momento.
Ne ho ancora bisogno.
Socchiuse appena gli occhi e allungò il braccio destro. Le dita della mano avrebbero sfiorato il dorso di quelle di Emily nell’esigenza di stringerle appena se solo glielo avesse concesso. Il sinistro avrebbe accompagnato quel gesto solo qualche istante dopo, scostando via la ciocca vermiglia dal suo viso.
«Parlami, ti prego. Qualunque cosa sia successa qui non ha importanza, non può cambiare niente»
Poi, la fronte appoggiata alla sua. Le parole sussurrate ma decise: «Sono qui, E.»
Gli occhi non smisero di cercare le iridi chiare.
Guardami.
«Non voglio che questa sia la fine…»
Le palpebre si chiusero e il respiro si bloccò nuovamente nel petto.
Paura.
Il cuore non aveva smesso di martellare e lo stomaco di contorcersi come un serpente circondato dal calore dalle fiamme.


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view post Posted on 26/7/2023, 12:12
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P
aura.
Non avevo ancora compreso come domarla, come impedirle di influenzare le mie decisioni.
Dopo Horus, era divenuta una sfumatura del mio esistere, del mio modo di muovermi nel mondo.
Con passi silenziosi, in bilico, con fragilità.
Il mio corpo avanzava nella quiete che precede un’imminente tempesta; cercavo di non fare troppo rumore, provavo a non svegliare i demoni che avevo chiuso dietro la porta di una stanza troppo buia. Ma li sentivo agitarsi al minimo rumore e loro iniziavano a camminare avanti e indietro. Era così che aumentavo la loro ira. Li fuggivo. Fuggivo da tutti. Fuggivo da Lei.
La parte peggiore era non poterle dire la verità, non per codardia ma perché non volevo fare lo stesso errore che avevo commesso con Kevin o con Horus.
Non le avrei detto nulla perché non meritava di varcare la soglia dell’Oscurità con me solo perché ero stata troppo egoista.
Avevo voluto così tanto che facessero parte della mia vita, d’aver dannato le loro.
Non Ra, inveì la mia coscienza: lui era andato via, s’era liberato dei miei Demoni prima che fosse troppo tardi e quel pensiero arricciò le mie labbra in un sorriso così furente e addolorato che sarebbe stato impossibile per Megan non notarlo.
Non le avrei raccontato nulla perché avevo già vissuto entrambe le versioni di come sarebbe potuta andare: abbandono o rimorso. Horus aveva deciso di andar via, Kevin s’era buttato a capofitto nel Buio con me e la dannazione era il prezzo che aveva dovuto pagare.
Per colpa mia.
Per colpa mia.

Ma vedevo il suo dolore. La sofferenza che le stavo infliggendo solcava la pelle come fosse mia, attanagliava il petto e urlava alla resistenza di cedere, di stringerla a me, di fingere - almeno per una notte - che andasse tutto bene. Che potessimo ritrovarci, nonostante l’omissione di quel che ero. Potevo nascondermi dietro il ricordo che aveva di me? Sarebbe riuscita a trovare della verità nelle bugie che ero costretta a raccontarle?

Piano.
Respirai a fondo.
«Non devi essere forte per forza, puoi lasciarti andare... Si ha sempre bisogno di qualcuno.»
La sua mano a sfiorare la mia: tanto bastò per calmare il flusso di pensieri che tormentavano la mia mente costringendomi a tornare alla realtà, a tornare a Lei.
Con leggerezza.
Fu allora che chiusi gli occhi, quando le sue dita sfiorarono la mia guancia. Non perché non fossi in grado di guardarla, ma perché per un attimo, un solo attimo, il mio cuore volle cedere.
E il trambusto oltre la porta tornò a farsi sentire; i mostri ripresero a camminare, agitandosi. Ma la sua voce… Dio, la sua voce era in grado di attirare la mia attenzione, facendo sì che li ignorassi.
Avrei dovuto affrontare la loro rabbia più tardi ma era così bello fingere che non esistessero affatto, credere di essermene liberata.
Seguii il tocco leggero della sua mano piegando il volto, accompagnando la sua carezza e tornando a lei quando avvertii il dolce peso della fronte contro la mia. La sua pelle era così fredda da costarmi un brivido quando incontrò la mia, incandescente.
«Non voglio che questa sia la fine…»
E la guardai.
« Non posso permettere che ti succeda qualcosa. »
Mormorai col dolore aggrappato al petto, alla gola.
Alle mie parole.
« Anche se questo vorrà dire lasciarti andare »
Stringendo la sua mano con la poca forza concessami, mi resi conto che c’era una trama in quel che avevo appena pronunciato.
Non era quel che Lui aveva fatto a me?
Ma per il bene di chi, in quel caso?
Non il mio.
NON IL MIO.
E la rabbia imperversò. I demoni urlarono all’ingiustizia. E strinsi, strinsi così forte la presa da farci male. Scossi appena il capo, ruotando dolcemente sulla su fronte, spingendo però verso di lei, mordendomi il labbro mentre le lacrime imperversavano.
Mi sentii così debole, così pietosa, che la rabbia divampò.
Non potevo permetterle di abbandonarmi. A nessuno. Non di nuovo.
Non avrei retto.


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view post Posted on 9/9/2023, 13:49
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l cuore cedette. Un turbinio di emozioni fece tremare il petto ansante e la costrinsero a serrare le labbra per frenare un gemito di dolore.
Non ce la faccio.
Megan temette di non sopportare altro. Chiuse gli occhi, mentre il pianto silenzioso cadeva lungo le guance e si riversava a terra come pioggia silenziosa. Le parole cauterizzavano nella gola, a fatica soffocava i singulti e ad ogni spasmo stringeva sempre di più la presa nella mano di Lei.
Così, l’attesa divenne un tacito urlo; il più straziante che avesse mai sentito rimbombare nella sua testa.
Aveva così tanta paura di perderla, ammetterlo a se stessa era stato il primo passo e adesso si rendeva conto quanto fosse stato dannatamente imprudente essersi concessa quell’attimo di debolezza che si spargeva su di lei come lava incandescente. Un fiume di fuoco lento, inesorabile, che distrugge e non lascia traccia; solo strati di dura pietra difficile da scalfire.
«Non posso permettere che ti succeda qualcosa».
Lo stai facendo.
Si morse le labbra. La pressione esercitata bucò la pelle e un rivolo di sangue sgorgò lento dalla piccola ferita. Ferro e sale si mescolarono come il più potente dei veleni e Megan per un attimo sperò che sortisse su di lei il peggiore degli effetti.
«Anche se questo vorrà dire lasciarti andare».
La sentì stringerle la mano.
No…
«Tu non vuoi lasciarmi andare.
È così?
» Sussurrò piano.
Quanti pezzi della sua vita Emily aveva tentato di raccogliere con la volontà di restituirli intatti? Quando la consapevolezza che nulla avrebbe potuto aggiustarsi era giunta a lei come la più grande e imperturbabile sofferenza dalla quale non aveva in alcun modo potuto sottrarsi?
Comunque erano andate le cose, qualunque era stato il motivo che aveva condotto Emily davanti a delle scelte, a quella scelta, Megan sapeva: non vi era niente che poteva essere aggiustato. Un’anima rotta porta con sé profonde cicatrici per sempre e non importa quanto si provi a coprirle, torneranno a sanguinare.
E così, inevitabilmente, ferirà e sarà ferita.

Il cuore parve fermarsi per qualche istante, Megan fu certa di non sentire più niente.
La pelle di Emily bruciava e in quel calore, per la prima volta, non riuscì ad avvertire il tepore familiare avvolgerla. Fiamme pericolose minacciavano di ridurla in cenere se solo si fosse concessa di alimentarle. Tuttavia, non le importava se questo avrebbe voluto dire tenerla stretta a sé ancora per un po’.
Gli occhi si schiusero su di lei mentre il pollice spazzava via fervide lacrime sul suo viso pallido. E così il vento rispondeva al richiamo di quelle sensazioni in subbuglio e l’angoscia si trasformò in un forte vortice d’aria che avvolse i loro corpi stanchi del peso che premeva sulle loro esili spalle.
Fronte contro fronte.
La mano sinistra, dal volto, accarezzò il braccio e scivolò ad imitare la destra. Strinse la presa.
Si sostenevano come le estremità di un castello di carta, convinte, forse, di poter resistere solamente se fossero state l’una appoggiata all’altra.
Come in passato, accadeva di nuovo.
Insieme.

La paura era ancora presente e più di qualsiasi altra cosa giocava un ruolo fondamentale: deteneva il controllo sulle emozioni di Megan tanto che nulla sembrava davvero reale. E allora le domande vorticavano nella sua mente e, confuse, ripetevano il loro circolo vizioso senza tregua.
Chi erano state, Emily e Megan?
Perché era così dannatamente difficile lasciare andare per entrambe?
Tutto questo non era forse l’illusione di un rapporto nato dal nulla e cresciuto tra le più temibili delle circostanze? Dove erano le basi solide che lo tenevano in piedi? Che confermavano quanto in profondità i sentimenti avessero scavato nelle loro anime?
Cosa conoscevano l’una dell’altra?
Nulla.
Eppure… In qualche modo si amavano.
Tuttavia... In qualche modo si sarebbero fatte del male.
C’era sempre stato qualcosa tra lei ed Emily Rose. Qualcosa di così profondamente intellegibile che ora si manifestava in tutta la sua potenza e lasciava Megan vacillare nel vuoto.
Oh, se tutto fosse finito lì… Cosa sarebbe successo?

«Fuggire nell’Inferno per non distinguerlo dal proprio è un modo per confondersi in qualcosa di simile, ma non toglie il dolore.»
Il loro posto non poteva essere rilegato tra la polvere.
«Se pensi che questo sia il meglio per te, non posso costringerti a restare.»
Le parole tremarono tra le labbra.
«Ma non è il meglio per me.»
Abbozzò un lieve sorriso, amaro, mentre cercava le sue iridi nell’ombra.
Non aveva in alcun modo allungato le distanze, si era limitata a fare pressione sulle sue dita stringendole ancora un po’.
«Tutto questo non porterà altro che sofferenza ed io… Io sono stanca quanto te, credimi.»
Le sensazioni si placarono, il controllo riuscì a tornare tra le sue mani e le parole, difficili e cariche di pena, uscivano placide e chiare. Non v’era più nulla da nascondere, ormai il danno era stato fatto. Le ferite erano state aperte di nuovo.
«Ti prego solo di non scegliere per me, ma per te stessa.»
Le palpebre si chiusero.
Inspirò ed espirò lentamente.


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alsa.
Come potevo darle torto?
Conoscevo fin troppo bene il suo dolore. Era stato anche il mio.
E in qualche modo, lo è ancora.
Perché venir rifiutati dalla persona che dovrebbe amarti più di ogni altra cosa, è un sentimento che in pochi conoscono e, ai poveracci a cui è concessa tale orripilante conoscenza, non rimane molto di cui andar fieri.
E poco valore hanno le frasi fatti, tutti i “il tuo passato ti ha reso quello che sei”, perché no, le mie esperienze non mi hanno resa più forte. È per superarle che ho dovuto tirare fuori una volontà che non avevo al momento in cui i castelli - tutti - hanno iniziato a crollarmi sulle spalle ancora troppo fragili per certi fardelli.
Non è esattamente la stessa cosa, perché non c’è niente di peggio che sentirsi dire che le azioni altrui, quelle crudeli o volte a far del male - volenti o nolenti - ci hanno influenzato o, al più, plasmato.
Siamo quello che siamo perché abbiamo lottato contro le macerie e abbiamo arrancato verso il cielo.
Non per le rovine, ma perché contro di esse.
E io… Io non volevo essere la rovina di nessuno, figuriamoci di Megan.
Quel che provavo per lei, quel che tutt’ora ci lega, doveva essere il collante che ci avrebbe unito anche quando avrei lasciato Hogwarts e non la ragione per mandare tutto a puttane.
« Tu non vuoi lasciarmi andare. È così? », scossi la testa, spingendo ancora contro la sua fronte. Nella forza che imponevo per allontanarla, sentivo di riuscire a tenerla più stretta me.
Col volto tra le sue mani, mi sentii incapace di mentire. Ero troppo stanca di tenere un punto tanto debole, fin troppo in balia delle emozioni che quel contatto, quel non voler assolutamente rinunciare a me, mi provocavano.
« Non è il meglio per me, Megan », le donai una risposta a detti stretti, pronunciando il suo nome per intero, enfatizzando con rabbia ogni lettera, offesa che potesse azzardarsi a pensarlo. La sincerità costa, ma chi ne avrebbe pagato davvero il prezzo?
Nel riaprire gli occhi, non mi fu concesso il suo sguardo; erano le ombre a custodirlo mentre la luce, alle sue spalle, gettava tutta la sua attenzione su di me. Ero io a dover decidere, Lei non poteva far altro, aveva già tentato.
Continuò a tenermi il volto tra le mani; il suo respiro, incerto e trattenuto, bagnava le mie labbra e le braccia, strette intorno al suo ventre, unite oltre la sua minuta, candida schiena, davano tutt’altro l’idea che fossi pronta a lasciarla andare.
Urlavo parole al vento, che non si riflettevano nell’affanno con cui il mio corpo evitava le distanze.
« Promettimi solo che la tua vita avrà sempre la priorità sulla mia. »
E pur tirando indietro la testa per permettere a un fascio di luce di penetrare tra i nostri sguardi, non posso fare a meno di ricordare quanto pericolosamente fossero vicini i nostri volti.
Non posso non pensare alla leggera confusione che mi aveva pervaso nel riflettere sul perché fosse così difficile lasciarla andare e cosa fosse ciò che spingeva lei a restare.
« È l’unica condizione. L’unico modo. »
Strinsi più forte la presa sui fianchi forse, perché a contatto con la pelle, mi parve di sentire la sua schiena inarcarsi.
« Promettilo. E allora potrò permettermi di restare. »
Non fu una supplica quella che mormorai perché mai nella vita mi sarei permessa di pregare nuovamente qualcuno. Mai più mi sarei umiliata o avrei permesso al tormento di aver la meglio sull’amor proprio.
Tuttavia, non posso negarlo, la speranza spazzò, per un fugace eppur eterno momento, la nebbia nei miei occhi quando il tremolio della fiamma mi concesse di ammirare il mare nei suoi.


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view post Posted on 20/2/2024, 13:09
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Ocean eyes.

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And you’re not sleeping. Where are you now? Where’d you go?
When life can be so much harder and you keeping on running.
S
peranza.
Il vento parve calmarsi nell’attesa. Megan tornò a guardare Emily: il cuore martellante nel petto, il volto bagnato dalle lacrime.
Rimase immobile per tutto il tempo, spettatrice di un esodo che dettava condizioni precise. Le stesse che non avrebbe accettato se solo avesse avuto scelta. Le mani di lei strinsero con più forza i suoi fianchi, un brivido seguì lungo le gambe e risalì la schiena. Ghiaccio che colava sulla pelle, freddo che bruciava la superficie. Tremava e non riusciva a fermarsi, il cuore avido di sangue pompava violento nel petto rischiando di aprire lo sterno in due come una falla improvvisa nella roccia. La sensazione di paura si allargò oltre la sua figura, la sentì nel vento che con uno sbuffo sferzò sul tessuto delle sue vesti; tra i capelli, le cui ciocche coprivano parzialmente il viso. Chiuse gli occhi per un esiguo istante, cercava controllo e più tentava di afferrarlo, raggiungerlo e tenerlo stretto, più questo le sfuggiva dandole la sola ed unica illusione di una presa sempre più vicina ma inafferrabile.
Megan strinse le dita sulle sue, poi accarezzò dolcemente polsi ed avambracci, accompagnando quel movimento con lo sguardo. «Scusa» sussurrò, ancora vicina al suo viso. Rimase a guardarla, il tempo che bastò a contare un piccolo numero di costellazioni su naso e zigomi. La Luna, sopra alle loro teste, accendeva il rosso dei capelli di lei, i riflessi che ne scaturivano illuminavano le iridi oceano. L’immagine che aveva davanti ricordò a Megan una bambola di porcellana i cui pezzi erano stati grossolanamente rincollati dopo una, due, tre cadute: la sua espressione vuota, la struttura rigida, il bianco candido della texture della sua pelle che rifletteva l’assenza di un corpo al suo interno. Cosa era rimasto di Emily Rose?

Un respiro profondo.
Non puoi chiedermi una cosa simile, avrebbe voluto dirle. «Te lo prometto» disse infine, piano, facendo pressione con i polpastrelli sugli avambracci di lei.
«Dovrai fare lo stesso anche tu» tornò a sondare le iridi cineree e un sorriso sbieco, carico di malinconia, si fece spazio tra le labbra appena schiuse.
Posò un bacio sulla sua fronte. «Ti voglio bene, E.» sussurrò, staccandosi appena, ad un filo dalle sue labbra. Poi la mano tornò ad accarezzare il braccio e a cercare di nuovo la sua, qualche passo in avanti e l’avrebbe trascinata con sé qualora Emily glielo avesse permesso.
«Ti va di rimanere un po’?» chiese «Per tutto il tempo necessario» tirò il mento verso il satellite e il vento le accarezzò il profilo con leggerezza. Portò via un po’ di quel peso, in contrapposizione ad una nuova consapevolezza che giungeva nel più profondo anfratto della sua mente: nulla sarebbe cambiato.
Con tutte le sue forze sperò di sbagliarsi.


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