Caress, Privata

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view post Posted on 8/2/2023, 23:48
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Eccolo lì, ad annegare nel plumbeo fiume infernale della sua mente. Inerme, come un dannato senza torcia sull’orlo del più buio degli abissi, di cui era perfino in grado di avvertire l’umida profondità dall’odore, quasi fosse cosa reale. Ad aspettarlo, nel profondo del baratro, i demoni del suo passato, presente e futuro; mostri sprovvisti di volto ma dotati di occhi scintillanti, silenziosi nelle tenebre, capaci di rendere la notte perfino più buia.
Il quadro fedele di una sorte irrimediabile, un destino al quale non era possibile sottrarsi. Poteva forse ritardarlo, resistergli fino allo stremo, aggrappandosi ai barlumi di umanità che ancora tappezzavano il suo cuore straziato. Oppure, in maniera decisamente meno nobile, poteva – almeno per quella sera – rifugiarsi nel bere e vagare nelle lande della dissolutezza, schiavo di sensi annebbiati.
Si passò una mano sui morbidi capelli biondo cenere, gli stessi accarezzati con freddezza dal Signore Oscuro qualche ora addietro. Poté avvertire un brivido lungo la schiena al semplice riemergere di quel fresco ricordo. Si chiese cosa avessero provato le lunghe dita ossute, se fossero davvero capaci di percepire il tatto come lo facevano gli altri esseri umani o se – alla stregua di eterei artigli capaci di insinuarsi fin dentro l’essenza delle persone – fossero in grado di afferrare e graffiare i pensieri più reconditi, i sentimenti più intimi.
Forse la sua mente appariva all’Oscuro Signore come un intricato labirinto, esattamente come accadeva a lui stesso. Certo, se così fosse stato, si sarebbe trattato di un assurdo scherzo del destino. Non poté fare a meno di sorridere amaramente a quell’idea.
Le iridi etero-cromatiche non si unirono alle labbra, restando inespressive. I suoi erano solo pensieri folli, che gli intimavano silenziosamente di riprendere il controllo di sé. Possedeva ancora una coscienza dopotutto, seppur indelebilmente macchiata dall’omicidio. Quella sbavatura di sangue lo avrebbe accompagnato per il resto dei suoi giorni, minacciando di farsi sempre più estesa ed intensa. Un coltello eternamente conficcato a lacerargli l’anima ed il petto, del quale non era certo avrebbe retto il peso.
Fuggire. Poteva essere quella la soluzione? Correre via – come il codardo che forse era – da ciò che lo circondava e cercava di soffocarlo lentamente. Voltare le spalle alla realtà che già conosceva, al mondo che gli apparteneva, ed alle cose che ancora amava. Scappare da Hogwarts, dalla sua stessa casa, dai pochi affetti che gelosamente serbava nell’abisso del suo cuore incrinato. Dirigersi in capo al mondo, senza una destinazione particolare, per seguire il semplice ma complesso desiderio di ricercare un posto diverso, che avesse in sé il non essere quel luogo in cui era costretto ad esistere nella sua stessa evanescenza, come un fantasma intrappolato nell’universo terreno.
Ma i suoi demoni erano ombre, e come tali lo avrebbero seguito ricordandogli degli errori insanabili, delle scelte sbagliate e della profonda tristezza della sua esistenza.

«Due Whiskey Incendiari. Lisci.» Ordinò senza troppi convenevoli al cameriere che gli passò affianco, arrestandone bruscamente l’avanzata. La soluzione più facile per cercare di annegare l’implacabile flusso mentale. Non vacillò dinnanzi allo sguardo stupito dello sconosciuto, bensì lo sostenne con glaciale freddezza. Finché non ebbe la meglio.
Attese di essere servito nel silenzio più totale, facendo di tutto pur di non cadere nuovamente nei meandri della sua mente. Osservò distrattamente il locale semi-vuoto, perdendosi tra il leggero brusio della sala e i cigolii dei vecchi mobili in legno, tra l’odore della polvere e quello della birra, tra la luce soffusa degli interni ed il nero pece oltre le finestre consunte; il Paiolo Magico aveva sicuramente visto tempi migliori. Almeno in merito a quel particolare, riusciva ad avvertire una certa sintonia.
Quando il liquido ambrato giunse all’interno dei due Glencairn, Kevin si limitò a fare un cenno al cameriere. Non appena il secondo bicchiere toccò il tavolo, adagiandosi al fianco del primo, la sua mano si mosse istintivamente ad allontanarlo. Spostò il whiskey verso l’estremità opposta del tavolo, all’indirizzo della sedia vuota dinnanzi a lui.
Restare. La vera soluzione. Il suo inconscio – che forse rappresentava in quel momento la parte di lui più assennata – già sapeva. Agiva.
Si affidava a Lei, senza la certezza che ciò si trattasse di vera salvezza. Poteva anche essere eterna distruzione, ma non gli importava. Le fiamme, dopotutto, erano capaci di purificare come di annientare. Così come il whiskey. Così come Emily Rose.
Ma qualcosa di profondo lo spingeva ad aggrapparsi a quella flebile e silente promessa che si erano fatti, alla carezza delle delicate dita sul letto di ospedale, le uniche in grado di far diventare quelle cadaveriche e ossute un lontano ricordo.
Sedeva dunque al tavolo, in solitudine come un forestiero, con le iridi etero-cromatiche immerse nel vuoto profondo. Osservava senza realmente vedere i due bicchieri di whiskey dinnanzi a lui, rifuggendo saggiamente dal tumulto, cercando barlumi di quiete, giacché gli era impossibile trovarla dentro di sé.
Nell'oblio. Anelava le fiamme, il whiskey, una carezza.

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view post Posted on 11/2/2023, 16:56
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Ti trascinasti fino a casa, quella mattina. Non c’era nulla che potessi fare per Matthew stando in ospedale, t’avevano detto. E non importò quanto torva apparisse la tua espressione, la minaccia di riportare le tue riflessioni al Capo del San Mungo, ti fece desistere. Quel luogo, dal primo all’ultimo piano, sembrava vivere in un modo a parte dove, il confine labile tra ciò che bene e ciò che è male, tutt’ora non esiste. Quindi, con le mani in tasca, ti lasciasti l’odore asettico alle spalle, il mormorio che giace tra le mura come un’eterna litania… Il peso di Kevin sul petto.
Nell’andare oltre i cancelli della tua ritrovata Dimora, l’odore di arso ti pervase, strattonandoti con prepotenza, rendendo incerto il tuo avanzare. Provasti a tirare dritto, fino all’ingresso, con il timore di poter anche solo adocchiare l’angolo delle serre bruciate. Le mani, a quel pensiero, presero a far male con ferocia. Te lo ricordi, Emily? Cosa provasti quando, con le dita chiuse intorno al portone d’ingresso, sopraggiunse la consapevolezza di aver tolto un’altra vita.
Se l’è meritato, ti rispondesti ma ciò non alleviò il tuo cuore, ridotto in cenere come i narcisi che Mat tanto curava. Li curava per te, sai? Ha continuato a farlo anche dopo, quando ti ha stretto tra le braccia tremanti sussurrandoti che andava tutto bene.
Deve averne viste di cose orribili quel pover’uomo e non smettesti di pensarci fin tanto che l’acqua bollente non coprì il tuo corpo, mentre ti calavi nella vasca e andavi giù, in apnea, tra le bolle che sapevano di miele.
Riemergesti d’un fiato, l’eco del tuo anelare all’aria s’infranse contro le pareti vuote. Il vapore s’alzava dalle braccia, allontanando l’umidità dall’epidermide calda. Quanto tempo rimanesti lì? Fissavi il vuoto, incapace di soffermarti su un’unica riflessione, inabile nel fare alcunché.
Ogni tanto riprendevi fiato tra gli effluvi dell’acqua, in bilico nell’aria che inalavi a stento, e ti ricordavi di avere una ragione per arrivare a sera. Avevi acconsentito tacitamente ad una richiesta e nel renderti conto di giacere in una pozza di bollicine spente e di gelo, continuavi a chiederti se fosse la cosa più giusta.
Kevin mi è sembrato a pezzi, provasti a dirti, portando il polso allo specchio per pulirlo dal panno umido che ti regalava una versione distorta del tuo viso. Ma avevi veramente abbastanza forza per farti carico del suo dolore, quel giorno?
Avresti voluto poggiare anche tu il capo sul petto di qualcuno e lasciarti andare. Lo avresti fatto davvero?
Ti lasciasti dietro i teli madidi mentre attraversavi il corridoio che portava alla tua camera da letto. I capelli bagnati lasciavano lacrime lungo il cammino, appiccicandosi alla tua schiena come vene macchiate di cruore su marmo bianco, ma opaco.
Ti avvicinasti alle tende e, dall’altezza del tuo trono, osservasti a lungo le macerie che avevi creato, fin tanto che il sole non sparì oltre l’orizzonte, accompagnando il nascere della sera.

Quando le tue mani spinsero via la porta dimessa, l’odore del camino fu la prima cosa che invitò ad accomodarti. Non fu difficile per te notare il Tassino accanto al bancone. Ti fermasti, dinanzi al suo profilo, come sorpresa che fosse lì. T’era forse assalito il dubbio che non ci fosse?
I tuoi passi si mossero lenti. Qualcuno avrebbe potuto leggervi una nota d’indecisione se solo si fosse interessato a te, se solo ci fossero state più di una manciata di persone intorno ai tavoli che riempivano in modo caotico l’irregolare stanza.
Gli passasti accanto, superandolo di mezzo metro prima di voltarti e lasciarti cadere sullo sgabello, al suo fianco. Gli occhi, arrossati, tinti da una colata d’oro fugace, si posarono prima sul bicchiere. Al suo interno giaceva quel nettare in grado di convincerti di aver fatto la scelta più giusta. Quella di essere lì.
Lo sguardo ricadde sul legno consunto e scivolò con cautela sul braccio di lui, fino a raggiungere il collo, risalendo lungo la giugulare per poi infrangersi sul suo volto.
« Non hai iniziato a bere » una felice constatazione nell’abbracciare a fatica il vetro attorno a dita consumate dalle fiamme, « Dovevi proprio essere sicuro che sarei venuta », aggiungesti quasi con un velo d’ironia, se non fosse stato per il fatto che la tua voce risuonava così stanca da essere ridotta a un filo sottile.
Pensasti a quante volte avevi persino dimenticato che fosse esistito prima nella tua vita e, invece, in quel momento, era proprio con lui che avevi deciso di condividere la tua distruzione.
Ti chiedevi se riuscisse a far finta di non vederti a pezzi. Se capisse quanto ti fosse costato essere lì, provando ad aggrapparti a quel poco che ancora giaceva intatto dentro di te.
Oppure avrebbe capito quanto tu fossi persa?
E, guardandoti, si fosse reso conto di quanto foste simili.
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view post Posted on 10/3/2023, 16:14
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Ancora lì, immobile nella sua aurea di pateticità, in silenziosa polemica contro l’ingiustizia insita nella sua stessa esistenza. Animato dall’effimero quanto appassionato sforzo di rimanere presente a se stesso, nonostante la realtà architettasse di tutto per condurlo verso la distruzione.
Ancora lì, sospeso nell’atmosfera come un solletico di musica da quattro soldi, sommesso nell’angolo più remoto di una Londra silente. Lì, con il peso nel cuore ed un velo di pece sugli occhi distratti. Con due bicchieri dinnanzi, e cento demoni alle spalle.
Avrebbe pagato da bere ad ognuno di loro, ma a nessuno di essi avrebbe lasciato prendere il sopravvento. Li avrebbe domati, sedati con il nettare della dissoluzione, combattuti fino allo stremo; e mai si sarebbe consegnato ai loro artigli. Avrebbe caricato il peso di quel fardello sul cuore incrinato, soffocando le bestie fino a farle sparire. Fino a renderle parte di sé, schiave però di un’invisibilità perenne.
Nessuno ne avrebbe conosciuta l’esistenza. Nessuno li avrebbe mai più notati. E lui sarebbe stato ancora lì, con i bicchieri probabilmente vuoti, e niente alle sue spalle.

Era tuttavia riuscito ad aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno che non fosse egli stesso. Ad una persona che – lo percepiva nel profondo dell’anima – poteva conoscere demoni assai simili ai suoi.
Quella che lo legava ad Emily Rose era una tacita connessione, ammantata di morte e vitalità al tempo stesso. Due tizzoni ardenti che avevano danzato in passato sotto il medesimo fuoco, per poi separarsi e rotolare lontani l’uno dall’altro. Piogge differenti avevano spento il loro ardore, e venti differenti avevano cercato di ravvivarne invano la scintilla. Mani diverse ne avevano infine sgretolato la consistenza. E loro, spezzati e comunque indistruttibili, erano tornati a rotolare. Si erano poi ricongiunti nel punto di origine; le fiamme non vi erano più, eppure erano entrambi tornati a bruciare, ad auto-alimentarsi, finalmente consapevoli di non essere poi così diversi.
Una sensazione lacerante, quella di non sentirsi soli nella sofferenza. Ma anche il sollievo più grande.

Immerso in quei pensieri, l’attese. Attorno a lui i suoni rimanevano indistinti, le facce inconsistenti. I due bicchieri sul bancone in legno erano un silenzioso richiamo, al quale tuttavia resisteva imperterrito. Lei sarebbe venuta, e l’avrebbe salvato dall’abisso.
E mentre osservava le sfumature ambrate dentro al Glencairn, un’ombra gli passò accanto. La fragranza dei suoi capelli risvegliò in lui un ricordo che credeva perduto. Kevin socchiuse gli occhi, inarcando appena la nuca. Fu travolto dal suo arrivo prima ancora che si materializzasse al suo fianco, avvalendosi della consueta eleganza di quella chioma baciata dal fuoco. Seducenti zampilli rossastri: come falò nei boschi, regnavano sul buio circostante.
E occhi chiari, di un azzurro quasi argenteo. Occhi colmi di un’emozione nascosta, sopita nell’iride come un antico tesoro seppellito nelle profondità della terra. Occhi che sembravano capaci di guardargli attraverso. Silenziosi e possenti; pieni di vita e pieni di morte, in egual misura. Occhi che conosceva, nei quali riusciva quella sera a specchiarsi come mai prima.
Accolse le gemme azzurrine e ne seguì gli spostamenti, volgendosi a loro. Ne abbracciò l’essenza e, in silenzio, le invitò a scrutargli dentro. Lui si trovava lì, inerme, spoglio del muro della diffidenza. Con l’anima indelebilmente macchiata di un sangue estraneo, all’apice della fragilità interiore, ma aperta all’unica persona che poteva comprenderla senza giudicarla.
Non crollavano le macerie della sua intima essenza, sorrette com’erano da quell’inspiegabile desiderio di provare ancora emozioni autentiche, unica vera fonte di salvezza dalla sua personalissima dannazione eterna. Non crollavano, perché lui vedeva Emily, e vedeva le sue ferite. Le sentiva, le comprendeva. Vi erano certo i segni visibili, quelli che costellavano la pelle nivea delle sue mani delicate, ma era per lui impossibile fermarsi alla semplice evidenza. No, alcuni segni non si potevano osservare, eppure erano estremamente reali, perfino più dei primi. Capiva che esisteva un mondo nascosto al di là dello sguardo della ragazza, celato dietro al tenue rumore della sua voce che infine accarezzò l’aria come un sospiro.
«Non hai iniziato a bere. Dovevi proprio essere sicuro che sarei venuta»
Una constatazione semplice, che nascondeva un significato profondo. Si chiese se fosse davvero così: era stato tanto sicuro che sarebbe venuta? Forse era semplicemente l’unica cosa alla quale aveva potuto aggrapparsi, proprio come quando le dita ossute dell’Oscuro Signore avevano accarezzato i capelli biondo cenere: non aveva forse chiuso gli occhi, aggrappandosi con tutto se stesso all’idea che le mani fossero quelle di Lei? Non era stato forse quello ad impedirgli di crollare?
«Un secondo in più e li avrei bevuti entrambi» Mentì lui con maestria, cercando di nasconderle un mezzo sorriso. Non le avrebbe confessato quanto profondamente grato le fosse per non essere venuta meno a quella tacita richiesta di aiuto partorita nel letto di un ospedale. Voleva dire tanto per lui, ma nel profondo forse Emily già lo sapeva.
Lasciò che ella prendesse posto al suo fianco, resistendo all’impulso di abbandonarsi alle sue braccia, di urlare, di piangere, di spaccare il bicchiere contro il muro. Avrebbe voluto far esplodere la cacofonia di emozioni che lo straziava dall’interno, ma non lo avrebbe fatto a discapito della ragazza, cedendo all’egoistico bisogno. Lei era lì per lui, ma non doveva dimenticarsi che anche lui era lì per lei.
«Brindiamo allora» Disse improvvisamente, afferrando il bicchiere colmo del liquido ambrato e aspettando che Emily lo imitasse. «Alle nostre anime tormentate, che non ci fanno dormire la notte. Ma che riescono forse a farci sentire meno soli, poiché accomunati dalle medesime disgrazie» E sulla scia di quelle parole, incrinate appena dall’emozione di mostrarsi in tutta la sua autenticità, le iridi etero-cromatiche si mischiarono a quelle argentee. Sondarono quel mare ghiacciato senza invadenza, desiderando solo di perdervisi eternamente.
Il liquore ambrato e avvolgente avrebbe allora dato profondità al tempo, annebbiando appena i sensi e rallentando la loro caduta verso gli abissi. Simbolicamente, li avrebbe uniti ancora di più in quel legame. I due tizzoni ardenti, che potevano ancora illuminarsi a vicenda grazie alla flebile luce delle loro anime incrinate, mentre i demoni attorno non avrebbero potuto far altro che guardarli con impotenza.
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view post Posted on 1/4/2023, 20:01
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Non riuscivi a distogliere gli occhi dai suoi giacché lui per primo continuava ad osservarti con insistenza. Reggevi lo sguardo senza apparente fatica, cercando di carpire ogni emozione, lasciandoti confondere dal bagliore che avrebbe potuto avvolgerti se solo glielo avessi permesso.
Ti chiedesti, per un breve attimo, cosa lo avesse ridotto così e, nell’intima luce che abbagliò i tuoi pensieri, ti rispondesti con dolente consapevolezza: nulla se non ciò che s’era infranto sul tuo stesso cammino.
Ci riuscisti, però, alla fine. A chiudere gli occhi. Ciglia rosse ad adombrare le efelidi illuminate da deboli candele. Gli regalasti il profilo mentre la mano si arrendeva al gelo del bicchiere e l’agguantava senza forze.
Sorridesti appena, te lo ricordi? C’era tristezza in quel tenero sbuffo e nulla per cui brindare. Alzasti comunque il liquido ambrato verso l’alto, catturata dai movimenti irrequieti al candore delle piccole fiamme.
Nel voltarti verso Kevin, le labbra si schiusero e trattenesti le labbra curvate. Non eri ancora pronta a mostragli la tua fragilità, non ora che ogni fibra del tuo essere era piegata ad accogliere il suo dolore.
Perché, Emily? Era ancora senso di colpa quello che ti spingeva verso di lui? Come falena attratta dalla luce.
Luce.
Flebile ma così luminosa che piegasti il busto verso di lei, più di quel che sarebbe bastato per brindare alle vostre anime. E lì ti perdesti nuovamente nel mare dei suoi occhi, cercando di sondarne gli abissi. Lentamente ti muovesti verso la riva, dove l’azzurro ti permetteva ancora di toccare con sicurezza il fondo, rimanendovi ancorata, volgendo il coraggio verso l’orizzonte verdastro. Cosa sarebbe successo se fossi andata oltre? Lì dove la profondità diveniva di un cobalto così intenso che avrebbe potuto dissuadere il più temerario degli uomini.
« Dovresti circondarti di persone meno disgraziate allora » tentasti, le iridi tese altrove, arenate.
Lasciasti cadere il bicchiere sul bancone, non perché non avessi bisogno di bere - in quel momento più di qualunque altro - ma perché il dolore era divenuto intollerabile. Allentasti la presa sul vetro e piegasti appena le nocche prima di riprovarci, ignorando il tremore che scuoteva sommessamente le spalle, poggiando i gomiti per trattenerlo. Per reggere il peso dei tuoi sbagli.
Il Whiskey incendiò la gola, giungendo all’affanno annidato al centro del petto e provò, invano, a scioglierlo. Un leggero brivido, invece, delineò perfettamente la linea della tua schiena arcuata e increspò la pelle nuda. E in quel paradosso, vertebra dopo vertebra, trovasti sollievo.
« Perché? »
Improvvisa, giunse la tua domanda e sul momento, ti mancò il respiro.
« Perché sono qui? » Perché io?
Come biasimarti, cercasti un motivo per sentirti meno orribile. E, quasi al pari di una preghiera, ti volgesti a Kevin, con l’espressione di chi non ha più nulla da perdere. Avevi donato un altro pezzo della tua anima all’oscurità e, con egoismo, ti aggrappavi a qualsiasi cosa fosse in grado di regalarti una versione diversa di Te. Di ciò che eri diventata.
Ti sentisti inerme, dinanzi a lui. Eravate simili, diceva, ma infondo sapevi che non era del tutto vero. Avresti voluto urlarglielo, dirgli che si sbagliava, che non avrebbe mai dovuto affidarsi a te. Non avrebbe mai dovuto lasciar cadere il suo capo sul tuo petto, unendo i vostri battiti che avrebbero anche suonato la stessa sinfonia, sì, ma restavano ancora troppo distanti.
Non riuscisti più sostenere i suoi occhi, forse per paura che ti guardasse dentro e capisse, in fine, quanto fossero diversi i crimini di cui vi eravate macchiati. Perché tu li credevi diversi, vero?

Siamo simili, provasti a ripeterti mentre lo supplicavi tacitamente di non rispondere.

E, nel profondo, invocavi con ardore il suo nome affinché lo facesse.
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view post Posted on 16/4/2023, 19:00
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Il volto di Emily si fece più vicino, a tal punto da sembrare intenzionato ad immergersi nel flusso eterocromatico delle sue iridi, intenso specchio di quelle della ragazza. La distanza di un sospiro – forse lo stesso che gli mancò in quel preciso momento – a separare l’oceano dei loro occhi.
Da quella breve distanza, la bellezza della ragazza era capace di avvolgerlo. Lo accarezzava dolcemente con le sue mani eteree, simili a quelle di una giovane madre. Al tempo stesso, incuteva in lui la stessa paura della funesta tempesta in grado di scuotere terra e cielo.
Una bellezza che era delicato sussurro, in grado di parlare direttamente alla sua anima e, al contempo, di cedere ai suoi silenzi come una fievole fiamma, tremante all’incombere dell’oscurità. Emily era la fiamma, lui era l’oscurità. Lui era la fiamma, Emily era l’oscurità. Uno scambio alla pari, tacito accordo di due cuori martoriati dalle contraddizioni, provati dal fato e dal tempo.
Una bellezza che sorgeva da Oriente, come il sole più luminoso, ma che solo nel momento del tramonto emanava la sua vera essenza.
La bellezza di Emily viveva nel fascino della luce morente, nelle oasi crepuscolari create dall’orizzonte aranciato, il quale si fa sempre più intenso in direzione del suo oblio.
La bellezza di Emily si abbandonava alle tenebre più oscure, ed in esse continuava ad esistere con l’intensità di una stella.

Lui, Kevin, si perse in quell’oscurità ma non la temette, non se ne sentì sopraffatto. La accolse invece nel suo cuore, deciso a farne tesoro. Non aveva più paura delle tenebre, giacché il suo animo vi si era ormai immerso completamente. Capì, piuttosto, che solo attraverso quell’oscurità sarebbe stato in grado di vedere Emily per davvero.
Sostenne dunque lo sguardo ravvicinato e, istintivamente, si fece anch’egli avanti di un centimetro. Sondò l’azzurro delle iridi della ragazza, naufragando nelle sfumature argentee di quel mare d’inverno. Poté sentire il respiro di lei sulle labbra socchiuse, come carezza del vento sulle fronde degli alberi. Passarono interminabili secondi, senza che vi fosse bisogno di proferire parola.

Il debole lume delle candele le baciava il volto, creando giochi di luci e ombre sulle efelidi sparse. Il candore della sua pelle era tela perfetta per la luce calda delle fiammelle. Il silenzio amplificava ogni minimo dettaglio, immobilizzando i loro corpi in uno spazio sospeso e immutabile, difeso da qualsiasi interferenza esterna.
In quel luogo astratto – eppure così reale – non esisteva nient’altro che loro: nessun Paiolo Magico, nessuna Londra, nessuna Hogwarts. Nessun Signore Oscuro. Nessun omicidio.
La mano tremò improvvisamente, facendo vacillare il liquido ambrato dentro il bicchiere. Emily aveva appena posato il proprio, anche lei colta dall’incertezza. Eppure, alcune parole uscirono dalle sue labbra e si adagiarono nell’aria: un monito, o forse un consiglio, ma di quelli che difficilmente venivano seguiti perfino da chi si trovava a darli.
«Impossibile. Temo di avere un debole per le persone disgraziate.» Aveva cercato di nasconderle il mezzo sorriso, ma la risposta era giunta comunque istintiva, ironica quel tanto che bastava da non minare la veridicità di quelle parole.
Fu a quel punto che bevve dal Glencairn. Il whiskey avvolse il suo palato e si infranse sulla sua gola come cascata infuocata. L’improvviso calore nel petto gli fece provare un contrastante sollievo, mentre un brivido improvviso gli graffiava le spalle partendo dalla nuca. Il corpo si irrigidì appena, lasciando poi che il braccio scattasse in direzione del bancone per posare il bicchiere ormai vuoto. Infine, si rilassò al tepore della dissoluzione.
In quella cacofonia di sensazioni, si insinuò una voce – quella di Emily. E una domanda, la più semplice e complessa al mondo.
«Perché?»
Un pesante silenzio a scandire il momento, nel quale gli occhi di Kevin cercarono intensamente un appiglio in quelli di Emily. Lo trovarono solo per un istante, mentre lei si volgeva completamente verso di lui, prima che le sue labbra si muovessero ancora.
«Perché sono qui?»
Lo sguardo della Serpeverde si distolse, come foglia cullata via dal vento dell’incertezza. Ma la mano di Kevin si mosse rapida per afferrare la lamina in volo e non perderla. Si allungò istintivamente, andando a cercare quella di Emily.
Provò un brivido quando le loro pelli si toccarono – quella della ragazza fredda come neve – ma non ritrasse l’arto a quel contatto improvviso. Lasciò invece che una lieve carezza risvegliasse il dorso della mano di lei, per offrirle l’appiglio di cui sembrava necessitare. Emily gli pareva spezzata almeno quanto lo era lui, e tanto bastava per dargli la forza di non restare inerme. Lui era lì per lei, a prescindere da quanto simili o diverse potessero realmente essere le loro anime, o le ombre che le attanagliavano. Non importava quanto oscuro potesse risultare il suo cammino, avrebbe da quel momento in poi lasciato sempre accesa una flebile luce per lei, per darle modo di trovarlo anche nel più profondo degli abissi.
Era un legame, il loro, che percorreva strade invisibili, diramate in tante piccole vie che rispondevano al nome di comprensione, empatia, appartenenza. Un vincolo reciproco, vissuto però nella libertà più assoluta, capace di coinvolgere a tal punto da riuscire ad appagare ogni mancanza tangibile. Il loro legame era approdo all’orizzonte di un mare in tempesta.
Non sempre, dopotutto, l’isola sulla quale si desidera ardentemente sbarcare ha l’aria di una terra lucente e piena di vita. Rare volte, è possibile trovare più conforto nel terreno arso, laddove la nascita di un singolo fiore ha tutta un’altra valenza. È nelle terre aride che si impara infatti a custodire le cose davvero importanti, l’indispensabile, ciò che ci permette di esistere e non diventare noi stessi granello di sabbia nel deserto circostante. Lui si sentiva pronto ad essere quell’isola, per Emily. E voleva sapere – doveva sapere – se lei era pronta a fare lo stesso.
*Ecco perché sei qui.* Si disse.

Le lasciò lentamente la mano, per non far sì che il contatto divenisse per lei opprimente. Distolse lo sguardo ma non arretrò, rimanendo invece isola calma e paziente. La sua voce risuonò tale, quando avvolse l’aria tra di loro.
«Sei qui perché nessuno di noi è mai completamente isolato dentro di sé.» Una pausa. Le iridi eterocromatiche si soffermarono sulle mani di Emily, segnate dalle fiamme. Avrebbe voluto sapere di più su quell’incidente, sul passato della ragazza e su ciò che realmente provava. Avrebbe voluto, sì, e al contempo non lo riteneva necessario. Non gli serviva sapere, quando era in grado di capire.
«Sei qui perché ricerchi te stessa, e sai che l’unico modo per ritrovarti è farlo attraverso gli occhi di chi riesce a vederti dentro.» E la guardò, sperando che lei comprendesse. La guardò, e vide.
Vide la fragilità del suo petto e le crepe nel suo cuore. Vide l’ombra cinerea sul suo volto ed il profondo oceano dei suoi occhi, e sperò che gli restituissero lo sguardo. Si sarebbe allora sporto ancora un po’ verso le acque azzurrine, ora argentee, desiderando nient’altro che sprofondarvi.
E, attraverso quello specchio, avrebbe visto il legame che li univa, sottile come un filo di seta. Ed avrebbe capito, infine, che era semplicemente destinato ad esistere.
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view post Posted on 10/5/2023, 21:25
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Un ultimo respiro di lei morì sulle tue labbra, Kevin, ora che avevi avuto l’ardire di avvicinarti, piegando a tuo volere una distanza che avevate, in qualche modo, imposto alle vostre anime.

E lei… Non si ritrasse, non ne avvertì il bisogno. Si limitò a chiudere le palpebre e riaprirle con dolcezza, l’argento ad ammantare i lineamenti del volto dell’uomo che le sostava difronte, chiedendosi quanto a lungo avesse intenzione di sfidarla.
A cosa poi?
Lo sguardo risalii sulle guance, per poi solcare nuovamente il mare baciato da calde fiamme. E temette che, se solo avesse ripreso a respirare, lui si sarebbe allontanato. Necessitava di quell’illusorio contatto, si scoprì incapace di provi rimedio e quando il petto s’alzo attingendo all’aria di cui sentiva la mancanza, capì che sarebbe bastato così poco per stringersi a lui, lasciando che il calore dei loro corpi prendesse il posto di qualsiasi altra futile parola.
Era stata una giornata infernale, per entrambi; sarebbe bastato abbandonarsi tra le braccia dell’altro per distrarsi dal male che li attanagliava?
Sarebbe stato giusto?
E allora non sarebbe esistito nient’altro che loro. Nessun Paiolo Magico, nessuna Londra, nessuna Hogwarts. Nessun Signore Oscuro. Nessun omicidio. Non le fiamme, né la distruzione. Nessuno ad abbandonarla.
In quel preciso istante, mentre ancora si domandava se la sua audace tentazione sarebbe stata un atto di coraggio o di debolezza, il silenzio venne spezzato improvvisamente, colpito dal suono codardo della sua stessa domanda e dall'inaspettata risposta che seguì a sconvolgere l'equilibrio fragile dell'atmosfera circostante.
«Impossibile. Temo di avere un debole per le persone disgraziate.»
Un piccolo sbuffo colorò l’aria e fu costretta a chinare il capo, come a volerlo - a volersi - nascondere. Le labbra si posarono sul braccio riverso sul bancone, i capelli ricaddero lungo le guance. Strinse il palmo, il volto contro l’epidermide arsa e bollente; lo sguardo ancora una volta lontano da lui, ad arrancare sulla spiaggia salvifica, per paura di annegare tra quelle onde.
Con la coda dell’occhio vide scivolare il bicchiere di Glencairn sul legno consunto e, assorta, aveva cercato il riflesso di Kevin nel vetro, appannato dalle impronte della sua presa. Nell'attesa avvolgente, con il sorriso sbiadito a sfiorare ancora le labbra socchiuse, sperava fervidamente di ricevere una risposta affinché potesse lenire la terribile domanda che - per qualche motivo - l'affliggeva.
Incapace di stare ferma, col silenzio che premeva sul petto come un macigno, raddrizzò la schiena, scuotendo appena il capo per ricomporsi. E poiché era impossibile guardarlo, aveva cercato appiglio nei meandri della sala che li accoglieva. Il sussurro del cameriere, le ombre tremanti dell’arredo, il tonfo dei bicchieri… Qualsiasi cosa pur di sfuggire all’attesa della sentenza.
Il tentativo di chiudersi, di indietreggiare, divenne però fallimentare nell’esatto momento in cui Kevin aveva afferrato la sua mano, impedendole l’imminente fuga.
E allora, quella domanda che avrebbe tanto voluto rimangiarsi, tornò ad esistere con più prepotenza.
Perché io?
Lo sguardo, chinato su quella tenera unione, s’addolcì. Le spalle si rilassarono ed Emily prese un lungo respiro, socchiudendo gli occhi a ogni leggera carezza. Dio, quanto ne aveva bisogno.
Strinse la presa, con delicatezza.
Le aveva ripetuto così tante volte che non l’avrebbe più lasciata sola che ormai, un gesto del genere, non avrebbe dovuto sorprenderla affatto. Eppure era lì, con la fronte corrugata, lo sguardo rapito, come un cucciolo ferito che si chiede quando arriverà la prossima punizione.
Strinse la presa, nonostante le sue recondite paure, perché era lì per Kevin, non il contrario.
Eppure… Era il Tassino a prendersi cura di lei e quel mare spaventoso che Emily desiderava ora solcare, era divenuto meno temibile.
Le avevano detto che non valeva la pena vivere negli abissi, che era meglio anelare al cielo; ma avevano peccato di omertà su una cosa: più in alto affretti la tua avanzata, più rovinosa sarà la caduta. E invece, quel mare che fissava dal fondo del buio in cui si era rinchiusa… Poteva raggiungerlo? Poteva bearsi della calma che aveva da offrire?

Quando lui ritrasse la mano, l’espressione sul volto di Emily si colorò di un’ingenua ingiustizia; rimase a lungo a fissare lo spazio intangibile che si era nuovamente frapposto tra loro e un tenero broncio arricciò le labbra che si schiusero a fatica.
«E tu, cosa vedi?»
Sussurrò infine, alzando lo sguardo, lentamente, come si fa nell’accarezzare la fragilità di cose preziose.
Senza fretta, per timore che lui potesse davvero vederla; ma quando incontrò la tranquillità delle onde silenti che avvolgevano il suo sguardo, scoprì, in vero, di non riuscire a percepire nient’altro che lui. Le sue ferite, la sua forza. E nel suo avvicinarsi, nel pericoloso avanzare ai bordi dell’Abisso qual era, tornò a farsi sentire l’incessante bisogno di risalire in superficie e accettare quella promessa di pace.
Così vicino che poteva sentire il suo respiro scivolare sulle guance, carezzare la pelle nuda—
«E non ho comunque sentito una vera risposta, Confa. »
E, se solo avesse chiuso gli occhi, abbandonandosi, avrebbe rischiato di non riceverla mai.
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view post Posted on 17/7/2023, 20:29
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Si era abbandonato alle acque azzurrine delle iridi che indugiavano dinnanzi a lui, come l’estuario di un fiume in procinto di concluderne il cammino verso il mare. Era rimasto in balia di quell’intensità silente, lasciandosi cullare dalle onde calme e al tempo stesso così violente. Aveva finito per mischiarsi egli stesso alle eleganti sfumature argentee, come olio su tela. Sotto lo sguardo persistente della ragazza si era sentito improvvisamente senza difese, eppure al sicuro come non mai.
Non gli era dato sapere quali misteri nascondessero le profondità di quelle acque; Emily sapeva bene come non esporsi mai completamente, e Kevin aveva oramai imparato ad accettarlo e a rispettarlo. Ma ciò non voleva dire che si sarebbe accontentato della superficie, dei segni convenzionali che era possibile scambiarsi senza alcun pericolo. Affatto, si sarebbe addentrato negli abissi perché era per lui impensabile appagarsi di qualche piccola goccia del mare sconfinato, per poi restare assetato per il resto della vita.
Per lui che viaggiava costantemente tra due estremi, quelli dell’assenza e della sconfinatezza, era impossibile vivere nel mezzo tra il vuoto cosmico e l’emozione più intensa.
Era sicuro che Emily riuscisse a capirlo, che percepisse la sua necessità di vedere attraverso la torbida limpidezza di quello specchio d’acqua. Sperava fortemente che, in qualche modo, lei condividesse quell’intimo bisogno di scavare al di sotto della superficie. Avrebbe dato tutto un altro senso al loro legame appena riscopertosi. Desiderava poter contare sulla ragazza; viceversa, voleva che lei potesse fidarsi di lui senza riserve, a prescindere da tutto. A prescindere dal fatto che la vedesse incrinata come non lo era mai stata. Spezzata, come l’anima stessa del ragazzo.
Eppure, nonostante le sue ferite, lui era lì per offrirle una mano da afferrare negli abissi; sarebbe poi stato a lei scegliere se fare leva su di essa per rimettersi in piedi oppure trascinarla con sé nell’estrema profondità di quell’oblio.
Da un lato, sapere di trovare Emily ad attenderlo rendeva la discesa verso l’oscurità un po’ meno dolorosa. L’omicidio avrebbe macchiato per sempre la sua esistenza ma – e lo sentiva nel profondo – non era nulla che la ragazza non sarebbe riuscita a comprendere. Osservandola quella sera, gli sembrava addirittura che lei sapesse già tutto, senza che vi fosse stato il bisogno di spiegarle alcunché.
E lui – dannato lui – non desiderava altro che lasciarsi andare. Voleva accarezzare il legno dei vascelli che in quello stesso mare avevano affondato le proprie speranze, osservare i resti delle città che ne erano state sommerse, i volti delle persone che l’abisso aveva chiamato a sé. Si sarebbe unito a loro volentieri, fosse anche per una singola notte. Perché chiudere gli occhi e annegare gli sembrava l’unica via di uscita possibile.
Quelle oscure profondità, dopotutto, erano per lui spiagge sulle quali naufragare. Luoghi paradossalmente ameni, cheti come le rare anime che lo sconfinato mare era riuscito a sanare piuttosto che annientare. Quel medesimo mare che rispondeva al nome di Emily Rose e che, in un punto non identificabile del proprio microcosmo interiore, abbandonava ogni maschera al fine di mostrarsi per ciò che era realmente. Un semplice e bellissimo mare.

Comprese di non volersi più sottrarre a quelle onde, per quanto capaci di portarlo alla deriva. E le onde, a loro volta, non si sottrassero a lui. Impattarono con dolcezza contro il suo corpo, e lui si sentì volubile.
La carezza del respiro di Emily sulla sua pelle lo fece rabbrividire per un istante, annebbiando la sua mente più del Whiskey Incendiario appena sorseggiato. Si allontanò dal mondo esterno, dalle cose materiali e dal peso che gli gravava sul cuore per assaporare a pieno quella sensazione, smarrendosi nel labirintico percorso creato dalle efelidi che costellavano con grazia il volto della ragazza. Poi nuovamente nei suoi occhi, fino a quando le loro fronti non furono che ad un palmo di distanza.
Emily e Kevin respirarono la medesima aria. Condivisero in silenzio i loro dolori, le loro emozioni, senza che fosse necessario aggiungere futili parole. Il loro dialogo viaggiava su di un altro livello.
E fu bello, egoisticamente bello, scoprire qualcuno con cui dividere parte del proprio macigno interiore. Forse, in quella delicata fase della sua vita, non aveva tanto bisogno di salvezza quanto di una persona che avesse una ferita simile alla sua.
Accennò un sorriso in risposta alla reazione iniziale della ragazza. Le sue parole avevano suscitato in lei una genuina tenerezza, dimostrata da quel suo dolce distogliere lo sguardo ed ancora di più dal contatto che ella aveva ricambiato quando le aveva afferrato la mano improvvisamente. Era stata una dolce carezza, l’esaltazione di ogni altra percezione. La cacofonia interiore gli aveva infiammato il petto, provocandogli una dilaniante e meravigliosa sensazione di leggerezza mista ad euforia. Aveva visto la morte in viso per la prima volta solo poche ore prima, ma non si era mai sentito così vivo come in quel momento.
«E tu, cosa vedi?» Chiese infine Emily, dopo un’attesa incalcolabile. Fu dunque lui ad abbassare lo sguardo, per un attimo, come se fosse stato colto di sorpresa da quella domanda. Le iridi etero-cromatiche non vagarono tuttavia lontano, limitandosi a posarsi sul mento di lei per poi risalire lentamente fino alle sue labbra.
In realtà, Kevin aveva avvertito l’arrivo di quella domanda sin dal principio, come un treno in lontananza al quale non era possibile sottrarsi. Tornò a specchiarsi nel mare argenteo, preparandosi all’impatto.
«Vedo il tuo dolore, Emily.»
Disse lentamente, senza più distogliere lo sguardo. La voce era calma e profonda, per nulla incrinata dall’incertezza.
«E, forse per la prima volta, vedo anche la tua fragilità.»
Ammise con l’onestà di una persona amica. Non voleva che lei si sentisse giudicata, giacché non lo avrebbe mai fatto. Gli sembrava come se il mondo le avesse voltato improvvisamente le spalle, più di quanto non lo avesse già fatto in passato. Non era tanto diversa da lui, dopotutto, e per questo la capiva. Non avrebbe potuto essere diversamente: nell’oscurità ognuno era uguale all’altro.
«Ma ti vedo autentica in questa debolezza.»
Asserì infine, quasi istintivamente, lasciandosi scappare una nota malinconica del tono della voce. Credeva davvero a quelle parole; Emily ne avrebbe avuta conferma semplicemente guardandolo negli occhi da quella effimera distanza, così ravvicinata da esporlo al più diretto dei giudizi. Un giudizio che, tuttavia, lui non temeva.
La sua espressione si alleggerì poco a poco, come catturata da un pensiero fugace. Un fascio di luce improvviso che fa il suo ingresso in una stanza buia mostrando gli infiniti granelli di polvere sospesi nell’aria. E lui, Kevin, capì di doverne soffiare via un bel po’.
«Ma – ehi – sembri anche più sensibile e meno stronza del solito. È un qualcosa di positivo, credo.»
Cercò di mantenere fino all’ultimo un barlume di serietà, ma fallì miseramente. Era giusto abbandonarsi alla leggerezza, dato che si era ormai fatta merce così rara. Le sorrise, stavolta pienamente, come se fosse la cosa più naturale da fare in quel momento. Come se tutto andasse bene e le loro vite non fossero irrimediabilmente segnate. Come se lui non avesse ucciso una donna sconosciuta poche ore prima.
Il secondo dopo, quando quel breve momento di spensieratezza si ritrovò ad essere un semplice ricordo, le labbra del ragazzo si erano già ricomposte e le iridi etero-cromatiche avevano viaggiato per un instante verso la sala dalle luci soffuse. Persone – vite insignificanti – che riempivano gli angoli del locale, sorseggiando dai propri bicchieri e riempiendo l’aria di respiri e parole futili. Si chiese se avessero mai visto la morte negli occhi, se comprendessero l’importanza di ogni loro singola azione in quel mondo. Lui la capiva, adesso che era già troppo tardi per salvarsi. Capiva che la morte avrebbe aleggiato costantemente sulla sua testa, così come su quella di Emily. Loro erano già morti, dopotutto. Lo erano stati dal primo attimo in cui avevano incrociato lo sguardo del Signore Oscuro.
«Ti darò una vera risposta, allora.»
Acconsentì infine e, nel voltarsi, si scoprì qualche centimetro più vicino a lei. Il respiro di Emily era come brezza marina. Inspirò chiudendo gli occhi, preparandosi a salpare.
«Sei qui perché i naufraghi non cercano necessariamente una spiaggia sulla quale sbarcare.»
Disse lentamente, soppesando ogni sillaba. Il riflesso del Glencairn poggiato sul bancone distorceva la scena, facendo sembrare i lunghi capelli della ragazza delle lingue di fuoco sospese. Ma lui sapeva che, almeno per quella sera, non erano altro che onde del mare.
«Alcuni cercano solo il fondo degli abissi più oscuri.»
Ammise, dando sfogo ad un intimo pensiero. Lui ne sapeva qualcosa, ed era sicuro che Emily lo avesse intuito. Una pausa, poi un lungo respiro ed un altro passo verso l’oblio.
«Ma tu hai me, ed io ho te. Entrambi naufraghi. Entrambi abissi.»
Si fece ancora più vicino. Con estrema lentezza, come a volerle dare il tempo di fuggire, se solo lo avesse voluto. Le sua bocca si mosse seguendo il richiamo del mare, giungendo a sfiorare quella di Emily. Le labbra si fermarono appena prima del contatto, promettendo alla ragazza un bacio che rimase invece sospeso.
Il cuore di Kevin parve fermarsi per un istante, ostruendogli il petto. L’aria gli mancò improvvisamente. Le sue stesse labbra vibrarono, dimenticandosi del sapore del whiskey. Il Paiolo Magico sparì; non era mai esistito.
«Ecco perché sei qui. Resta con me stanotte.»
Le parole furono un sussurro, una carezza non poi così diversa da quella che si erano scambiati in precedenza. Non si rese neanche conto di aver parlato, tanto era immerso nella contemplazione degli occhi di lei.
Il tempo si fermò, ad un passo dall’abisso. Attese che Emily lo spingesse giù, una volta per tutte. Nel naufragio di tutto, chissà se avrebbero mai ritrovato il modo di tornare a galla.
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view post Posted on 27/7/2023, 22:38
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Forse era così che si sopravviveva a un naufragio.
Accettando la furia del mare, lasciandosi spingere sul fondo di acque antiche, senza opporre resistenza.
Le onde la trascinarono senza preavviso ma Emily, in cuor suo, non poteva negare di averle viste arrivare. Il cielo terso sospingeva l’aria che sferzava il viso ad ogni respiro, spruzzi d’acqua sfioravano le sue labbra, lasciando minuscole gocce che, una ad una, svanivano su pelle ardente.
E lei, Emily, non desiderava altro che il mare la travolgesse.
Implorò che accadesse quando Kevin aveva afferrato la sua mano e ne aveva serrato inaspettatamente la presa.
Lo aveva silenziosamente invocato, quando l’aria s’era chetata per un istante e una parola leggera le aveva strappato un improvviso sorriso.
E l’aveva bramato, quando il suo sguardo s’era attardato sul volto per poi risalire con struggente lentezza sulle proprie labbra.
Fu la risposta a far sì che Emily non cedesse proprio in quell’istante. Furono le sue parole a spingerla a mordersi l’angolo di un ormai inesistente sbuffo, arrendendosi, sì, ma a non quel mare in cui desiderava sprofondare bensì nell’orribile verità che Kevin aveva appena pronunciato. E sì sentì con le spalle all’angolo.
Colpevole.
Fu lenta la risalita verso il suo sguardo e quando lo trovò, indulgente e avventato al contempo, non potè far altro che desistere. Kevin vedeva al di là delle sue difese, si ergeva oltre gli scogli e sembrava avere tutte le intenzioni di gettarsi a capofitto tra le onde come fosse realmente consapevole di cosa vi avrebbe trovato.
Avrebbe voluto schernirlo, dargli dell’incauto se non dell’idiota, ma non vi riuscì perché, per la prima volta dopo tanto tempo, sentì d’esser vista, senza il bisogno di dire alcunché.
E se era il dolore quel che Kevin vedeva sul suo volto, allora non aveva senso continuare a proteggersi. Tanto valeva arrestare quella vana opposizione e lasciarsi andare.
Si sentì fragile proprio perché Kevin era in grado di concepire la sua debolezza e, nonostante ciò, poteva dire di essere al sicuro. Tornò ad ardere il fugace istinto di abbandonarsi tra le sue braccia, lo stesso che aveva provato non molte ore prima all’Ospedale quando la sua fronte aveva solleticato l’incavo della propria spalla. Ma non poté concederselo, non ora che quella stessa fragilità era riflessa negli occhi di lui.
E lei l’accolse, accettandola come si fa con il proprio riflesso allo specchio dopo averlo odiato per tanto tempo; così tanto da esserne consumati.
«E io vedo te.»
Si ritrovò ad ammettere, sussurrando sulle sue labbra, inebriata dalla bellezza di quella malinconia, dal suo sguardo, dalla loro vicinanza.
«E sono meno stronza, sì, ma solo perché oggi lo meriti particolarmente di meno.»
Si beò della sua repentina spensieratezza, di quella luce che s’infrangeva su vetri rotti, riflettendosi contro pareti spoglie. Così ardente, che i Demoni che ormai si mostravano apertamente, fremettero, spaventati. Ma lei ricambiò il sorriso, perché era inevitabile, perché sentire i propri Seviziatori cedere fu esaltante.
E quel suo sorriso… S’era perso sulle proprie labbra e lei non avrebbe voluto far altro che strapparglielo via nel più docile, e tenero, dei modi.
E per un momento non vi fu altro che quell’adorabile leggerezza a carezzare le loro teste, tanto vicine che l’oro sparì nel fuoco e il tramonto colorò quel mare in tempesta, agitato nell’impercettibile distanza che li separava.
Sparì velocemente però, riportando il cielo buio trapuntato di stelle a vegliare sull' inesorabile, invocato, naufragio. Gli occhi di Kevin vagarono lontano da lei ed Emily si sentì vacillare. Arretrò, appena in tempo per sfuggire all’impatto di un’onda troppo grande. A qualunque pensiero avesse riportato la gravità sul suo volto, si disse in grado di porre rimedio. Solcò le sue guance e la mano scivolò sul braccio di lui, risalendo fino al gomito, stringendo con dolcezza. Un appiglio nella tormenta dei ricordi appena vissuti, per trascinarsi via, per non permettere a nessuno dei due di arenarsi. Non ancora. Non quella notte.
«Kevin…?»
E lui tornò, ancora più vicino, improvvisamente, al punto che il respiro venne a mancare.
Si scoprì in balia di un Abisso che non era il suo.
Strinse la presa, ancora più vicino, ora che sapeva perché lei, perché ora.
«Ma tu hai me, ed io ho te…»
Gli occhi si piegarono sulle sue labbra, lasciando scivolare il capo, in prossimità del suo, della sabbia che ammantava la voragine.
«…Entrambi naufraghi. Entrambi abissi.»
Risalì ancora, e ancora, sulle sue guance, sui suoi occhi, ora di una luce così intensa da chiedersi cosa potesse lui saperne della Perdizione. Che ingiustizia, quella di dannare la sua anima all’Oscurità più profonda, quando il suo sguardo aveva il potere di rischiarare la tempesta.
Sarebbe stato troppo tardi per opporsi, comunque. Era lì, nelle spire di quel loro bellissimo mare e per una volta, in compagnia di qualcuno che non desiderava fuggirlo.
«No.»
Fu la risposta, mormorata con sfida, schiudendo appena le labbra sulle sue, così vicine da sfiorarle, da desiderarle al punto tale che si pentì di aver parlato.
Il braccio scivolò sotto l’incavo della sua spalla e lei si ritrovò ad alzare di poco il capo per non porre fine a quella distanza. Si sarebbe ritrovata tra le sue braccia alla fine, non per abbandonarsi al dolore ma per stringerlo a sé.
Decise che era arrivato il momento di porre fine alla tormenta e piegarsi alle ultime onde che avrebbero increspato la superficie. Il mare intorno a loro continuava a ruggire, ma le sue grida sembravano ora cullanti.
«Non qui. Vieni via con me»
Pretese infine, a un respiro dall’inevitabile resa e…

Cedette, incontrando infine le sue labbra.

E sarebbe stato come baciarlo per la prima volta, ora che non v’era più alcuna difesa a reggere le loro maschere. Ora che erano entrambi autentici, entrambi colpevoli.
Nessun segreto, nessuna finzione.
Loro e i loro demoni. I loro peccati. In bella mostra agli occhi degli Auror che vigilavano sulla Dimora e che avrebbero accolto, sconsiderati, la loro comparsa nell’Ilfracombe - se solo lui avesse accettato. Lì dove il mare s’agitava davvero contro il precipizio e le spire dell’Oceano, almeno per una notte, avrebbero smesso di anelare al cielo bensì custodito la straziante bellezza del loro Abisso.
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view post Posted on 29/12/2023, 17:37
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«E io vedo te.»
Le parole di Emily sfiorarono le sue labbra in una sussurrata carezza, che lo fece sussultare appena. Fu un brivido lungo un secondo, ma tanto gli bastò per sentirsi vivo. Per desiderare ardentemente che la distanza tra i loro volti si colmasse.
Il fatto che Emily lo vedesse, così come lui vedeva lei, e che non vi fosse niente da spiegare, nulla di cui giustificarsi o per il quale provare rancore era… magnifico.
Non lo aveva mai dato per scontato ed in cuore suo non credeva nemmeno di meritarlo, ma non avrebbe osato sottrarvisi. Seppe che, per quanto effimero, per quanto minacciato e fragile, esisteva in quel momento un barlume di inaspettata gioia alla portata della sua mano. L’occasione di uscire da se stesso e, dunque, l’unica cosa in grado di salvare i suoi occhi dall’oscurità.
Doveva solo afferrare quella sensazione, per una volta, perdervisi senza temerne le conseguenze. Emily gli stava donando un posto sicuro dove rifuggire, nel quale non avrebbe dovuto più nascondersi, nemmeno da se stesso. Senza rendersene conto, probabilmente, lui le stava offrendo la stessa cosa. Si stavano salvando a vicenda.
Fuggivano in un regno di malinconica leggerezza, accessibile soltanto a loro due, dove i peccati dell’uno o dell’altra non significavano più nulla. Continuavano ad esistere, certo, ma non definivano più ciò che erano.
Fu quindi egoisticamente bello abbandonare ogni difesa; lasciarsi andare alle braccia di qualcuno in grado di condividere il suo stesso dolore, la sua fragilità. Il tocco delle mani di lei sulle sue guance lo rassicurava, donandogli la forza di non tremare.
Respirarono la medesima aria per un istante, come a voler condividere l’ultima boccata di ossigeno prima della lunga immersione. Le loro labbra si sfiorarono, quelle di Kevin in attesa, ad un passo dall’abisso. E poi Emily giunse, non per spingerlo giù, ma per portarlo in salvo.
Quasi non udì quel suo “No” impertinente, mentre accoglieva le braccia della ragazza e la stringeva finalmente a sé. Negli attimi sospesi la osservò con delicata intensità: sembrava risplendere di una luce improvvisa, diversa, capace di esaltare la sua malinconica bellezza. Seppe che lo stava portando via ancora prima che glielo dicesse. E lui si lasciò andare completamente, assecondandola.
Danzarono, come corpi morti nelle ombre proiettate dai loro stessi demoni. Braccia e gambe di freddo marmo, pronte a sgretolarsi nella foga di trovarsi.
Entrambi naufraghi. Entrambi abissi. Un solo modo per salvarsi: chiudere gli occhi e lasciarsi annegare.

«Emily...» riuscì infine a sussurrare, prima che tutto sparisse.
Tutto, eccetto le labbra di lei. E la baciò come se non avesse mai baciato. Come se non l’avesse mai baciata. La strinse a sé con più forza, mentre lo spazio attorno a loro si deformava per rimodellarsi. Vorticarono insieme, i loro corpi e i loro demoni, spettatori impotenti di quell’atto di ribellione.
L’aria di mare li accolse infine nel sipario di un tramonto morente. Le onde in lontananza si rompevano in schegge iridescenti, come vetro infranto contro gli scogli. Nella penombra, il mondo continuava ad esistere. Ma non importava, poiché nulla esisteva per davvero ad eccezione di loro due.
Nessun mare, nessuna dimora e nessuno a sorvegliarla. Tutto era contorno indistinto, irrilevante. Solo Emily e Kevin avevano consistenza, danzanti al margine del loro stesso abisso. Planarono leggeri su tutto il resto, autentici nella loro malinconia. Splendenti nonostante il dolore.
Dolore. Era quello che li accomunava. Non meramente il dolore che portavano da tempo nei loro cuori, bensì quello che riuscivano a sentire l’una nel cuore dell’altro, e viceversa. Parlavano con quei dolori, li accudivano e li sfidavano, giungevano a comprenderli. Quella era la zattera sulla quale avrebbero affrontato insieme il naufragio.
Il loro bacio era unione nel dolore. Un legame indissolubile, solenne, vasto come lo spazio e silenzioso come le profondità dell’oceano. Un legame pesante, ma al tempo lieve come un sospiro, delicato come l’incontro delle loro stesse labbra.
Labbra che infine si separarono. Kevin quasi non se ne accorse. Continuò a guardare Emily intensamente, facendosi carico del suo silenzio. Del suo dolore. Nessuna parola avrebbe spiegato più di quello sguardo, che si insinuava ora nel bagliore azzurrino delle iridi di lei come un’ancora verso il fondale.
Ma una cosa la disse, perché non avrebbe mai sopportato di tenere quella verità tutta per sé.
«Hai degli occhi che non ti ho visto mai.»
Nel parlare, la guidò oltre la soglia. Avrebbero raggiunto un letto, o forse nemmeno. Se Emily avesse acconsentito alle sue carezze, si sarebbero spogliati di maschere e segreti, per donarsi un qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto togliere loro.
Una notte passata a restituirsi la vita, l’un l’altra, con le labbra e con le mani. Una vita dentro l’altra, ogni palmo di pelle un viaggio, una scoperta, un ritorno. Nella bocca di lei a sentire il sapore del mare, sul seno di lei a dimenticarlo. Nel grembo di quella notte stravolta, oceano in burrasca, naufragio. Lapilli di onde nel buio, rumore e silenzio, sospiri. Sospiri nella gola di Kevin, in quella di Emily. Sospiri ad ogni passo nuovo in quel mare che valicava monti mai visti.
Ad un tratto le avrebbe baciato gli occhi, quegli occhi che non le aveva mai visto addosso prima di quel momento. Ed avrebbe visto: sé stesso, Emily, il loro riconoscersi, il loro ricongiungersi. Un legame profondo. E nemmeno sarebbe stato Amore, per quanto stupefacente. Sarebbe stata la cura di una ferita mortale: mani, pelle, labbra, stupore, sesso, sapore, tristezza e desiderio. Non più morte, non più omicidio, non più assassini.
E nel naufragio di tutto, il corpo di lei sarebbe diventato improvvisamente isola. Isola di salvezza, sulla quale sbarcare per sfuggire alla tempesta. Ne avrebbe baciato le sponde, proteggendola con la carezza della sua bocca.
Ed infine non più isola, ma vascello navigante nell’oceano della notte, pieno di sospiri. Pieno di segreti, ma non più i loro. Loro sarebbero stati nudi, spogliati di tutto. Nudi nell’oscurità del loro abisso, laddove non avevano più nulla da nascondersi.
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