Si era abbandonato alle acque azzurrine delle iridi che indugiavano dinnanzi a lui, come l’estuario di un fiume in procinto di concluderne il cammino verso il mare. Era rimasto in balia di quell’intensità silente, lasciandosi cullare dalle onde calme e al tempo stesso così violente. Aveva finito per mischiarsi egli stesso alle eleganti sfumature argentee, come olio su tela. Sotto lo sguardo persistente della ragazza si era sentito improvvisamente senza difese, eppure al sicuro come non mai.
Non gli era dato sapere quali misteri nascondessero le profondità di quelle acque; Emily sapeva bene come non esporsi mai completamente, e Kevin aveva oramai imparato ad accettarlo e a rispettarlo. Ma ciò non voleva dire che si sarebbe accontentato della superficie, dei segni convenzionali che era possibile scambiarsi senza alcun pericolo. Affatto, si sarebbe addentrato negli abissi perché era per lui impensabile appagarsi di qualche piccola goccia del mare sconfinato, per poi restare assetato per il resto della vita.
Per lui che viaggiava costantemente tra due estremi, quelli dell’assenza e della sconfinatezza, era impossibile vivere nel mezzo tra il vuoto cosmico e l’emozione più intensa.
Era sicuro che Emily riuscisse a capirlo, che percepisse la sua necessità di vedere attraverso la torbida limpidezza di quello specchio d’acqua. Sperava fortemente che, in qualche modo, lei condividesse quell’intimo bisogno di scavare al di sotto della superficie. Avrebbe dato tutto un altro senso al loro legame appena riscopertosi. Desiderava poter contare sulla ragazza; viceversa, voleva che lei potesse fidarsi di lui senza riserve, a prescindere da tutto. A prescindere dal fatto che la vedesse incrinata come non lo era mai stata. Spezzata, come l’anima stessa del ragazzo.
Eppure, nonostante le sue ferite, lui era lì per offrirle una mano da afferrare negli abissi; sarebbe poi stato a lei scegliere se fare leva su di essa per rimettersi in piedi oppure trascinarla con sé nell’estrema profondità di quell’oblio.
Da un lato, sapere di trovare Emily ad attenderlo rendeva la discesa verso l’oscurità un po’ meno dolorosa. L’omicidio avrebbe macchiato per sempre la sua esistenza ma – e lo sentiva nel profondo – non era nulla che la ragazza non sarebbe riuscita a comprendere. Osservandola quella sera, gli sembrava addirittura che lei sapesse già tutto, senza che vi fosse stato il bisogno di spiegarle alcunché.
E lui – dannato lui – non desiderava altro che lasciarsi andare. Voleva accarezzare il legno dei vascelli che in quello stesso mare avevano affondato le proprie speranze, osservare i resti delle città che ne erano state sommerse, i volti delle persone che l’abisso aveva chiamato a sé. Si sarebbe unito a loro volentieri, fosse anche per una singola notte. Perché chiudere gli occhi e annegare gli sembrava l’unica via di uscita possibile.
Quelle oscure profondità, dopotutto, erano per lui spiagge sulle quali naufragare. Luoghi paradossalmente ameni, cheti come le rare anime che lo sconfinato mare era riuscito a sanare piuttosto che annientare. Quel medesimo mare che rispondeva al nome di Emily Rose e che, in un punto non identificabile del proprio microcosmo interiore, abbandonava ogni maschera al fine di mostrarsi per ciò che era realmente. Un semplice e bellissimo mare.
Comprese di non volersi più sottrarre a quelle onde, per quanto capaci di portarlo alla deriva. E le onde, a loro volta, non si sottrassero a lui. Impattarono con dolcezza contro il suo corpo, e lui si sentì volubile.
La carezza del respiro di Emily sulla sua pelle lo fece rabbrividire per un istante, annebbiando la sua mente più del Whiskey Incendiario appena sorseggiato. Si allontanò dal mondo esterno, dalle cose materiali e dal peso che gli gravava sul cuore per assaporare a pieno quella sensazione, smarrendosi nel labirintico percorso creato dalle efelidi che costellavano con grazia il volto della ragazza. Poi nuovamente nei suoi occhi, fino a quando le loro fronti non furono che ad un palmo di distanza.
Emily e Kevin respirarono la medesima aria. Condivisero in silenzio i loro dolori, le loro emozioni, senza che fosse necessario aggiungere futili parole. Il loro dialogo viaggiava su di un altro livello.
E fu bello, egoisticamente bello, scoprire qualcuno con cui dividere parte del proprio macigno interiore. Forse, in quella delicata fase della sua vita, non aveva tanto bisogno di salvezza quanto di una persona che avesse una ferita simile alla sua.
Accennò un sorriso in risposta alla reazione iniziale della ragazza. Le sue parole avevano suscitato in lei una genuina tenerezza, dimostrata da quel suo dolce distogliere lo sguardo ed ancora di più dal contatto che ella aveva ricambiato quando le aveva afferrato la mano improvvisamente. Era stata una dolce carezza, l’esaltazione di ogni altra percezione. La cacofonia interiore gli aveva infiammato il petto, provocandogli una dilaniante e meravigliosa sensazione di leggerezza mista ad euforia. Aveva visto la morte in viso per la prima volta solo poche ore prima, ma non si era mai sentito così vivo come in quel momento.
«E tu, cosa vedi?» Chiese infine Emily, dopo un’attesa incalcolabile. Fu dunque lui ad abbassare lo sguardo, per un attimo, come se fosse stato colto di sorpresa da quella domanda. Le iridi etero-cromatiche non vagarono tuttavia lontano, limitandosi a posarsi sul mento di lei per poi risalire lentamente fino alle sue labbra.
In realtà, Kevin aveva avvertito l’arrivo di quella domanda sin dal principio, come un treno in lontananza al quale non era possibile sottrarsi. Tornò a specchiarsi nel mare argenteo, preparandosi all’impatto.
«Vedo il tuo dolore, Emily.»
Disse lentamente, senza più distogliere lo sguardo. La voce era calma e profonda, per nulla incrinata dall’incertezza.
«E, forse per la prima volta, vedo anche la tua fragilità.»
Ammise con l’onestà di una persona amica. Non voleva che lei si sentisse giudicata, giacché non lo avrebbe mai fatto. Gli sembrava come se il mondo le avesse voltato improvvisamente le spalle, più di quanto non lo avesse già fatto in passato. Non era tanto diversa da lui, dopotutto, e per questo la capiva. Non avrebbe potuto essere diversamente: nell’oscurità ognuno era uguale all’altro.
«Ma ti vedo autentica in questa debolezza.»
Asserì infine, quasi istintivamente, lasciandosi scappare una nota malinconica del tono della voce. Credeva davvero a quelle parole; Emily ne avrebbe avuta conferma semplicemente guardandolo negli occhi da quella effimera distanza, così ravvicinata da esporlo al più diretto dei giudizi. Un giudizio che, tuttavia, lui non temeva.
La sua espressione si alleggerì poco a poco, come catturata da un pensiero fugace. Un fascio di luce improvviso che fa il suo ingresso in una stanza buia mostrando gli infiniti granelli di polvere sospesi nell’aria. E lui, Kevin, capì di doverne soffiare via un bel po’.
«Ma – ehi – sembri anche più sensibile e meno stronza del solito. È un qualcosa di positivo, credo.»
Cercò di mantenere fino all’ultimo un barlume di serietà, ma fallì miseramente. Era giusto abbandonarsi alla leggerezza, dato che si era ormai fatta merce così rara. Le sorrise, stavolta pienamente, come se fosse la cosa più naturale da fare in quel momento. Come se tutto andasse bene e le loro vite non fossero irrimediabilmente segnate. Come se lui non avesse ucciso una donna sconosciuta poche ore prima.
Il secondo dopo, quando quel breve momento di spensieratezza si ritrovò ad essere un semplice ricordo, le labbra del ragazzo si erano già ricomposte e le iridi etero-cromatiche avevano viaggiato per un instante verso la sala dalle luci soffuse. Persone – vite insignificanti – che riempivano gli angoli del locale, sorseggiando dai propri bicchieri e riempiendo l’aria di respiri e parole futili. Si chiese se avessero mai visto la morte negli occhi, se comprendessero l’importanza di ogni loro singola azione in quel mondo. Lui la capiva, adesso che era già troppo tardi per salvarsi. Capiva che la morte avrebbe aleggiato costantemente sulla sua testa, così come su quella di Emily. Loro erano già morti, dopotutto. Lo erano stati dal primo attimo in cui avevano incrociato lo sguardo del Signore Oscuro.
«Ti darò una vera risposta, allora.»
Acconsentì infine e, nel voltarsi, si scoprì qualche centimetro più vicino a lei. Il respiro di Emily era come brezza marina. Inspirò chiudendo gli occhi, preparandosi a salpare.
«Sei qui perché i naufraghi non cercano necessariamente una spiaggia sulla quale sbarcare.»
Disse lentamente, soppesando ogni sillaba. Il riflesso del Glencairn poggiato sul bancone distorceva la scena, facendo sembrare i lunghi capelli della ragazza delle lingue di fuoco sospese. Ma lui sapeva che, almeno per quella sera, non erano altro che onde del mare.
«Alcuni cercano solo il fondo degli abissi più oscuri.»
Ammise, dando sfogo ad un intimo pensiero. Lui ne sapeva qualcosa, ed era sicuro che Emily lo avesse intuito. Una pausa, poi un lungo respiro ed un altro passo verso l’oblio.
«Ma tu hai me, ed io ho te. Entrambi naufraghi. Entrambi abissi.»
Si fece ancora più vicino. Con estrema lentezza, come a volerle dare il tempo di fuggire, se solo lo avesse voluto. Le sua bocca si mosse seguendo il richiamo del mare, giungendo a sfiorare quella di Emily. Le labbra si fermarono appena prima del contatto, promettendo alla ragazza un bacio che rimase invece sospeso.
Il cuore di Kevin parve fermarsi per un istante, ostruendogli il petto. L’aria gli mancò improvvisamente. Le sue stesse labbra vibrarono, dimenticandosi del sapore del whiskey. Il Paiolo Magico sparì; non era mai esistito.
«Ecco perché sei qui. Resta con me stanotte.»
Le parole furono un sussurro, una carezza non poi così diversa da quella che si erano scambiati in precedenza. Non si rese neanche conto di aver parlato, tanto era immerso nella contemplazione degli occhi di lei.
Il tempo si fermò, ad un passo dall’abisso. Attese che Emily lo spingesse giù, una volta per tutte. Nel naufragio di tutto, chissà se avrebbero mai ritrovato il modo di tornare a galla.