Principio
“Morsi multipli di Plimpi”
Quando lesse la striscia di pergamena che aveva raggiunto la scrivania dell’ambulatorio, fluttuando in aria sotto forma di serpente - un omaggio ad Asclepio, per non dimenticare che in fondo quello non era il Ministero ma un ospedale - dovette sforzarsi per trattenere un sorriso. Il mago in questione, tale Thomas Dickinson, il cui nome si trovava appena sopra la diagnosi di accesso al San Mungo, era un allevatore di Plimpi con l’eccezionale record di cinquantasette accessi al nosocomio nell’anno in corso, e che appariva determinato ad infrangere il record del pozionista Wilson - ottantanove accessi nell’anno precedente. Era un mago dall’aspetto gentile e dall’animo buono, forse un po’ disincantato, e per questo tendeva spesso ad esagerare la realtà delle proprie condizioni di salute.
Uscì dalla stanza che quel giorno stava utilizzando per le visite, pronta a chiamare il paziente, quando questi la raggiunse in fretta anticipato dal rumore viscido degli stivali da lavoro contro le piastrelle bianche del pavimento.
« Dottoressa Read! Per fortuna oggi c’è lei! Tommy… si ricorda di Tommy, il Plimpi Ghiottone? » Il volto arrossato, la mano avvolta in un asciugamano azzurrino, il mago aveva iniziato a parlare ancora prima di darle il tempo di salutarlo. « L’ha fatto di nuovo! Stavo dando da mangiare a Sally e Bernie, e mi ha aggredito. Io non capisco, lo tratto come un figlio, perché deve sempre avere questi scatti di gelosia?! »
« Signor Dickinson, buongiorno! » La strega interruppe il flusso di coscienza dell’uomo, posando una mano sulla sua spalla con delicatezza. « Perché non mi racconta tutto nel dettaglio in ambulatorio? Venga con me, prego. » Con uno sguardo veloce, Jane attirò l’attenzione dell’infermiera Bones, pronta a seguirli all’interno della stanza per aiutarla.
« Prego, si sieda sul lettino. » Indicò al mago dove potersi sdraiare, e lo osservò raggiungere la seduta a passi incerti, lasciandosi una scia di fango alle spalle e senza smettere di reggere la mano sinistra avvolta nell’asciugamano con la controparte. « Mi faccia un po’ vedere cosa ha combinato Tommy questa volta. » Si avvicinò al mago con calma, infilandosi un paio di guanti, mentre l’infermiere Bones si avvicinava con un carrellino per le medicazioni. « Guardi, guardi cos’ha fatto! Dice che perderò il dito? Come farò con il mio lavoro, per Merlino, come… proprio ora, nel pieno della stagione! » Mentre l’allevatore di Plimpi continuava a lamentarsi tra un sospiro e l’altro, sdraiato sul lettino con gli occhi chiusi, Jane e l’infermiera Bones aprirono con attenzione il fagotto dentro cui era avvolta la mano del paziente. Non c’era alcuna traccia di sangue nel tessuto, e quando l’intera mano comparve alla luce asettica dell’ambulatorio, i morsi multipli si rivelarono… una piccola ferita superficiale, talmente leggera che anche utilizzare il semplice Decotto Liscio sarebbe apparsa un’esagerazione. Tuttavia, sia Jane che l’infermiera avevano imparato a conoscere bene il mago in questione, e senza nemmeno scambiarsi uno sguardo avevano iniziato a seguire la medesima procedura delle ultime cinquantasette volte. « Non si preoccupi signor Dickinson. » Lo rassicurò la medimaga, mentre alcune gocce di Decotto Liscio cadevano sulla ferita, prontamente fasciata con una quantità esagerata di bende dalla collega. « Tommy non ha combinato nulla di irreparabile. Si ricordi di cambiare le bende ogni giorno e vedrà che per la settimana prossima sarà tutto risolto. Ora lentamente proviamo a metterci in piedi, che dice? »
Kevin P. Confa
Una sedia a rotelle cigolante si avvicinò in autonomia alle spalle di Kevin mentre pronunciava la causa del suo arrivo al San Mungo, colpendo timidamente il retro delle ginocchia un paio di volte prima che sopraggiungesse l’infermiera Bones ad aiutarla nel suo intento. « Forse è meglio sedersi, che dici? Ora ci prenderemo noi cura di te. » Poggiando con delicatezza una mano sulla spalla non lesa del giovane, l’infermiera vi applicò una leggera pressione cercando di guidarlo verso la seduta mentre la collega al bancone finiva di scrivere la diagnosi di accesso su un pezzo di pergamena. « Ferita da oggetto babbano alla spalla, Marie. Jane ora è libera? » L’infermiera rispose alla domanda annuendo, e dopo aver afferrato una cartella vuota dalla pila sulla scrivania dell’accettazione si avviò verso l’ambulatorio che era appena stato ripulito dalle impronte fangose del signor Dickinson, seguita dal cigolio di sottofondo della sedia a rotelle su cui Kevin praticamente era stato costretto a sedersi.
Jane attendeva la collega sulla soglia dell’ambulatorio, le braccia incrociate e la bacchetta stretta in mano: era ancora intenta a ripensare al signor Dickinson e ai suoi innumerevoli accessi al San Mungo quando il suo sguardo incrociò quello del ragazzo seduto sulla sedia, e non riuscì a trattenere il guizzo di sorpresa che attraversò il suo viso quando notò il sangue che impregnava il tessuto della maglia che indossava. L’infermiera Bones anticipò ogni sua domanda mentre varcavano insieme la porta della stanza. « Ferita da oggetto bobbano, almeno, questo è quello che ci ha detto il ragazzo. Se ti aiuto ce la fai ad arrivare al lettino per sederti? » Voltandosi verso Kevin, l’infermiera fece cenno alla sedia di avvicinarsi e se il ragazzo le avesse dato il permesso lo avrebbe aiutato a raggiungere il lettino dell’ambulatorio.
« Kevin Prince Confa, 17 anni. Studi ad Hogwarts, vero? » mentre la collega si occupava per i primi attimi del paziente, Jane si era avvicinata alla scrivania e stava appuntando sulla prima pagina della cartella i dati del paziente. Una volta terminato di scrivere le generalità, posò la piuma e fece con un gesto della bacchetta fece levitare un paio di guanti dal carrello delle medicazioni alle sue mani. « Allora, vediamo un po’ che cosa è successo qui. Posso? » Si avvicinò al giovane, ora con il torace coperto da un camice dell’ospedale mentre i resti della maglia insanguinata giacevano su una bacinella in fondo al lettino. Un sorriso gentile piegava le labbra della Medimaga mentre ispezionava con attenzione la ferita, ora pulita dai residui del liquido rosso cremisi grazie all’infermiera Bones che reggeva in mano un pacco di garze. « Dovrei chiederti che cosa è successo e quale oggetto bobbano nel dettaglio ti ha procurato questa ferita, lo sai vero? » Lo sguardo del giovane era apparentemente rimasto inespressivo fino a quel momento, e Jane non era mai stata il tipo di Medimago che prova ad estrarre con forza le storie dalle bocche dei propri pazienti. Preferiva attendere che fossero loro ad aprirsi, con le tempistiche a loro più gradite… sempre se avessero voluto farlo. « La ferita non è proprio superficiale, però non dovrebbe aver intaccato il muscolo. Adesso applicherò qualche goccia di Pozione Anestetica per controllare meglio e poi passerò alla sutura, in teoria sarà sufficiente la Bava di Gorgol. Se dovessi farti male, avvisami, d’accordo? »
Con gesti metodici e precisi, la medimaga afferrò la boccetta di pozione anestetica dalle mani dell’infermiera, e ne applicò alcune gocce all’interno delle varie lacerazioni che costituivano la ferita: attese qualche istante prima di procedere all’ispezione della lesione, e una volta confermato che non erano state intaccate le strutture sottostanti la cute e il sottocute procedette all’applicazione della Bava di Gorgol. Una benda si avvicinò fluttuando sinuosa in aria mentre la pozione sutura-tagli iniziava a fare effetto, e si avvolse intorno al braccio del ragazzo completando la medicazione.
« Abbiamo finito. Ti farò aspettare qualche ora nella stanza qui accanto in modo che tu possa riprenderti del tutto. Se hai bisogno di qualsiasi cosa fammi chiamare, arriverò subito, va bene? »
Il ragazzo venne fatto nuovamente accomodare sulla sedia a rotelle, e l’infermiera Bones lo accompagnò nella stanza accanto all’ambulatorio dove i pazienti al termine delle cure attendevano le dimissioni, facendolo stendere nuovamente su un lettino. Tra un paziente e l’altro tendine color verde menta garantivano la privacy: se Kevin avesse osservato meglio alla sua destra avrebbe notato che la tendina non copriva completamente la visuale sul suo vicino di postazione, rivelandogli di trovarsi accanto alla ragazza che era arrivata qualche istante dopo di lui, Emily.
Emily C. Rose
« Necessito che vi prendiate urgentemente cura dell’uomo seduto lì… »
Mentre Kevin finiva di dichiarare il motivo del suo ingresso al San Mungo, un’altra paziente si era avvicinata al bancone d’accettazione chiedendo aiuto. Grace Fitzgerald, collega e amica di Jane, aveva appena accompagnato verso l’uscita un’anziana strega che aveva appena finito di visitare, e notò immediatamente le condizioni della giovane e dell’uomo che stava indicando. « Ho bisogno di una mano! Martin, mi aiuti? » Attirò l’attenzione di un altro collega che si trovava poco distante da lei, indicando l’uomo seduto sulle poltrone della sala d’attesa, mentre si avvicinava alla studentessa. Il collega senza attendere un istante si avvicinò al paziente, seguito da un infermiere e da una lettiga sospesa a mezz’aria: l’uomo venne fatto sdraiare e in poco tempo sparì dietro le porte di un ambulatorio insieme al resto del personale.
Nel frattempo Grace aveva raggiunto Emily. « Ora si occuperanno loro di lui, non ti preoccupare. Che ne dici di stenderti? Come ti chiami? » Un’altra lettiga si era avvicinata alle loro spalle, e se Emily avesse acconsentito Grace l’avrebbe fatta stendere a sua volta prima di accompagnarla in ambulatorio seguita da un’infermiera pronta ad aiutare.
« Adesso dovrei controllare le tue ferite. Cerca di chiudere gli occhi, per qualsiasi cosa non devi fare altro che chiedere. » Preoccupata dalle dita annerite e dalle ustioni che sembravano ricoprire interamente le braccia della giovane, Grace e l’infermiera avevano già iniziato ad eliminare i residui di tessuto dalla pelle della studentessa, esponendo alla luce asettica dell’ambulatorio una situazione meno lieve di quanto appariva a prima vista. Le due sanitarie di scambiarono uno sguardo veloce ma carico di significato, e mentre l’infermiera con un gesto della bacchetta faceva uscire dall’armadietto delle pozioni due boccette e un recipiente di vetro, Grace tornò a parlare ad Emily. « Posso chiederti com’è successo? Una pozione traboccata dal calderone? Un incantesimo finito male? » In attesa di una risposta, aveva iniziato a mescolare tra di loro la pozione Blandofuoco e la Rigenerante Uncarica all’interno del recipiente in vetro, prestando attenzione a dosare le giuste quantità. « Ora ti medicheremo le ferite sulle braccia, sulle mani… e sulle caviglie. » aggiunse dopo un secondo di esitazione, dopo che l’infermiera le ebbe fatto notare altre ustioni presenti sul corpo della giovane. « Non dovresti sentire nulla se non un po’ di sollievo. In caso contrario, sono qui. »
Le medicazioni delle ustioni necessitarono di più tempo del previsto, soprattutto quelle a livello delle mani che preoccupavano maggiormente Grace: non era certa delle tempistiche di guarigione delle bruciature a livello delle dita, ma avrebbe atteso le dimissioni per avvisare Emily che probabilmente sarebbero stati necessari quasi due mesi affinché la cute tornasse del solito colorito roseo. Una volta medicata e bendata ogni ferita, Grace avrebbe preparato un calice di pozione del Sonno senza Sogni mentre l’infermiera finiva di eliminare ogni traccia di fumo dal volto della studentessa.
« Non appena avremo notizie dell’uomo che è arrivato insieme a te non esiterò ad informarti, ma nel frattempo vorrei che bevessi questo: è pozione del sonno senza sogni, ti aiuterà a riposare e a riprenderti. » Le porse il calice, aiutandola a bere nel caso avesse acconsentito. « Ora ti accompagnerò in una stanza qui vicino dove potrai riposare senza essere disturbata. Per qualsiasi cosa, chiamami e sarò da te, intesi? »