Nella sfortuna di essere stato coinvolto in una questione di cui gli importava meno di zero, era stato quantomeno fortunato a trovare Camille in guferia proprio in quel momento. Innanzitutto, perché, rispetto a chiunque altro, non era poi così fastidiosa; in secondo luogo, perché era disponibile a livelli melliflui. Sapeva che avrebbe potuto contare sul suo aiuto ancor prima di chiederglielo. Che poi, a dirla tutta, nemmeno glielo aveva chiesto… Lo aveva proprio dato per scontato.
La Tassorosso, però, non aveva fatto una piega in risposta alle parole di Draven; si era rimboccata le maniche e, come se non avesse aspettato altro che rendersi utile, gli aveva dato subito retta.
Draven annuì alle sue parole, era sottinteso che dividendosi l’area da perlustrare ci avrebbero impiegato poco a trovare quella maledetta testa. Tenne, però, lo sguardo fisso davanti a sé. Quella scalata verso confini inesplorati da mani umane, per ovvi motivi, richiedeva la sua totale concentrazione. C’era veramente lo schifo più impensabile in quelle cuccette. Si chiese se fossero ridotte in quello stato perché lasciate a marcire per il coprofago piacere dei rapaci o se fossero in quello stato nonostante gli elfi del castello fossero addetti a pulire anche la guferia a giorni alterni o giù di lì… E l’ipotesi che nonostante la continua pulizia di quel luogo ci potesse essere così… tanto… Gli fece venire un conato di vomito.
Chiuse gli occhi e si tappò il naso affondando il viso nell’incavo del gomito.
Per averlo costretto a una simile situazione, avrebbe chiesto al Barone di punire Pix per i prossimi tre mesi, almeno.
L’imprecazione più tenera che le proprie orecchie avessero mai udito lo ridestò da quel momento di totale disgusto. Addirittura, e nonostante il nervosismo, gli sfuggì un mezzo sorriso.
Merlino ladro…? – ripeté, divertito, voltandosi verso Camille. Immaginò che potesse essersi fatta male in qualche modo, ma ipotizzò anche che se si fosse ferita gravemente avrebbe imprecato con più intenzione.
L’aver alzato la voce, per potersi far sentire da lei, comportò l’inevitabile reazione di quelle schifide creature volatili ancora presenti nelle loro schifide cuccette. Rischiò di perdere equilibrio nel tentativo di sorreggersi a mezz’aria e proteggersi la testa da eventuali aggressioni.
Che vita di merda… - bisbigliò tra sé e sé, fin troppo letteralmente… vista la situazione.
Scese lentamente per tornare con i piedi per terra e, guardando dove camminava, nel vano tentativo di non sporcarsi più del necessario, si avviò per raggiungere Camille.
Alzando lo sguardo verso la ragazza, ebbe l’impressione che si fosse arrampicata ben più in alto di quanto avesse appena fatto lui. L’idea di raggiungerla non lo entusiasmava affatto, ma si rese razionalmente conto che fosse solo una specie di effetto ottico, visto che aveva superato solo due file di cuccette. A meno che, da quel lato, non fossero più alte. L’ipotesi dell’asimmetria bastava da sola a fargli venire i brividi; unita al contesto, si sentì ancora più irritato.
Sospirò, per l’ennesima volta, poi riprese la scalata, stavolta dal lato della Tassorosso. Ignorando volutamente le condizioni in cui riversavano le proprie mani e i propri vestiti, a quel punto.
Stai bene? – le chiese, non appena si affiancò a lei. Le lanciò una rapida occhiata per verificare di persona e notò la beccata sul dorso della mano. Considerando cosa stavano facendo, sarebbe potuta andarle peggio. E anche a lui. Le fece cenno di fargli più spazio, indicando verso il basso, come a suggerirle di anticiparlo e cominciare a scendere, prima di protrarsi nel punto da lei indicato precedentemente. Cercò di allungare il braccio sinistro il più a fondo possibile, spingendosi in avanti anche con il busto per poter raggiungere quella maledetta testa incastrata tra due trespoli particolarmente rigidi, che non volevano minimamente smuoversi al suo tocco insistente. Come diavolo aveva fatto Pix a incastrarla così bene? Provò ad afferrare direttamente la testa, smettendo di provare ad allentare la presa dei trespoli, e tirò con tutta la forza che poté, considerata la posizione non proprio comoda.
La testa venne fuori dai trespoli dopo un po’ di insistenza, ma Draven finì per sbilanciarsi troppo all’indietro; nonostante Camille lo avesse avvisato della melma viscida in quel punto, non poté farci niente. Scivolò brutalmente all’indietro e ricadde di schiena a terra. Le collinette di escrementi e borre, che aveva cercato di ignorare fino a quel momento, funsero da cuscinetto. Se, da un lato, ne fu grato perché almeno da quei dieci metri di altezza non si era spaccato la schiena a metà nella caduta, dall’altro non poté che provare immenso disgusto. A occhi chiusi e con un’espressione arrabbiata che la diceva lunga sul filo dei propri pensieri, distese il braccio sinistro verso l’alto, in attesa che Camille andasse a recuperare la testa della bambola dalla propria mano. Se avesse commentato in qualche modo la situazione, l’avrebbe fatta volare giù dalla torre. Camille. Intendeva Camille, ma anche quella maledetta testa.