La lingua biforcuta gli pizzicava l'orecchio, imponendogli dei lievi scatti del collo per sottrarre la pelle sensibile alle sue dimostrazioni d'affetto. Silas gli si era avviluppato al collo come di consueto e, incuriosito dai movimenti del proprietario, lo studiava sibilandogli parole che non avrebbe mai potuto comprendere. Era capitato che Lucien valutasse di chiedere a sua sorella minore Océane di tradurgli il linguaggio del serpente, ma avrebbe equivalso a credere davvero che fosse capace di farlo e da quell'episodio di tanti anni prima, si era rifiutato categoricamente di riaffrontare l'argomento. Per paura.
Quel pomeriggio era in procinto di addentrarsi nella Foresta Proibita per svolgere una delle mansioni che gli competevano, quando scorse un clabbert in difficoltà, che se ne stava ricurvo tra gli steli d'erba a pochi centimetri da uno degli alberi che delimitavano l'inizio della foresta. Normalmente diffidenti con altre creature e animali, i clabbert lo erano altresì con gli esseri umani. Dunque, il fatto che non fosse schizzato via all'avvicinamento del guardiacaccia, fu per lui un chiaro segnale che qualcosa non andava. Nel momento in cui Lucien si chinò cautamente per controllarne lo stato di salute, notò che gli occhi acquosi si dilatarono dalla paura, ma ciò non ne forzò uno spostamento.
Quando individuò anche Silas oltre al mago, tentò un goffo movimento che non andò a segno. «Tranquillo, non voglio farti del male» *Ulteriore* pensò. Con la lentezza di una testuggine appena risvegliata, il francese allungò la mancina per capire meglio quale potesse essere la fonte delle sue sofferenze. Tenendolo tra le mani e studandolo con una certa accuratezza, riuscì a notare che l'arto inferiore sinistro era fratturato nel punto di giuntura, al punto da apparire sbilenco. Una visione che avrebbe potuto impressionare chi non ne era abituato o era facilmente suggestionabile alle manifestazioni di ferite e dolori altrui ma che, nel caso di Lucien, gli smosse una pietà che non avrebbe nutrito per tutti propri simili. Dedusse che forse l'esemplare poteva aver perso la presa palmata mentre oscillava tra gli alberi, e la caduta conseguita doveva essergli valsa quella frattura.
Impietrito, il clabbert accennava giusto a far guizzare gli occhietti da lui a Silas (più intento a preoccuparsi di vezzeggiare il padrone che a preoccuparsi di lui).
Il guardiacaccia trasse la dodici pollici dal fodero interno del pastrano e la puntò sull'animale praticamente inerte. Effettuando un movimento del polso continuo dal basso verso l’alto, al contempo scandì con precisione la formula “Mobilicorpus”. Dalla bacchetta fuoriuscirono tanti piccoli fili bianchi che si allacciarono attorno al corpo della creatura, sollevandola da terra. Avvalendosi di questa agevolazione, con la mano libera raccolse un ramoscello lungo quanto bastava e non troppo spesso, dopodiché si avviò verso la capanna, spostando conseguentemente anche il clabbert. Con una possente gomitata alla porta cigolante della casupola, il mago aprì un varco per indirizzare la creatura al suo interno e poi la seguì sistemandola sul divano. Leviosa, accorsa incuriosita, beccò affettuosamente il braccio del francese in una muta richiesta di integrarla nella situazione, ma lui le fece segno di allontanarsi per timore che la sua presenza vaporosa influenzasse ulteriormente lo stato d'animo della creatura ferita. Aveva studiato la psicologia di quelle creature e sebbene non vi avesse avuto a che fare tanto spesso come con altre, riteneva di avere un quadro abbastanza chiaro su come andassero approcciati in una situazione come quella. In tutta risposta il Diricawl ne sostenne lo sguardo inclinando appena il capo piumato e dopo una manciata di secondi un "puff" accompagnò la sua scomparsa.
Lucien strappò un lembo di stoffa del pastrano e sistemò sia quello che il ramoscello vicino al clabbert. Questi pareva essersi abituato, in una certa misura, alla presenza ingombrante dell'umano e ne controllava i movimenti dalla propria quasi totale staticità, quasi fosse in attesa e per nulla ostile.
L'umano, che gli pareva innocuo fintanto che manifestava il desiderio di "non fargli del male", si assentò per andare a recuperare un oggetto che il clabbert non aveva mai visto prima, sottile e acuminato che lo intimorì. Provò a muoversi con l'intento di sottrarsene, ma la fitta di dolore che ne conseguì lo bloccò tra le pieghe del tessuto.
Sentì le sottili mani del mago dalle dita lunghe e magre tendere l'arto ferito e il male che produsse gli spezzò il fiato una sola, tremenda volta. Gli occhietti si aasottigliarono, il corpo dalla pelle verde liscia e scivolosa troppo provato da tante sofferenze, si tese e poi si afflosciò. Sentì che l'umano gli sussurrava qualcosa, poi la zampa fu pressata con delicatezza contro il ramo e la stoffa lacerata del vestiario fu avvolta attorno.
Lucien si riappropriò della bacchetta (precedentemente poggiata sul tavolo sul quale poco tempo prima Casey e Niahndra avevano intagliato i loro totem) e la puntò contro l’ago, pronunciando la formula “Ago Impnetio” e muovendola mimando il movimento che l'ago avrebbe dovuto compiere durante il rammendo. Movimenti semplici di cucito base, gli stessi che le babbane al porto di Durness compivano per cucire centrini a forma di barche e pesci. Fin dove aveva potuto, Lucien aveva spremuto i nativi di Durness per apprendere cose nuove, come aveva spiegato ad Aiden quando si erano messi a strimpellare la chitarra per le vie di Hogsmeade. Non era riuscito ad approfondire nessuna di quelle arti, troppo rapito da quelle magiche, ma qualcosa delle nozioni impartitegli era rimasto inciso nella sua memoria.
L’ago replicò e ripeté lo stesso movimento della bacchetta ripetutamente, fin quando si spezzò l’incantesimo, ma fu sufficiente a cucire la stoffa in modo che tenesse fermo l'arto del clabbert e il bastoncino che lo manteneva in quella posizione. L'Ago Impnetio aveva sortito l'effetto desiderato, sebbene Lucien non avesse fatto un lavoro certosino né granché valido - esteticamente non si poteva guardare - ma per quella che era l'utilità poteva ritenersi soddisfatto. «Sai, esiste un incantesimo capace di guarire le fratture che ti avrebbe fatto guarire più rapidamente. Ma approfitterò del tuo soggiorno qui per studiarti.» Un ghigno bastardo bordò le labbra del mago: lo aveva aiutato, certo, ma ad un prezzo.
Si mise a rovistare in un sacco per prendere alcuni utensili che fece scivolare nelle ampie tasche del pesante soprabito, nel mentre riprese parola. «A breve dovrò iniziare a ragionare sulle decorazioni natalizie per il castello e zone limitrofe e le vostre pustole scarlatte sarebbero un'ottima decorazione.» Una pausa rafforzò il silenzio che aleggiava nell'abitazione. Il clabbert continuava a sorridergli (per natura la loro bocca era sempre sorridente) quando in realtà continuava a soffrire. Lucien sbottò in un rantolo simile ad una risata e riprese parola. «Sto scherzando. E comunque, probabilmente ero troppo occupato a fare altro quando il professore di incantesimi ci spiegò l'esecuzione di quell'incantesimo, perciò ho dovuto rimediare sulla via più lunga ma ugualmente efficace.» aggiunse, prima di cercare di fargli aprire la bocca - attento a non pungersi con i denti affilatissimi - e fargli calare qualche goccia di pozione. «Questa farà sparire il dolore. Ora devo andare ad occuparmi di certe faccende, ti lascio in compagnia di Leviosa... quando riapparirà.» Verificato che fosse tutto sotto controllo e in sicurezza, il guardiacaccia levò le tende e si appostò di fronte ad un cespuglio iniziando a scavare nel terriccio. La questione fu piuttosto insidiiosa ma non avrebbe desistito, quando una voce richiamò la sua attenzione. Il mago alzò il capo, scrollando la zazzera nella quale si erano incastrati rametti e foglie, tanta era stata la sua foga. L'espressione che rivolse al figlio di Salazar lasciava intendere il suo smarrimento, non ricordando - ammesso che lo avesse mai saputo - il suo nome. «Ehi, ragazzo!» Nel dubbio, meglio restare sul vago. Fu a quel punto che un pensiero gli trafisse le sinapsi come una cometa ed il ricordo dell'appuntamento con tale Mike Tors Minotaus si ricollocò nell'ora giornaliera che aveva preposto per gli incontri con gli studenti e il resto del personale scolastico. Si battè la fronte, facendovi cozzare il terriccio smosso. «Si, si ti sento.» Si era rotto i boccini di dare del lei a dei ragazzi che avevano pochi anni in meno di lui, quella era la sua ora libera (?) e l'avrebbe gestita a modo suo. «Devi scusarmi, stavo cercando di acciuffare un Bipes Biporus. Sai cos'è? È una lucertola rosa che scava profonde gallerie. Somiglia ad un lombrico, ma la sua forza risiede nelle zampette corte e molto forti, grazie alle quale scava delle lunghissime gallerie, spesso all'ombra di cespugli per vedersi garantita una certa temperatura nel sottosuolo. Poco fa ho trovato un clabbert che necessitava di cure e, sai, la loro dieta consiste principalmente in plucertole e piccoli uccelli, quando sono in grado di catturarli.» I clabbert tendono a catturare le prede più facili e normalmente non sprecherebbero tempo o energie per un'uccisione. All'esemplare che si era imbattuto in Lucien era andata bene, visto che oltre alle cure avrebbe beneficiato di pasti senza bisogno di muovere un arto.
Abbandonata la postura ricurva, Lucien si erse in tutta la sua generosa statura. «Ma sto divagando.» valutò, arcuando le folte sopracciglia mentre picchiettava le mani sul pastrano per liberarle dal terriccio. Silas era ancora abbarbicato nell'incavolata del colletto ed era fissava silenzioso il nuovo arrivato. «In cosa posso esserti d'aiuto?» domandò infine esibendo un sorriso incoraggiante. Il clabbert avrebbe atteso lo spuntino pomeridiano, secondo la legge del contrappasso che forse avrebbe potuto fargli dubitare di quanto fosse stato saggio fidarsi del guardiacaccia.
Words of Magic: soulIl tuo PG si imbatte in un animale magico fino a XX in cattive condizioni di salute (ferito, malattia) o in difficoltà. Cosa fa?