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otturn Alley è uno di quei luoghi dove viene meno la percezione della notte e del giorno. Addentrarvisi è come oltrepassare un muro invisibile e perdere la cognizione di spazio e tempo, stretto in una cupola che ti confina in quella che pare a tutti gli effetti una dimensione differente da quella in cui si è soliti bazzicare. Almeno questa è la sensazione che mi ha sempre smosso, rimasta immutata nel tempo, nonché fattore scatenante di un'attrattiva che mi ha condotto nella strada laterale innumerevoli volte. D'altronde i motivi per recarvisi sono variegati, ma specie nell'ultimo periodo sono spesso collegati all'impiego come guardiacaccia; nello specifico, in via ufficiosa devo acquistare il Repellente per le Lumache Carnivore che infestano l'orto della scuola. Naturalmente i miei affari mi appartengono, pertanto chiunque stia leggendo non otterrà la vera motivazione che mi ha condotto qui. E non ha rilevanza, credetemi.
Dovrebbero essere circa le otto di sera quando mi inoltro nel vicolo pullulante di negozi dedicati alla Magia Nera e alle Arti Oscure. È una notte fredda, il gelo spira fino ad insinuarsi tra le ossa ghiacciate, non v'è barlume del tepore che dovrebbe aleggiare nell'aria di quel settembre appena iniziato. Il cielo, una distesa infinita color ossidiana, osserva muto i passi che segnalano la mia presenza. Gli anfibi lasciano un rumore sordo sul lastricato traslucido, dove i segni della pioggia si mischiano al lercio che ricopre lo strato di malta.
Sguardi sfuggevoli dardeggiano sulla mia sagoma, il tarlo del dubbio s'insinua nelle menti affamate. Ben nota è la frequentazione abitudinaria di quello spicchio di mondo magico ed io a quale corrente appartengo? Lascio che le risposte serpeggino di bocca in bocca, proseguendo il mio cammino sino ad inoltrarmi in una via laterale.
Ed è qui che tutto ha inizio.
Sento un rumore, simile ad un sibilo, che cattura la mia attenzione. Ad accogliere il mio sguardo sono le tenebre, tra le quali scorgo una figura umana della quale non riesco a scorgere molti dettagli. I miei sensi, già acuiti, subiscono un'impennata che mi induce a far scivolare la mancina nel drappeggio del mantello; solo sfiorare la dodici pollici mi instilla un senso di sicurezza e mitiga il mio umore. La figura emette un lamento seguito da un borbottio: parrebbe agonizzante.
«Ha bisogno di aiuto?» domando con l'impugnatura sempre più salda attorno al tiglio argentato, pronto a scattare in caso di necessità. Ho sempre peccato di scarsa fiducia, specie verso gli sconosciuti. Specie un quell'ambiente.
«S-si..»Una voce arrochita dal tempo, fredda come pietre intrappolate nel ghiaccio, rivela una presenza maschile e di certo non giovane. Muovo un passo nella sua direzione, ma questi si ritrae nell'ombra, rendendomi ancor più difficoltoso individuarlo.
«S-state lì, ve ne prego.» Un accento dell'est caratterizza la sua inflessione, anche se non riesco ad attribuirlo a nessun luogo in particolare.
Con un fruscio, vedo allungarsi verso di me un braccio dalla cute molto pallida e segnata dal tempo, le unghie teatralmente lunghe e lievemente affilate. Il genere di incontri che si mette in conto di fare in un luogo come Notturn Alley.
La pelle è incrostata di sangue rappreso, fresco in altri punti. Non riesco a capire da quale punto sia sgorgato, probabilmente è più in alto, verso la spalla, coperta da un velo di ombre.
Inarco le sopracciglia, stranito dalla visione ma non turbato dal liquido rubicondo; nel mentre lo sconosciuto allega alla visione le seguenti parole.
«Sono stato aggredito poco fa. Dovevo incontrare un amico per cena, ma le cose non sono andate come pensavo.»Le ultime parole vengono tirate in un gemito di dolore trattenuto. Mi domando dove intendesse cenare, visto il luogo, ma evito di domandarglielo perché incuriosito da
come invece si fossero svolte le cose. Il silenzio che ne consegue non sembra invitarlo, come speravo, ad informarmi meglio circa la sua disavventura. Mi aspetto che mi dica come posso aiutarlo. Quasi leggendomi nel pensiero - anche se più verosimilmente ci deve essere arrivato per logica - questi prosegue.
«Ho detto che ho bisogno di aiuto, non che voi potete garantirmelo.»Inizio a spazientirmi, d'altronde mi trovo da quelle parti per ben altre ragioni - procurarmi ingredienti
particolari per le mie pozioni.
«Se ritiene che non possa aiutarla, proseguo per la mia strada augurandomi che riesca a trovare qualcuno più capace di me.» Taglio corto, sono spazientito e non manco di lasciarlo trasparire dal mio tono, ma non appena muovo un passo per ritornare sulla mia strada, l'uomo si affretta a bloccarmi.
«Aspettate...!» Simile ad una supplica, avverto una tensione che non mi piace.
«Vogliate accettate le mie scuse, non era mia intenzione mancarvi di rispetto. Avete chiesto se avessi bisogno di aiuto e ve l'ho confermato, poiché di fatto ne necessiterei, ma la compagnia di un giovane che mi ispira è già benefico per le mie sofferenze.»Una voce nella testa mi suggerisce di abbandonare la compagnia di questo individuo eppure vi è in lui qualcosa che mi respinge ed attrae allo stesso tempo, e che mi induce a trattenermi ancora un po'. Il tempo non mi manca e che sia o meno la decisione giusta presumo lo scoprirò a breve.
«Asserisce di trovare positiva la mia compagna, dunque l'avà. Per un po'. Potrebbe iniziare a dirmi il suo nome.» butto lì, senza pensare davvero che un nome possa dirmi qualcosa di utile di lui; quanto potrei sbagliarmi. Non spezzo la vicinanza con la bacchetta, tuttavia i nervi molto lievemente si distendono mentre resto in attesa. In tutta risposta ottengo una risata roca.
«Ho avuto diversi nomi, ragazzo.» Colgo qualcosa di diverso: una sfumatura di vanità, forse, ma a sorprendermi è piuttosto l'improvvisa mancanza dei segni di dolore che avevano colorato la sua voce fino ad ora. Essa appare più sicura e, a tratti, agghiacciante.
«Sebbene un nome non definisca l'individuo, nel mio caso altri hanno cercato di fare in modo che lo fosse trovandone di curiosi.» Più parla, più mi accorgo che il mio interesse nei suoi riguardi si accentua, anche se non posso non cogliere i segnali - come quello del tono di voce cambiato - che mi indurrebbero ad allontanarmi seduta stante. Azzardo, vinto dalla curiosità.
«Allora le andrebbe di dirmi qualcosa di lei e della sua vita?»Il silenzio che ne consegue mi porta a supporre che sia titubante ad ottemperare alla mia richiesta, sebbene non ne comprendo il motivo.
Di scatto l'arto proteso viene ritratto e di lui riesco a individuare solo una sagoma nel buio. Un movimento troppo lesto per un arto ferito al punto da sanguinare.
Appartiene davvero a lui quel sangue? È davvero una vittima?
«Mi chiedete di narrarvi la mia storia. Ebbene, non so se posso soddisfarvi appieno, ma farò il possibile.»Non posso vederlo, ma immagino stia sorridendo. Probabilmente sono in errore.
Pendo dalle sue labbra e mi maledico per questo, scoprendomi più interessato di quanto vorrei.
«La mia storia presenta fatti reali ed altri immaginari, starà a voi capire quando le mie parole corrisponderanno ad uno e quando all'altro. È stata presa e modellata dalla collettività rendendone le dinamiche surreali ma coinvolgenti e di grande interesse per i più; esse si sono lentamente sovrapposte alla realtà fino a trasformare i fatti in leggenda e me, di riflesso, una leggenda. Che ciò mi stia bene o meno non ha rilievo. A onor del vero, ha offerto notorietà alla mia nazione, altrimenti di scarso interesse nelle pieghe del tempo. Uno scrittore ha investito nel narrarla per iscritto e gli è valsa una discreta notorietà, ma come tutte le leggende - fruita per diversi contesti, passata di bocca in bocca, da mezzo a mezzo - ha avuto le sue mutazioni che l'hanno resa più colorata.»Un fruscio si unisce al suono sordo di passi, segno che il mio interlocutore ha preso a muoversi pur scegliendo di non avvicinarsi a me. La cosa mi dà sollievo e per qualche strano motivo me ne ritengo fortunato.
«Dovete sapere che il mio temperamento particolarmente sanguinario e crudele mi ha vantato di molteplici vittorie in Europa, tra cui la conquista di un impero non indifferente per la storia di allora. Diciamo che i metodi che imponevo nel mio regno erano considerati, passatemi il termine, poco ortodossi. Tra le credenze popolari, la pratica dell’impalamento come metodo di tortura e di esecuzione, che mi è valsa il soprannome di Țepeș, (impalatore) sembra sia quella che riscuote il maggior interesse degli ascoltatori e lettori.»È vanesio, non c'è dubbio, e per l'ennesima volta mi trovo a domandarmi se credere alle sue parole. In quanti hanno creduto alla sua storia, sia quando si svolsero i fatti sia a posteriori? Ma poi...di quanto tempo stiamo parlando?
Per un attimo una delle tante emozioni che albergano in me in questo momento prevale sulle altre e benché sia normalmente più incline al raziocinio, non riesco ad ammansirla. È la paura che questo tizio sta smuovendo in me con la sua sola presenza, abilmente oscurata dalle tenebre, e la favella.
«Nacqui a Sighisoara, figlio di un illustre membro dell’Ordine del Drago (istituzione creata a protezione del Cristianesimo nell’Europa orientale) e sovrano della Valachia. Durante l'infanzia io e mio fratello Radu fummo fatti prigionieri dai turchi per sei anni, durante i quali nostro padre morì e cedette il regno ad un uomo immeritevole. Non appena feci ritorno a casa mi appropriai di ciò che mi spettava di diritto, ma regnai sulla Valachia per soli due mesi perché quell'usurpatore mi sconfisse ed esiliò. Riuscii a riottenere il mio regno e mi sistemai in un imponente castello tra i boschi. Qui la mia prima moglie si gettò da una torre finendo tra le acque del fiume Arges, ponendo fine alla sua vita, pur di non farsi catturare dai turchi. Una sorte differente mi attese poiché fui rinchiuso per dodici anni in una torre a Buda; per ingannare il tempo, decapitai, impalai, torturai e mutilai gli uccelli di passaggio. Quando poi, con l'aiuto della Transilvania, riuscii a riconquistare il trono, applicai quel diletto anche a turchi, boieri e cristiani infedeli per imporre loro l'onestà e la giustizia. Contestualmente mi sposai di nuovo ed ebbi due figli. Tutto procedeva per il meglio, quando a causa di una falda lettera fui accusato di tradimento e imprigionato a Visegrad e Pesta per dodici anni; Stefano il Grande, principe della Moldavia, mi graziò con la liberazione e potei tornare a regnare, ma non passò nemmeno un mese che una cospirazione dei boieri portò alla mia morte. Una morte che mi portò ad una nuova vita, fatta di sangue ed eternità.»Impiego diversi minuti ad incassare tutte quelle informazioni, sebbene me le abbia narrate con la calma di chi
ha tutto il tempo di questo mondo per farlo. Il mio corpo sembra aver appreso più velocemente la portata della storia, più incline a crederlo e a reagirvi di quanto la mia psiche sia disposta a fare. Sto tremando sotto il mantello e la mia bocca accoglie l'aria che la frusta, spalancata. Perché mi trovo ancora lì non mi è chiaro; vorrei andarmene ma non riesco a farlo. Forse sono troppo spaventato.
«Senta...devo andare adesso, ho una certa fretta.»La mia voce non è convincente, me ne rendo conto e so che anche lui lo sa.
«Prima non sembravate averne.» Lapidario, ancora una volta riesce ad inchiodarmi sul posto senza castarmi incantesimi o usare la forza fisica. Ne gongola, me lo sento.
«Non abbiate timore, non vi tratterrò con i dettagli più succulenti, d'altronde per una narrazione esaustiva necessiteremmo di tempo che voi non avete. Secoli, forse.»È ironico, mi dico, non credendo ovviamente che servirebbe così tanto tempo, ma trovando sempre più labile il confine di
cosa possa ritenere davvero credibile e cosa no.
«Mi è bastato quanto mi ha detto.»Risulto probabilmente scortese, ma poco mi importa a fronte dell'impellente desiderio di lasciare che la compagnia di questo individuo non si riveli ancora più pericolosa di quanto già mi appaia. Da diversi minuti ho elaborato l'idea di non avere di fronte una vittima, come mi aveva lasciato intendere all'inizio, bensì il carnefice. E non si tratta solo della sua storia, che mi ha sbocconcellato come un pasto delizioso, ma della sua intera figura che ancora non riesco a vedere. E, forse, è meglio così.
Finalmente trovo il sangue freddo per trarre la bacchetta allo scoperto, puntandola davanti a me. Ne segue l'ennesima risata di scherno, che stavolta assume un significato che non necessita di parole per trafiggermi le sinapsi: quel mezzo potrebbe rivelarsi inutile contro di lui.
Arranco alla ricerca di un'alternativa, domandandomi se la presenza di un rado pubblico che potrebbe notare un attacco ai miei danni fermerebbe lo sconosciuto.
È lui a polverizzare i miei pensieri, allungandosi verso di me come un'ombra, quel tanto da permettermi di notare le iridi rubiconde.
«Ora, se non vi dispiace avrei una certa sete da placare e voi, per quanto allettante, non sembrate desiderare ancora la mia compagnia come poco fa. Nè di aiutarmi, alla fine dei conti; ve lo avevo detto che ritenevo non poteste garantirmi l'aiuto inizialmente offerto. Perciò tenetevi il vostro tempo, quel che ne rimane. Io ne ho in abbondanza e troverò senz'altro nuovi amici per cena.»I secondi si polverizzano accompagnando uno scatto che mi sottrae alla vista il mio interlocutore. Si ritrae con una velocità incredibile tra le ombre che lo avevano risputato offrendolo a me. O me a lui.
Di quello strano incontro rimane un cieco terrore che mi irrigidisce corpo e mente come un cadavere in una tomba e passano minuti interminabili prima che riesca finalmente a ritrovare la padronanza delle gambe ed affrettarmi con passo spedito da dove sono arrivato. Ciò che mi ha condotto a Notturn Alley può aspettare e mentre torno a casa, mi accorgo di essere ancora preda della paura più cieca e bestiale.
Il fatto che Lucien dia del Lei allo sconosciuto mentre lui del Voi è voluto.Words of Magic
Body ~ 3 Il tuo pg incontra un png sconosciuto e si fa raccontare la sua storia.
Miscellanea ~ 5 Unisci una delle prove al contest a tema del mese.