| Narcissa Miller |
| | Narcissa Elodie Miller «O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori, quei tipi astuti e affatto babbei che qui raggiungono fini ed onori!» O gni volta che risaliva quelle scale era sempre un tuffo al cuore. Ancora ricordava il giorno, anzi la sera, in cui aveva ricevuto quella dannatissima lettera di sua madre. La sensazione di disgusto che aveva provato leggendo quelle parole era stata incommensurabile. Nel giro di pochi attimi, infatti, non solo aveva imprecato mentalmente nei confronti della viltà della donna, che non aveva avuto nemmeno il coraggio di presentarsi a Hogwarts per darle una simile notizia, ma anche perché poco dopo c'erano state delle incomprensioni con la Caposcuola di Corvonero. Se solo avesse potuto avere tra le mani una Gitatempo, Narcissa era certa che avrebbe volentieri fatto un viaggetto a ritroso nel tempo per cancellare quell'orrenda e indelebile giornata che s'era conclusa con l'appallottolamento della pergamena e il suo conseguente bruciare nel caminetto della Sala Comune di Serpeverde. Adesso risaliva lentamente le scale a chiocciola che l'avrebbero condotta alla Guferia, luogo che immancabilmente faceva riaffiorare nella sua mente la montagna di disgrazie che aveva colpito la sua famiglia. Lì Earl, la civetta che Helena Cooper le aveva regalato poco prima di iniziare l'avventura a Hogwarts, l'attendeva bramoso come ogni volta che lei varcava la soglia. Un puzzo di carta di giornale stantia e di rancido investì in pieno le narici di Narcissa. Per quanto ormai fossero settimane che si recava lassù quasi quotidianamente, ancora il suo stomaco e il suo naso non s'erano abituati a quell'olezzo a dir poco nauseabondo. Deglutendo e sentendo lo stomaco contorcersi in eloquenti salti carpiati, Narcissa accelerò il passo arrivando all'interno della torre. Lì il sole timidamente filtrava dai finestroni che consentivano ai volatili di accedere in ingresso e in uscita dalla scuola. Alcuni rapaci sbattevano le ali, uno di loro in particolare aveva l'aria indignata, quasi si sentisse superiore rispetto agli altri pennuti presenti in sala. Narcissa indugiò qualche istante su quel volatile, osservandone il bianco piumaggio e gli occhi cremisi. Doveva ammettere che, nonostante tutto, aveva una certa classe. Poi un conato di vomito le rammentò il motivo per cui s'era affrettata a risalire la chiocciola in quel modo. Trattenendo il respiro ancora per qualche istante, Narcissa attraversò a grandi falcate la Guferia e andò ad affacciarsi a uno degli interstizi della torre. Senza pensarci due volte, inspirò profondamente l'aria fresca e pulita, cercando di abituarsi gradualmente a quell'olezzo ormai così famigliare ma sempre ripugnante. Earl, la sua civetta, coccoveggiò amichevolmente e dispiegò le ali in segno di saluto. Narcissa prese una seconda boccata d'aria prima di voltarsi e sentirsi pronta per accogliere la sua civetta. Giù nel giardino un paio di studenti si stavano affrettando per raggiungere le Serre di Erbologia.*Probabilmente qualcuno è in ritardo* pensò Narcissa ridacchiando tra sé e sé. Poi udì distintamente delle piume accarezzarle il volto. Come a voler calamitare su di sé l'attenzione della ragazza, Earl le era volato sulla spalle e le aveva becchettato l'orecchio destro."Ehi, Earl, mi hai fatto male!" gemette Narcissa, allontanando con un gesto brusco il becco della civetta dalla sua testa. L'idea di farsi staccare un'orecchia non era ancora contemplata, per lo meno non quel giorno. Narcissa tese il braccio sinistro verso l'esterno e la civetta comprese di dovercisi appoggiare. La Serpeverde ne osservò il volo, garbato, composto e mai frettoloso. Un paio di battiti d'ali ed Earl era lì, sul suo avambraccio, pronto a ricevere qualche ricompensa. Narcissa rovistò nelle tasche della divisa e ne estrasse alcuni semi di girasole e un tozzo di pane secco che aveva sgraffignato in Sala Grande quella mattina. Non era granché, ma era sicura che Earl avrebbe gradito. E difatti, senza far troppi complimenti, l'uccello si avventò nel pugno di cibo che Narcissa teneva sul palmo della mano libera. La civetta prese a sbocconcellare felicemente, del tutto inconsapevole di quelle che avrebbero potuto essere le sue mansioni di lì a breve. Earl divorò il pane secco quasi non mangiasse da mesi e poi svolazzò per la Guferia esternando palesemente tutta la sua soddisfazione. Narcissa, nel mentre, estrasse una busta dalla tasca e richiamò a sé la piccola civetta marrone."Earl, lo sai che mi fido di te" esordì cauta. Sapeva che quello che stava per chiedergli avrebbe mandato su tutte le furie il piccolo Earl, ma non aveva altro messaggero di fiducia se non lui. L'uccello si avvicinò a Narcissa e andò ad appollaiarsi sul trespolo appena adiacente osservando la busta con diffidenza. Lei lo guardò e sorrise freddamente, del tutto immersa nei suoi pensieri. Stringeva tra le mani la lettera che avrebbe dovuto spedire diverso tempo prima a Lord Byron. Uno dei tanti motivi di litigio con sua nonna Elodie e suo nonno Florian. Eppure non era del tutto sicura che Byron volesse conoscere quel lato di lei, anche se nonna Elodie sosteneva il contrario. Sospirò affranta, cercando nei meandri della sua borsetta un nastro per poter affrancare quella pergamena alla zampa del suo gufo. La busta, sigillata con il classico sigillo di Hogwarts che veniva concesso agli studenti, recava una scritta:CITAZIONE Mr. Lord Byron, Galles, UK La bimba sospirò e con meticolosa attenzione cominciò a cercare di annodare la lettera alla zampetta della civetta che, stranamente, sembrava restia a volersi imbarcare in quel viaggio. Probabilmente l'idea di andare da Lord Byron turbava Earl tanto quanto scrivere quella lettera aveva provocato dei rimorsi in Narcissa...
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