Ufficio Rowena Abyss

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view post Posted on 11/11/2020, 23:05
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LA MANGIAMORTE

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L’ufficio di Rowena è collocato al terzo piano della redazione della gazzetta, vicino allo spazio dedito alle riunioni. Il luogo non è particolarmente spazioso, anche perché i mobili che occupano lo spazio, in pesante legno massiccio, rendono l’arredamento soffocante ed opprimente. Tuttavia vi è un enorme finestra retrostante la scrivania, che da sulle strade confusionarie di Londra e che innonda il piccolo ufficio di una calda luce. Vi è un camino collocato sulla parete a sinistra dell’ingresso, che utilizza per uso personale, accanto vi è una libreria, con alcuni libri che trattano di storia, di geografia e di leggi magiche, utili per fare le sue ricerche quando deve scrivere un articolo. Attaccati alla parete opposta ci sono alcuni quadri di paesaggi scozzesi: il lago di Loch Ness con il suo Kelpie che fa capolino di quando in quando, le ripide scogliere delle isole di Skye e una rappresentazione delle antiche strada d’Inverness. Ci sta anche un mappamondo porta bevande, ma quello è il suo piccolo segreto. La sua cattedra è confusionaria, ci sono scartoffie sparse ovunque, pezzi di pergamena scribacchiati, lettere mai aperte, chiazze d’inchiostro macchiano la superficie lignea del mobile e stagnano lì da tempo immemore, in buona compagnia di aloni fatte da tazze di caffè che consuma avidamente. La sua poltrone per scrivere è particolarmente comoda, spesso vi dimora sopra in modo scomposto, quasi come fosse a casa sua. Vi è anche un trespolo appoggiato alla scrivania ma non sembra esserci traccia di volatile. Il luogo, nonostante l'assenza di elfi domestici alla redazione è sufficientemente pulito ma vi è un intenso odore di legna e fuliggine

 
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Jolene White

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prosegue da qui

Si era alzata da quel tavolo preda di un tormento che era ad un tempo rabbia e dolore, e che ancora le rimbombava nelle orecchie sotto forma di un battito forte ed accelerato. L'aria fredda dell'autunno londinese dette sollievo alle guance accaldate, ed un leggero venticello sarebbe potuto bastare come scusa per gli occhi penosamente umidi. Jolene se li asciugò con la manica della giacca una, due volte mentre macinava le vie della città a passo svelto. Non si fermava davanti agli agglomerati di pedoni, semplicemente sfruttava il suo corpo minuto per sgusciare tra un passante e l'altro e, quando era costretta ad attendere lo scatto del verde ai semafori, cambiava continuamente gamba d'appoggio e accennava a piccoli passi a destra e a sinistra, incapace di rimanere del tutto immobile. Il movimento la aiutava a sfogare un'inquietudine ben più profonda, e come tale le era essenziale.
Si era stancata di vagare per la sua vita come uno spettro. Il litigio con Aiden aveva tirato fuori la consapevolezza di così tante cose che non erano più al loro posto, vi aveva fatto luce con una violenza tale da sradicare del tutto la finta tranquillità, che poi era triste cedevolezza, in cui aveva sofferto fino a quel momento. Avrebbe messo un punto a quella situazione, si ripeteva ad ogni isolato, quantomeno a quegli aspetti che ancora erano sotto il suo controllo.
Per prima cosa, avrebbe fatto chiarezza con Rowena. Il silenzio da parte sua era stato totale durante quelle settimane, ma d'altronde nemmeno Jolene aveva fatto nulla per cercarla. Stava alla giornalista fare il primo passo – questa la motivazione che aveva apportato per il suo immobilismo, ma che ora non reggeva più. Naturalmente, era stata Rowena a scomparire il trentuno agosto, lei ad essersene andata senza nemmeno una parola, quasi fosse stata uno spettro dell'immaginazione della rossa. Ma la sua presenza era stata reale, Jolene lo sapeva, abbastanza concreta da spegnere il fuoco maledetto e salvare moltissime vite. Si lambiccava, allora, sulle ragioni che l'avevano spinta a dileguarsi, e più ci pensava più si convinceva che risiedessero nell'ardemonio stesso. Perché conosceva un incanto così oscuro? Certo, l'aveva manipolato a fin di bene, ma se avesse avuto la coscienza pulita sarebbe ancora sparita? La testa di Jolene pulsava sotto alla spinta di quelle elucubrazioni, e le sue gambe ne sfogavano l'irrequietezza mantenendo un ritmo sostenuto. I palazzi della capitale sfilavano grigi ai suoi lati, uno dopo l'altro l'avvicinavano alla sua meta: la redazione della Gazzetta. Se Rowena non sarebbe venuta da lei, allora sarebbe stata lei a farle visita; non poteva più reggere l'orgoglio, né la considerazione di quali fossero i debiti di una o dell'altra. Tutto ciò perdeva importanza in quel momento di feroce determinazione, quando aveva appena smesso di tirare su col naso e si impegnava a respirare a fondo, così da cancellare, oltre all'agitazione, anche ogni traccia di rossore sul suo viso.
Perché ormai era arrivata in vista dell'imponente edificio del giornale. Faceva sempre una curiosa impressione accorgersi dell'indifferenza totale dei babbani di fronte a quegli enormi complessi celati loro dalla magia. La vista era terribilmente relativa, le capitò di pensare mentre spingeva la porta d'entrata – ancor di più se applicata alle persone. Sentiva ancora un nodo allo stomaco a ricordare come aveva lasciato Aiden, a come l'aveva colpita il suo aspetto. Si domandò come si sarebbero guardati la prossima volta che si sarebbero visti – perché almeno su di lui poteva contare, non sarebbe sparito, anche se quel giorno si erano feriti come mai avevano fatto.
Passò attraverso la procedura di controllo come se fosse un sogno; essere riconosciuta come giornalista freelance accelerò le pratiche, e presto Jolene si ritrovò a cacciare in tasca il cartellino che la identificava come visitatrice. Ringraziò distrattamente chi s'era occupato di lei, dimenticando il suo viso non appena vi staccò gli occhi per portarli verso i lunghi corridoi.
L'ufficio di Rowena era al terzo piano, le era stato detto, e lì si diresse. Provò una strana sensazione di estraneità nel rendersi conto che quella era in assoluto la prima volta in cui andava a trovarla lì, nemmeno prima di Hogsmeade l'aveva mai fatto. Rowena era tanto distante quanto misteriosa, e a Jolene non era difficile credere che ci fosse qualcosa in lei che non piaceva ad Aiden. Aiden. Ripensare a lui, ancora, le fece accelerare il passo in un impeto di furore. Avrebbe saputo dalla giornalista stessa quei segreti che l'Auror ci teneva tanto a tenerle nascosti. Avrebbe avuto le sue risposte, avrebbe fatto chiarezza su ogni cosa e prima di tutto su Hogsmeade, la questione che più di tutte le premeva.
Si bloccò improvvisamente quando, sopra ad una delle porte allineate lungo il corridoio, lesse il nome Rowena Abyss. Silenziosamente si spostò appena, così da fronteggiare l'uscio. Fissò il legno muto fino a quando non fu più a fuoco e allora, scuotendosi come da un torpore, alzò la destra e bussò. Toc toc toc toc. Quattro colpi in rapida successione, suoni secchi e decisi a cui non seguì nessun richiamo a voce. Non le avrebbe dato l'opportunità di evitarla ancora.


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Aiden Weiss
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N
on poteva capire. In quel momento, nella propria fragilità e amarezza, Jolene White non poteva capire né le ragioni che lo spingevano ad agire in quel modo nei suoi confronti, né cosa lo rendesse tanto sospettoso nei confronti della Abyss. E la cosa lo frustrava nel profondo.
La mascella si contrasse pericolosamente, rischiando di far saltare via i denti, ma Aiden era un uomo tanto robusto quanto duro: fissò l’amica in un silenzioso rimprovero, gli occhi blu leggermente lucidi per via della rabbia che lo dominava e per quella delusione crescente che lei gli stava causando; non avrebbe mai immaginato quanto l’animo danneggiato e provato di Jolene potesse indurla a comportarsi come una cieca e una sorda, incapace di fidarsi di lui completamente. Tuttavia, non si stupì in parte di quella incomprensione che, spesso e volentieri, giungeva a stroncare ogni tipologia di rapporto in cui si era cimentato, proprio come era successo con Nieve Rigos o Thalia Moran. Si disse che non era completamente colpa sua e, infondo, come poteva esserlo davvero? Del resto non c’era peggior sordo di chi non voleva sentire.
Non proferì una sola parola, amareggiato com’era non riuscì nemmeno a proferire la più scontata delle frasi, come un “Non posso!” o un “Non è così, stai esagerando!”, perché qualsiasi cosa fosse uscita dalla propria bocca sarebbe apparsa come la più insignificante delle scuse o la peggiore giustificazione concepita. Mostrarsi freddo e distaccato fu l’unica opzione che gli parve più calzante, benché dentro stesse decisamente ribollendo come un vulcano e si odiava profondamente per quel suo modo di mostrarsi a Jolene; non avrebbe mai voluto riservarle la propria freddezza, per non parlare della propria furia.
La lasciò andare - per così dire - affinché potesse quantomeno calmarsi e concedere ad Aiden un seguito per poter chiarire tutta quella faccenda, senza compromettere entrambi da spiacevoli inconvenienti. Perciò rimase al tavolo e si scolò tutto d’un fiato il vino che era avanzato dal calice di Jolene, permettendo così all’amica di guadagnare terreno sufficiente da non sospettare alcun tipo di inseguimento, ma lanciandole comunque un’occhiata affinché sapesse quale direzione avrebbe preso; lui, d’altro canto, non avrebbe impiegato molto a raggiungerla, pertanto si alzò lentamente e si rivestì prima di dirigersi alla cassa per pagare, aggiungendo qualche sterlina in più per il calice infranto e la tovaglia ormai irrimediabilmente macchiata.

Una volta uscito dal locale, l’Auror prese un profondo respiro e sfruttò al meglio le proprie capacità orientative per stanare Jolene tra la folla in movimento. La vide appena in tempo attraversare un semaforo mentre sgusciava tra le persone, il che lo indusse ad innescare una veloce corsa prima che potesse scattare il rosso per i pedoni e il verde per le vetture. Era una perfetta macchina da guerra che entrava in azione con poderose falcate, destreggiandosi a sua volta nel superare il marasma di persone ed evitando per un pelo l’urto diretto con una moto che stava per superare un autobus fermo all’incrocio.
Il vento e la folle corsa avevano scompigliato sia i capelli che la barba del rosso, oltre al fargli quasi perdere la sciarpa, ma si concesse comunque un secondo per sistemarsi oltre che temporeggiare e favorire così la distanza tra lui e Jolene. Non avvertì minimamente il freddo autunnale, dato che il proprio calore corporeo era alla pari di una fornace in piena produttività e che contrastò, senza la minima fatica, ogni colpo d’aria improvviso. Affondò dunque le mani nelle tasche della giacca di pelle e prese a seguire l’amica con dei passi molto contenuti, poiché - e questo lo sapeva perfettamente - avrebbe potuto raggiungerla in breve tempo se solo l’avesse voluto davvero. Eppure, nel momento in cui nella propria visuale apparve l’insegna della Gazzetta del Profeta, in quello che era l’ennesimo edificio londinese celato dalla Magia, e il successivo ingresso di Jolene al suo interno, fecero aumentare il passo dell’uomo fino a correre verso l’ingresso.
Fu tutto piuttosto chiaro agli occhi dell’Auror: la White, già di per sé carica come un fucile a pallettoni, pareva decisa a cercare un confronto con Rowena proprio nella sede lavorativa di quest’ultima; il che lo fece vibrare di puro terrore, oltre ad una rabbia sempre crescente. Non poteva permettere che l’impulsività del momento conducesse Jolene proprio nella tana di un leone che era meglio lasciar dormire, né che rimanesse priva di scudi in un momento tanto sensibile, in cui l’amica era un nervo completamente scoperto.
Imboccò a sua volta, e bruscamente per di più, l’entrata della redazione e superò i controlli con il proprio e universale lasciapassare: il Distintivo. Jolene era a pochi passi più avanti, intenta a salire la rampa di scale che lui invece prese a saltare ogni due gradini, così che potesse tenere testa a quella furia che rendeva il ritmo dell’amica una vera e propria marcia di guerra. Giunsero al terzo piano e il cuore di Weiss era diventato un vero e proprio tamburo nel petto, animato da un senso di ansia e urgenza che lo spinsero a compiere l’ultimo scatto decisivo in direzione dell’Infermiera; le apparve infatti accanto nel momento in cui la vide bussare alla porta di Rowena, silenzioso come un’ombra, per poi protendersi verso il suo orecchio e sussurrandole con estrema dolcezza: «Non sarai sola.» E la propria mano, una volta riposto il Distintivo, andò a cercare quella di lei, per stringergliela e farle sentire la propria presenza.
Non le sorrise, era troppo preoccupato per quello che sarebbe successo di lì a poco. Se non altro era stato accorto nell’essersi rivolto a lei con i giusti toni e termini: non un minimo segnale di mancata fiducia nei suoi confronti e questo Jolene, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto riconoscerglielo.


Piccolo upload della grafica. Perdonatemi eventuali errori, sono un po' di corsa.
Rowi, mon amoùr, eccomi *fruuuu



Edited by Aiden Weiss - 11/1/2021, 12:51
 
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view post Posted on 11/1/2021, 18:41
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LA MANGIAMORTE

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Solitamente non si recava in ufficio se non quando c’erano riunioni o scartoffie che richiedevano la sua presenza, preferendo starsene a casa in vestaglia a ciabattare in giro, scrivendo gli articoli sul tavolo della cucina davanti a un bicchiere di vino e con radio strega network in sottofondo. Eppure quel giorno aveva dovuto obbligatoriamente andare in redazione e aveva passato l’intera mattinata con Bagley e gli altri giornalisti “ufficiali” discutendo tra le altre cose anche del campionato di Quidditch che oramai stava volgendo alle giornate finali. La riunione era stata come sempre lunga e noiosa e anche se avevano parlato animosamente delle partite, l’argomento era stato presto eclissato da avvenimenti più recenti quali l’attacco di Hogsmede. Lo sventramento del palazzo, le sue numerose vittime erano ancora un argomento fresco e sulla bocca di tutti e il caporedattore smaniava, come un cane davanti ad una bistecca, per saperne di più ma nessuno aveva scoperto apparentemente nulla sulla strega che aveva evocato l’ardemonio e su chi fosse dietro quei narcisi infiammabili. Era curiosa anche lei di venire a capo della faccenda ma al momento aveva altri pensieri nella testa tra cui Jolene. Doveva ammettere che si era affezionata a lei ed era merito solo suo, se aveva salvato tutte quelle vite quel giorno invece di lasciarle perire tra le braccia delle fiamme e questo ovviamente la turbava, perché non era una cosa sua. Il fatto di essersi avvicinata così tanto ad una persona, tanto da rischiare se stessa, era qualcosa di fastidioso, di troppo umano che non riusciva a concepire. Aveva fatto il possibile per tenere le persone lontane dalla sua vita eppure queste s’insinuavano, le scivolavano dentro senza che lei davvero se ne accorgesse e non andava bene perché queste alla fine l’avrebbero tradita e ferita, l’avrebbero abbandonata in una storia che continuava a ripetersi ancora e ancora e il suo cuore, non poteva sopportare di nuovo quel genere di dolore. Per questo l’aveva allontanata da se, aveva evitato di presenziare a qualsiasi evento mondano in modo da non incrociarla e si era promessa di non scriverle anche perché quali parole avrebbe potuto mai usare? Erano troppe diverse e la loro amicizia era finita quel giorno in mezzo ai narcisi, questa era la realtà.

Una volta lasciata la riunione si era diretta poi in caffetteria, dove un servizievole elfo domestico le aveva riempito una tazza di cartone extra large di caffè che Rowena avrebbe sorseggiato nel suo ufficio sistemando nel contempo alcune scartoffie prima di tornare a casa. Scese le scale che portavano dal quarto al terzo piano e svoltato l’angolo, vide sulla porta due persone. Arrestò il passo a distanza, studiandole quanto bastava per cercare di riconoscerle ma mentre non ebbe problemi a individuare la figura di Jolene, con la sua chioma rossa e la figura minuta, non parve invece mettere a fuoco l’uomo che era con lei, anche perché le dava le spalle. Socchiuse appena gli occhi, cercando di organizzare rapidamente un piano sul da farsI: la cosa migliore, sarebbe stato voltare le spalle ai due e andarsene, ma era certa che avrebbe solo rimandato quell’incontro, tanto valeva affrontarla e dissimulare qualsiasi cosa. Le veniva sempre così bene. Trasse un sospiro, riempiendo d’aria i polmoni e si fece avanti, annunciando la sua presenza con voce forte e chiara.

-Avevate bisogno di me?-

Solo quando i due si sarebbero voltati e avrebbe riconosciuto che l'accompagnatore era Aiden Weiss, l’auror, avrebbe mostrato un barlume d'incredulità sulla faccia, aggrottando le sopracciglia e studiando la figura dell’uomo per un lungo istante. Che diamine voleva? Bevve un sorso di caffè, facendo morire nel liquido qualche qualche oscenità, ricordandosi quanto si era appena promessa di fare posando lo sguardo su Jolene che probabilmente, avrebbe preso parola per prima tra i due.






 
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Avanti, si aspettava di sentirsi esortare. La mano destra, che in quel momento Jolene si stava nervosamente tormentando con le unghie, era pronta a sollevarsi verso la maniglia, in rapida risposta alla voce di Rowena. Ma fu tutt'altro timbro a raggiungere le sue orecchie, in un sussurro così inaspettatamente vicino da farla trasalire. Gli occhi di Jolene mandarono un lampo, mentre il suo intero corpo si ritraeva: mosse un passo di lato, allontanandosi di scatto da Aiden.
Aiden. Cosa ci faceva lì? Per un unico, folle istante, Jolene pensò che fosse stato animato dal suo medesimo desiderio di confrontarsi con la giornalista. Ma quella sembrava solo un'idea stupida, il maldestro tentativo di giustificare l'ingiustificabile. Jolene sentì la furia montarle alle guance in un calore che le accese di rosso, mentre la sua mano sinistra, che Aiden aveva tentato di afferrare prima che lei la sottraesse come da un animale velenoso, venne serrata in un pugno. «Sei impazzito?» sibilò. In quel momento avrebbe potuto essere alta tanto quanto lui, avrebbe potuto sovrastarlo di tutta la testa, tanto sentiva di poter annichilire la sua presenza. «Che cosa ci fai qui? Mi hai pedinata come un sospettato qualunque, vero?» Voleva credere che non fosse così. Desiderava davvero che Aiden si fosse trovato esattamente dietro di lei, fuori dalla porta di Rowena, per una pura coincidenza. Desiderava ignorare la sgradevole sensazione di essere stata raggirata e usata, come se la sua volontà non valesse il rispetto di un amico. Con lo sguardo incalzava Aiden a rispondere, gli scavava dietro agli occhi come se potessero contenere tutta la verità. Non le avrebbe mai fatto così tanto male, provò a convincersi – ma, infine, l'ultima conferma l'avrebbe cercata nel viso dell'altro.
Si era quasi scordata del motivo per cui si trovava alla Redazione – ma presto fu Rowena stessa a ricordarglielo, palesando la propria presenza non aprendo la porta, come ci si sarebbe aspettati, ma richiamandoli dal corridoio. L'evidente stupore placò fugacemente l'espressione di Jolene, prima che essa tornasse ad indurirsi in qualcosa che assomigliava a guerrigliera determinazione.
«Rowena» fu la prima cosa che disse, costringendosi a pronunciare le poche sillabe del suo nome senza tradire un'emozione violenta. Si piazzò in modo di poterla guardare in viso e, allo stesso tempo, di liberarle la via per la porta dell'ufficio. Un invito ad entrare, a lasciarla entrare. «Sì, dobbiamo parlare.» Se la giornalista era stupita, a Jolene parve che il motivo non fosse tanto la sua presenza quanto quella di Aiden. Non le sfuggì la fronte aggrottata dell'altra, né il lungo istante di osservazione che riservò all'Auror. La imitò, gettando ad Aiden uno sguardo indagatore. «La presenza di Aiden è una sorpresa anche per me.» Il tono era chiaramente una provocazione all'indirizzo dell'uomo. «Ma penso che non sia la prima volta che vi vedete, non è vero? Me ne parlavi giusto poco tempo fa, ma non sei ancora riuscito a raccontarmi di come vi siete conosciuti.» Se Aiden credeva di poterle strappare confessioni non desiderate con la sua presenza imposta, lei gli avrebbe raccontato un'altra storia.


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I
l cuore dell’Auror subì un tuffo, in principio, poi si indurì come la pietra. Mai avrebbe pensato di sentirsi talmente indesiderato e ferito come in quel momento, percependo in quel gesto un rifiuto categorico verso quelle che erano le sue reali intenzioni, e catalogandolo come una sorta di tradimento nei suoi confronti e nella sua stessa natura. Era come se fosse appena stato abbandonato a se stesso, lungo il ciglio di una strada deserta, in mezzo al buio e al freddo, con il solo rumore della pioggia a scandire i secondi che lo avevano visto separarsi dalla persona cara che aveva scelto di allontanarlo. Mai come in quel momento, si sentì deluso e deciso ad allontanarsi a sua volta pur di non soffrire ulteriormente, ma era l’affetto genuino che ancora riservava all’amica che impedì al fulvo di compiere quel passo e sancendo così l’allontanamento definitivo.
Impassibile, nella propria irremovibilità, l’uomo la fissò con una calma innaturale, che solo il tempo e svariate ferite subite gli avevano concesso di conoscere. Non era lui il pazzo lì, ma lei, troppo desiderosa di un confronto con una donna che era meglio tenere a debita distanza. Jolene e Rowena appartenevano a due mondi completamente opposti l’uno dall’altra, non sarebbe stato assolutamente saggio addentrarsi nel territorio di una persona che - fino a prova contraria - risultava ancora un mistero; lui questo lo sapeva bene, era un Auror, e aveva i propri talenti, ma Jolene si stava muovendo come un animale disorientato e pronto a gettarsi tra le spire del serpente, per questo aveva scelto di seguirla e affiancarla nonostante tutto: per impedire che si facesse del male da sola.
«Le tue accuse non mi toccano minimamente, Jolene.» mormorò Aiden in tono asciutto, consapevole di quanto quelle parole fossero in realtà fasulle, di come lei lo stesse massacrando con ogni suo gesto e sguardo. Ma doveva essere forte, si era detto, per la sicurezza della sua stessa amica. Mentire era l’unico modo per nascondere a Jolene quanto stesse male in realtà, perché non se la sentiva di farla sentire in colpa. «Sono qui per sostenerti e non per permetterti di travisare le mie intenzioni. E lo faccio come amico, non come Auror.» Poi, improvvisamente, la linea dura della propria mascella apparve sul suo volto, interrompendo bruscamente quell’assenza di emozioni che la sua stessa espressione aveva manifestato fin a quell’istante. Visto che lei lo stava incalzando con lo sguardo, lui le rispose in quel modo, come se volesse silenziosamente invitarla a darci un taglio con quella scarsa fiducia nei suoi confronti e false accuse. «Non potevo abbandonarti...» sussurrò, infine, tornando a mostrarsi distaccato, ma preservando un tono sincero.
Quando la voce di Rowena Abyss giunse alle loro spalle, per un attimo Weiss fu tentato di leccarsi le labbra e approfittare di quell’occasione per studiare meglio l’ex Serpeverde, ma che - invece - si concesse solamente il gusto di vedere la futura espressione sul volto della donna una volta che si fu voltato, rivelando così i propri lineamenti del viso. Pertanto si voltò lentamente, entrambe le mani infilate nelle tasche dei jeans per garantirgli una posa rilassata e tranquilla, per poi concedere a Rowena un piccolissimo sorriso di circostanza; e non poté negare quanta soddisfazione provò nel vederla sorpresa nel riconoscerlo, assicurandosi di non allargare maggiormente il proprio sorriso, né di fissarla come una volpe in procinto di balzare su una succulenta gallina.
«Ciao Rowena.» mormorò, placidamente.
Per un attimo riportò lo sguardo su Jolene e, anche in quell’occasione, nascose quella sensazione di tradimento che ella provocò in lui una volta che la udì dire quelle parole. Anche se aveva parlato con sincerità, si disse, Aiden iniziò a percepire la propria fiducia in lei stridere pericolosamente. «Ti ho vista mentre stavi entrando nell’edificio, così ho pensato di tenerti compagnia.» rispose in totale semplicità, regalandole un dolce sorriso, ma che gli costò un certo sforzo che si premurò di nascondere.
Tornò a fissare Rowena qualche istante dopo e, stavolta, ridacchiò. «Io e Rowena ci conosciamo fin dai tempi della scuola. E in parte devo anche a lei questo piccolo souvenir...» Si sfiorò la sottile e biancastra cicatrice che aveva sotto l’occhio sinistro. «Giusto, Rowena? Tu e mio fratello vi intendevate molto bene a Quiddich...» Gli sfuggì una smorfia nel nominare Richard. Se da un lato non aveva riservato rancore a Rowena nell’aver appoggiato quello che era un suo Concasato, non poteva dirsi lo stesso nei confronti del fratello. Richard aveva sempre odiato Aiden e non lo aveva mai nascosto, anzi, ce l’aveva messa tutta nel renderlo palese a tutti e a cercare di sbarazzarsi del suo ingombrante fratellino con ogni mezzo possibile. Non aveva mai elaborato delle ipotesi su come la pensasse Rowena in merito a quella che era una vera e propria ossessione per Richard, né come la pensasse direttamente nei confronti del fulvo; del resto non gli era importato allora e nemmeno ora, la Abyss non era nulla per lui e non ne avrebbe fatto mistero se qualcuno glielo avesse chiesto.




Edited by Aiden Weiss - 24/1/2021, 12:02
 
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Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Jolene, Rowena avvertí un fremito correrle lungo il corpo ricordando quelle emozioni che l’avevano travolta mesi addietro: per un breve istante le sembrò di tornare agli attimi vissuti nella piazza, tra le urla, i palazzi che crollavano, l’odore ferruginoso del sangue e dei narcisi che brillavano mietendo vittime, spargendo petali e sangue. Ricordò con una chiarezza fastidiosa l’emozione che l’aveva spinta a frapporsi tra l’infermiera e l’ardemonio, quel sentimento che le aveva riempito il cuore e fatta desistere dal comportarsi come si doveva effettivamente comportare, ovvero abbandonando il luogo prima ancora di essere scorta. Era per Jolene che aveva messo in repentaglio la propria esistenza e i propri servigi verso l’oscuro signore, eppure, non riusciva ad addossare all’infermiera nessuna colpa se non quella di essere adorabile. Quella ragazza era disarmante con la sua purezza ed innocenza, riuscendo a conquistare anche lei, anche se tutto ciò era momentaneamente corrotto forse dall’espressione corrucciata e da un bagliore piccato nello sguardo: era infastidita da qualcosa o da qualcuno, forse a causa di Aiden, dato lo sguardo che l’infermiera riservò in sua direzione.

-Si certo...-

Le rispose pacata a quel suo “dobbiamo parlare”, spostando poi nuovamente lo sguardo sull’ex grifondoro, ritrovandosi ad annuire alle sue parole, che placarono la curiosità dell’infermiera.

-Esattamente, e non solo a Quidditch. Anche se non mi aspettavo che chiedendomi la mazza in prestito ti lasciasse un ricordo simile....-

Parlò avanzando, frapponendosi poi tra loro e armeggiando con la serratura sfilando la chiave da una tasca del gilet che indossava. Tuttavia prima d’entrare e lasciare che loro la seguissero, si volse verso il viso di Aiden, al quale sorrisone sorniona gettando quella piccola esca che aveva riservato per un loro prossimo incontro che alla fine, era finalmente giunto.

-Anche se ti dona, auror Weiss…-

Scomparendo infine oltre l'ingresso che aveva lasciato aperto per permettere di essere seguita. L’ufficio di Rowena non era grande e i mobili di legno scuro e massicci rendevano il luogo ancora più piccolo e opprimente. Vi era tuttavia una grande finestra retrostante la scrivania confusionaria della donna che dava sulla città. Da lí si poteva osservare la via e i passanti che andavano su e giù dagli uffici babbani vicini. Vi era un intenso odore di legno e fuliggine, nonostante il camino fosse spento, segno che il luogo non veniva arieggiato spesso. Raggiunto il tavolo di lavoro spostò con la mano libera alcuni fogli e altro ciarpame senza preoccuparsi del disordine, per poi infine issarsi quanto bastava per accomodare il proprio deretano, lasciando oscillare i piedi nel vuoto. Non si era preoccupata del fatto che non vi fosse modo per i due di accomodarsi, anzi forse questo avrebbe reso il tutto più sbrigativo.

-Allora, di che vuoi parlare?-

Disse dopo aver bevuto un lungo sorso di caffè, posando la tazza accanto a se e intrecciando le mani sul grembo.







 
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Jolene White

infermiera | 20 anni | scheda



Jolene era determinata a porsi a guida dell'incontro, così da ricevere tutte le risposte che gli altri due desideravano nasconderle. I suoi intenti erano intuitivamente chiari: giungere al nocciolo di ogni questione, parlarsi con la sincerità che fino ad allora era mancata, e così coprire la distanza straziante che tutti loro avevano contribuito a creare. L'ironia voleva che, nel tentare un riavvicinamento, era lei la prima ad incalzare allo scontro – abbattere barriere o innalzarle, il confine tra una e l'altra cosa si faceva terribilmente labile. In parte, guardava con orrore al proprio comportamento, a quei gesti e quelle parole che le uscivano sferzanti, quasi che non esistesse un modo pacifico per scavare a fondo nel dolore. Lei non era così, le ripeteva una parte di sé. Ma cosa altro fare, quando perfino Aiden, di cui si era sempre fidata e in cui riponeva un affetto fraterno – quando perfino lui la tradiva? Forse non ne aveva intenzione, certo; anche nel presente momento di parziale oblio, Jolene si rendeva conto che, tra tutte le accuse che avrebbe potuto muovere all'Auror, non potessero figurare le cattive intenzioni. Aiden le voleva bene, e Jolene gli credeva, gli credeva sinceramente quando diceva di non volerla abbandonare. Quello che Aiden non capiva, o non desiderava capire, era che Jolene non si poteva sentire abbandonata quando era stata lei, di sua spontanea volontà, ad andarsene. Aveva scelto la solitudine per affrontare un problema che riguardava lei, e lei soltanto: era così difficile accettare la sua decisione? Riservò ad Aiden uno sguardo in cui, al di là del rimprovero, si leggeva lo strenuo tentativo di placare le proprie emozioni. Non poteva ritenersi esente dalle sue responsabilità, stava comunicando all'amico: le buone intenzioni non sono una valida giustificazione per ogni cosa.
E poi, naturalmente, c'era Rowena. Il suo tono pacato, più di ogni cosa, le dava sui nervi. Quasi che la sua fosse una semplice visita di cortesia, e non vi fosse nulla, nella sua presenza, che potesse turbarne la tranquillità. Jolene la osservò distrattamente mentre apriva la porta e, appena prima di seguirla all'interno, commentò quanto lei e Aiden avevano appena detto: «Allora siete conoscenti di vecchia data. Vi sarete tenuti in contatto, in tutti questi anni». I vecchi aneddoti risalenti al tempo della scuola la interessavano fino ad un certo punto – ci doveva essere altro per allarmare Aiden al solo sentire il nome della Abyss. In quel momento, a Jolene non importava se era ostile o fastidiosa. Al contrario, provava un certo piacere a pigiare in continuazione sugli stessi tasti, quando essi suggerivano chiaramente dei segreti di cui non si intendeva metterla al corrente.
Entrata nell'ufficio dietro a Rowena, Jolene non era di uno stato d'animo che le permettesse di badare ai dettagli dell'arredamento. Tutto ciò che trasse dalla stanza fu un indistinto senso di claustrofobia, che inconsciamente la spinse a soffermarsi un po' più a lungo sulla finestra. Fuori, uomini e donne avvolti in cappotti scuri attraversavano rapidi i marciapiedi, prima di venire inghiottiti dall'intelaiatura. Che vista schifosa. Guardò Aiden, cercando istintivamente un riscontro del suo disagio in un luogo in cui chiaramente non erano i benvenuti. Solo dopo distolse lo sguardo, punta da una distinta sofferenza nel ricordarsi che nemmeno lui era suo alleato in quell'occasione, non del tutto.
Soffocò un colpo di tosse dietro alla mano – la puzza di fuliggine le dava più fastidio di quanto il solo olfatto potesse giustificare. Era solo l'ultimo dettaglio che contribuiva a rendere quell'ambiente poco accogliente, più indifferente che apertamente ostile. Rowena era così, pensò mordace mentre faceva correre lo sguardo dalla donna allo spazio di fronte alla scrivania, dove non si potevano vedere sedie per i visitatori: lei aveva posto solo per se stessa. Eppure... Eppure, aveva dedicato ad altri almeno un pensiero, quando aveva posto fine all'Ardemonio di Hogsmeade. Non che questo costituisse agli occhi di Jolene una grande prova di magnanimità: le sembrava, piuttosto, un segno di semplice umanità, e l'avrebbero raggelata se le avessero detto che esistevano persone che non avrebbero agito nello stesso modo. Ma qualcosa di quel gesto doveva aver turbato Rowena al punto da farla sparire nel nulla. A Jolene sembrava significativo che, per quanto avesse setacciato ogni articolo riguardo all'attacco, non aveva mai trovato accenni alla persona che aveva fermato il fuoco maledetto. Rowena si teneva stretto il suo segreto. E lei? Lei l'avrebbe tradita? Non che ne avessero mai parlato, nemmeno perché a Jolene venisse imposto il silenzio, ma non aveva bisogno di sentirselo dire per capire che Rowena preferiva che la sua impresa rimanesse nel silenzio. Sembrava ancora più strano, allora, che non avesse mai contattato Jolene: non era quantomeno curiosa di sapere cosa avesse fatto l'infermiera delle sue informazioni?
«Allora, di che vuoi parlare?»
Jolene inarcò le sopracciglia, prima di sbuffare: «Anche io sono felice che tu stia bene. Sai, dopo che sei scomparsa nel nulla, per quel che ne sapevo avresti anche potuto non ricevere nessun aiuto dai Medimaghi». Teneva le braccia incrociate al petto, ripetendosi che non doveva sentirsi a disagio a starsene lì così, in piedi, come se non ci fosse posto per lei nella stanza.
Come proseguire? Con Aiden presente, non sapeva se poteva permettersi la schiettezza che avrebbe desiderato. Eppure qualcosa doveva aggiungerlo, o Rowena avrebbe fatto di tutto per chiudere lì e sospingerli verso la porta. Doveva provocare una sua reazione, scavare oltre all'indifferenza che ostentava. Soprattutto, non voleva ridurre ogni cosa alle sue preoccupazioni – si sarebbe sentita patetica, e temeva che, se fosse scivolata per quella china, la sua stessa voce l'avrebbe tradita, spezzandosi sotto ad emozioni meno battagliere. Non voleva che né Rowena né Aiden la vedessero in un simile stato.
Alla fine, le uniche parole che riuscì a portare a galla furono: «Perché l'hai fatto?». E, per un istante, perse ogni traccia di furore, rivolgendole uno sguardo finalmente aperto. Restava consapevole della presenza di Aiden accanto a lei, ma per il momento la sua attenzione era tutta per la giornalista.


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Aiden Weiss
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Q
uanto ancora avrebbe sopportato quella situazione? Quanto ci avrebbe messo ad esplodere come una bomba per quel continuo ed incessante circolo di fraintendimenti di cui l’Auror, in un modo o in un altro, finiva sempre per restarne coinvolto?
Ne aveva le tasche piene, era stufo di crearli ma anche di subirli, e percepire la presenza di un malinteso tra lui e Jolene lo portò ad un passo dal cedere ai propri impulsi rabbiosi e dare così libero sfogo al proprio struggimento. Del resto era più facile lasciarsi andare anziché controllarsi, era come bere un bicchiere d’acqua e questo Aiden lo sapeva molto bene, poiché per troppo tempo aveva permesso alle proprie emozioni di governarlo; ora, però, sentiva di non poterselo più permettere, oltre all’essere pienamente consapevole di aver perduto più cose di quante ne potesse contarne, e non aveva assolutamente voglia di aggiungere Jolene alla lista.
Lo sguardo dell’amica rese il compito assai arduo per il Mago, il quale riuscì ad intravedere nelle iridi della rossa non soltanto il rimprovero e quella che poteva essere una sorta di esortazione a darci un taglio con quel suo modo di fare, protettivo o meno che fosse, ma anche l’ombra di una sottile accusa di tradimento.
T r a d i m e n t o.
Il solo pensiero lo fece inorridire, lui che per primo lottava contro una simile oscurità e lo stomacava a tal punto da desiderare di avere la capacità di dare fuoco ai traditori con il solo sguardo, così che potesse purificare il mondo dalla loro infamia. E giusto o sbagliato che fosse un simile concetto, ad Aiden non importava, non in quel momento. Sentiva le viscere contorcersi sotto lo sguardo dell’altra e per un attimo, solo per un brevissimo istante, contrasse la mascella e la guardò con una tale severità che avrebbe potuto penetrare perfino il diamante; di tutte le accuse che Jolene poteva muovergli contro, il tradimento era l’unico che non avrebbe mai dovuto considerare, non con lui per lo meno. Poteva limitare i propri modi di fare, se era ciò che ella desiderava, ma mai avrebbe smesso di agire secondo la propria coscienza, altrimenti non solo avrebbe mosso infedeltà a lei o a qualsiasi altra persona a cui teneva, ma anche verso se stesso.
Sembrò acquietarsi quando l’amica parlò in merito a quello che pareva essere un grado di confidenza tra lui e Rowena, cosa che non sarebbe potuta esistere neanche nei sogni più reconditi dell’ex Serpeverde e della quale dubitava fortemente, ma non si scompose di un millimetro, nemmeno per smentire. L’uomo, infatti, si convinse a lasciarsi cullare dall’apatia anziché dalla propria indole focosa, deciso oltre ogni misura a tenere Jolene lontana dai propri sospetti e opinioni; eresse quindi un muro impossibile da scavalcare, consapevole che non avrebbe fatto bene a nessuno dei due, ma che - tuttavia - non poteva fare diversamente in quel momento.
«Infatti voleva semplicemente uccidermi.» replicò in tono asciutto alla frase di Rowena, invece, facendole spazio affinché potesse aprire la porta senza averlo tra i piedi come un cane da caccia che le stava col fiato sul collo.
Successivamente però l’espressione dell’ex Serpeverde, con quel sorriso sornione, e il commento che ne seguì, lo misero in allarme ma che - nonostante tutto - evitò di trasparire in una qualsiasi maniera. Si mostrò impassibile a quella che poteva sembrare una provocazione di qualche tipo, e forse lo era davvero, senza replicare in nessun modo, solo per il semplice gusto di non darle alcuna soddisfazione o qualsivoglia altro strumento per stuzzicarlo. Lasciò quindi cadere l’argomento così com’era nato, fingendosi per nulla toccato dalla scoperta della donna. Tuttavia si domandò, infatti, come fosse riuscita a saperlo, considerando che l’ipotesi più plausibile fosse imputabile a qualcuno dalla lingua sciolta e che, ovviamente, sapeva. Che fosse stato suo fratello? La cosa non lo avrebbe sorpreso più tanto, ma non volle indagare, ammesso che la stessa Rowena non si fosse prodigata ad aprire bocca di sua spontanea volontà.
Come mise piede nell’ufficio della Abyss, l’olfatto dell’Auror chiese a gran voce di correre ai ripari da quell’olezzo di fuliggine e di chiuso, destreggiandosi come meglio poteva per non tossire. Storse quindi il naso e corrugò la fronte, gettando un rapido sguardo prima su Jolene e poi su Rowena, per poi accomodarsi placidamente con la schiena appoggiata nella porzione di muro che lo separava di poco dall’ingresso. Incrociò lo braccia al petto e, silenzioso come un’ombra, si mise in ascolto quando l’amica diede il via ad una conversazione che, e lo capì al volo, non vi era spazio per lui. Eppure, anche se era estraneo al contesto, si fece comunque attento.


 
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Annuí distrattamente alle parole di entrambi, le questioni che riguardavano il suo passato ad Hogwarts non erano il motivo della visita dell’infermiera lì. Altro l’aveva portata allora in quel ufficio, così angusto e avverso ad accogliere persone, uno specchio perfetto di quello che Rowena era diventata con il tempo. Le continue sofferenze a causa di altri, quel suo sentirsi sempre tradita e abbandonata aveva creato attorno alla donna una corazza che solo Jolene, dopo molto tempo, era riuscita a scalfire. Era stata forse la sua innaturale innocenza, quella pura ingenuità che era trasparita dai suoi occhi durante il loro primo incontro, il suo modo di vivere leggero e apparentemente spensierato che l’avevano conquistata. Con lei si era aperta quanto possibile, dalle sue mani aveva chiesto una cura e le aveva sentite gentili e affettuose. Salvarle la vita in quell’inferno che quel giorno di Agosto era diventato Hogmsede era il minimo che potesse fare per lei, ma che dopotutto, le si era ritorto contro. Avere qualcuno d’accudire, per il cui preoccuparsi rende vulnerabili, l’esperienza glielo aveva insegnato sbattendoglielo in faccia più volte e per questo, doveva allontanarsi da lei. Si era presa quindi le giuste distanze, aveva deciso di non vederla, di non scriverle, come se la loro amicizia fosse solo una mera conoscenza per il solo motivo di non esporsi, di non avere possibilità di essere ricattabile. Jolene era un ostacolo alla sua missione e alla sua vita, che oramai era devota solo all’oscuro signore.
La cosa sembrava aver funzionato, almeno fino a quel giorno in cui lei si era presentata accompagnata da Aiden. L’auror poteva essere un fastidio a tutta la sua doppia vita e se solo Jolene avesse parlato dell’ardemonio, probabilmente lui ne avrebbe voluto sapere di più, fare domande scomode che avrebbe preferito evitare, ma alle quali, in caso, sarebbe stata in grado di rispondere. Se era negromante, se oramai serviva Voldemort da tutti quegli anni, qualcosa doveva pur aver imparato.

-Mi spiace di averti fatto preoccupare…-

Il tono di voce era gentile anche se incrinato da una nota di rammarico come se una vaga sensazione di ammissione di colpa fosse reale. Era vero che era rammaricata, ma solo di non averle scritto. Probabilmente se si fosse presa la briga di sedersi alla sua scrivania e inviarle un gufo non sarebbe in quella scomoda situazione. Spostò lo sguardo per un attimo su Aiden, solo per controllare dove aveva deciso d’appoggiare la sua imponente figura, per poi tornare nuovamente su Jolene che se ne stava le braccia incrociate sul petto, in una posizione di difensiva. Rowena doveva muoversi bene, pigiare su determinate emozioni e le parole seguenti, gliele offrí su un piatto d’argento. Ora, la giornalista non ebbe idea a cosa quella domanda si riferisse esattamente, se all’ardemonio o al fatto che fosse scomparsa, ma tuttavia, quello che si meritava era una risposta onesta e sincera e che Rowena non ebbe nemmeno bisogno d’inventare. Ogni suo movimento quel giorno, e le scelte venute dopo, erano state solo in funzione di lei.

-L’ho fatto per te, Jolene-

Resse lo sguardo dell’altra senza esitazioni, senza paure e con la più totale onestà, senza aggiungere altro e decisa a rimanere in silenzio, le mani intrecciate tra le gambe leggermente divaricate. Dopotutto non era lei che era venuta a cercare risposte, ma Jolene.







Edited by Rowena Abyss - 14/3/2021, 23:05
 
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Si aspettava resistenza; ostilità, forse, nel proseguimento di una chiusura ermetica che sembrava essere la via scelta da Rowena nel rapportarsi a lei. In preparazione a tutto ciò, Jolene aveva concentrato le proprie energie in un grumo duro i cui contorni spigolosi la costringevano a deformare il proprio comportamento, che, così, risultava scomodo sotto alla sua stessa pelle. Tuttavia, per artefatto che fosse, quell'atteggiamento imposto le offriva una promessa di stabilità. Fu per questo che, quando i suoi occhi e le sue orecchie percepirono una Rowena sincera e addirittura pentita, per un istante Jolene si sentì mancare la terra da sotto i piedi. Le dispiaceva. A Rowena dispiaceva di averla fatta preoccupare.
Istintivamente, il contegno di Jolene mutò: le braccia sciolsero il loro nodo e caddero lungo i fianchi, mentre lo sguardo si faceva aperto nel comunicare il desiderio di capire, e il profondo dolore cui Rowena aveva contribuito solo in parte. Che cosa significava che l'aveva fatta per lei? In quale modo avrebbe dovuto giovarle essere lasciata da sola dopo tutto ciò che era successo? L'unica conferma che Jolene poteva trarre da tutto ciò era che Rowena avesse fatto qualcosa di proibito, quando aveva richiamato a sé l'Ardemonio. Jolene, dal canto suo, avrebbe voluto dirle che non le importava proprio niente: nessun confronto avrebbe potuto essere peggiore dell'abbandono che aveva sperimentato quando aveva scoperto che Rowena aveva lasciato il suo fianco. Era stato come se l'orrore avesse inghiottito anche la giornalista, e l'avesse strappata lontano, come aveva fatto con tutto il resto, lasciando a Jolene solo un'imitazione fuori di testa della realtà con cui fare i conti. Il mondo aveva invertito il proprio giro a partire dal primo boato di quel 31 agosto, e da allora continuava a sballottarla nel suo modo incomprensibile, sbagliato.
Ripensando a quel giorno, d'un tratto Jolene si sentì invadere dalla nausea. Il puzzo della cenere la soffocava: poteva sentire le minuscole particelle di bruciato tapparle le narici, per poi disegnare il loro percorso fin dentro ai polmoni, saturandoli di nero. «Posso...?» Le parole le morirono in gola mentre già si muoveva nello spazio lasciato libero dalla scrivania. Con una mano indicò vagamente verso la finestra, che raggiunse su gambe leggermente incerte. Presto, doveva fare presto. Per qualche secondo armeggiò con l'apertura senza riuscire a venirne a capo, ma quando finalmente riuscì a scostare i vetri, li spalancò. Inalò l'aria di Londra, che, a confronto con quella stantia dell'ufficio, sapeva di fresco. Prese alcuni respiri profondi, sentendosene immediatamente rinfrancata. Non doveva ritornare nella piazza incendiata, si ripeté mentre lasciava calare le palpebre per pochi secondi di buio. Non doveva ricordare ogni dettaglio di come lei e Rowena si erano confrontate allora.
L'aveva fatto per lei. Jolene interruppe un profondo respiro per dire, rivolta verso la strada fuori: «Io non volevo niente di tutto questo». Quel che rimaneva della sua rabbia non era più rivolto alle due persone alle sue spalle, ma a ciò che tutti loro avevano dovuto fronteggiare – e che ancora si portava appresso pesanti strascichi. «Non ho mai voluto che spariste, e non lo voglio nemmeno ora.» C'era anche Aiden nei suoi pensieri, in quel momento accostato alla figura della giornalista nel rappresentare ciò che Hogsmeade continuava a toglierle, come se quell'unico giorno non fosse bastato.
Jolene non osò voltarsi per affrontare le espressioni dei due. Aveva paura di leggerle distanti e fredde, e aveva paura che il puzzo della cenere tornasse ad assalirla non appena si fosse allontanata dalla finestra aperta. Strinse le dita intorno all'intelaiatura, guardando senza vederla la strada che si srotolava grigia di fronte ai suoi occhi. Un pensiero improvviso la colpì: era così che si erano sentite le persone intrappolate nel palazzo che era crollato? Alle spalle, il familiare ridotto in cenere ed estraneità; di fronte, una distesa grigia di sconosciuti.


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view post Posted on 12/4/2021, 21:56
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I sentimenti rendevano l’essere umano debole e Jolene era, almeno degli occhi di Rowena, debole. Aveva cercato un confronto, di questo le dava atto, ma era per sedare la sua solitudine, quel senso di abbandono che la faceva stare male, quella rabbia verso un mondo corrotto dove la morte stendeva la sua mano senza remore e rimpianti. Probabilmente l'infermiera era una di quelle persone che aveva bisogno di affetti, di sentirsi rassicurata e protetta, confortata e non pronta a vivere le sue emozioni in solitudine. Rivolgersi a Rowena per questo, era decisamente qualcosa d’impossibile eppure quel giorno doveva sembrare capace di farlo. La giornalista aveva vissuto gli i giorni successivi a quanto avvenuto ad Hogsmede con due unici tarli nella testa, ovvero chi era il mandate di quanto avvenuto ad Hogsmede e se Jolene avesse detto a qualcuno di quanto le due avevano vissuto assieme. Tuttavia i mesi trascorsi senza che nessuno venisse a bussare alla sua porta per porgerle scomode domande sembravano aver mitigato i dubbi che aveva sull'integrità di lei, ora non le restava che scoprire chi era la signora rosso e chi aveva scolpito quelle statue di cera.
Fece un cenno del capo alla richiesta di poter aprire la finestra, osservandola nel passare oltre e tentare di armeggiare con la maniglia della porta, dando il tempo a Rowena di bere un nuovo sorso di caffè. Lo sguardo si posò nuovamente su Aiden, pensando come coinvolgerlo nella discussione. Nonostante non fosse contenta della sua presenza lì, il suo lato oscuro e la giornalista che oramai era a tutti gli effetti avevano la medesima domanda da porgli, ma che avrebbe rimandato fintanto che non avesse soddisfatto la sete di risposte di Jolene. Assicurarsi la sua fedeltà facendosi sentire vicina e amica aveva la priorità. Posò quindi nuovamente la tazza sulla scrivania e scese dalla comoda posizione in cui si era seduta, per raggiungere Jolene e se possibile, stringerle dolcemente le spalle con le mani da dietro, in un gesto che sapeva d'intimità e vicinanza. Se l’infermiera non si fosse ritratta al suo tocco avrebbe finalmente parlato

-Giuro che non è mia intenzione sparire dalla tua vita Jolene…-

Mentiva, probabilmente le cose tra loro non sarebbero mai state più come prima, Rowena sarebbe scomparsa piano piano, scemando come un fuoco alle luci del mattino. Prima o poi Jolene si sarebbe dimenticata di lei e di tutta la faccenda e avrebbe avuto solo ricordi sbiaditi di un anonima salvatrice. Reclinò appena il viso in avanti, appoggiando la propria fronte al suo capo, inspirando l'odore buono dei suoi capelli.

-Io ci sarò sempre per salvarti da vecchie antipatiche che si perdono per strada…-

Tuttavia in quell’istante cercò di farla sorridere quindi, di sdrammatizzare l’intera situazione provando a farle ricordare che Hogsmede non era solo fiamme, urla e sangue, ma anche un luogo gioioso e soleggiato dove poter scappare assieme dalle grinfie di una vecchia megera. Fece quindi leva su un ricordo piacevole, cercando di scaldarla con sentimenti decisamente più felici, sciogliendo poi quel contatto intimo ma restandole vicino.





 
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Il paesaggio urbano fuori della finestra perdeva a poco a poco nitidezza, confondendosi in un grigio che Jolene poteva plasmare nella forma dei propri ricordi. Sapeva di non doversi lasciar andare alle sfumature più crude del proprio dolore, ma la stretta sull'intelaiatura non bastava ad ancorarla alla realtà. La sensazione del legno sotto alle dita sfumava in un dettaglio privo di significato, depositandosi sul fondo della sua coscienza; allo stesso modo, Jolene nemmeno udì l'avvicinarsi di Rowena, accorgendosi di lei solo quando quella posò le mani sulle sue spalle. A quel contatto, i muscoli si irrigidirono, ma tornarono a rilassarsi nello spazio di qualche respiro. Jolene chiuse gli occhi, così che, nel buio, potesse concentrarsi sul calore delle mani di Rowena, sul loro peso concreto sopra alla linea ossuta delle spalle. Sono qui riuscì a dirsi, allora, e tutto è sotto controllo.
Questa volta sentì bene Rowena, quando parlò. Jolene reclinò appena la testa contro alla sua fronte, accettando quell'insolita vicinanza. Per quanto si sforzasse di ricordare, non le sovveniva nessun'altra occasione in cui la giornalista le avesse manifestato dolcezza o affetto attraverso il contatto fisico. Pensava che semplicemente non fosse qualcosa che era solita fare, ma con quale salvifico tempismo era appena arrivata ad abbattere quel muro! Il battito di Jolene rallentò una corsa di cui la ragazza non si era nemmeno accorta. Allentò la presa sull'intelaiatura della finestra, tornando a sentire pienamente la ruvidità del legno sotto alle dita. Per un momento sentì che avrebbe potuto piangere – di una commozione che, finalmente, aveva un sapore meno amaro. Hai sempre così tanta paura per niente.
«Io ci sarò sempre a salvarti da vecchie antipatiche che si perdono per strada...»
Jolene sbuffò quella che, in circostanze migliori, sarebbe stata una risata. «Allora dimostralo, da ora in poi. Non ti chiedo di spiegarmi ogni cosa ora, ma sii onesta con me.»
Si girò a fronteggiare nuovamente i due. Sul suo viso stanco si leggeva ora una quiete che la riportava più vicina alla Jolene che Rowena e Aiden conoscevano, e che lei stessa sapeva accettare di più. La rabbia era finalmente sbollita: aveva ottenuto, almeno in parte, il confronto che era andata cercando. Tanto altro doveva ancora essere detto, ma in quel momento pensò che, forse, non erano ancora pronti. Andava bene, in fondo, e decise che avrebbe creduto sinceramente alle rassicurazioni che, ad un occhio più disincantato, sarebbero apparse poco significative. Inconsciamente, Jolene seguì i propri bisogni più umani.
Lanciò una rapida occhiata dietro alla spalla di Rowena, verso Aiden, sondandone l'espressione. Poi tornò a concentrarsi sulla giornalista, che, pur essendosi staccata da lei, rimaneva ancora vicina. Jolene, allora, cercò di attirarla in un abbraccio. Con la testa appoggiata alla sua spalla, il viso parzialmente nascosto tra i riccioli corvini, le avrebbe sussurrato così piano da farsi udire solo da lei: «Il tuo segreto è al sicuro». E se qualcuno le avesse chiesto cosa la portasse a tacere in circostanze così singolari, Jolene avrebbe potuto rispondere in un solo modo: per affetto. Perché, dopo tutto, pensava di potersi fidare di Rowena.
Si sarebbe poi staccata, scoprendo di sentirsi esausta a doversi reggere in piedi da sola. Le forti emozioni e le lunghe camminate di quella giornata avevano messo alla prova il suo fisico indebolito, e ora che non vi era più una forte decisione ad animarla, di lei rimaneva un'enorme stanchezza. Tuttavia, essa aveva il sapore confortevole della promessa che era appena stata fatta: era solo un primo passo, ma almeno le dava la certezza che non tutto fosse crollato, l'ultimo di agosto.
Ritornò a guardare Aiden, e poi l'ufficio, fino a soffermarsi sul bicchiere sulla scrivania di Rowena. «Possiamo sperare anche noi intrusi in un caffè?» Cercò di suonare leggera. «Io e Aiden stavamo cercando di bere qualcosa poco fa, ma non ci siamo riusciti. Non è mai troppo tardi, no?» Concluse su quell'ulteriore passo verso il riavvicinamento: non delle scuse, bensì la semplice riapertura di un dialogo. Jolene sapeva che c'era ancora molto in sospeso, ma avrebbe potuto aspettare, specie in quella situazione in cui essere in tre era più scomodo che incoraggiante. In fondo, ciò che bastava, in quel momento, era tanto semplice quanto profondamente significativo: tendersi la mano a vicenda. La certezza di poterlo ancora fare era l'unica di cui avesse bisogno.


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Se fosse stata una persona normale avrebbe dovuto stringere forte Jolene, piangere sulla sua spalla e sfogarsi di tutto quello che la corrodeva dentro, ma Rowena non era una persona normale. Oramai era abituata a prendersi gioco dei sentimenti della gente, ad affabulare con gesti e parole per districarsi dalle situazioni come queste. Si sentiva una persona orribile, sapeva benissimo di esserlo ma era stata fatta così: una serie di eventi l’avevano portata a percorrere quel sentiero ed era troppo tardi per tornare indietro. Nemmeno la presenza di una luce brillante quanto Jolene poteva illuminarle il cammino.
Quando l’infermiera parlò si trovo ad irrigidirsi appena. Raccontare la verità pura era impensabile, avrebbe potuto sempre dire delle mezze verità, delle bugie edulcorate in modo da non dover mentire apertamente ma non sarebbe mai potuto essere totalmente sincera.

-Farò il possibile.-

Disse sorridendo. Jolene sapeva poco della vita di Rowena, poteva forse legare quel suo modo di fare schivo e diffidente a chissà quale trauma passato ma non poteva dire che la mangiamorte, almeno apparentemente, non stesse provando ad uscire dal proprio guscio.
La conversazione sembrava finita lì, sarebbe potuta tornare al suo caffè e alle sue scartoffie ma Jolene ancora non aveva chiuso la conversazione. C’era qualcosa che doveva dirle e lo fece attirandola a se per il braccio, nascondendo il volto tra i suoi capelli e sussurrandole all’orecchio poche ma significative parole.
La giornalista non rispose, si limitò ad annuire con il capo, rivelando un sorriso sollevato e sincero. Si doveva fidare di quelle parole, di Jolene. Ancora una volta, avrebbe dovuto fare affidamento su qualcun altro e sperò che almeno lei, non le voltasse le spalle.

-Oh si certo seguitemi…-

Si riappropriò della tazza di caffè che aveva posato sulla scrivania e fece strada i due lasciando la porta dell’ufficio aperto. Weiss se n’era rimasto in disparte per tutto il tempo e da li a poco, le lasciò sole rimandando le domande che Rowena aveva per lui come Auror a futuri incontri.





 
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