Continuum
Il flusso dei feriti sembrava non avere fine: i reparti avevano iniziato a riempirsi, i posti lasciati liberi prima che arrivassero i nuovi pazienti iniziarono ad essere occupati uno dopo l’altro, ma non per questo lo staff del San Mungo sembrava disposto a mollare.
Jane stava finendo di ripulire l’ambulatorio con un gesto della bacchetta, appoggiandosi momentaneamente sullo stipite della porta per riposarsi un attimo: una strega, che riconobbe solo dopo alcuni attimi come una dipendente della mensa, comparve alle sue spalle, e sfiorandole il braccio la fece voltare per poi consegnarle una bottiglia d’acqua. La ragazza le sorrise, riconoscente, e approfittò di quei pochi attimi di riposo rimasti per svuotare completamente la bottiglia: a forza di vedere ustioni, cenere e scie di fumo sui vestiti dei pazienti aveva l’impressione che il fuoco avesse provato a divorare anche lei.
Maurizio Pisciottu
Ma non c’era tempo per stare fermi, non in quel momento: quei pochi minuti di pausa sembrarono durare pochi secondi, e non appena l’ambulatorio fu pronto e pulito un nuovo paziente vi fece ingresso.
Si reggeva apparentemente senza problemi sui suoi piedi e a differenza dei feriti che Jane aveva visitato fino a quel momento non fu un Auror a consegnarle i documenti ma un suo collega: la ragazza lo ringraziò, e si avvicinò all’uomo mentre ne leggeva le generalità.
Posati i fogli su un ripiano, alzò lo sguardo, eseguendo una veloce osservazione testa-piedi prima di parlare guardando il mago in faccia.
« Signor Pisciottu, sono Jane Read, il Medimago che si occuperà di lei. Posso solo immaginare quanto poco desideri rimanere qui, ma essendo nella Squadra Antimago sono certa che abbia fatto tutto il possibile per aiutare le persone coinvolte nell’incidente. Quindi porti pazienza, ora dovrà accettare di essere lei quello che viene aiutato, per una volta. »
Nonostante i racconti di quello che era successo – su di tutti l’orrore del palazzo crollato, l’uomo non presentava a prima vista grossi danni, ad eccezione di un taglio a livello del sopracciglio che sanguinava e che momentaneamente stava venendo compresso con una garza da un’infermiera.
Inoltre, il Mago era entrato nella stanza camminando autonomamente ed osservando la sua marcia poco prima sembrava stabile.
« Per ora il danno più evidente mi sembra quel taglio sul sopracciglio, » si avvicinò ulteriormente, andando a scambiarsi di posto con l’infermiera per controllare meglio, « e sì, a quanto pare necessita di un po’ di Bava di Gorgol per farla cicatrizzare al meglio. Ora le devo chiedere di stendersi sul lettino e stare fermo, con la testa appoggiata. In men che non si dica sarà libero di uscire da qui. »
Sorrise, cercando di trasmettere un po’ di fiducia a quell’uomo che come tanti visitati prima di lui aveva lo sguardo quasi spento: sembrava che quel disastro avesse strappato via la vita anche ai sopravvissuti.
Indossò un paio di guanti, con gesti sicuri prese garze e disinfettante e pulì con precisione la ferita: poi si fece passare una fiala di Pozione Sutura-Tagli e con la pipetta distribuì una dose generosa di gocce sul taglio aperto. Attese qualche secondo, poi coprì la ferita con un piccolo cerotto emostatico.
« Ecco, fatto. Non penso abbia bisogno di altro, però per sicurezza le chiederei di fermarsi da noi almeno fino a dopodomani: il mio collega, » indicò all’uomo l’infermiere che attendeva fuori dalla porta, « la accompagnerà in una stanza dove potrà riposarsi e cambiarsi. Per qualsiasi cosa non esiti a chiamare i miei colleghi. Se avrà bisogno, potrà chiedere di me, sono sempre qui al Pronto Soccorso. »
Era troppo apprensiva, alcuni colleghi le avevano fatto notare questa sua caratteristica, ma era giovane e inesperta, per questo non riusciva a non dare ascolto alla coscienza che spesso le chiedeva se avesse davvero fatto tutto quello che doveva fare per il bene del paziente.
Salutò con un cenno il mago, osservandolo uscire dall’ambulatorio, lo sguardo fisso fuori dalla porta per qualche secondo prima di togliersi i guanti e lanciarli nel cestino dei rifiuti, pronta a ripulire l’ambulatorio prima del prossimo ferito.
Jolene White
Se l’uomo di prima sembrava apparentemente stare bene, mostrando alla luce asettica dei neon solo la ferita al sopracciglio e gli abiti sporchi di fumo e cenere, la ragazza che venne accompagnata da un Auror poco dopo di lui non nascondeva nulla di come si sentiva.
Jane si avvicinò di scatto, pronta a sostituirsi all’Auror che la reggeva per un braccio: in suo aiuto arrivò anche un infermiere, e con calma la fecero stendere sul lettino, sussurrandole parole di incoraggiamento.
« Senza fretta, tranquilla. E’ finita, ora ci pensiamo noi a te. »
Gli occhi arrossati, probabilmente per il fumo ma sicuramente anche per il pianto, lo sguardo distrutto, le mani strette, il volto pallido: la ragazza non stava per niente bene ed era palese.
Jane si allontanò momentaneamente da lei, cercando di non far trasparire la preoccupazione che provava e la stretta che avvertiva al petto mentre guardava quella giovane strega stesa sul lettino: chi mai poteva aver provato piacere nell’organizzare un disastro del genere? Afferrò i documenti dalle mani dell’Auror, che congedò con un cenno, e li lesse velocemente prima di tornare nei pressi del lettino. Jolene White, infermiera di Hogwarts: la stretta al petto acquisì maggiore forza alla sola idea di come potesse sentirsi la strega in quel momento, di cosa avesse potuto significare per lei un attentato così vicino al castello, così vicino agli studenti di cui era solita occuparsi durante l’anno.
Avvicinò a sé uno sgabello di metallo, facendo scorrere piano le ruote sulle piastrelle del pavimento per non fare rumore, e si sedette accanto al lettino: voleva mettersi allo stesso livello dello sguardo di Jolene, evitando quindi di darle l’impressione di essere sovrastata e circondata da sconosciuti pronti a trattarla come una bambola di pezza.
« Ciao Jolene, mi chiamo Jane. Ora insieme all’infermiera Bones mi occuperò delle tue ferite. »
Tono di voce non troppo alto, calmo, volto disteso: come con Oliver prima Jane era particolarmente preoccupata per lo stato psicologico della strega più che per quello fisico, e temeva di vederla crollare davanti ai suoi occhi.
« Però prima di medicarti vorrei che tu bevessi questo. » ancora prima che Jane potesse fare un cenno in direzione dell’armadietto delle Pozioni, l’infermiera Bones si era avvicinata con un bicchiere già pronto in mano, « Ho letto che sei l’infermiera di Hogwarts, quindi magari l’hai già data a qualche studente che aveva esagerato ai duelli del club duellanti: è la Pozione del Sonno Senza Sogni. »
Si alzò dallo sgabello e preso il bicchiere dalle mani della collega si avvicinò a Jolene, aiutandola con una mano a sollevare la testa per poter bere il liquido scuro.
« Ti aiuterà a riposare, intanto noi ci occuperemo di queste ferite. »
Qualche attimo, e l’infermiera cadde in un sonno profondo: Jane con delicatezza aiutò i suoi colleghi a togliere il mantello bagnato dalle spalle della ragazza, poi si divisero i compiti.
Mentre una sua collega si occupava dei graffi e dei tagli sul viso, pulendoli e applicando del Decotto al Dittamo su quelli più profondi, Jane e l’infermiera Bones dedicarono la loro attenzione alle scottature sulle mani e sulle braccia: cercarono di pulire la pelle dalla cenere che vi si era posata, e una volta applicato dell’unguento apposito fasciarono mani e braccia della giovane infermiera.
Una volta finito, Jane si diresse alla porta e chiamò i due barellieri fuori in attesa: come la maggior parte dei feriti, Jolene avrebbe trascorso parte della sua convalescenza nel reparto al primo piano, liberato appositamente per quell’emergenza.
Rimase ferma, appoggiata sullo stipite, osservando la barella sospesa a mezz’aria allontanarsi: quanto tempo ci sarebbe voluto perché tutti si riprendessero da quello che era accaduto?
Aiden Weiss
Non ebbe tempo di perdersi in troppe domande, perché la sua collega la chiamò ad alta voce per farla tornare nel mondo reale: si voltò e veloce si mise all’opera per pulire per l’ennesima volta quella stanza.
Ambulatorio pulito, nuovo paziente.
E’ incredibile come gli esseri umani possano reagire in modi diversi al medesimo evento: tanto l’infermiera White sembrava svuotata e distrutta da quello che era successo ad Hogsmeade, tanto l’uomo che venne accompagnato dentro il suo ambulatorio mostrava al mondo la rabbia che lo animava.
Mentre le sue colleghe cercavano di farlo sdraiare sul lettino, convincendolo che ora era davvero il momento di occuparsi di lui e che nessun ferito civile era stato lasciato indietro, Jane ringraziò il Direttore, Paul Dwight, con un cenno: affidargli un ferito con un incarico così importante al Ministero era un grande segno di fiducia, e non voleva di certo deluderlo. Venne poi avvicinata dall’Auror che ormai aveva imparato a riconoscere, sempre lo stesso che le aveva portato i documenti dei pazienti.
“ E’ uno dei nostri, porti rispetto. ”
Alzò lo sguardo verso l’uomo, sorpresa, e afferrò con decisione i fogli.
« Tutti meritano rispetto. »
Si voltò, senza perdere tempo a congedarlo, mentre ricompariva la rabbia che provava nei suoi confronti già da quando si era permesso di commentare lo stato psicologico di Oliver Brior. Un’occhiata veloce ai documenti, e si avvicinò all’Auror.
« Auror Weiss, buonasera. Sono Jane Read. » dopo averlo guardato in faccia mentre si presentava riprese a parlare, facendo al contempo un veloce controllo delle ferite, « A quanto pare dovrà stare in nostra compagnia per un bel po’, ma non si preoccupi. »
Fece un cenno a una delle sue colleghe, indicando il ripiano più alto dell’armadietto accanto al lettino.
« Ora le darò da bere della pozione antidolorifica: preferisco non farla dormire subito, avrei bisogno che lei sia cosciente mentre la medichiamo così possiamo accorgerci subito se il danno è peggiore di quanto sembri. Soprattutto per quanto riguarda le varie schegge di vetro. »
Mentre l’Auror beveva la pozione aiutato dalla sua collega, Jane e l’altra infermiera prepararono pinze, bende e disinfettante per poter medicare l’uomo: la ragazza si infilò un paio di guanti, afferrò una pinza e con la giusta dose di pazienza iniziò ad estrarre una ad una le schegge di vetro conficcate nella pelle del mago, prima sulle braccia e poi sulle gambe, con precisione e senza tentennamenti.
Era un lavoro che andava fatto con attenzione ed evitando il rischio di peggiorare la situazione lasciando frammenti all’interno della cute: ci volle una buona mezz’ora, poi mentre le due infermiere erano intente a medicare i tagli ormai privi di vetro, il Medimago dedicò la sua attenzione alle bruciature.
Ad uno sguardo più attento la peggiore sembrava sicuramente quella alla mano sinistra, ma bisognava prestare attenzione anche a quelle sul volto dell’uomo.
« Non so se sia un caso e non so come sia solito portare la barba, ma mi creda, non averla in questo momento è per lei una vera benedizione. Non sarebbe stato molto piacevole medicarla altrimenti. » si voltò per cambiarsi i guanti, ma prima afferrò un bicchiere dal carrello delle pozioni, « Penso che per il momento l’abbiamo fatta soffrire abbastanza: beva questa, è una pozione che le permetterà di riposare e di recuperare le forze. Le posso assicurare che non sognerà assolutamente nulla, e nel mentre io e le mie colleghe potremmo occuparci delle ustioni. La aiuto io, aspetti. »
Aiutò l’Auror a bere la pozione, evitando quindi che muovesse ulteriormente le mani ricoperte di bolle, sangue e siero secco: mentre attendeva che cadesse nel sonno profondo che il liquido regalava a chi lo beveva, preparò il materiale per medicare le ustioni.
Le flittene che ricoprivano la mano erano l’aspetto che più la preoccupava: alcune erano già scoppiate, ma altre erano ancora integre, e poteva intravedere il siero e il pus di cui erano piene attraverso la membrana semitrasparente tesa; purtroppo, andavano drenate.
Fece cenno all’infermiera Bones di occuparsi delle ustioni sul viso, le meno gravi, poi dedicò la sua completa attenzione alla mano: con precisione e calma scoppiò una ad una le bolle ancora integre, drenando il liquido purulento che contenevano. Le coprì con un unguento cicatrizzante, spargendo invece una crema emolliente nelle zone arrossate ma senza flittene: poi fasciò la mano con delle bende apposite, impregnate di pozione antisettica.
Le cure dell’Auror impegnarono le tre donne per quasi un’ora, ma alla fine l’uomo era bendato, medicato e pronto ad essere trasferito: i due barellieri non aspettarono nemmeno di essere chiamati, appena notarono che era giunto il momento di portare l’uomo al piano di sopra entrarono nella stanza e trasferirono il Mago su una barella sospesa a mezz’aria.
Uscirono, uno dei due in testa alla barella, in direzione del primo piano.
Daddy E. Toobl
Ci vollero alcuni minuti per poter ripulire l’ambulatorio prima di essere in grado di accettare un nuovo paziente: garze sporche di sangue, una bacinella piena di schegge di vetro, boccette di disinfettante vuote; l’Auror medicato poco prima aveva ferite non troppo gravi ma sicuramente erano numerose.
Una volta suddivisi i rifiuti e ripulito i ripiani, con un gesto della bacchetta Jane fece sparire ogni parvenza di sporcizia dal pavimento: la pulizia in ospedale era fondamentale, una regola che si imparava fin dal primo giorno di lavoro.
Aveva appena riposto la bacchetta in tasca, che un nuovo paziente fece ingresso nell’ambulatorio, scortato dal solito Auror: non servì guardare i documenti che quest’ultimo le stava porgendo e che presto finirono appoggiati in un tavolo lì vicino, perché aveva riconosciuto il ragazzo che era appena entrato.
Era Daddy, un suo ex compagno di casata: nel corso degli anni ad Hogwarts non si erano mai rivolti la parola, ma Jane lo conosceva di vista, anche perché era stato prima Prefetto e poi Caposcuola Corvonero.
Avvicinandosi al ragazzo, che era stato fatto sedere sul lettino, la prima cosa che catturò la sua attenzione fu la sua espressione: sembrava che respirare gli procurasse dolore, quindi risolvere quel problema era la prima azione da intraprendere.
Prima di tirare fuori la bacchetta però le parole di un suo collega più anziano risuonarono nella sua mente, “ Prima presentarsi, tranquillizzare il paziente, poi agire! ”: era ancora inesperta e di conseguenza tendeva a voler aiutare subito la persona davanti a sé prima di fermarsi a riflettere un attimo.
« Ciao Daddy. Non so se ti ricordi di me, sono stata una Corvonero fino a qualche mese fa, sono Jane. Vedo che stai facendo fatica a respirare, ti dispiace se ti diamo un’occhiata? »
La ragazza estrasse lo stetoscopio dalla tasca del camice e controllò che non ci fosse nulla ad ostruire i polmoni e ad impedire allo studente di respirare.
« Sembrerebbe che non ci siano problemi ai polmoni, » ripose lo strumento, ed estrasse la bacchetta, « Ora casterò un incantesimo che dovrebbe aiutarti a respirare meglio, d’accordo? Poi ci occuperemo di queste ferite superficiali e ti lasceremo finalmente riposare. »
Puntò la bacchetta verso il petto del ragazzo, concentrandosi sull’effetto che voleva ottenere: tecnicamente sui libri quell’incanto veniva descritto con la funzione di aiutare a respirare meglio un soggetto in crisi asmatica o in iperventilazione, ma Paul Dwight le aveva insegnato che poteva essere utilizzato su qualsiasi tipologia di difficoltà respiratoria, a condizione che i polmoni fossero liberi.
* Anapnèo! *
Una volta controllato che l’incantesimo avesse fatto effetto, lasciò che fossero i suoi colleghi ad occuparsi delle ferite, e si diresse verso l’ormai familiare armadio dei medicinali: anche se esternamente Daddy presentava solo delle escoriazioni e la difficoltà respiratoria sembrava essere stata risolta, il volto del ragazzo faceva trasparire perfettamente quanto fosse provato per l’evento che aveva vissuto.
Sapeva che forse stava utilizzando un po’ troppo la Pozione del Sonno Senza Sogni, ma in situazioni come quella non riusciva a trovare un’alternativa: tornò vicino al lettino, un bicchiere in mano.
« Daddy, questa è una pozione che ti permetterà di dormire e di recuperare le forze, » lo guardò negli occhi mentre gli porgeva la bevanda, « hai bisogno di riposare e ti assicuro che questo liquido ti eviterà di rivivere quello che hai appena visto. Ti trasferiremo al primo piano, in reparto, per qualche giorno, in modo da tenere sotto controllo la situazione dei tuoi polmoni: se hai bisogno di qualsiasi cosa puoi chiedere di me, senza problemi. »
Come con gli altri pazienti prima di lui, attese che si addormentasse prima di dare le indicazioni per il suo trasferimento: quando guardò l’orologio appeso sopra la porta dell’ambulatorio si accorse che era quasi mattina. Da quando il tempo aveva iniziato a scorrere così in fretta senza che se ne accorgesse?
Susan Gwen Nieranth
Ormai i gesti erano diventati automatici, non doveva nemmeno pensarci più: la barella su cui era steso Daddy, addormentato, non era ancora completamente uscita dalla stanza che Jane aveva già la bacchetta in mano e con un movimento lento aveva iniziato a pulire l’ambulatorio.
Nonostante fosse in piedi da ore non avvertiva la minima stanchezza, anzi, sentiva l’adrenalina scorrere con il suo sangue: le sembrava di avere le forze per andare avanti così ancora per un giorno intero.
Stava estraendo dei rotoli di bende da uno degli armadietti vicino al lettino quando il solito Auror entrò nella stanza, accompagnando una ragazzina: Jane si avvicinò alla coppia insieme ad un’infermiera, che premurosa fece accomodare la studentessa sul lettino.
Prese i fogli che il Mago le porgeva, congedandolo con il solito cenno: forse aveva capito che non aveva nessuna intenzione di parlare con lui, perché questa volta non fece alcun commento.
Controllati i dati della giovane, posò i documenti da parte e si avvicinò a lei: la ragazzina si stringeva lo stomaco con una mano, e il volto pallido confermava i suoi gesti; sicuramente provava nausea, ma non era solo quello a dover preoccupare il Medimago. Sulle braccia della giovane c’erano dei segni di ustioni leggere, oltre a qualche ematoma – dovuto probabilmente a delle cadute – che iniziava a comparire sulla pelle esposta alla luce del neon. Inoltre, aveva il volto sporco di cenere, e gli accessi di tosse che di tanto in tanto interrompevano i suoi atti respiratori erano un chiaro segno di inalazione di fumo.
Come aveva fatto prima con Jolene, prese uno sgabello e si sedette accanto al lettino, in modo da guardarla negli occhi mentre parlava.
« Ciao Susan. O preferisci Gwen? Mi chiamo Jane, sono il Medimago che si occuperà di te. » le prese con delicatezza la mano che non stringeva lo stomaco, controllando le bruciature di cui era coperta, « ora ti medicheremo queste ferite. Mi hanno detto che ti sei sentita male quando sei arrivata, provi ancora nausea? »
Prese lo stetoscopio dalla tasca, e si alzò lentamente dallo sgabello.
« Per prima cosa vorrei controllarti i polmoni, immagino che tu abbia respirato molto fumo. Ti dispiace? » auscultò i polmoni della giovane con attenzione, « sembrerebbero a posto. Facciamo così: ora ti darò una pozione per dormire un po’ e recuperare le forze: insieme ci aggiungerò un decotto per controllare la nausea, così quando ti sveglierai sarà un problema risolto. Ti va bene? »
Mentre Jane parlava l’infermiera Bones aveva preparato la pozione, il bicchiere pronto per essere preso in mano da Gwen.
« Ti assicuro che sarà un sonno profondo senza incubi: mentre dormirai ti medicheremo le scottature, ma prima che tu beva vorrei aiutarti a respirare un po’ meglio con un incantesimo. »
Estrasse la bacchetta, e come prima su Daddy utilizzò il medesimo incantesimo per permettere alla studentessa di respirare meglio.
* Anapnèo! *
« Ecco fatto, piano piano dovresti non tossire più. Ora cerca di bere la pozione, in modo che possiamo medicarti e poi lasciarti in pace: direi che per oggi tra interrogatori e visite hai subito già abbastanza! »
Non appena la ragazzina cadde in un sonno profondo, si occuparono delle ustioni: le pulirono, vi applicarono dell’unguento cicatrizzante, e le fasciarono con cura.
Pochi minuti e Gwen venne spostata con delicatezza su una barella che galleggiava a mezz’aria, pronta ad essere trasferita al reparto del primo piano.
La Fine
“ Dottoressa, era l’ultimo paziente. ”
La bacchetta pronta in mano non appena la barella con la studentessa era uscita dalla stanza, Jane aveva già iniziato a ripulire l’ambulatorio, pronta per il ferito successivo: le parole dell’infermiera Bones la fecero bloccare, e quando si voltò per osservarla meglio sembrava quasi che non avesse capito le sue parole.
“ Qui finiamo noi, stia tranquilla. Vada a casa a riposarsi, ne ha bisogno. ”
La donna gentilmente la spinse in direzione della porta, mentre ancora la ragazza sembrava faticare a capire: improvvisamente, l’adrenalina che l’aveva sostenuta fino a quel momento l’aveva abbandonata, e aveva lasciato dentro di lei il nulla.
Camminò lungo il corridoio del pronto soccorso, l’ala dedicata all’emergenza ora invasa dagli addetti alle pulizie, le barelle che fino a pochi istanti prima occupavano ogni centimetro libero sparite dalla vista: ignorò un suo collega che le stava camminando incontro chiamandola; aveva bisogno di uscire.
Una volta superate le porte scorrevoli dell’ingresso, fece pochi passi prima di fermarsi e alzare lo sguardo al cielo: ormai era mattina, il sole dorato salutava settembre e la fine dell’estate: chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo e permettendo all’aria fresca di riempirle i polmoni.
Si sentiva svuotata, anche un po’ stanca per la verità, ma non voleva pensarci troppo: non poteva dire che tutto fosse finito, ma il primo passo era stato fatto, e per tutto il resto solo il tempo avrebbe potuto sanare le ferite che lei e i suoi colleghi non avrebbero potuto curare.
Il tempo, e la forza d’animo.