«Era una notte buia e tempestosa…»,
o per lo meno è così che hanno inizio tutte le storie più esilaranti e mozzafiato.
Ricordo ancora quella sera come fosse adesso. Eppure sono passati… settimane, forse? Oppure mesi? Non ricordo. Sicuramente, se penso alla mia età
insignificante, nemmeno troppi, considerato che ho non ho ancora nemmeno dodici anni. L’unica cosa che so
con certezza è che quando è successo mi trovavo in questa stanza e pioveva come questa sera. Quel giorno tutto vorticava come mai aveva fatto prima d’allora. Lo ammetto, mi sentivo poco bene. Capita di rado, ma di tanto in tanto capita anche a me.
E sai che cosa ti dico,
caro diario? È giusto che tu conosca questa storia sin dal principio e che in futuro tutti sappiano quale grandissimo infame sia Carl e quanto io fossi ingenua fino a poco tempo fa.
Tutto è cominciato da una frase, una stupidissima frase che ancora mi rimbomba nella testa con insistenza.
«Narcissa, io lo so perché ti gira la testa: sei
ubriaca e adesso lo dico a tua mamma che hai assaggiato il Whisky Incendiario di tua nonna. Vedrai come ti castigherà, oh, sì, eccome se ti castigherà!»
La sua voce snervante e odiosa mi perforava i timpani. Detesto quella voce, mi urta il sistema nervoso quotidianamente. Perché Carl
esiste? Perché
ama darmi il tormento? Ma soprattutto perché il Cappello Parlante ha voluto darmi il fardello della sua ingombrante presenza anche in Sala Comune? Non era già stato sufficientemente infame il destino a fare in modo che mia nonna e la sua fossero così in ottimi rapporti? Lo odio, lo odio, lo odio! L’ho forse già detto che
lo odio? Che poi nemmeno l’avevo assaggiato io il Whisky Incendiario, figurati se vado a sorseggiarlo sapendo quanto mia nonna sia affezionata alla bottiglia di nonno Florian. Nonna Elodie mi ammazzerebbe e io non ho dubbi su questo.
In qualsiasi caso, quella sera la testa vorticava per altri motivi. Mi sentivo debole e del tutto incapace di capire cosa mi stesse succedendo. Sentivo il mio corpo padrone di nuove e sgradevoli sensazioni che mai prima d’allora avevo provato. Che ci crediate o no, avvertivo persino uno strano e indescrivibile senso di nausea farsi strada in me.
*Dio mio, Carl, spostati, sei tu a farmi venire la nausea con quella faccia da carlino, lo schifo che mi fai mi penetra nell’anima…* Questo è stato il mio primo, unico e martellante pensiero.
E poi?
Ah, sì, ora ricordo, sono talmente
stupida che ho pure risposto alla sua provocazione…
«Non ho bevuto whisky, sono troppo piccola, non bevo, lo sai, stron…»
E lui ha colto la palla al balzo.
Infame, odioso, lurido, schifoso e… ho esaurito gli insulti, va beh, ma il concetto credo sia stato esposto in maniera piuttosto significativa.
«Mi stavi chiamando stronzo, vado a dirlo a tua nonna così ti castiga!»
Ho fatto per alzarmi dal letto ma ero stremata, non avevo l’energia di alzarmi e inseguirlo. In altre circostanze avrei cercato lo scontro fisico, provando quantomeno a strappargli quegli odiosissimi capelli castani.
Ho visto la figura di quel lurido ragazzetto sgusciare furtiva dalla porta della mia stanza e mi sono lasciata ricadere a peso morto sprofondando nel cuscino. Siano benedette le lenzuola di flanella. Un po’ meno l’elfo che ogni sera me le rimbocca, dato che anche lui mi fa sempre provare quello sgradevole senso di nausea, ma per lo meno lui si fa sempre i fatti suoi e ha il buonsenso di punirsi quando la sua lingua dice cose insensate.
Tornando a noi, cosa diavolo mi stava succedendo? Non ero mai stata così, come potrei dire? …
strana in tutta la mia vita.
Mi sono portata le mani al viso e ho cercato di nascondermi da non so quale forza invisibile. La pancia sussultava in continuazione e un gorgoglio sinistro ha rotto il silenzio della mia camera da letto, che sino a quel momento era rimasta l’unica testimone delle invettive che Carl aveva vomitato nei miei confronti. Un altro crampo e mi sono ritrovata d’improvviso piegata in due dai dolori. Avrei tanto voluto trovare il coraggio di dirlo a mia mamma, la paura dell’ignoto mi ha preso fin dentro nelle viscere, eppure l’orgoglio mi ha suggerito di non far mosse avventate. Sarebbe passato, di questo ne ero convinta. Non era la prima volta che avevo mal di pancia. La mia mente è subito volata a quello che ho mangiato a pranzo per cercare un colpevole, che ho identificato nel gelato che papà mi ha acquistato poco prima di pranzo da Fortebraccio e che mi è costato uno sguardo assassino da parte di mia madre, fautrice di uno stile di vita sano e privo di dolciumi (che io peraltro
non sopporto, ma questa è un’altra storia).
Mentre pensavo al gelato al pistacchio gustato poche ore prima, ho udito dei passi che risalivano le scale. Era Carl, me lo sentivo, il mio sesto senso è difficile che si sbagli. Ho sbuffato con fare isterico e mi sono nascosta sotto le coperte sperando per qualche fortuito caso del destino di diventare invisibile o per lo meno di dare l’impressione di una che stesse dormendo. I passi si sono fatti sempre più ravvicinati e il loro frastuono sul pianerottolo accresceva insieme al mio istinto omicida nei confronti di Carl. Ma poi, contro ogni aspettativa, una voce femminile mi ha scosso facendomi contorcere le budella.
«Narcissa, stai bene?»
Ho mugugnato un qualcosa di non meglio comprensibile, fatto che ha spinto la persona dietro la porta a farsi largo nel mio regno privato. Gli occhi severi ma preoccupati di mia madre mi hanno subito scrutata alla ricerca di qualche male incurabile degno del San Mungo e del suo reparto lunga degenza. Mi sono quasi sentita, se possibile, spogliare dall’anima, ma preferisco non pensarci visto quant’è stato sgradevole e umiliante al tempo stesso.
«Sì, sto bene, sto bene» ho risposto sbrigativa e di riflesso mi sono tirata ancor di più il lenzuolo sul viso.
Sto bene. Che grossissima e mastodontica
bugia!
Mia mamma ha fissato il cumulo di coperte con aria circospetta e poi è sparita dietro la porta senza aggiungere altro. Lo so che non era convinta, ma non ho avuto la forza di oppormi nemmeno a lei. Quello strano malessere mi pervadeva e mi faceva sentire spossata e incapace di governare emotività e sentimenti. Ho cominciato a temere che una forza oscura si stesse impossessando di me, tanto che avevo pure voglia di piangere. E io non piango
mai, sottolineo
MAI!
D’improvviso mi sono ricordata che mio nonno è stato recluso ad Azkaban per aver ucciso dei babbani innocenti. Che fosse l’anima di qualcuno di loro che non riesce a darsi pace e che si stava vendicando prendendo possesso del mio corpo? Ho scosso la testa energicamente, cercando di scacciare quell’incubo e di convincermi che mi stessi autosuggestionando; la mia non era altro che una piccola e banale
influenza, già. Niente che non si potesse curare con un po’ di brodo di pollo e qualche pezza d’acqua fresca sulla fronte, come avrebbe detto Elizabeth, la mia nonna paterna.
Ho lasciato che il mio corpo diventasse un tutt’uno con il materasso e le lenzuola viola. Le energie mi venivano meno. La testa continuava a essere dolente e di tanto in tanto una pulsazione ritmica e fastidiosa faceva visita alle mie tempie stanche. Per un istante ho fin pensato di poter capire come si sente mia nonna Elizabeth quando si definisce “vecchia e stanca”. Eppure ho solo undici anni, dovrei saltare i fossi per la lunga… anche perché, se provo queste sensazioni a quest’età, quando avrò sessant’anni dove sarò?! Per fortuna sono rinsavita immediatamente lasciandomi alle spalle queste congetture da vecchia arrivata alla fine dei suoi giorni.
Mentre riflettevo su questa e quell’altra faccenda, senza nemmeno che potessi governarlo, il sonno mi ha rapita portandomi con sé per non so quanto tempo. Non ricordo di aver sognato nulla in particolare quella volta. So solo che tutto attorno a me poco per volta ha smesso d’avere una forma e s’è fatto buio e oscuro, esattamente come ogni sera quando mi addormento. Ma poi mi sono svegliata di soprassalto. E lì sono cominciati i
VERI problemi.
Quando mi sono alzata dal letto le energie non mi sono tornate e i dolori alla pancia si sono fatti sempre più invadenti e persistenti. Mi sono sentita anche più spossata e incapace di comprendere il mio corpo e le sue reazioni fisiologiche. E poi, beh…
l’ho visto. Dannazione se l’ho visto. Volevo morire. Penserai che sto esagerando, ma io
DAVVERO in quel momento sentivo di poter morire, non so se mi capisci. Era lì, sul letto, rosso scuro, rappreso e in una quantità esigua ma sufficiente a farmi dubitare sul serio della mia salute fisica (ma anche mentale, visti i pensieri sconnessi che produceva la mia mente!).
Stavo forse impazzendo, madre santissima?Istantaneamente ho allungato la mano quasi a voler scongiurare la verità. Una verità che, per inciso, faceva male. Molto male.
Sanguinavo. Ero
IO a sanguinare. Ecco perché stavo così male, il sangue mi stava scivolando dal corpo come fossi stata un animale ferito a morte. D’un tratto mi sono anche portata una mano al collo, quasi d’istinto. Eppure non ho mai visto un lupo mannaro in vita mia. Non dal vivo per lo meno. Quelli dei libri non mordono le bambine,
vero? Ho controllato la mano per precauzione, ma non v’era traccia alcuna di sangue. Ed ecco che la testa ha ripreso a vorticare e pulsare questa volta con più frenesia. Era una sensazione invadente, che mi ha spogliata di ogni libero arbitrio. Tutto di nuovo è tornato a farsi oscuro, come la mia ignoranza. va
Cosa
diavolo mi sta accadendo?
E poi, sì, lo ammetto, sono pur sempre una bambina e l’ho fatto. Ho
pianto, ho urlato e mi sono disperata al punto che mia madre è accorsa nella mia camera. Col senno di poi me ne vergogno pure, ma cos’altro potevo fare? Mettiti nei miei panni, diario dei miei stivali!
Lo so che Carl al piano di sotto avrà riso accusandomi d’essere una bambina viziata e capricciosa. Ma io ho preso paura.
Sanguinavo, capiscimi! Ho guardato mia madre con la disperazione negli occhi. Lei, invece, mi ha
sorriso morbida. A quel punto le mie lacrime disperate si sono trasformate in uno sguardo dapprima interrogativo e poi inferocito.
Cosa diavolo avrà mai avuto da ridere? Sua figlia stava
morendo dissanguata e a breve avrebbe raggiunto nell’oscurità degli inferi le anime innocenti che
SUO padre ha ucciso e condannato per sempre all’oblio e lei l’unica cosa che ha saputo fare è stato
sorridere?!
Ho deglutito nervosamente. Avrei voluto urlare ancora, ma più passavano i minuti e più mi sentivo strana e malaticcia. Non capivo. Ho guardato ancora mia madre, questa volta cercando aiuto. Lei, come da copione, mi ha sorriso ancora, facendomi montare la rabbia, mentre dentro di me la consapevolezza che le mie ore potessero essere contate si faceva sempre più vivida.
«Perché ridi?! Sei contenta che io stia
morendo?»
Gliel’ho urlato in faccia. Mi sono arrabbiata, ho anche strillato. Non nego d’essermi pure sorpresa delle energie che ho radunato, dato che sino a pochi istanti prima mi sentivo uno straccio. La mia bulimia urlava vendetta e lo stomaco reclamava cibo. Ero al punto di non ritorno? Eppure era una fame strana. Io volevo…
dolci? Mannaggia a me, perché il mio corpo era arrivato al punto di richiedere a gran voce di consumare dolci? Non mi sembrava il momento ideale per pensare al cibo… Era forse l’ultimo desiderio prima della
morte?
«Tesoro, non stai morendo, vieni qui».
Ho obbedito. Mi sono avvicinata a mia madre, lei mi ha cinto con le sue braccia e mi ha attirata a sé. Mi sono sentita una bambina, oltre che una sciocca. Stavo sanguinando senza un motivo valido e lei cosa ha fatto? Mi ha abbracciata come se fossi una neonata incapace di provvedere a sé stessa. Diario, lo capisci? Lei mi
compativa! Forse perché ho pianto, immagino. Mi ha
offesa a non credere ai miei presagi di morte, chissà se lei lo sa…
«Narcissa, non stai morendo» mi ha ripetuto pazientemente e con una dolcezza quasi estenuante, dopodiché mi ha dato un bacio tra i capelli. Il contatto con le sue labbra soffici e calde mi ha subito tranquillizzata, ma non abbastanza da farmi tornare in forze.
«Sei diventata una signorina, ecco perché stai poco bene e sanguini».
A quelle parole ho sgranato gli occhi perplessa. Sono diventata
che cosa?! Non ero
già una signorina, io? E allora Nonna Elizabeth quando mi chiama “la sua signorina” a cosa si riferisce? Ecco a quel punto ero
davvero confusa. L’oscurità e le tenebre che offuscano gli inferi a cui ormai avevo la certezza di non essere ancora destinata mi hanno appannato ogni forma di lucidità mentale. Mi sono resa conto che non era l’alito della morte a rendermi incapace di ragionare. Non riuscivo però a capire mia mamma e le sue parole in codice. Vedendo la mia titubanza mi ha suggerito di sedermi sul letto e mi ha indicato una macchia di sangue esattamente nel punto dove ho dormito, ma io continuavo a non capire. Al che mi ha presa per le spalle e mi ha attirata di nuovo a sé, cercando di rassicurarmi e facendomi capire che era una cosa “
normale”.
Devo ammettere che abbiamo un concetto di normalità parecchio differente: non pensavo che le persone
normali sanguinassero, questa è una novità.
Ricapitolando: non ero ammalata, non stavo morendo e nessun demone o anima oscura si era impossessata di me, eppure sanguinavo. E solo perché ero diventata una “
signorina”. Questa l’unica spiegazione che è stata in grado di darmi.
Ammetto d’essermela fatta bastare solo perché mi sentivo troppo stanca – e
affamata – per riuscire a ribattere o a farmi valere. Arrivata a quel punto avrei desiderato soltanto una di quelle buonissime crèpes che papà mi compra di nascosto dalla mamma quando siamo in centro a Londra, una di quelle farcite di crema alle nocciole e panna in cima, per intenderci.
Sarebbe arrivato il momento in cui avrei capito cosa significa essere una “
signorina”, ma mi sono resa conto che era ancora presto. Il mal di testa mi suggeriva che dovevo riposarmi e ricaricarmi prima di aprire la mia mente alle spiegazioni più approfondite.
A quel punto però mi restava a cuore soltanto una cosa.
«Mamma…»
Timidamente ho alzato lo sguardo su di lei e ho raccolto il coraggio di pronunciare queste parole. Sembrano piccole, irrisorie e immature, ma per me hanno contato molto più di quanto si possa immaginare.
«Non dirlo a Carl, non voglio che sappia che sono una signorina» la ho implorata. Sì, l’ho
implorata, mannaggia a me!
Lei ha sorriso garantendomi che avrebbe tenuto la bocca chiusa. Ha finto persino di chiudersi le labbra con una lampo e di buttare via la chiave del lucchetto. Mi sono subito tranquillizzata, perché so che la mamma non mi tradirebbe mai altrimenti non sarebbe la mamma. Le ho sorriso; ma poi lei ha estratto la bacchetta. Ed ecco che tutto il mio castello di certezze è crollato miseramente: prima mi ha detto che non stavo morendo e poi ha preso la bacchetta per
uccidermi…
Mentre riflettevo sul fatto che potrebbe non volermi più perché ero appena diventata “
signorina” (odio sta parola, ti prego!), non sono nemmeno stata in grado di accorgermi che ha ripulito il letto e anche me. Senza uccidermi. A quanto pare ero salva.
Figo, eh?
Il sangue era sparito,
ovunque. La scena non sembrava più quella di un mattatoio. O almeno ai miei occhi pareva nefasta e incomprensibile come se la mia camera da letto fosse stata fino a pochi istanti prima il teatro di un orrido crimine. Mentre osservavo il punto dove prima c’era la macchia, combattevo contro il desiderio di nutella – se lo avesse saputo mia madre mi sarei dovuta sorbire un cazziatone, ringrazio il cielo che non sia una legilimens esperta come mia nonna! – e poi mi sono gettata di nuovo su letto.
Da signorina.
Per lo meno ero arrivata a maturare la certezza che avrei avuto ancora una vita davanti e che l’oscurità e le tenebre dell’inferno erano ancora lontane nel mio destino. Dopo aver avuto la certezza che non sarei dovuta morire entro breve mi sentivo più rassicurata. Pure il sole era tornato a splendere, almeno nel mio animo. Fuori invece…
Sì, piove ancora. Perché, come detto all’inizio, caro diario, era una notte buia e tempestosa, no? E i ricordi riaffiorano quando l’ambiente circostante ci prende in giro e non fa altro che volerceli ricordare. E stasera piove come allora. Quindi perché non ricordare? Col senno di poi non posso che farmi una grassa risata al solo pensiero di quanto solo pochi mesi fa fossi così
infantile!
Ps: nessuno dovrà mai sapere di quella volta che sono diventata una signorina. Spero che la mamma terrà il segreto per tutta la sua vita. E pure tu, altrimenti ti do fuoco. Oh, sì, eccome se ti do fuoco. Ormai l’incendio ho imparato a farlo e non ho paura a usarlo!
Tua (per modo di dire) Narcissa