Lacrime al limone e cioccolato, Concorso a Tema: Settembre 2020

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view post Posted on 15/9/2020, 14:58
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Prefetto Corvonero
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●○ Lacrime al limone e cioccolato ○●⁎ Sala Grande, Hogwarts ⁎ Malinconia - StanchezzaÈstata una mattinata molto pesante, così come tutto il resto della settimana appena giunta al termine. Manca meno di un mese alla fine dell’anno scolastico, e tutti gli studenti che devono sostenere gli esami girano per la scuola visibilmente provati, probabilmente con lo stomaco così vicino alla gola da temere un rigurgito a ogni passo. Jean non è da meno. Le lezioni sono terminate, ma lo studio è triplicato. Dopo cinque ore consecutive passate in biblioteca ad approfondire la storia dell’Antico Egitto e i possibili impieghi delle Mandragore, il suo cervello è in pappa e ha bisogno di essere nutrito. La sua testa è prossima all’implosione. Lo stress le ha ridotto l’appetito portandola a mangiare meno e ad avere carenza di energie. Sta andando avanti per inerzia.
Quando arriva al suo solito posto, nella tavola di Corvonero, si lascia andare sulla sedia, stanca e senza alcun pensiero in testa: non ci stanno più nemmeno quelli. Di fianco a lei c’è Genny, come al solito. Genny non la lascia sola mai, e Jean le vuole un bene immenso. Non parlano durante tutto il pranzo: Jean sa che non ce n’è bisogno, e sa che anche l’amica la pensa allo stesso modo. Il silenzio è rinfrancante, e Jean se ne sazia per rilassarsi e riprendere possesso di almeno parte delle sue facoltà mentali. Pian piano si sente meglio, non riesce a mangiare a sufficienza come al solito, ma comunque il tanto da riuscire a resistere fino all’ora di cena. Sente un po’ di sonno arrivare, e con esso il dolce. È sempre bello ammirare il modo in cui vengono serviti i pasti: è la stessa scena ripetuta ogni giorno, ma non annoia mai. Lo stomaco per il dolce, per Jean, è separato da quello normale: uno spazietto c’è sempre. Spesso mangia una fettina di torta, se possibile al cioccolato, o preferibilmente una cheescake ai frutti di bosco.
Jean alza gli occhi sulla tavola carica di dolci e nota che oggi c’è il gelato. Strano, non crede di averlo mai visto prima. Probabilmente non l’ha mai notato. Forse ora che è arrivato il caldo di fine primavera hanno deciso di aumentarne la quantità. Jean non ne mangia da tanto tempo. Senza far troppo caso al gusto, prende la prima coppa che si trova davanti e ci infila il cucchiaino. Quando la lingua entra in contatto con il gelido e cremoso gelato, Jean si blocca. Il tintinnio della posata a contatto col pavimento, scivolata dalla sua mano, non la smuove. Si lecca le labbra e poi le arriccia. Una sensazione di pesantezza all’altezza delle tempie le fa capire che le lacrime stanno lentamente raggiungendo gli occhi, e che presto sgorgheranno. Le mani si muovono da sole in direzione della coppa e la afferrano delicatamente per portarla sotto il naso. Jean annusa, ma non sente praticamente niente: il gelato non lascia mai troppo profumo. Ma Jean ne è certa: quella esplosione di sapori, che solo l’unione di limone e cioccolato le sa regalare, è inconfondibile. Jean tiene ancora la coppa in mano. Forse qualcuno la sta chiamando, ma non ci fa caso. La sua mente ormai ha iniziato a viaggiare.



«Pa’, tra quanto arriviamo?» La manina di Jean tirava la manica della giacca del padre. Era così alto che per raggiungere il braccio doveva fare un saltello.
«Manca poco, stellina. Non ti ho voluto portare direttamente alla riva per poter fare due passi. Ultimamente camminiamo così poco, io e te.» Sorridente, Alfred afferrò le ditina di Jean e le strinse. Ancora mezzo chilometro e sarebbero arrivati proprio nel primo punto in cui il fiume Avon e il Severn si incontrano. Non erano lontani da casa, dopotutto Tewkesbury era vicina a Stratford-upon-Avon. Il lavoro del padre lo aveva tenuto lontano a lungo nell’ultimo periodo, e Jean ne aveva sentito tanto la mancanza. Quella domenica a spasso doveva essere un modo per rimediare a tutti i momenti perduti quei mesi. A Jean questo bastava. Non era la prima volta che succedeva: a parte qualche raro periodo di ferie, Jean era abituata a trascorrere col padre lunghe giornate con salti di mesi l’una dall’altra. Quel giorno, Alfred le aveva promesso che sarebbero andati allo zoo, poi al fiume e infine ci sarebbe stata una sorpresa. A Jean non importava cosa avrebbero fatto. Avrebbero potuto anche passare dodici ore seduti a non fare niente: Jean voleva solo la compagnia del suo papà. Ma una cosa, in effetti, la sperava. Il padre, al termine di queste serate speciali, la portava sempre a mangiare il gelato, ogni volta in una gelateria diversa. Il preferito di Jean era rigorosamente artigianale, con due gusti: limone e cioccolato. Alfred le diceva sempre che non capiva come potesse piacerle un assortimento così casuale di sapori, e quando lo assaggiava faceva smorfie esagerate per farla ridere. Forse quello era uno dei motivi per cui Jean amava tanto quel gusto. Ormai aveva nove anni, e per alcuni versi si sentiva già grande, ma di certo non lo era abbastanza da precludersi un gelatino a fine serata. La parte più divertente era il rientro a casa. Non c’era volta in cui la mamma non si accorgesse della cosa: quando si faceva ora di cena, Jean casualmente aveva meno appetito del solito. La scena era sempre la stessa: Anna che fingeva di arrabbiarsi con Alfred, Alfred che si scusava e diceva che non sarebbe più successo, poi ancora Anna che tratteneva a fatica un sorriso e infine di nuovo Alfred che faceva un occhiolino a Jean. Quello del gelato era il loro momento, e non le importava dover aspettare mesi per poterlo rivivere.
Seduti sulla riva del fiume, Jean e il padre ammiravano il panorama in silenzio. Alfred parlava poco quel giorno, ma Jean non dava troppo peso alla cosa. La quiete fu rotta solo da un lungo sospiro del padre.
«Mi mancheranno queste giornate con te.»
«Che intendi, pa’? Il tempo passa sempre veloce quando ti aspetto. Quando tornerai ne organizzeremo un’altra.» Jean lo guardava con un sorriso di incoraggiamento. Non si spiegava tutta quella malinconia. Si voltò verso di lui e gli strinse la mano con entrambe le sue. Il padre la guardò per un momento dritto negli occhi, e poi le sorrise in risposta. Era un sorriso quasi fiero, di cui Jean non comprese il significato.
«Già, sì… hai ragione, tesoro. Quando tornerò, lo rifaremo.» Quella frase le era suonata strana. Alfred parlava in modo enigmatico, e Jean continuava a non capire. Ma la sua piccola mente allegra di bambina le fece dimenticare questi pensieri non appena il padre annunciò che anche quella sera avrebbero mangiato il gelato, in barba alle raccomandazioni della mamma.
Quel giorno la gelateria di turno fu scelta a Gloucester, non troppo lontano dalla riva del fiume in cui si erano accampati. Era enorme, non ne aveva mai visto una così grande. C’erano gusti di tutti i tipi, che Jean non aveva mai nemmeno sentito nominare. Quello che più la incuriosì fu una vaschetta di colore blu, la cui targhetta diceva “Gusto puffo”. «Pa’, cosa è il puffo?» Aveva chiesto Jean, parecchio perplessa. «Non saprei, sinceramente. Dev’essere qualche specialità babbana. Mi hai convinto: lo provo! E tu, ancora una volta limone e cioccolato?» Jean sorrise maliziosa: «Ovviamente: non mi perderei mai le tue smorfie di disgusto!» Risero. Risero a lungo, finché il gelataio non li richiamò con un colpetto di tosse. Ordinarono il gelato e lo mangiarono poco fuori da lì, appoggiati a un muretto colorato. Non parlarono per quasi dieci minuti. Quando il padre ebbe terminato il gelato al gusto puffo, gettò la coppetta nel cestino: «Terribile.» Il silenzio lasciò il posto a una sonora risata, così forte da aver lasciato Jean a tossire per un po’. Dopo qualche minuto, anche l’ultimo risolino si esaurì.
«Forza, piccola Jean, è ora di tornare a casa. Mi raccomando, cerca di mangiare un po’ di più a cena, altrimenti lo sai che la mamma si arrabbia!» Disse Alfred, fingendo preoccupazione.
«Già, ma se non si arrabbia tu non mi fai l’occhiolino!»
Dopo questa risposta, Alfred prese in braccio Jean e l’abbracciò forte. Un abbraccio che forse cercava di dirle qualcosa in più, pensò Jean in un momento, prima di lasciarsi andare e stringerlo di rimando. Il padre si incamminò verso il camino più vicino, mentre Jean lentamente si addormentava tra le sue braccia.



«Jean… Jean, che succede?»
Una voce familiare attira l’attenzione di Jean, che però ancora non è tornata nel mondo reale. Serve uno strattone per riportarla sull’attenti. Sente le guance diventare bollenti e umide. Sono lacrime, forse?
«Jean, per l’amor del cielo, parlami! Sei diventata come di pietra per minuti… Perché piangi?»
Jean finalmente torna in sé. A parlarle è Genny, che la guarda terrorizzata. Piange anche lei. Deve averla spaventata, e di questo si dispiace. Ma ora ha ben altro a cui pensare.
«Genny… scusami, non volevo farti spaventare. Era solo… solo un ricordo. Ho bisogno di un momento per riflettere.» Genny annuisce, sempre con la preoccupazione nel volto, e la lascia ai suoi pensieri.
Quello che ha appena rivissuto nella sua testa avrebbe potuto essere un ricordo come un altro, ma non lo è. Di giornate simili Jean ne ha vissuto tante, ma quella è speciale, e se n’è resa conto solo ora. Dopo quel giorno, non c’è più stato alcun gelato, nessuna gita al fiume o in qualunque altro dannato posto. Niente più occhiolini, risate e abbracci stanchi dopo ore di camminate. Niente più pa’. Jean sta cercando con tutte le sue forze di ignorare i segnali di quel ricordo che le fanno pensare che nelle parole del padre di quella sera ci fosse troppa malinconia, ma non riesce. Forse quel giorno avrebbe potuto captare qualcosa, un segnale. Era stata così stupida da non cogliere un indizio sul fatto che non sarebbe più tornato? No, non ha alcun senso, sarà la troppa emozione: non ci può neanche pensare. E smette di pensarci, non ne ha le forze. Ora guarda la coppa di gelato, che ancora tiene stretta tra le mani, come se fosse la cosa più preziosa al mondo. La guarda e piange. Il gelato non si è ancora sciolto: è lì, pronto a essere mangiato, ma Jean non può riuscirci. Il gelato, quel gelato è qualcosa che lei non può più toccare. È legato a suo padre, al loro rapporto, ai loro troppo pochi momenti passati insieme. Non può essere collegato a nient’altro. Rimarrà sempre l’immagine di un ricordo, un bellissimo e triste ricordo, che non aveva mai rivisto, prima di oggi, alla luce della scomparsa del padre. Una luce che ora, improvvisamente, le fa vedere le cose in modo diverso, un’ottica con cui prima non era in grado di vedere il mondo, né quel ricordo nello specifico. Non le è mai tornato in mente prima d’ora, perché non è stata l’ultima volta che ha visto suo padre, solo l’ultima delle loro giornate passate insieme. Una giornata come altre, che solo in seguito è diventata speciale.
Mentre osserva, piena di tristezza, la coppa di vetro tenuta con le mani ormai rosse per la presa troppo stretta, le viene un’idea. Quel ricordo va immortalato, per sempre. Alza lo sguardo e cerca Beatrice, lei che gira sempre con la sua fotocamera, non la molla neanche un giorno. Come previsto, ce l’ha appresso. Jean poggia finalmente il gelato, asciuga le lacrime con il braccio e si alza. Va dalla sua compagna, chiedendole in prestito la macchina fotografica. Beatrice tentenna un momento, ma poi sorride e gliela porge. Jean le dice che è molto importante, e promette che gliela renderà subito. Torna al tavolo e, sotto gli occhi ancora spaventati di Genny, scatta una foto alla coppa con all’interno, ancora quasi intatto, il gelato al limone e cioccolato. La foto sbuca immediatamente, ma ci vuole un po’ prima che la figura appaia. Jean fissa la pellicola finché non esce. Accoglie l’immagine con malinconia, ma sorride. Sorride perché quella foto la metterà sul comodino e nessuno capirà perché è così importante per lei. Quel ricordo Jean lo terrà stretto nella sua memoria, incorniciato solo dalle emozioni con cui lo può vivere soltanto lei, con le sensazioni che quella foto susciterà solamente in lei. Per tutti gli altri sarà soltanto una stupida foto di una coppa gelato mai mangiata. Probabilmente penseranno che sia stato uno spreco. Ma lei potrà tenere sempre a mente quell’ultima giornata, il cui ricordo è contemporaneamente terribile come il gusto puffo, aspro come il limone e dolce come il cioccolato.

 
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