Signed and sealed in blood

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view post Posted on 25/4/2020, 15:19
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°Privata

Quella del Guardiacaccia era una presenza indispensabile quanto silenziosa, dotata di una vaga aurea di timore che si proiettava soprattutto sugli studenti più giovani. In pochi potevano affermare di aver rivolto parola a quell’uomo, ed ancora meno erano quelli che si aggiravano nei dintorni della sua capanna, diffusamente considerata come l’antro di una personalità bruta ed eremitica. Kevin stesso ignorava l’attuale identità di quella figura, lui che aveva incontrato svariate volte il suo predecessore, Hagrid, nel corso dei suoi anni ad Hogwarts. In tutta sincerità, al ragazzo importava ben poco di chi vivesse in quella catapecchia e anzi rispettava quella vita da anacoreta che sembrava così tristemente affine alla sua, di profonda solitudine all’interno di quelle mura di pietra che in molti chiamavano “casa”. Lui, invece, ce l'aveva ancora una casa?
Si era spinto fino a quel luogo in una giornata priva di lezioni e che aveva tutta l’aria di mantenersi monotona, scandita dal sole primaverile e da una leggerissima brezza capace di alleggerire i sensi. Un pomeriggio perfetto per godersi una passeggiata all’aperto o, nel suo caso, per evadere da tutto quanto. Un turbinio silenzioso affollava la sua mente e qualsiasi tentativo di sedarlo si era rivelato inutile come una Scopalinda contro una Firebolt. Forse anche per quel motivo il Tassorosso si era portato dietro una lettura improbabile, acquistata senza nemmeno volerlo tempo addietro. Era parte di una collezione ignobile, che aveva però fatto il boom di vendite grazie probabilmente a streghe di mezza età scontente della loro vita matrimoniale: “Magicamente io” di Gilderoy Allock era lo scritto più falso che avesse mai affrontato nella sua vita. Pieno di sé fino al midollo, l’autore si proclamava nella sua autobiografia come la quintessenza della galanteria e l’araldo del bell’aspetto, capace di imprese epiche degne dei più audaci; ma la vita matrimoniale di Kevin era a posto ed il biondo non poteva che provare una certa nota di repulsione nei confronti di quella figura così pomposamente ed artificiosamente costruita. Rimpiangeva ogni Galeone speso. Per un attimo, però, si immaginò quell’Allock come Guardiacaccia di Hogwarts e l’ibrido che ne scaturì lo costrinse ad una risata sommessa, che parve sedare per un momento la sua irrequietezza interiore.
A proposito di ibridi, aveva notato delle strane creature vicino a quello che sembrava un vecchio e rozzo capanno per gli attrezzi (non molto diverso dalla capanna stessa, ad essere sinceri) e anche nei pressi dell’orto delle zucche, alquanto spopolato in quel periodo dell’anno. Aveva ovviamente deciso di non avvicinarsi, dato il suo cauto approccio a qualsiasi forma di vita magica, ammesso che di questo si fosse trattato. Sembravano tutte rinchiuse nei propri recinti, ma Kevin non aveva intenzione di testare la veridicità di questa supposizione. Aveva invece trovato il suo spazio sulle scale che portavano alla dimora in pietra, sulla quale una certa dose di muschio non riusciva a togliere i battenti neanche nei mesi più caldi e soleggiati. L’odore prevalente era comunque quello del sottobosco, non abbastanza marcato da risultare spiacevole. Il biondo se ne stava lì, stravaccato come sul divano della Sala Comune, a riflettere sul bel faccione di Allock stampato in prima pagina. Dal camino della catapecchia non usciva il consueto fumo, ma ciò non presupponeva nulla. Che l’uomo fosse stato o meno in casa, lui non lo avrebbe certo disturbato. E se anche lo avesse scoperto lì, sulle scale di casa, Kevin gli avrebbe allora proposto una chiacchierata davanti a due bicchieri di whisky incendiario. Magari sarebbe stato addirittura possibile spezzare quella monotonia persistente.
In quel luogo inusuale, perlomeno, solo le cavolate scritte da Allock avevano il potere di infastidirlo.

My mind is telling me NO.
But my body is telling me... LUOGHI DEL GUARDIACACCIA.

 
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view post Posted on 27/4/2020, 18:56
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It's so much darker when a light goes out than it would have been if it had never shone.


« Sono Emily. Posso? »

Aveva bussato energicamente, più volte, fin quando non aveva udito il tintinnio di una tazza cascare maldestramente da una mensola.
Ritrasse il pugno chiuso, dolente e corrucciò lo sguardo, indecisa se prendere o meno la porta a calci.
Ferma sulle scalette, sull'uscio di legno marcescente, poteva intravedere la sua figura. Inclinando il capo da un lato, riusciva quasi a scorgerlo nella luce della finestra annebbiata dal tempo.
Sapeva di dargli fastidio, non amava le visite ma non era certamente lì per lui. Le condizioni di Àgape erano in netto miglioramento e lei si era ripromessa di fargli visita finché non l'avesse visto correre nuovamente nella radura, stendere le zampe alla ricerca dei dardi di luce primaverile, annientando qualsiasi germoglio trovasse sul suo cammino. Glielo doveva, o almeno se ne era convinta.
Rialzò il braccio contro l'inutile graticcio, pronta all'ennesimo colpo che le sarebbe costato un'imprecazione; l'omone fece capolino con lo sguardo più burbero in difesa del pugno che stava per arrivargli in pieno stomaco e si fece da parte.

« Su, muoviti, entra. Se ci vedono sulla porta, verranno a bussarmi per quella dannata staccionata che Riley ha buttato giù con il suo pesante deretano »
Aveva esordito, infine, il Guardiacaccia, buttandola dentro come il peggiore dei criminali alla ricerca di un rifugio e aveva sbattuto la porta così forte che Emily poté avvertire granelli di polvere e detriti scivolare sulla sua chioma vermiglia. Un lieve sbuffò fuoriuscì dalle sue labbra appassite al primo sole e avanzò di qualche passo misurando la stanza, ignorando disordine e oggetti dalla dubbia utilità.
« Come sta? »
Chiese senza convenevole alcuno, mirando il morbido cuscino ridotto a brandelli che si ergeva nel caminetto spento e fuligginoso.
« Eh. Come sta. Sta meglio. Migliora. Non- »
« -avvicinarti. Sì lo so. Dovrai insegnarmi come trattarli, prima o poi. »
Scherzò, pur restando incredibilmente seria, incapace di mostrare alcuna emozione che desse effettivamente un senso alle sue parole.
Entrambi rimasero a fissare lo Kneazle addormentato. Aveva fiutato la sua presenza e fingere di riposare era un modo per dirle che aveva iniziato a tollerare quanto meno il suo odore, ma non la sua vista. Non più.

« Vuoi prenderne uno? Se ci tieni alla tua pelle, evita »
Aveva esordito l'uomo, come capace di percepire lo stato d'animo di lei, tradurre il silenzio ininterrotto. Non gli aveva detto nulla ma aveva capito da solo; l'assenza, spesso, ha la capacità di spiegare più dell'utilizzo di mille, smarrite parole. Il giorno prima della battaglia Hisa scappava da Àgape, il giorno dopo non c'era più. E non era più tornata. Il Guardacaccia non era esattamente un genio ma sapeva fare un semplice due più due.
« No. Però non mi piace pormi dei limiti. Buona giornata. E...»
Si voltò, dando le spalle all'animale che, avvertendo di non essere più al centro del suo sguardo, riaprì gli occhi quanto bastava per scalfirne l'esile figura.
« ... Grazie. »

Si chiuse la porta alle spalle, lo sguardo cinereo adombrato dalle lunghe ciglia di fuoco e, al tonfo della carcassa di legno, si fermò, la testa che vorticava leggermente. Trattenne il respiro per un istante, assaporando la leggera brezza sulla sua pelle, l'odore delle lobelie in fiore; era ormai da tempo che si chiedeva come fosse riuscito, il Custode, a piantarle fin lì, nell'umido prato inglese.
Stava per compiere il primo passo, gli occhi che si attardavano nella luce di quel cielo nubilo, quando una figura sconosciuta la costrinse a capitombolare nella stasi improvvisa in cui si era forzata per evitare di finirle addosso, distratta.
Il capo lucente non le suggerì nulla, era solo un passante che, assorto, aveva preso posto sulla sua scia.
Se solo si fosse voltato, lo avrebbe riconosciuto, preferendo sprofondare piuttosto che averlo a una distanza così ridotta, incapace di poterlo evitare.
Aveva imparato a convivere con quella dettagliata minuziosità dei movimenti volta ad evitare il cammino del Tassorosso e ciò che prima era un'attenzione dovuta, sembrava esser diventata tacita regola per entrambi, per il loro inesistente rapporto.
Due sconosciuti che condividevano anni e storia di un Castello in nuda pietra, nulla più.
Eppure eccolo lì, gettato davanti a lei dal triste volere della coincidenza e di un destino caotico.
Nel tormento di poterne incrociare lo sguardo, dopo così tanto tempo, Emily non avrebbe saputo che fare se non restare lì, immobile, sperando che fosse lui ad alzarsi per darle le spalle.
Come lei, dopotutto, aveva fatto anni addietro. Senza alcuna ragione di tornare.



My mind is telling me te meno.
But my body is telling me... PURE.
 
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view post Posted on 28/4/2020, 21:40
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A great fire burns within me, but no one stops to warm themselves at it, and passers-by only see a wisp of smoke.
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« Murky crede che si debba essere molto forti per apprezzare la solitudine, padroncino. » L’elfo domestico lo stava guardando con un’intensità particolare. I suoi occhi color mogano, due grandi palle incastonate in quel volto rugoso, parevano quasi emanare una nota di compassione. La creatura lo aveva appena scovato nella stanza dei suoi genitori, seduto sul letto ormai vuoto da tempo. Un’espressione assorta attraversava il volto di Kevin, ma nessuna lacrima rigava le sue guance, nessun turbamento ne adombrava l’espressione. Era la maturità conquistata attraverso la sofferenza.
Lo sguardo era rivolto verso la finestra, quella che dava sul mare calmo di Ballycastle, al cospetto del quale era solito giocare da piccolo con suo padre, sulla sabbia fresca o nella morbida erba che faceva da contorno a quel paesaggio idilliaco. Ricordi che avrebbero fatto male come lame affilate, se solo il biondo non avesse trovato finalmente quella stabilità interiore. In molti al suo posto sarebbero impazziti nel cercare una risposta o una conferma definitiva, ma lui aveva semplicemente accettato la sua condizione con fredda passività: se i suoi genitori avevano scelto di andarsene, o se anche fossero stati costretti a farlo, se fossero vivi o meno, lui non poteva ormai farci nulla. Era ancora un ragazzo di sedici anni, ma aveva già scelto di non vivere nell’ombra di quei ricordi.
Dopo parecchio tempo, Kevin si voltò verso la creatura minuta, uno dei lasciti che riempivano ancora quell’edificio, la cosa più vicina ad una casa per lui. Per quanto ne sapeva, Murky serviva sua madre dall’alba dei tempi con una fedeltà che non aveva mai vacillato neanche dinnanzi ai modi rigidi di Catherine. La creatura si era sentita abbandonata come lui, o almeno era quello che gli aveva detto finora. Dal canto suo, il ragazzo invidiava l’elfo ed il suo privilegio di “possedere” quella casa tutta per sé, mentre lui, in quanto minorenne, era ancora costretto a vivere con i suoi zii, a Londra. Cercava sempre un’occasione per poter tornare lì, che fosse anche per qualche misera ora. Era una delle poche cose capaci di colmare il suo vuoto interiore.
« E tu cosa ne vuoi sapere? Sei un elfo domestico. Non hai mai avuto un’alternativa. » Una certa freddezza aveva reso quelle parole glaciali, irreversibili. Kevin aveva sempre odiato essere appellato in quel modo da Murky, ma le usanze imposte da sua madre parevano valere anche in sua assenza. *Sempre capace di irrigidire l’atmosfera* Convenne tacitamente il ragazzo.
L’elfo non diede segno di essersi offeso. Lui non si offendeva mai, altrimenti non avrebbe resistito un giorno al servizio di quella donna. « È stata la madre del padroncino a dire una cosa del genere a Murky, molto tempo fa. » Ed eccola lì, Catherine che cercava di influenzare la sua vita anche in quel momento, senza che fosse presente o, nel peggiore dei casi, viva. Era tipico di lei. L’elfo si riferiva ovviamente alle parole da lui stesso dette in precedenza, come se avesse ignorato totalmente quelle di Kevin. Pensare all’eventualità che i suoi genitori se ne fossero davvero andati non lo fece tremare. Aveva deciso di sotterrare certe debolezze.
« Tu hai sempre creduto troppo alle sue parole. » Sentenziò il ragazzo, alzandosi dal letto. Riservò un’ultima avida occhiata alle acque calme al di là della finestra. Avrebbe rinunciato a tutto pur di poter rimanere un minuto in più in quella casa, ma suo zio lo stava aspettando fuori dall’edificio, pronto a strapparlo ancora una volta alle sue radici. Ma qualcosa riusciva a dargli forza: la prossima volta che Kevin avesse fatto visita a quel luogo sarebbe stato maggiorenne, e non avrebbe più permesso a nessuno di allontanarlo dalle proprie origini.
L’elfo si fece da parte per lasciarlo passare, ma scelse di parlargli un’ultima volta, prima che varcasse la soglia della camera da letto. « Murky lo vede nei suoi occhi, padroncino. »
Le iridi eterocromatiche furono attraversate da una luce improvvisa. Non si voltarono verso la creatura alle loro spalle, ma rimasero immobili, come il resto del corpo di Kevin. Per la prima volta, lui si ritrovò a soppesare realmente le parole dell’elfo. Che avesse davvero iniziato ad apprezzare quella solitudine? Che ne traesse dopotutto una forza particolare, intimamente sua?
Quasi incondizionatamente, le labbra si incurvarono. Percepiva un qualcosa di profondo nel concetto espresso da Murky, lui che non aveva mai fatto caso alla sensibilità dell’elfo. « Passerà molto tempo prima che io abbia modo di tornare qui, ormai lo sai. » Il suo tono era indecifrabile, ma aveva ormai perso la freddezza di prima. « In mia assenza, vedi di esercitarti a chiamarmi con il mio vero nome, ammesso tu ricorda ancora quale sia. » Decise di non voltarsi, non voleva che Murky lo vedesse sorridere. Chissà se la sensibilità dell’elfo avesse letto un “grazie” in quelle parole.
Kevin lasciò la casa di Ballycastle con una convinzione del tutto nuova: una forza silenziosa, profondamente intima; una più nutrita comprensione di sé.
_______________________________________________________________________________

Sugli scalini della capanna del Guardiacaccia, un ricordo improvviso si era fatto strada nella testa del ragazzo. Il paesaggio era mutato improvvisamente e l’odore di muschio e sottobosco aveva paradossalmente lasciato spazio a quello salubre del mare, scandito solo dal rumore lontano del vento. Per un momento, era stato come essere davvero nella casa di Ballycastle, in presenza di Murky e della pesantezza di certi ricordi. Si era trattato di un attimo fugace, così breve da dissolversi nel nulla in pochi secondi, ma comunque molto intenso, carico di significato.
Kevin si era lasciato cullare nel rivivere nostalgicamente l’ultima volta in cui aveva fatto visita a ciò che chiamava “casa”. Da quel giorno aveva fatto i conti con la consapevolezza che ne era scaturita, in un silenzioso e continuo esame interiore. Le parole dell’elfo domestico avevano innescato qualcosa in lui, un dilemma aperto al quale una risposta definitiva gli sembrava ancora preclusa. Vi era davvero una grande forza in quella altrettanto grande solitudine che provava?
Che lui fosse isolato non era da mettere in dubbio, per quanto all’apparenza potesse sembrare un comune studente, affabile seppur riservato. Nascondeva tante cose dentro di sé, alle quali aveva permesso l’accesso a pochi. Un ragazzino solare e genuino era arrivato ad Hogwarts, con la sua tracotante espansività; niente di più diverso da ciò che poteva vedere ora allo specchio. Quel fuoco che ardeva in lui non si era però spento, aveva solo deciso di non emanare più calore, di nascondersi nel profondo del suo stesso animo. Paradossalmente, era più pericoloso adesso, con il suo scoppiettio silenzioso, sempre pronto ad una delle sue vampate distruttive.
Vi erano poi delle cose che non era stato in grado di seppellire con altrettanta dovizia. Pensieri, sensazioni, persone che ancora erano in grado di ancorarlo ad una versione di sé stesso che ormai riteneva perduta. Erano portatrici di una forza altrettanto silenziosa, ed altrettanto potente. Perché aveva cercato Horus dopo Natale? Perché aveva pensato ad un regalo per Niahndra? Perché aveva cercato l’aiuto di Breendbergh? Erano solo alcune delle domande che alimentavano la sua incertezza di non essere completamente pronto a quell’abisso che si stava allargando attorno a lui. Forse la vera forza risiedeva nel resistergli, piuttosto che nell’abbracciarlo completamente?

Nell’interrogarsi su di esse, Kevin non sapeva ancora che le sue convinzioni sarebbero state messe a dura prova quel giorno. Forse si era scordato di essere pur sempre una semplice pedina sulla scacchiera di un fato poco clemente. Nella cacofonia dei suoi pensieri contrastanti, udì a malapena il legno aprirsi e richiudersi alle sue spalle. La mente era ancora leggermente annebbiata, quando scelse di affrontare il Guardiacaccia sulla soglia della sua stessa dimora.
Alzarsi fu facile e indolore, ma voltarsi fu l’errore più grande. Neanche con la dovuta preparazione sarebbe stato pronto a quella visione. L’opera di Allock scivolò dalle sue mani e cadde a terra sul legno marcescente, ma alle sue orecchie non giunse alcun suono. Di tutti i sensi, solo la vista sembrò in quel momento capace di comunicargli qualcosa. Lui avrebbe forse preferito il gusto, per assaporare a pieno l’amarezza di quell’incontro inaspettato.
Per molto tempo aveva cercato di evitare quegli occhi azzurro chiaro, dalle eleganti venature simili all’argento. Erano bellissimi, così come la lunga chioma rosso fuoco che cadeva sulle esili spalle accarezzando dolcemente il volto pallido della ragazza. Alcune lentiggini conferivano l’ultimo, indispensabile accordo a quella melodia affascinante, capace di incantare anche il più sordo degli uditori. Era però una musicalità che nascondeva nel profondo una freddezza tutta sua, come se provenisse dal più remoto degli abissi. Lasciarsi condurre da essa sarebbe stato inebriante, ma fatale.
In un profondo altrettanto grande, Kevin credeva di averne soppresso il ricordo al punto da scampare per sempre al suo richiamo. Ma lei era in realtà rimasta lì, sigillata nella sua mente, silenziosa e sfuggente come la più letale delle assassine. Per molto tempo era rimasta al suo posto, costretta nell’ombra dalla volontà ferrea del ragazzo, conscio di volersi lasciare tutto alle spalle per sempre. Ma lei, con tutta la facilità del mondo, sembrava essere tornata improvvisamente a tormentare la sua esistenza, quasi a voler testare quella stabilità che il Tassorosso credeva di aver raggiunto.
« Emily. » Riuscì infine a dire, con voce roca. Dopotutto, anche l’uragano più nefasto possedeva un nome. Il silenzio più assordante fece eco al nome della ragazza. Kevin rimase immobile, le iridi eterocromatiche fisse su quelle di lei. I secondi gli parvero anni, mentre il peso di quello sguardo si faceva sentire sempre di più, ad ogni suo battito di ciglia.
« Non pensavo che il Guardiacaccia avesse dei gusti così ricercati. » Fu capace di interrompere la scomoda situazione con una pessima uscita. Tutto, pur di ritrovare la lucidità necessaria per affrontare il ricordo di Emily Rose.

 
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view post Posted on 3/5/2020, 16:15
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Sceglieva con cura le parole ma ancor di più i silenzi.
E tu, cosa pensi di me Kevin?
Una domanda che gli aveva posto anni addietro, nella polvere di un ufficio che ancora portava le loro tracce ma che lei aveva eliminato con superba facilità.
Una riposta che non le premeva più di ascoltare, che non le importava, che non aveva alcun significato.
Eppure quel ricordo non era così sopito come credeva. Una conversazione troppo matura, per dei bambini cresciuti troppo in fretta. La clessidra del tempo aveva più volte cambiato rotta da allora, ma qualcosa restava ancora vivido e permeava il terrore del suo silenzio. Restava ancora la solitudine, rinnovata e forte, l’amore per la primavera che aveva decantato. Restava la comprensione di concetti intangibili e grandi.
Restava la colpa.
Rivedere Kevin era pari al dover fronteggiare le conseguenze delle proprie scelte. Ed era principalmente per questo motivo che ne odiava la presenza.
Un ordine impietoso l’aveva vista costretta a condurlo tra le schiere anonime dell’Oscuro, abbandonandolo lì nell’esatto momento in cui vi aveva messo piede. Lo aveva fatto per sopravvivenza, si ripeteva quando la notte, i ricordi tornavano a tormentarla. Non avrebbe voluto quella vita per nessuno eppure ve l’aveva costretto senza remore, con un bel ghigno soddisfatto stampato sul volto e l’indifferenza più pura racchiusa in un bacio amaro, falso. Ingannevole.
Avvinse i pugni, le braccia tese e incrociò il suo sguardo. Un’indomabile rabbia la colse all’improvviso, incapace di identificarne la ragione. Non era lei che doveva sentirsi così, eppure le esili membra rabbrividirono al freddo, al rancore.
« Kevin. »
Si ritrovò a rispondere, la calma della voce tradita dall’irrequietezza.
La tranquillità mesta con cui tutto intorno a sé prendeva colore e vita, cozzava incredibilmente con l’amarezza di quel momento. Le fronde degli alberi mosse dalle onde del vento, il profumo dei fiori...
...Il roboante suono di una tazza che cadeva sul pavimento e la conseguente imprecazione volgare del guardiacaccia che infranse l’idillio morente.
« Non hai.. sentito, vero? »
Domandò, più a se stessa che a lui, non curandosi della risposta, asseverandone la mancata importanza scuotendo leggermente il capo.
Si mosse sul primo scalino, sospirando scocciata all’asserzione del ragazzo. Non che non la trovasse divertente, bisogna ammetterlo, ma lei non fu in grado di mostrarne la reazione. Quell’ironia divenne una piaga e lei cedette all’istinto di ribattere.
« Tranquillo, i tipi come me... »
Si interruppe all’ennesimo richiamo del passato carezzato da un barlume di polvere. Socchiuse gli occhi, le lunghe ciglia ad accarezzare le efelidi che puntellavano le guance come stelle sparse in una notte non tanto buia.
«... Forse hai ancora speranza, entra pure, magari gli vai a genio più di me. »
Riprese, peccando di coerenza nei confronti di ciò che restava una strofa iniziata ma persa.
Saltando gli ultimi due scalini, si fermò a pochi passi dal libro che per poco non era rovinato sull’erba umida. Una smorfia contrariata le delineò le labbra corrucciate.
Che gran spreco di carta, avrebbe voluto azzardare ma rimase in silenzio nel suo tentennamento, ancora trafitta da inani ricordi.
Non era brava a muoversi nel disagio inaspettato. Andare o restare?
« Beh, ci si vede. »
Una frase di circostanza, caratterizzata dalla speranza che non avesse luogo. Era ovvio che non ci tenesse a rivederlo.
Gli voltò le spalle, convinta di prendere il via verso il Castello, lontano da lui. I passi, pesanti, si rifiutarono di sfuggire, per l’ennesima volta, ai suoi crimini e contro ogni auspicio, restò immobile, incastonata dal terreno in fiore che le fece da ostacolo. Seppe di voler dire qualcosa ma un respiro si schiuse senza emettere alcun suono. L’indecisione, infine, giunse a mordere le labbra, inumidite ai dardi di luce di un sole troppo forte.
Si strinse nelle spalle, piegando un braccio a mordere l’altro, in difetto.
« Senti, io non so… » come sia andata? Cosa abbia voluto da te?
Come si poteva chiedere a qualcuno, gettato tra le spire di un inferno dannato, per quale motivo non era sopperito alle fiamme in qui era stato spinto?
Mi dispiace, sarebbe stato forse un passo avanti. I pensieri accolsero quell’idea, trovando il coraggio di pronunciare due parole tanto semplici quanto complesse nella loro interpretazione. Avrebbe mentito però, e dunque la mente scartò l’ipotesi del rammarico. Non le dispiaceva affatto, non era colpa sua se Kevin era caduto così facilmente nelle Sue mani. Non pesava sul suo cuore il fio della decisione che aveva preso. Gli aveva concesso una nuova possibilità ma era stato lui a renderla reale. Nessuno l’aveva costretto.
Non io.
« Niente. Ciao. »
Muovere i primi passi non fu semplice ma, man mano che rialzava lo sguardo sulla scuola troppo lontano, un senso di leggerezza sarebbe tornato ad accoglierla.
E allora l’ufficio vuoto sarebbe stato solo un ricordo passato, non il primo passo della rovina a cui l’aveva condotto. Le mura dell’Oscuro ad accoglierli entrambi, un errore voluto dal Fato.
O almeno così sperava.


 
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view post Posted on 4/5/2020, 11:41
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True transformation occurs only when we can look at ourselves squarely and face our attachments and inner demons.
Cosa pensava adesso di Lei?
Una domanda che si pose istintivamente, quasi a voler riesumare il ricordo ritenuto eroso dal tempo. Eroso da un lento e graduale corso degli eventi, come lo era lui. Eroso meno di quanto avesse creduto, poiché la sua mente ritornò con troppa facilità a quel vestigio remoto, custode di intime memorie che profumavano di rosa ma pungevano come spine. Un veleno instillato con delicatezza, che permaneva ancora nel suo stesso sangue. Kevin aveva cercato di curarlo, ma un antidoto, forse, non esisteva.
Cercò di dare una risposta alla domanda apparentemente innocua. Niente di ciò che riguardava Emily era per lui innocuo, tuttavia. Non era innocua la sua presenza lì dinnanzi a lui, tanto meno quegli occhi di ghiaccio e quei capelli roventi, due manifestazioni diverse dello stesso animo complesso. Poteva apparire innocuo il dolce candore della sua pelle, ma il morso di quelle labbra la rendeva un qualcosa di molto pericoloso. Innocuo era il ragazzo, piuttosto, che nulla aveva potuto contro il fascino di quella figura.
Ma adesso, in quel preciso momento, dopo tutto il tempo che era passato, cosa pensava davvero di Lei? Una domanda che rimbalzò ancora una volta nella sua testa, bramosa di risposta.
*Penso che non ti conoscerò mai. Ma non mi interessa.* Le stesse parole di un tempo tornarono vivide. Ma erano ancora valide? Kevin lasciò la sua mente a crogiolarsi in quell’incertezza dal sapore agrodolce, mentre una voce lontana – era sempre la sua? – suggeriva una risposta diversa: *Penso che sei speciale, Emily.*, diceva. E faceva ancora male. Tremendamente male.

Il suo nome sulle labbra di lei fu una sensazione strana, frutto della disabitudine. Kevin non si sentiva realmente pronto ad affrontare un discorso, non a caso aveva vissuto nell’ombra dei suoi demoni più intimi ed astratti pur di non trovarsi al cospetto di quelli che possedevano un nome ed un volto in carne ed ossa, come Emily Rose. Lei lo aveva ammaliato e poi lasciato completamente a sé stesso, scagliandolo senza preparazione verso quel sentiero oscuro che non contemplava una via di ritorno. Ma lui, dal basso della sua debolezza, non riusciva ad odiarla per averlo condannato. Aveva cercato di farlo, ovviamente, di detestarla fino alla morte, ma aveva invece scoperto come fosse più facile odiare sé stesso.
Vide i pugni stretti e non si lasciò sfuggire il tono di lei, tradito forse da una sorta di agitazione interiore. Emily, ovviamente, gli avrebbe nascosto le sue emozioni, come solo lei era in grado di fare, ma non tutto sarebbe passato inosservato, non quel turbamento sopito che agli occhi di Kevin sembrava così percettibile.
Rimase immobile nonostante il turbinio interiore. Sul volto, uno sguardo indecifrabile cercava di non distogliersi da quello di lei. Era difficile, soprattutto dopo aver saggiato la pesantezza di certi ricordi. In realtà, perdersi in quell’abisso di ghiaccio non gli sembrava poi così male. Era molto più facile che parlare, dopotutto, e meno doloroso di vivere.
L’assordante silenzio fu spezzato da un rumore di cocci infranti e da una grezza imprecazione proveniente dall’interno della capanna. Quella nota stonata gli ricordò le parole colme di sarcasmo di poco fa, e Kevin comprese quanto fossero per lui vuote, inconsistenti. Sulla scia di tale consapevolezza, non si curò della domanda di Emily quanto del suo avvicinarsi cauto. Per un momento fu tentato di indietreggiare, quasi si sentisse minacciato da una vicinanza con la ragazza, ma le successive parole di lei lo fecero immobilizzare, portandolo con rinnovata prepotenza verso ricordi lontani di un ufficio apparentemente anonimo e polveroso. Una ragazza come lei era ancora in grado di fargli un effetto così destabilizzante. Quanto era debole, e quanta strada doveva ancora fare per elevarsi al di sopra delle emozioni che lo rendevano così vulnerabile.
La provocazione di lei rimase in secondo piano, mentre il passato tornava al suo posto non senza strascichi. Emily, invece, si era fatta nel frattempo più vicina, ed il biondo poté avvertire un certo disagio all’altezza dello stomaco. Avrebbe voluto trovare la forza di parlarle, di commentare la sua espressione contrariata alla vista del penoso libro o la frase di circostanza alla quale lei aveva fatto ricorso, atona come le emozioni che voleva trasmettergli. L’unica cosa che seppe fare, tuttavia, fu il rassegnarsi al suo voltargli le spalle.
La sua indecisione pareva grande almeno quanto quella di Emily, che non assecondava l’evidente desiderio di andarsene da quel posto, da lui. Fu strano vederla indugiare, poiché raramente lo aveva fatto in passato. Fu strano avvertire il tentennamento nel suo linguaggio del corpo e, successivamente, nella sua voce. Ella parve dar voce al suo turbamento, ma solo per un istante. Kevin rimase aggrappato a quelle parole, sospeso nel desiderio che gli comunicassero un’emozione vera, autentica.
*Cosa non sai?* si chiese per un momento, soppesando la natura di quelle note appena accennate. Una risposta non giunse, poiché Emily scelse l’ennesima maschera. Le sue parole furono sentenza e parvero infonderle la forza di scappare. Ma esse furono anche il cazzotto in faccia che permise a Kevin di scuotersi dal torpore dell’indecisione.
Rivolto all’esile schiena di lei, avrebbe finalmente dato voce ai suoi pensieri, che forse comprendevano la natura del suo malessere. « Scappa, se lo trovi facile, ma questo non sanerà il tuo turbamento. » Non era un’accusa, poiché il suo tono sembrava così inaspettatamente calmo.
« Io non ti incolpo di nulla. Che sia pure la mia condanna, sono stato io a sceglierla. » Confessò, ad Emily quanto a sé stesso. La verità di quelle parole lo invase in quel momento per la prima volta. Se lei si fosse voltata, lo avrebbe visto nei suoi occhi dal diverso colore ma dalla stessa intensità.
Era intimamente convinto di aver raggiunto una più stabile comprensione di sé ormai da tempo, ma esprimerlo a parole dinnanzi a qualcuno – a qualcuno come lei, in particolare – riuscì a smuovere qualcosa dentro di lui.
« Sono una persona ormai diversa. Ho scelto di smetterla di fuggire. » La profondità della sua voce si perse in un piccolo silenzio, nel quale i suoi occhi tornarono a cercare il contatto con quelli di lei, nella speranza che si fosse nel frattempo voltata. Non aveva più paura di quell’abisso di ghiaccio, poiché aveva finalmente compreso l’insensatezza dei suoi timori. Non aveva senso scappare da Emily Rose.
« Non ho paura ad ammettere di non essere riuscito a dimenticarmi di te, Emily. Forse, oggi, ho deciso di accettarlo per la prima volta. » Si sentì libero di un grande fardello, pesante come il nodo alla gola che gli aveva impedito di parlare nei primi attimi di quell’incontro. Adesso, sembrava solo un lontano ricordo. Comprese come la vera trasformazione avvenisse nel momento in cui si è in grado di guardare a sé stessi con intima onestà e pronti ad affrontare e accettare i propri demoni interiori. Kevin aveva appena scelto di farlo. Debolezze che si tramutavano in forza, senza che il dubbio oscurasse il cammino.
« E, per la cronaca, mi fa schifo quel libro. » Ci tenne a precisare dopo un lungo silenzio, con un tono di voce molto più rilassato, quasi ironico. Un cenno del capo ad indicare con eloquenza l’opera di Allock, riposta là dove meritava di stare.

Il tempo parve fermarsi ancora una volta, sulla scia della stabilità ritrovata dal ragazzo.
Una domanda rimbalzò ancora una volta nella sua testa.
Cosa pensava adesso di Lei?

 
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view post Posted on 14/11/2020, 18:41
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It's so much darker when a light goes out than it would have been if it had never shone.


Fu così facile voltargli le spalle ancora una volta. Così semplice muovere altri passi verso il Castello, al riparo dai ricordi. Dal senso di colpa. Da lui.
Chiuse gli occhi alla brezza leggera che, cheta, giungeva in soccorso contro le guance offese.
Non parlare, lo supplicò mentre un rovo selvatico le faceva da funesto e innocente ostacolo, non dire nulla.
« Scappa, se lo trovi facile »
Ti prego.
« Ma questo non sanerà il tuo turbamento. »
La verità la colpì con ingiusta prepotenza, arrestando il cammino. Le preghiere, vane, caddero a brandelli così come accadde con la maschera che ancora una volta aveva indossato per... Sì, fuggire via.
Il tono accomodante di lui fu, forse, quanto più minò di ferirla. Strinse i palmi, cercando di acquietare l'istinto di prenderlo a schiaffi per il semplice motivo che aveva ragione. Oh, se aveva ragione.
Secondi inesorabili lo dividevano da lui, lunghi più della mera distanza che era riuscita a costruire per ripararsi dall'imminente rovina. Non aveva mai voluto che lui la vedesse fragile o indecisa. Anni addietro aveva costruito un'immagine di sé, forte, sicura ma erano in pochi ormai a considerarla tale. Kevin, però, ovunque egli si fosse rifugiato, era rimasto lontano dalla sua vita e, proprio per questo, era tra i pochi a conservare il disegno che aveva scelto al posto della realtà, al posto di ciò che era. Un conforto, in qualche modo, che la faceva sentire al sicuro e alimentava un Ego corrotto.
Ora cosa avrebbe pensato di lei?
Se solo si fosse voltata, lui avrebbe forse visto la verità?
Che era forte, sì, ma a qualche prezzo?
La fragilità, dopotutto, era solo l'altro lato della medaglia e nei lunghi anni persi in bilico, alla ricerca di un equilibrio mai trovato, Emily aveva capito che non implicava necessariamente l'annientamento del suo contrario.
Come luce ed ombra.
Amore ed indifferenza.
Le singole parti di eterne dicotomie esistono proprio perché si alimentano l'un l'altra.
Kevin avrebbe visto, dunque, questo: una persona a pezzi eppur armata fino ai denti. Forte ed insicura. Annientata dagli eventi ma non per questo meno fiera.
Dinanzi alla tranquillità del suo tono di voce, però, ogni buon proposito andò a farsi benedire e la frustrazione irruppe. Ardente, insopportabilmente esausta da quanto era costretta a subirsi.
E si voltò.
Uno scattò leggero, il rovo a maledire i lacci delle sue scarpe arricciandoli nelle proprie spine.
In quella piccola, vana prigionia terrena, Emily incrociò il suo sguardo, furente. Gli occhi, serrati sul suo volto, attesero che continuasse a parlare, quasi sfidandolo a farlo.
L'incoerenza dei suoi discorsi disorientarono la mente confusa e nonostante l'insoddisfazione sembrò placarsi alla dolce ammissione del giovane, tornò con più prepotenza.
L'ironia con cui accennava a quel ridicolo libro risuonò forte e chiara come una presa in giro e lei, già umiliata per l'evidente incapacità di tenere a freno le emozioni stampate sul volto espressivo, cedeva all'immaturità del momento.
« Sei proprio uno stronzo presuntuoso e narcisista. »
Esordì, la voce macchiata dal rammarico. Le iridi chiare non accennarono a lasciare la connessione che aveva stabilito con il suo volto sì perfetto, ma così ignaro, così... Impassibile.
Era dunque a quel modo che dovevano concludersi lunghi anni di rimpianti e dispiaceri? E lei che si era pure sentita in colpa.
« Non sei stato tu a scegliere la tua maledizione. Io l'ho scelta per te e non ne avevo il diritto. »
Serrò forte i palmi cingendo la gonna sottile, martoriando la stoffa leggera nella presa.
« E tu te ne stai lì, dopo tutto questo tempo, a dirmi che va bene? Che non ho colpe? Con il tuo tono calmo e pretenzioso. »
Sospirò e alzò gli occhi al cielo, sperando che un fulmine squarciasse il cielo sereno e la colpisse prima che potesse pentirsi di parole pronunciate troppo in fretta.
« Non ti farebbe male reagire alle ingiustizie ogni tanto. Ti comporti come se niente fosse e dici di non avermi dimenticata. Nemmeno io lo avrei fatto se mi avessi dannato l'esistenza come io ho fatto con te. Sai che novità. »
Tornò su di lui, il petto ansante, smanioso di pronunciare tutte le frasi non dette, tutto ciò che avrebbe voluto lui sapesse e di cui mai, probabilmente, sarebbe venuto a conoscenza.
« Vendi quello schifo di libro e compratici un po' di dignità. Magari ti servirà per reagire. »
Concluse.
Le mani serrarono il raso celeste fino a farsi male.
Distolse lo sguardo, colpevole e si mosse a togliere quel maledetto rovo che si era impigliato tra le scarpe, al pari del nodo che premeva alla gola e ardeva l'orgoglio.
 
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view post Posted on 22/11/2020, 11:15
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There is no ash that doesn't yet dream of the Fire's caresses.
In molti casi, fuggire non rappresentava un gesto nobile. In altri, era invece l’unica soluzione possibile. Per Emily – e lui ne era certo – fuggire non avrebbe risolto nulla, semplicemente. Non avrebbe sanato le ferite rimaste aperte, né riempito gli spazi lasciati vuoti dalle parole non dette, dalle incomprensioni mai chiarite, da tutte le idee maturate su precari ricordi.
Il passato avrebbe trovato sempre un modo per riemergere, anche quando sembrava intrappolato nel più profondo degli abissi. Scamparvi una, due o dieci volte non gli avrebbe impedito di continuare quell’eterno inseguimento.
Da una cosa del genere, dunque, Emily non avrebbe potuto scappare in eterno, per preservare l’orgoglio o chissà cos’altro, poiché nel farlo non avrebbe fatto altro che alimentare le incongruenze di quell’oblio che li separava.
Ad ogni modo, nel voltarsi dinnanzi all’astratto inseguitore entrambi non potevano più fare affidamento sull’immagine che avevano l’uno dell’altra, a quella foto sbiadita, alterata dal tempo e infine sfidata dalla realtà che si palesava dinnanzi ai loro occhi in quel preciso istante.
Tuttavia, se anche il passato provocava un nodo alla gola, il loro futuro non doveva per forza basarsi sui sensi di colpa.

Estremamente chiaro fu l’effetto delle sue parole sul fuoco sopito nell’animo di Emily. Improvvisamente, questo avvampava, minacciava di liberarsi, di consumare ogni angolo della sua pelle nivea e perfetta, di inghiottire tutto nel processo, compreso Kevin. Soprattutto Kevin.
Nel sentire la voce di lui, il moto della Serpeverde si era arrestato, apparentemente frenato da un ostacolo esterno, dalla natura che si faceva beffe di loro e di quel momento.
Ascoltava le sue parole, passivamente in silenzio. I palmi serrati, tuttavia, avrebbero tradito qualsiasi forma di indifferenza. Era la quiete prima della tempesta, comprese il Tassorosso, senza per questo tirarsi indietro.
Anzi, capiva bene che, per quanto minacciosa, la fiamma insita in Emily avrebbe quantomeno divorato la maschera di indifferenza da lei indossata fino a quel momento, lasciando intravedere qualcosa di ciò che provava davvero. Se il suo destino era bruciare, Kevin preferiva farlo sotto il calore di emozioni vere, per quanto nefaste potessero rivelarsi.
La ragazza si era adesso voltata a guardarlo negli occhi. Le iridi chiare sembravano volerlo annientare sul posto. Bellissime anche nella loro ferocia, accompagnavano ogni parola e parevano ondeggiare come falò in balia del vento. Solo alla fine, dinnanzi all’intima confessione di Kevin, avvamparono in via definitiva, promettendo devastazione.
« Sei proprio uno stronzo presuntuoso e narcisista. » Come inizio non vi era male. Il Tassorosso sostenne lo sguardo di lei e si preparò alle fiamme, irrigidendo appena i muscoli. Accusò l’attacco senza indietreggiare, affrontando a viso aperto la sua carica; non le avrebbe concesso il lusso di vederlo intimidito. Per quanto pesanti, le parole di Emily si facevano però portatrici di un’emozione e non più asettiche come in precedenza. Tuttavia, nonostante Kevin si imponesse di vedere in ciò una mezza conquista, il discorso di lei attentò alla sua pazienza, minacciando una reazione rabbiosa.
In effetti, osservare Emily in quello stato non gli procurava piacere. Vedeva un’anima forte, certo, probabilmente temprata da una sofferenza di cui non gli aveva mai parlato, che tentava però di respingere anche chi come lui non aveva la minima intenzione di essere una minaccia. Poco importava, perché lei lo percepiva come tale, sotto la lente di quella ferrea autodifesa. Eppure, Kevin avvertiva un po’ di debolezza perfino in quella forza. Vi era una sensibilità turbata, nascosta al di là delle fiamme. Lui avrebbe potuto forse raggiungerla, se avesse deciso di attraversarle piuttosto che alimentarle. E fu sulla scia di quella consapevolezza che la rabbia venne meno.

*Hai finito?* Si chiese per un momento, quasi incredulo di non essersi preso anche uno sputo in faccia o uno Stupeficium dritto nel petto. Una vena sulla fronte, ultimo segno della rabbia appena soffocata, non avrebbe comunque tradito il suo tono “calmo e pretenzioso”.
« Sei tu la stronza presuntuosa se pensi di aver scelto per me il mio futuro. » Esordì il ragazzo, cercando il suo sguardo nonostante lei avesse già scelto di distoglierlo.
Si concesse una piccola pausa, riflettendo sul delirio di cui era appena stato spettatore. Lo doveva ammettere, aveva cercato di odiare Emily per un certo periodo, almeno finché non si era accordo di quanto ciò non avesse senso. Lei aveva avuto ovviamente un’ascendente sul suo camino, ma molto minore di quanto immaginasse. Aveva spinto una persona che era già sulla via del patibolo. Se anche avesse voluto salvarlo da quella fine, probabilmente non ci sarebbe riuscita.
Mosse un passo verso di lei, osservando solo per un secondo il rovo che era intervenuto ad impigliarle la caviglia. La Serpeverde sembrava dedicare a quell’impedimento tutta la sua attenzione, ma era sicuro che non si sarebbe persa una sillaba del suo discorso. Vederla strattonare il suo vestito fingendo allo stesso tempo di non essere in difficoltà lo fece quasi sorridere. La scena avrebbe potuto anche risultare comica, se solo Emily non fosse stata così maledettamente elegante perfino in una situazione assurda come quella.
« Credi davvero che la mia strada non fosse già scritta? Che io non fossi già “marcio”? » Sospirò, muovendo un altro piccolo passo verso di lei. « Lascia che ti racconti una cosa. Tempo fa sono stato vittima dell’effetto della Maledizione Imperius per mano di un Mangiamorte, e l’unica cosa che ho saputo fare è stato alimentare il suo potere su di me attraverso l’odio e la rabbia che covavo dentro, mentre una ragazza rischiava di essere violentata davanti ai miei occhi. » Aveva abbassato la voce senza nemmeno accorgersene, mentre i ricordi tormentati cercavano di riemergere con prepotenza. Non aveva mai parlato a nessuno dell’accaduto, ma gli sembrava giusto che Emily conoscesse una piccola parte dei suoi turbamenti. In quel modo, forse, avrebbe quantomeno iniziato a comprendere la dinamica delle sue scelte.
« Ero solo, compromesso. Molto prima che tu mi “dannassi l’esistenza”. » Le spiegò, rimarcando le parole utilizzate in precedenza da lei. Emily doveva comprendere quanto fossero state sbagliate. Forse, una parte di lei ne era già consapevole.
« Io non ti odio, Emily. E questo non fa di me una persona senza dignità. » Il suo tono non ammetteva repliche. « Non mi importa se vuoi farti carico da sola di tutte le disgrazie che ti circondano, o se mi vuoi tenere lontano perché ti ritieni l’unica artefice della mia sofferenza. Magari trovi un insano piacere in questo, ma perdonami se non sto al gioco. » Non aveva la minima intenzione di farla sentire sotto accusa, quanto quella di dimostrarle che era nel torto e di quanto fosse semplice muovere un passo verso la ragione.
Finalmente, le giunse dinnanzi. La vicinanza gli provocò un lieve nervosismo, che Kevin soffocò attraverso un sorriso appena accennato. Se solo avesse alzato lo sguardo, Emily avrebbe potuto vederlo, e magari odiarlo. Sembrava così stonato, se rapportato all’inflessibilità del suo discorso, ma era quanto più sincero possibile. Rifletteva le sue intenzioni, laddove non fossero sembrate chiare.
« Credo che non ci sia nulla di male nel condividere il peso di un malessere interiore. » Lasciò che la frase rimbalzasse nell’aria per qualche secondo. Ad un passo da lei, Kevin poteva ora osservare gli eleganti riflessi dei suoi capelli di fuoco.
Emily era cambiata, lo riusciva a vedere. Ma non avrebbe lasciato che questo impedisse a lei di comprendere il suo, di cambiamento. Forse il ragazzo non aveva applicato alla lettera l’ultima frase pronunciata, ma aveva quantomeno smesso di fuggire.
« Su una cosa però hai ragione. Questo libro è spazzatura. » Il sorriso si fece appena più marcato, sulla scia di un tono decisamente più morbido. Eppure, come al solito, il sarcasmo non avrebbe concesso sconti, neppure a Emily Rose. « Ma devo ammettere che riesce a dire stronzate più credibili rispetto alle tue. » Concluse, preparandosi al ceffone. Anche con una gamba legata, la ragazza rappresentava un pericolo potenzialmente mortale.
Tuttavia, proprio all’arto della Serpeverde fu improvvisamente rivolta tutta l’attenzione di Kevin. Non ne poteva più di vedere quella leonessa in gabbia. « Ferma. Lascia fare a me. » Senza aggiungere altro, si chinò dinnanzi a lei e la liberò dal rovo con un gesto secco, senza curarsi di riportare graffi sulle mani. La guardò dal basso verso l’alto, per un istante, senza che il mezzo sorriso abbandonasse il suo volto, chiedendosi se l’orgoglio di lei avrebbe intravisto una sfida anche in quel semplice gesto.
« Sei libera, adesso. » Concluse, con un tono profondo che sapeva di parole simboliche.
Emily Rose era davvero libera. Libera anche di fuggire, se fosse stata ancora quella la sua intenzione. Ma il fuoco, una volta spento, avrebbe avuto bisogno di quella cenere per tornare ad ardere con maggiore splendore. E la cenere, per quanto gli costava ammetterlo, non avrebbe mai smesso di sognare le carezze del fuoco.

 
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view post Posted on 19/2/2021, 15:22
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We can talk about the noise, when you're ready, but 'til then I'll say "It must have been the wind".


Doveva esser stata colpa del vento.
Improvvisamente le folate d'aria gelida si erano arrestate, come indecise, per poi prendere a soffiare in direzione opposta. Più forti, risolute. Kevin era cambiato, poteva notarlo anche a così tanta distanza da lui, e le parole che seguirono la propria presunzione non fecero altro che renderlo più chiaro.
Una carezza invisibile gettò indietro la lunga chioma vermiglia, trasportando con sé ricordi ora svaniti; e il profumo di lui che, senza timore alcuno, si avvicinava alla fiera in prigione.
Emily distolse lo sguardo, tirando appena la gamba esile a sé, ancora irrimediabilmente intrappolata. L'orgoglio non cedette ma si scoprì incapace di sostenere il suo sguardo sempre più vicino. Non voleva essere giudicata e, al contempo, non stava facendo altro che mettere se stessa e le proprie azioni sotto ad un'irreprensibile lente di ingrandimento.
« Che io non fossi già “marcio”? »
Istintivamente alzò il capo in sua direzione, indispettita da quanto aveva appena udito.
« Tu non... », le parole s'infransero in un momento che peccò incredibilmente di coraggio. Le labbra si schiusero al tocco gentile ed incerto di quel sussurro che non giunse ad esistenza. Il giovane parve non sentire e continuò il suo discorso sorprendendo l'animo di lei, implorando la tenerezza con cui aveva iniziato da poco a fare i conti. Il peso sul petto s'addolcì e il calore inondò il suo volto al pari di un flebile raggio di sole che illumina le gote e fa socchiudere gli occhi.
Qualcosa la colpì, forse la breve storia appena udita, forse il rivedersi nei personaggi di quella narrazione... Probabilmente il mettere a fuoco il Tassorosso ormai troppo vicino, con una mera difesa di spine e schegge a farle da muro.
Doveva essere merito del vento, se le intonazioni del suo cuore avevano abbandonato l'irritazione e il senso di colpa.
« Credo che non ci sia nulla di male nel condividere il peso di un malessere interiore. »
Colpita.
Affondata.
Le iridi tremarono appena, vittime di una fragilità improvvisa. Scottata dalla capacità di lui di canzonarla come se la conoscesse da sempre, si morse l'angolo delle labbra e l'ironia incorse a rendere il tutto così dolcemente grottesco. Eppure... Era forse l'origine di una minuta disfatta quella che riluceva negli occhi appena arrossati?
Avrebbe voluto essere meno codarda da parlare, da dirgli che c'era tanto di sbagliato nel condividere un peso quando l'altra persona non ha intenzione di accettarti realmente per ciò che sei, con tutte le conseguenze del caso. Non parlò, forse intimorita di non venir compresa come spesso accade a chi custodisce i propri pensieri sempre e soltanto nella propria mente, e si dipinge col colore di un ermetismo farlocco e disfunzionale.
« Ma devo ammettere che riesce a dire stronzate più credibili rispetto alle tue. »
Avvertì un fastidioso prurito al palmo mentre il ragazzo sembrò abbassarsi a così poca distanza da lei da esser pronto a ricevere uno schiaffo in pieno volto.
Contro ogni aspettativa, contro ogni probabilità, Emily invece rise e, nel farlo, socchiuse gli occhi. Le ciglia adombrarono le guance costellate da efelidi, bagnandosi di una lacrima che non avrebbe abbandonato l'incredulità del proprio sguardo. Una risata cristallina adombrò il silenzio e, nella sua brevità, si spense in un soffio che aveva il sapore del conforto.
Riaprì gli occhi quando il movimento del ragazzo accarezzò il proprio corpo con un buffo leggero, generato dal lieve spostarsi dell'aria nel piegarsi in basso. Si ritrovò a chinare la testa verso di lui, intercettandone la figura, lunghe fiamme di fuoco a contornare un volto fastidiosamente imbarazzato da quel gesto .
« Sei libera, adesso. »
Adocchiò i lacci e con la sorpresa di una bestiola che non capisce esattamente cosa sia accaduto, piegò appena il ginocchio all'indietro, scoprendo la leggerezza ritrovata in quel gesto.
« Ammesso che siamo due stronzi presuntuosi... »
Piegò la gamba ancora tesa e scivolò dinanzi a lui, con un tenue sorriso sarcastico a cingere le labbra rosse, fino a piegarsi sulla dura terra fatta di fiori e rovi.
« ... Direi che trovi un insano piacere a farti tormentare da me. Quindi resterei ancora un po'».
Non le importò più della colpa che l'aveva angosciata per anni, né della facilità con cui se ne era liberata dopo così tanto tempo. Non aveva immaginato di aver bisogno esattamente del suo perdono per dirsi esente da quella condanna auto-inflitta e, col tempo, gliene sarebbe stata eternamente grata.
Avevano ancora molte cose di cui parlare ma, per il momento, allontanò l'attenzione dal volto di lui e socchiuse gli occhi alla ribelle direzione del vento.
 
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view post Posted on 27/2/2021, 19:28
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There is no ash that doesn't yet dream of the Fire's caresses.
La risata di Emily catturò il sole adagiato sulle soffici nuvole di quel tiepido pomeriggio e lo portò un po’ più vicino a lui. Ne sentì il calore improvviso, non sulla pelle quanto nell’animo perturbato. Fu una sensazione inattesa, il riemergere di un ricordo che non sapeva di custodire o che, semplicemente, credeva di aver dimenticato per sempre.
Il momento fu breve, ma intenso a causa di ciò. Il suono invase la radura per un istante, rimbalzando però nella testa del ragazzo per molto più tempo. Era una melodia sincera, proveniente da un abisso lontano. Ma non era Emily quell’abisso, quanto il profondo solco lasciato dal macigno che evidentemente si era portata appresso nel corso degli anni, sulla scia delle parole non dette e dei momenti rifuggiti.
Adesso, però, qualcosa stava cambiando; una consapevolezza appena percettibile nel vento che accarezzava i capelli, muovendo le vesti e le emozioni di Kevin. E lui sorrise, nascosto dal gesto che era intento a portare a termine. Emily era libera, e forse anche lui lo era un po’ di più rispetto a prima.
Scivolava giù, definitivamente, il peso nel petto che aveva provato nel rivedere la ragazza. Volava via, trascinato dal cosciente vento, e fu come se non fosse mai esistito.
Scivolava giù, Emily, atterrando con grazia dinnanzi a lui. Una rosa rossa in mezzo ai rovi. Un petalo, però, si rivelò bagnato da una lacrima tenue, appena visibile. Una sottilissima riga che accarezzava la guancia nivea della ragazza, passando per le efelidi brune parzialmente illuminate dal sole. Il secondo dopo, non vi era già più, tanto che a Kevin parve di averla solo immaginata.
Realtà o meno, il ragazzo ne fu colpito profondamente. Vide la superficie dello stesso malessere di cui aveva parlato in precedenza, e capì che avrebbe voluto essere abbastanza pronto da asciugare quella lacrima. Un discorso, quello, che non si limitava all’aspetto fisico della cosa. Avrebbe voluto dire ad Emily che gli dispiaceva, farlo a tempo debito. Gli dispiaceva per non essere stato in grado di alleggerire prima il peso che la ragazza aveva tenuto ancorato al suo cuore, per non averle fatto capire che non era stata lei a condannarlo nell’oscuro abisso. Troppo concentrato sul suo egoistico tormento, non si era mai sforzato di comprendere quello della ragazza.
Una parte di lui cercò di parlare, di dare voce ad un pensiero che minacciava di minare alla base tutto il discorso fatto in precedenza. Un’altra parte, cercava invece di soffocare sul nascere quella preoccupazione, capendone l’effettiva tardività. Fortunatamente, la Serpeverde anticipò l’esito di quel dilemma interiore.
«Ammesso che siamo due stronzi presuntuosi… Direi che trovi un insano piacere a farti tormentare da me. Quindi resterei ancora un po'.»
Le parole di lei, che facevano da contorno al suo posarsi al suolo, giunsero in aiuto di Kevin salvandolo dal senso di colpa, un tormento di gran lunga peggiore della presenza di Emily Rose. Come era nato, il dispiacere per non averle risparmiato l’intima sofferenza – che lui percepiva al di là dell’argenteo sguardo, ammantato di fierezza – perse ogni consistenza.
Capì che era giunto il momento di andare oltre la lunga lista di turbamenti che li avevano tenuti separati negli anni precedenti. La decisione della Serpeverde, la sua volontà di rimanere piuttosto che fuggire disegnavano una risposta che non poteva essere mal interpretata. Si aggrappò dunque a tale certezza, e sostenne lo sguardo della ragazza.
«Vero, ma sono abbastanza sicuro che piaccia anche a te.» Abbozzò con ironia, prima di servirle un tono inaspettatamente colmo di gentilezza. «Resta pure quanto vuoi.» Parole che, forse, nel profondo nascondevano una supplica silenziosa della quale non avrebbe mai ammesso l’esistenza. Le iridi etero-cromatiche si soffermarono su quelle azzurre di lei per qualche secondo, prima di distogliersi nello stesso momento in cui lei le voltò altrove.
Lasciò che il silenzio calasse su di loro, senza pesantezza. Non era necessario parlare in certi casi, nei quali il perdersi insieme nella brezza del vento poteva dimostrarsi una comunicazione altrettanto efficace. Così fece, chiudendo gli occhi.
Certo, avrebbe anche potuto spiegarle come fosse finito a leggere dei pessimi libri nel tempo libero oppure come la sua vita al castello fosse diventata ormai meno “viva” di quella del Barone Sanguinario, ma il tutto sarebbe stato estremamente noioso, in primo luogo per lui. Il vento, invece, era degno di essere ascoltato.
Dopo lunghi secondi, pose fine a quella stasi, pur rimanendo in silenzio. Si limitò a guardare la ragazza senza dire niente. Il sole le tagliava a metà il volto candido, creando una dicotomia interessante tra luce e oscurità, due concetti che si sposavano perfettamente con l’essenza stessa di Emily.
Per un secondo, Kevin si soffermò sulla parte buia di quel binomio idealizzato. Un piccolo dubbio si insinuò nella consapevolezza ormai raggiunta. Forse, nonostante il suo restare, la ragazza non aveva la minima intenzione di aprirsi con lui, di mostrare altro che la punta dell’iceberg. Forse, per timore di non essere compresa, non avrebbe abbandonato quella cautela che infondeva sicurezza. Oppure, molto semplicemente e per quanto lui fosse disposto ad ascoltarla, lei non gli doveva niente.
Certe volte era meglio rimanere in quel modo, nel proprio guscio, ermeticamente chiusi in sé stessi. Il tutto perché bastava poco per vacillare, come uno sguardo o una mano tesa che potevano mostrare con tutta la facilità del mondo quanta fragilità si nascondesse dietro quelle immaginarie corazze. Kevin lo avrebbe rispettato, perché aveva iniziato a capire quel modo di essere. Era diventato egli stesso quel modo di essere. Ed era stato, forse, un bugiardo: c’era del male nel condividere il peso di un malessere interiore, se non si incontravano braccia abbastanza forti da sostenerlo.
«Sai, è buffo.» La sua voce spezzò l’immobilità del momento. «Vorrei chiederti come stai. Ma l’unica cosa che mi viene da dirti è: quanti danni hai fatto in tutto questo tempo?» Si voltò, nel finire la domanda, ed abbozzò un mezzo sorriso. Non l’avrebbe costretta a parlare di niente, ma le avrebbe fatto capire che una nuova maturità si celava dietro quelle iridi etero-cromatiche che a lungo avevano visto Emily nei tramonti. Tante cose erano ormai cambiate. Lui era cambiato.
Infine, quasi assecondando la stabilità emotiva raggiunta, si distese nello spazio di erba lasciato immune dai rovi, ruotando il busto in modo da offrirle il fianco e continuare a vederla senza problemi. Scivolava ancora più giù, quasi fosse necessario un ultimo passo prima di abbracciare a pieno quella leggerezza.
Con il braccio si parò dalla luce solare e si concesse qualche istante per osservare i capelli di lei, seguendone alcuni dei riflessi iridescenti che danzavano sotto le carezze del sole e i respiri del vento. Lingue di fuoco, adesso sopite, guizzavano appena nella morbida chioma. Non si trattava della fiamma nefasta che era avvampata in precedenza nelle parole di Emily, bensì quella accogliente del camino di una casa di montagna. E loro, in tutto quel tempo, avevano camminato a lungo nella neve, ognuno per conto suo, al freddo delle parole non dette e degli sguardi mancati.
Kevin lo aveva fatto spesso senza meta, perdendosi ripetutamente nella tormenta prima di trovare la via. Ma forse, dopo tutta la strada fatta, si meritava adesso di sedere al cospetto di quel fuoco e di godere di una salvifica sensazione di effimera serenità.
Non avevano nulla da perdere. Solo una nuova alba da raggiungere o un tramonto al quale assistere insieme per l’ultima volta. Emily era libera di scegliere.

 
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view post Posted on 2/4/2021, 11:17
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But every stroke of luck has got a bleed through. It's got a bleed through.


E gli fu grata del silenzio.
Continuò a pensare alle tante cose che avrebbe potuto dire ma nulla, proprio nulla, ebbe il coraggio di rovinare quell'eterno momento di serenità.
Inspirò a fondo, il petto che tendeva al cielo, la brezza di petali selvatici ad inebriarle i sensi; il profumo di Kevin che annaspava alla ricerca di ricordi lontani.
La destra prese ad accarezzare il manto scomodo su cui poggiava la schiena, incontrando con paradossale piacere la punta di rami secchi. Gli occhi chiusi al cielo, ad evitare i raggi del sole nelle sue iridi chiare, si posarono infine sui segni dell'epidermide appena lesa, ora che alzava il braccio a proteggersi dal fragile riverbero di luce.
Avrebbe voluto tornare indietro, al giorno in cui si erano incontrati, evitare di fermarsi in quella maledetta aula. Evitare di conoscerlo.
Era quello il fardello, dunque?
Il fio della colpa tornò a incavarle lo sterno con tutto il suo peso e fu allora che Emily sospirò impercettibilmente, affranta dalla paranoia che le confondeva i pensieri.
Essersi imbattuta in Kevin non era il problema. Avergli aperto le porte della condanna, invece...
« Ero solo, compromesso. Molto prima che tu mi “dannassi l’esistenza”. »
Sì, poteva esser vero. Ma ci credevano davvero?
Avvertì la necessità di voltarsi in sua direzione, incrociare il suo sguardo, scoprire la risposta a quel dilemma. Si ritrovò, quindi, a sposare il suo profilo e gli occhi scivolarono dal petto ai capelli dorati e, beandosi della sua apparente calma, le venne da sorridere.
Era cambiato, Kevin; lo erano entrambi. Cos'altro era mutato?
*Ora mi stai mostrando una maschera o chi sei veramente, Kevin?
Mi sto mostrando per quello che sono realmente, suppongo.
L'eco irruppe i pensieri e nonostante lo sguardo fermo sulle sfumature del suo volto, Emily smise in realtà di vederlo, persa nei meandri di una lotta interiore.
Perché era così difficile credergli? Perché non accettava che il mondo non girava - e mai lo aveva fatto - intorno a lei?
Che non tutte le cose brutte erano accadute per colpa sua.
Che non era l'unica a sentirsi sola, persa, danneggiata.
Socchiuse le palpebre, lasciando che il calore di quella nuova consapevolezza l'invadesse, ponendo temporaneamente fine all'eterna diatriba di cui si cibava costantemente la propria essenza.
E finalmente incrociò il suo sguardo.
« ... quanti danni hai fatto in tutto questo tempo? »
Mosse la testa, forse a disagio, forse per liberare una ciocca impigliata tra i rami secchi e ne approfittò per volgersi completamente a lui.
« È tanto tempo », asserì abbassando lo sguardo per un istante fugace.
« Ma... Sicuramente non quanti ne immagini ma più di quanti ne avrei voluti sulla coscienza », e lasciò al cinismo ironico fare in modo che la risposta emergesse con meno credibilità di quanto ne avesse in realtà.
Perse un battito. Il pensiero di Lui fece capolino con prepotenza e lei lo cacciò via non appena avvertì la gola ardere e il dolore avanzare pericolosamente.
No.
« E tu? », chiese quasi distrattamente mentre volgeva la schiena alla capanna e si adagiava sull'esile fianco per fronteggiarlo.
La luce le parve meno fastidiosa; riscaldandole la schiena, il sole iniziava a nascondersi alla loro vista e, nella distanza colmata dai rovi, offriva una zona d'ombra, uno spazio estraneo e incolto.
Improvvisamente strinse gli occhi, arricciando il naso, gli zigomi a pizzicarle per uno sbadiglio improvviso.
« Oddio scusa », si affrettò a dire portando la sinistra alle labbra a nascondere la scocciatura, « Giuro non mi sto annoiando! », aggiunse con sguardo colpevole.
Nella penombra, le iridi di Kevin sembravano quasi dello stesso colore.
« Anzi.»
*Il mio nome è Emily.
Aggiunse atona, più per semplice cortesia che per rispondere alla curiosità inesistente di... Kevin.
Chissà se avrebbe dimenticato anche quel nome.


*Memories
 
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view post Posted on 15/9/2021, 10:43
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There is no ash that doesn't yet dream of the Fire's caresses.
Da sempre quando le iridi etero-cromatiche si specchiavano in quelle chiare della ragazza accadeva qualcosa. In quel preciso momento, per lui fu come ritrovarsi temporaneamente catapultato indietro nel tempo ed essere accolto dall'immagine di una Emily diversa, ancorata ad un passato lontano, ma non per questo meno autentica.
Per quanto vera, però, tale fotografia gli appariva ormai sfocata, quasi fosse stata offuscata da una patina che ne aveva alterato l’aspetto superficiale ed impediva ora di cogliere i minimi particolari del ritratto ivi immortalato; per farlo, era dunque necessario affidarsi alla memoria che si possedeva di quell’istante che non si sarebbe più ripresentato.
La ragazzina conosciuta in quell'aula abbandonata sembrava dopotutto appartenere ad una vita precedente, ad un momento che aveva solo apparentemente una collocazione certa nello scorrere del tempo in quanto, almeno nella sua testa, era schiavo di un flusso altrettanto inesorabile, il quale seguiva però uno schema tutto suo, quasi mai lineare. Effettivamente, il flusso delle emozioni di Kevin sottostava a ben pochi vincoli, di qualsiasi natura essi fossero.
Non a caso l’immagine di Emily, pur nel suo astratto deterioramento, si faceva ancora carico di sensazioni contrastanti e allo stesso tempo estremamente coerenti con la dicotomia di Luce e Oscurità che da sempre aveva accompagnato il loro tortuoso percorso. Non avevano mai camminato l’uno al fianco dell’altra, ma si erano talvolta rincorsi, per poi definitivamente perdersi e comunque ritrovarsi nel momento più inaspettato.
Adesso, a prescindere dal turbamento che poteva attanagliare i loro cuori mai leggeri, una nuova maturità sedeva insieme a loro; la si poteva avvertire nell’aria che scompigliava i capelli, nella tinta dei loro sguardi e nella portata delle loro parole. Bastava osservare attentamente e si poteva capire che, se avessero scattato una foto in quel preciso istante, a restituire loro il sorriso al di là della macchina – ammesso che Emily si fosse degnata di concedergli tale sforzo – non sarebbero stati dei ragazzini.
Proprio sulla scia di tale convinzione, il Tassorosso non aveva l’intenzione di restare intrappolato in un ricordo che minacciava di farsi sempre più inconsistente, bensì quella di scrivere nuove pagine e di non lasciare ulteriori spazi bianchi, gli stessi che avevano portato in lui silenzio e codardia per tutti quei mesi incolori. Non ne aveva la certezza, ma intimamente sperava che fra macerie – le loro – fosse possibile ricostruire qualcosa.
Era per questo che il suo guardare dentro agli occhi della Serpeverde non rappresentava più il semplice atto di osservare una persona, quanto quello ben più complesso di provare a leggere un turbamento celato. Lui stesso poteva forse condividere una parte di quella silenziosa perturbazione, senza nemmeno saperlo.
Alla fine del fugace ma significativo processo mentale, un interrogativo restava comunque sospeso a mezz’aria: era Emily ad essere cambiata, oppure lo aveva fatto il suo modo di guardarla?

Accolse il volgersi della Serpeverde. «Sicuramente non quanti ne immagini ma più di quanti ne avrei voluti sulla coscienza» Ironizzò lei in perfetto stile Rose. Kevin sorrise appena, pronto a restituirle la propria dose di pungente e cinico sarcasmo, ma qualcosa bloccò il tentativo sul nascere. Fu dunque il silenzio a rispondere alla domanda di rimando effettuata da Emily, mentre gli occhi del ragazzo scivolavano lentamente verso il basso, posandosi pensierosi sui fili d’erba accarezzati dal leggero soffio del vento. Le iridi etero-cromatiche guardarono l'erba senza realmente vederla. All'immagine astratta della ragazza se ne affiancò una seconda, altrettanto sbiadita: la sua.
La nuova stasi interiore durò molto meno di quella precedente e, quando Kevin finalmente tornò a guardare la Serpeverde, il sole morente aveva ormai iniziato a nascondersi alla loro vista, abbandonandoli in un cono d'ombra che sembrava quasi estraniarli dall'ambiente circostante. Se si fosse voltato interamente, avrebbe potuto notate come la capanna del Guardiacaccia, parecchi metri alle sue spalle, approfittasse ancora del calore dalle tinte aranciate e sembrasse quasi un posto accogliente dove cercare rifugio. Ma non era ciò di cui avevano bisogno: non esisteva asilo per i loro demoni.
Si apprestò ad aprire bocca, ma Emily lo anticipò in grande stile con uno sbadiglio improvviso. Inizialmente non seppe come reagire, ma pochi secondi dopo – proprio mentre lei si affrettava a scusarsi con aria colpevole – la risata fu impossibile da evitare e Kevin stesso decise di non controllarla minimamente. Fu una sorta di liberazione. «A Lei il merito di avermi fatto ridere di gusto dopo lungo tempo, Miss Rose.» Le confessò con una lieve nota di gratitudine; non troppa, in modo da non alimentare ulteriormente il suo smisurato orgoglio.
L’ombra di un sorriso era ancora lievemente visibile sulle sue labbra, quando si sentì aggiungere «Esistono tanti modi per liberarci di parte del peso che portiamo dentro.» Socchiuse gli occhi e fece una breve pausa. «Perdonami la risata. Siamo sempre così tragici e cinici, ma non per questo la leggerezza ci chiede il permesso di manifestarsi quando meno ce lo aspettiamo.» Per un attimo temette che l’assoluta calma con la quale aveva pronunciato tali parole lo facesse apparire altezzoso, ma scacciò via sul nascere quella inutile preoccupazione. Si era permesso di parlare al plurale e non se ne sarebbe pentito; aveva ormai scelto di condurre il filo del discorso.
Si concentrò su Emily, cercando di distinguere i contorni delicati del suo volto nonostante la penombra. Le armoniose efelidi riemersero appena, quasi venissero rischiarate dall’ardere della chioma vermiglia, che aveva sostituito il sole ormai nascosto. Gli sembrò l’immagine di un fuoco che, dapprima morente e soffocato al di sotto delle sue stesse ceneri, tornava improvvisamente alla vita, pronto a bruciare con maggiore splendore rispetto a quanto non fosse mai stato in grado di fare. Bastava poco, un soffio sulla cinigia, perché le fiamme tornassero a diffondere calore, luce, vivacità. Lui sarebbe stato in grado di soffiare, se Emily non si fosse opposta.
Certo, riaprirsi a lei gli costava molto, ma in quel momento comprendeva la necessità di un passo impavido per non lasciare che quel pomeriggio decorresse come tutti gli altri, scomparendo nell’elenco dei giorni passati senza essere realmente vissuti. Forse la Serpeverde avrebbe condiviso quel pensiero.
«Avverto la grandezza del tuo abisso, Emily.» Non cessò di guardarla, in modo da parlarne non con le sole parole. «Forse non sarò mai in grado di comprenderlo realmente. Forse non ne ho nemmeno il diritto. Ma voglio dirti che, a prescindere dalla sua profondità, non è quello che definisce chi sei.» Le disse piano, quasi stesse sussurrando un segreto alle sue iridi azzurrine. Il tono della sua voce sembrava ammantarsi di un equilibrio nuovo, imperturbabile, sostenuto da una nuova coscienza di sé.
Nel parlarle, mosse lentamente il braccio verso di lei, cercando con discrezione la sua mano. Le diede tempo e modo di intuire le sue intenzioni. Emily poteva respingerlo, poteva sottrarsi a quel contatto fisico non richiesto. Oppure poteva accoglierlo senza opporre resistenza, abbandonandosi al fugace spiraglio di leggerezza che le stava offrendo come simbolo di un nuovo inizio. Nel secondo caso, la stretta sarebbe stata delicata e salda allo stesso tempo; una connessione discreta, chiamata a sostenere l’intera tesi da lui esposta.
«Perfino tu potresti avere bisogno di aiuto. So che sarai sempre troppo orgogliosa per chiedermelo, quindi farò in modo di capirlo da solo.» Continuò, a prescindere dall’esistenza o meno del loro contatto fisico. «Non scapperò più. E se sarai tu a farlo, io lo rispetterò.» Concluse, la convinzione ad illuminargli lo sguardo ancora fisso sulle iridi chiare di lei. Il suo era un incitamento discreto, che non poneva la ragazza dinnanzi ad un obbligo bensì ad una scelta. Non era l’invito a prendersi una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa, quanto quello di combattere una vera e propria guerra l’uno al fianco dell’altra, il sapere di poter contare sempre sul più prezioso degli alleati. Non le chiedeva nulla in cambio, e non lo avrebbe mai fatto.
Era anche il suo modo per scusarsi; un tentativo silenzioso che racchiudeva in sé un significato importante catalizzando il rimorso per non averle alleggerito l’animo in tutte le occasioni passate in cui avrebbe invece potuto farlo. Anche in quel caso, dopo aver appesantito l’atmosfera, poteva fare un tentativo. «Adesso, spero di non averti annoiata troppo. Posso sempre uscirmene con una cazzata delle mie, prima di correre il rischio di vederti sbadigliare di nuovo.» Scherzò, sorridendo sincero all’indirizzo di Emily.
Specchiandosi per l’ennesima volta in quelle di lei, le iridi etero-cromatiche si animarono di un’intensità diversa. Con la mano di lei tra le sue, la penombra sarebbe apparsa meno scura.

🜃
It doesn't interest me what planets are squaring your moon.
I want to know if you have touched the center of your own sorrow,
if you have been opened by life's betrayals or have become shriveled and closed from fear of further pain.
I want to know if you can sit with pain, mine or your own, without moving to hide it or fade it, or fix it.


 
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view post Posted on 28/7/2022, 12:21
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I will hold on tighter ′til the afterglow and we′ll burn so bright 'til the darkness softly clears.


Perché.
Perché era passato così tanto tempo prima che le loro strade potessero incrociarsi di nuovo?
Le sembrò di respirare, per la prima volta dopo tanto tempo. Gli abissi, quelli che lui vedeva l'avevano accudita tanto a lungo che al sol pensiero di inebriarsi dell'aria, ogni fibra del suo essere avvizziva.
Eppure... Era stato così semplice. Quello stupido libro, i sensi di colpa, gli anni passati a ricordare Kevin e ciò che aveva potuto causargli, divenivano ora la cornice di una foto consunta dal passare veloce di attimi fugaci. Non erano più gli stessi, potevano essere diversi. Potevano davvero?
Non smise di guardarlo come a sincerarsi che le sue parole fossero reali perché - e forse entrambi lo sapevano - alla minima incertezza dello sguardo, al più celato gesto d'indecisione, si sarebbero ritratti a quell'equilibrio che tanto faticosamente tentava di riunirli.
La risata stessa venne accolta con esitazione; le difese reggevano bene, se l'avesse presa in giro, se non fosse stato sincero, l'armatura sarebbe rimasta intatta e anche il suo orgoglio. Un sorriso, però, s'aprì sulle labbra tormentate dall'ansia che ne lacerava gli angoli, e le ciglia vermiglie si finsero rifugio ad iridi fin troppo accalorate.
«Perdonami la risata. Siamo sempre così tragici e cinici, ma non per questo la leggerezza ci chiede il permesso di manifestarsi quando meno ce lo aspettiamo.»
Riaprì gli occhi e contrasse l'espressione: era assonnata, necessitava di qualche secondo in più per comprendere frasi complesse. Avvertì la necessità di sbadigliare nuovamente ma arricciò il naso per contrastarne l'impellenza. Parve riuscirci, a scapito di una faccia molto buffa.
Doveva esser quella la leggerezza di cui Kevin parlava e quando le sue parole, ora serie, vere, ripresero a suonare in quel luogo ormai senza tempo, furono come la più dolce nenia che una creatura potesse desiderare per addormentarsi.
La voce le carezzò il viso e, rassicurante, lambì ogni tormento avesse avuto l'ardire di continuare ad affliggerla.
«... Ma voglio dirti che, a prescindere dalla sua profondità, non è quello che definisce chi sei.»
Avrebbe voluto dirgli che non era vero, già gli occhi s'erano colorati della più innocente delle ingiustizie subite, eppure quando si ritrovò ad incrociare lo sguardo del ragazzo non potè fare a meno di regalargli il beneficio del dubbio.
La quiete che aveva avvertito poco prima era stata cancellata dall'improvviso turbinio delle emozioni che provava. Ad ogni parola di Kevin si scopriva serena, sollevata ma anche arrabbiata, frustrata; nonostante ciò, il buio avrebbe anche potuto accompagnare del tutto il riverbero di sole rimasto, incantando la collina con le sue lentiggini di luce, che lei sarebbe rimasta ancora lì; ancora in balia di quella forte marea perché, nella sua agitazione, non annunciava più la tempesta, ma la salvezza di un lembo di terra all'orizzonte.
Si sarebbe fermata lì allora, sull'immaginata distesa sabbiosa, e avrebbe riposato un po'.
Almeno per un po'.
Le tese la mano, forse per liberarla dalla marea, toglierle il sale dagli occhi e, senza abbassare lo sguardo, Emily accolse la presa. Ritrasse appena il braccio verso di sé nemmeno lui stesse realmente tentando di farle da contrappeso affinché s'alzasse, dando così l'impressione d'aggrapparsi con veemenza a quell'impossibile appiglio, facendosi più vicina.
«... Farò in modo di capirlo da solo.»
Aveva passato così tanto tempo a spiegarsi alle persone a cui credeva di dover chiarimenti che l'affermazione appena udita quasi la commosse.
Sarebbe stato bello che qualcuno comprendesse senza bisogno di parlare troppo: sarebbe parso semplicemente meno faticoso, meno doloroso
«Non scapperò più. E se sarai tu a farlo, io lo rispetterò.»
« Non fare promesse che non puoi mantenere »
Si ritrovò a rispondere ma con l'ironia a bagnarle il respiro e le labbra.
« Proverò a fare lo stesso », pigolò sommessa, spaventata dall'improvvisa - eppur voluta - breccia nella difesa.
« Ma...! », alzò il tono di voce, quasi a cancellare l'eco di quanto aveva pronunciato, irrigidendo flebilmente la morsa delle loro mani.
« ...Ti conviene tornare seriamente alle tue solite stronzate perché dovessi io addormentarsi e tu provare a svegliarmi, non credo vedrai un'altra alba.»
Si poteva esser leggeri, sì, e in due si poteva emanare abbastanza luce, seppur fioca, da dimenticarsi dell'oscurità; almeno per un po'.

I want to know if you can live with failure, yours and mine, and still
stand on the edge of the lake and shout to the silver of the full moon.
It doesn't interest me who you know or how you came to be here,
I want to know if you will stand in the center of the fire with me and not shrink back.




 
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view post Posted on 6/8/2022, 14:52
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Ricongiungimento. Bagliore di luce nel più profondo abisso di oscurità. L’intreccio delle loro mani era simbolo di ciò che potevano creare due animi tormentati ma legati indissolubilmente. Forse perché conoscevano bene le loro stesse tenebre, Emily e Kevin erano in grado di essere presenti l’una nel buio dell’altro come fari in una notte di mare in tempesta. Poco importava se quel reciproco scambio di luce si dimostrasse fioco e sommesso, soffocato dalle sue stesse ombre interiori, poiché esso rappresentava l’unico appiglio in una realtà fatta di un’oscurità ancora più intensa. Un contatto salvifico, uno scudo al di sotto del quale potersi riparare insieme, se lo avessero voluto. Lui lo avrebbe sorretto con forza, senza preoccuparsi di poter cedere dallo sfinimento. Perché la stava tenendo per mano, e tutto pesava la metà.
Non distolse lo sguardo quando Emily si fece più vicina. Al contrario, si perse nei dettagli del suo volto latteo soffermandosi sulla costellazione di efelidi che donava unicità alla sua eleganza. Aveva iniziato a contarle una ad una quando la voce della Serpeverde accarezzò l’aria. «Non fare promesse che non puoi mantenere» fu la sentenza, seppur espressa con ironia dalla ragazza.
Fu anche il momento in cui Kevin distolse lo sguardo, con le labbra a lasciare spazio ad una smorfia molto simile ad un sorriso. E pensare che quella era stata una delle sue migliori qualità durante gli anni ad Hogwarts. Era stato per molto tempo irresponsabile, completamente in balia dell’istinto e dunque propenso a dispensare promesse che non era riuscito a rispettare, e lo aveva fatto soprattutto nei confronti di se stesso. Ma le cose erano ormai mutate, lui lo era, ed aveva finalmente imparato a riconoscere il peso di una parola data, a rispettarne la gravosità. Una promessa mantenuta era come pioggia, capace di irrigare e nutrire, di portare alla liberazione. Quella infranta, invece, lasciava la terra arida, illusa dal sentore di una speranza annunciata ma ormai svanita. Capì che si sarebbe sforzato di essere quella pioggia, la stessa di cui aveva profondamente bisogno la ragazza per nutrire il fiore custodito dentro di sé, nell’abisso più oscuro. Si sentiva in grado di raggiungere quel luogo, per quanto remoto fosse, e farsi carico di parte di quelle tenebre. Lo avrebbe fatto, senza chiedere nulla in cambio.
«Proverò a fare lo stesso» continuò Emily a bassa voce. Vi era sincerità nel tono sommesso, nello sguardo che solo in quel momento Kevin era tornato a sostenere. Si fidava di quelle parole, che non rappresentavano una mera concessione da parte della ragazza. L’espressione sul suo volto si fece più distesa, la maggiore intensità nella stretta delle loro mani preannunciò il cambio di sfumatura del discorso, complice la leggerezza che erano stati in grado di regalarsi almeno per alcuni, fugaci istanti. «Ma…! Ti conviene tornare seriamente alle tue solite stronzate perché dovessi io addormentarmi e tu provare a svegliarmi, non credo vedrai un'altra alba.» La frase strappò al ragazzo una risata sentita, che sapeva di autenticità. Si immaginò la scena descritta da Emily, un qualcosa che avrebbe verosimilmente portato alla sua stessa morte.
«Sei pericolosa.» Sentenziò con un velo di ironia, scuotendo appena la testa e portando infine lo sguardo all’orizzonte, laddove il sole era in procinto di spegnersi sullo sfondo dei suoi ultimi riflessi aranciati.
Impresse quella splendida immagine dentro di sé, in modo da custodirla per sempre e rendere onore alla leggerezza che era riuscita ad insinuarsi all’interno del suo animo tormentato. Era da tempo che agognava quella sensazione, per quanto effimera potesse dimostrarsi, e adesso l’unica cosa che desiderava era cullarsi in quel tepore fatto di emozioni, promesse e rinascita.
Il buio prese pian piano il sopravvento, cingendoli infine nell’oscurità. Il prato attorno a loro sembrò d’un tratto più silenzioso. I giochi di luce sui capelli vermigli della ragazza erano scomparsi, ma Kevin ne riusciva ancora a percepire l’essenza. Erano lì, proprio davanti a lui: avrebbe solo dovuto chiudere gli occhi per vederli, e da essi si sarebbe lasciato guidare. Le stelle avrebbero presto illuminato il cielo, come una distesa di efelidi sul volto della notte.
Non disse nulla, giacché non era necessario. Preferì lasciarsi andare a quella intensa sensazione che per tanto tempo si era precluso e che adesso, nel più inaspettato degli incontri, era tornata ad accarezzargli il cuore. Fece leva sul braccio, portando Emily verso di sé con estrema delicatezza. Il secondo arto andò invece a cingere le spalle della ragazza, invitandola ad abbandonarsi, a lasciarsi sorreggere dal contatto dei loro corpi. Sulla scia del simbolismo di quel gesto, Kevin contrasse l’addome e distese la schiena verso il manto erboso, facendo in modo che la Serpeverde lo seguisse, guidata dal suo braccio. Toccarono il suolo insieme, stendendosi al cospetto della volta blu notte. Era quello il loro ricongiungimento: l’uno al fianco dell’altra, distesi nell’oscurità, abbandonati ad una effimera leggerezza. Il braccio del ragazzo – tra la superficie erbosa e le spalle di Emily – divenne il lembo di terra cercato da lei all’orizzonte. La salvezza, forma concreta della promessa fatta. Uniti, emanavano una flebile luce, appena sufficiente ad affrontare le tenebre che li circondavano. Era tutto ciò che potevano offrirsi reciprocamente, ma era abbastanza per andare avanti.
Quel contatto valeva più di mille parole. Era rinascita. Sorrise al cospetto delle stelle. Erano diversi. Potevano esserlo davvero.
Dopo lunghissimi istanti di silenzio, sentì la leggerezza insinuarsi in ogni parte di sé e si lasciò cullare da quella sensazione. Furono infatti le iridi etero-cromatiche ad abbandonarsi all’oscurità, celando la propria intensità una volta per tutte. Si addormentò lentamente, respirando l’odore dell’erba aggraziato dal profumo della ragazza. Se anche non fosse stato in grado di vedere un’altra alba, se anche non l'avesse trovata al suo fianco al momento del risveglio, non avrebbe avuto alcuna importanza.

🜃
THE END.

 
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