A great fire burns within me, but no one stops to warm themselves at it, and passers-by only see a wisp of smoke.
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« Murky crede che si debba essere molto forti per apprezzare la solitudine, padroncino. » L’elfo domestico lo stava guardando con un’intensità particolare. I suoi occhi color mogano, due grandi palle incastonate in quel volto rugoso, parevano quasi emanare una nota di compassione. La creatura lo aveva appena scovato nella stanza dei suoi genitori, seduto sul letto ormai vuoto da tempo. Un’espressione assorta attraversava il volto di Kevin, ma nessuna lacrima rigava le sue guance, nessun turbamento ne adombrava l’espressione. Era la maturità conquistata attraverso la sofferenza.
Lo sguardo era rivolto verso la finestra, quella che dava sul mare calmo di Ballycastle, al cospetto del quale era solito giocare da piccolo con suo padre, sulla sabbia fresca o nella morbida erba che faceva da contorno a quel paesaggio idilliaco. Ricordi che avrebbero fatto male come lame affilate, se solo il biondo non avesse trovato finalmente quella stabilità interiore. In molti al suo posto sarebbero impazziti nel cercare una risposta o una conferma definitiva, ma lui aveva semplicemente accettato la sua condizione con fredda passività: se i suoi genitori avevano scelto di andarsene, o se anche fossero stati costretti a farlo, se fossero vivi o meno, lui non poteva ormai farci nulla. Era ancora un ragazzo di sedici anni, ma aveva già scelto di non vivere nell’ombra di quei ricordi.
Dopo parecchio tempo, Kevin si voltò verso la creatura minuta, uno dei lasciti che riempivano ancora quell’edificio, la cosa più vicina ad una casa per lui. Per quanto ne sapeva, Murky serviva sua madre dall’alba dei tempi con una fedeltà che non aveva mai vacillato neanche dinnanzi ai modi rigidi di Catherine. La creatura si era sentita abbandonata come lui, o almeno era quello che gli aveva detto finora. Dal canto suo, il ragazzo invidiava l’elfo ed il suo privilegio di “possedere” quella casa tutta per sé, mentre lui, in quanto minorenne, era ancora costretto a vivere con i suoi zii, a Londra. Cercava sempre un’occasione per poter tornare lì, che fosse anche per qualche misera ora. Era una delle poche cose capaci di colmare il suo vuoto interiore.
« E tu cosa ne vuoi sapere? Sei un elfo domestico. Non hai mai avuto un’alternativa. » Una certa freddezza aveva reso quelle parole glaciali, irreversibili. Kevin aveva sempre odiato essere appellato in quel modo da Murky, ma le usanze imposte da sua madre parevano valere anche in sua assenza. *
Sempre capace di irrigidire l’atmosfera* Convenne tacitamente il ragazzo.
L’elfo non diede segno di essersi offeso. Lui non si offendeva mai, altrimenti non avrebbe resistito un giorno al servizio di quella donna.
« È stata la madre del padroncino a dire una cosa del genere a Murky, molto tempo fa. » Ed eccola lì, Catherine che cercava di influenzare la sua vita anche in quel momento, senza che fosse presente o, nel peggiore dei casi, viva. Era tipico di lei. L’elfo si riferiva ovviamente alle parole da lui stesso dette in precedenza, come se avesse ignorato totalmente quelle di Kevin. Pensare all’eventualità che i suoi genitori se ne fossero davvero andati non lo fece tremare. Aveva deciso di sotterrare certe debolezze.
« Tu hai sempre creduto troppo alle sue parole. » Sentenziò il ragazzo, alzandosi dal letto. Riservò un’ultima avida occhiata alle acque calme al di là della finestra. Avrebbe rinunciato a tutto pur di poter rimanere un minuto in più in quella casa, ma suo zio lo stava aspettando fuori dall’edificio, pronto a strapparlo ancora una volta alle sue radici. Ma qualcosa riusciva a dargli forza: la prossima volta che Kevin avesse fatto visita a quel luogo sarebbe stato maggiorenne, e non avrebbe più permesso a nessuno di allontanarlo dalle proprie origini.
L’elfo si fece da parte per lasciarlo passare, ma scelse di parlargli un’ultima volta, prima che varcasse la soglia della camera da letto.
« Murky lo vede nei suoi occhi, padroncino. »Le iridi eterocromatiche furono attraversate da una luce improvvisa. Non si voltarono verso la creatura alle loro spalle, ma rimasero immobili, come il resto del corpo di Kevin. Per la prima volta, lui si ritrovò a soppesare realmente le parole dell’elfo. Che avesse davvero iniziato ad apprezzare quella solitudine? Che ne traesse dopotutto una forza particolare, intimamente sua?
Quasi incondizionatamente, le labbra si incurvarono. Percepiva un qualcosa di profondo nel concetto espresso da Murky, lui che non aveva mai fatto caso alla sensibilità dell’elfo.
« Passerà molto tempo prima che io abbia modo di tornare qui, ormai lo sai. » Il suo tono era indecifrabile, ma aveva ormai perso la freddezza di prima.
« In mia assenza, vedi di esercitarti a chiamarmi con il mio vero nome, ammesso tu ricorda ancora quale sia. » Decise di non voltarsi, non voleva che Murky lo vedesse sorridere. Chissà se la sensibilità dell’elfo avesse letto un “grazie” in quelle parole.
Kevin lasciò la casa di Ballycastle con una convinzione del tutto nuova: una forza silenziosa, profondamente intima; una più nutrita comprensione di sé.
_______________________________________________________________________________Sugli scalini della capanna del Guardiacaccia, un ricordo improvviso si era fatto strada nella testa del ragazzo. Il paesaggio era mutato improvvisamente e l’odore di muschio e sottobosco aveva paradossalmente lasciato spazio a quello salubre del mare, scandito solo dal rumore lontano del vento. Per un momento, era stato come essere davvero nella casa di Ballycastle, in presenza di Murky e della pesantezza di certi ricordi. Si era trattato di un attimo fugace, così breve da dissolversi nel nulla in pochi secondi, ma comunque molto intenso, carico di significato.
Kevin si era lasciato cullare nel rivivere nostalgicamente l’ultima volta in cui aveva fatto visita a ciò che chiamava “casa”. Da quel giorno aveva fatto i conti con la consapevolezza che ne era scaturita, in un silenzioso e continuo esame interiore. Le parole dell’elfo domestico avevano innescato qualcosa in lui, un dilemma aperto al quale una risposta definitiva gli sembrava ancora preclusa. Vi era davvero una grande forza in quella altrettanto grande solitudine che provava?
Che lui fosse isolato non era da mettere in dubbio, per quanto all’apparenza potesse sembrare un comune studente, affabile seppur riservato. Nascondeva tante cose dentro di sé, alle quali aveva permesso l’accesso a pochi. Un ragazzino solare e genuino era arrivato ad Hogwarts, con la sua tracotante espansività; niente di più diverso da ciò che poteva vedere ora allo specchio. Quel fuoco che ardeva in lui non si era però spento, aveva solo deciso di non emanare più calore, di nascondersi nel profondo del suo stesso animo. Paradossalmente, era più pericoloso adesso, con il suo scoppiettio silenzioso, sempre pronto ad una delle sue vampate distruttive.
Vi erano poi delle cose che non era stato in grado di seppellire con altrettanta dovizia. Pensieri, sensazioni, persone che ancora erano in grado di ancorarlo ad una versione di sé stesso che ormai riteneva perduta. Erano portatrici di una forza altrettanto silenziosa, ed altrettanto potente. Perché aveva cercato Horus dopo Natale? Perché aveva pensato ad un regalo per Niahndra? Perché aveva cercato l’aiuto di Breendbergh? Erano solo alcune delle domande che alimentavano la sua incertezza di non essere completamente pronto a quell’abisso che si stava allargando attorno a lui. Forse la vera forza risiedeva nel resistergli, piuttosto che nell’abbracciarlo completamente?
Nell’interrogarsi su di esse, Kevin non sapeva ancora che le sue convinzioni sarebbero state messe a dura prova quel giorno. Forse si era scordato di essere pur sempre una semplice pedina sulla scacchiera di un fato poco clemente. Nella cacofonia dei suoi pensieri contrastanti, udì a malapena il legno aprirsi e richiudersi alle sue spalle. La mente era ancora leggermente annebbiata, quando scelse di affrontare il Guardiacaccia sulla soglia della sua stessa dimora.
Alzarsi fu facile e indolore, ma voltarsi fu l’errore più grande. Neanche con la dovuta preparazione sarebbe stato pronto a quella visione. L’opera di Allock scivolò dalle sue mani e cadde a terra sul legno marcescente, ma alle sue orecchie non giunse alcun suono. Di tutti i sensi, solo la vista sembrò in quel momento capace di comunicargli qualcosa. Lui avrebbe forse preferito il gusto, per assaporare a pieno l’amarezza di quell’incontro inaspettato.
Per molto tempo aveva cercato di evitare quegli occhi azzurro chiaro, dalle eleganti venature simili all’argento. Erano bellissimi, così come la lunga chioma rosso fuoco che cadeva sulle esili spalle accarezzando dolcemente il volto pallido della ragazza. Alcune lentiggini conferivano l’ultimo, indispensabile accordo a quella melodia affascinante, capace di incantare anche il più sordo degli uditori. Era però una musicalità che nascondeva nel profondo una freddezza tutta sua, come se provenisse dal più remoto degli abissi. Lasciarsi condurre da essa sarebbe stato inebriante, ma fatale.
In un profondo altrettanto grande, Kevin credeva di averne soppresso il ricordo al punto da scampare per sempre al suo richiamo. Ma lei era in realtà rimasta lì, sigillata nella sua mente, silenziosa e sfuggente come la più letale delle assassine. Per molto tempo era rimasta al suo posto, costretta nell’ombra dalla volontà ferrea del ragazzo, conscio di volersi lasciare tutto alle spalle per sempre. Ma lei, con tutta la facilità del mondo, sembrava essere tornata improvvisamente a tormentare la sua esistenza, quasi a voler testare quella stabilità che il Tassorosso credeva di aver raggiunto.
« Emily. » Riuscì infine a dire, con voce roca. Dopotutto, anche l’uragano più nefasto possedeva un nome. Il silenzio più assordante fece eco al nome della ragazza. Kevin rimase immobile, le iridi eterocromatiche fisse su quelle di lei. I secondi gli parvero anni, mentre il peso di quello sguardo si faceva sentire sempre di più, ad ogni suo battito di ciglia.
« Non pensavo che il Guardiacaccia avesse dei gusti così ricercati. » Fu capace di interrompere la scomoda situazione con una pessima uscita. Tutto, pur di ritrovare la lucidità necessaria per affrontare il ricordo di Emily Rose.