~ Ỳ m a, Contest a Tema: [MARZO 2020]

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view post Posted on 15/3/2020, 12:42
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entropia.

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Nieve Rigos
16 anni
Mese di Agosto, estate tra il III e il IV anno
Italia, Toscana, borgo di Casciana Terme Lari
Segue: Second Chances
Note: la lettura di "Second Chances" non è necessaria per la comprensione del testo che segue. Also, ho il benestare di Manubimba per aver mosso/coinvolto Thalia.


If you're broken I will mend you
And keep you sheltered from the storm that's raging on now

C19DJmN

Il cielo gemmeo sopra Lari incombe sulle case del borgo e assapora con gusto la placida fannullaggine di un pomeriggio domenicale in Agosto. Eccezion fatta per un micio tigrato di un rosso un po’ sbiadito che si rotola sulla schiena e due ragazzette fresche di bendaggi contro l’insolazione, non c’è anima viva che si aggiri per i vicoli di quello scorcio di Toscana.
Nieve Rigos precede di pochi passi Thalia Moran e, pigiandosi l’indice sulla bocca ridente, fa segno all’amica di proseguire in silenzio. Hanno entrambe le gote arrossate, gli occhi brillanti d’un lucore quasi liquido, l’umore lieve di chi abbia ancora tutta la vita davanti a sé. Che sia merito della vacanza, o del fiasco che hanno sgraffignato dalla cantina e mezzo trincato nella quiete della loro camera, è impossibile a dirsi.
«Vieni, su, pigrona» incalza la voce dell’una, mentre si slancia in un accenno di corsa attorno al perimetro del castello che, sulla cima, le guarda con aria imperiosa. «Voglio affacciarmi e prendere un po’ di fresco!»
«Saremmo state più al fresco se fossimo rimaste a casa». L’inattaccabile logica dell’altra, sporcata appena dallo strascicare involontario tipico dell’alcol, si perde nell’armonia a tratti religiosa che regna sul centro abitato. Nieve si trova qualche metro più avanti e cammina con un’andatura incerta, che le fa rimbalzare i capelli d’argento a un ritmo buffo. In un momento differente, con buone probabilità, un accenno di rimprovero avrebbe inasprito il commento di Thalia, facendolo suonare come una lamentela sotto mentite spoglie. L’Italia, però, le ha cambiate più di quanto siano entrambe disposte ad ammettere. «Fa’ attenzione» la ammonisce inutilmente, alzando di poco il tono.
Quando svolta l’angolo, Nieve ha già entrambi i palmi piantati su un muretto di pietre, le punte dei piedi che a stento toccano terra e il visino esposto al vento frizzante che spira all’ombra dei palazzi. Sotto di loro, la campagna toscana si estende generosa in frutteti, vigneti e uliveti lungo la collina. Se si concentra a sufficienza da focalizzare la mente su quell’unico pensiero, la Rigos è quasi certa di poter distinguere ciascun profumo e associarlo ad un ricordo preciso delle decine che hanno collezionato nel corso della vacanza — nel suo atteggiamento, c’è molto della bambina d’Islanda che ha dimenticato d’essere stata e del suo instancabile entusiasmo. A dispetto di quanto si sia immaginata, tuttavia, lo sforzo di concentrazione la trasporta alla deriva, lontano dal Belpaese, in un luogo che non sa più collocare nella personale piramide dei suoi ricordi.
L’espressione, allora, si fa seria sui lineamenti pronunciati. «Non so se a Ỳma piacesse il vino o meno» sbotta e ha un che di pensoso nell’esternare a voce alta quella sua difficoltà mnemonica. «Rammento tante cose di lei, ma non questa. Non è strano?» La linearità dei suoi ragionamenti è palesemente attaccabile e non tutta la responsabilità può essere imputata agli effetti del vino. Quando incrocia lo sguardo di Thalia, realizza la portata della sua affermazione dal piglio serioso che le scorge sul volto di lentiggini. Perciò, dopo un primo momento di costernazione, le sorride. «Lo so. Io non parlo mai di Ỳma» ammette con candore, accennando una scrollata di spalle. «Non so nemmeno perché mi sia venuta in mente proprio adesso, a dirla tutta».
Sanno entrambe — Thalia, forse, ancora meglio di Nieve stessa — quanto sia spinoso quell’argomento per ragioni che non sono mai state volutamente indagate. Il sapore asprigno che ancora insiste sulle loro lingue, però, e la leggerezza di spirito che sentono nel petto crea, inaspettatamente, un nuovo terreno su cui muoversi e addirittura osare.
«Com’era?» domanda Thalia, poggiandosi al muretto, con semplicità.
Nieve tentenna un unico, lunghissimo istante. Percepisce, in un profondo anfratto del suo spirito, che esistano delle motivazioni valide per avvolgere la figura della balia attorno a una spessa coperta di oscurità; per lasciarla là dove nessuno — neppure lei — possa trovarla e farsi, chissà come o perché, male. Eppure, inebetita dai suffumigi della bevanda che ha consumato in allegria, omette di indagarle e segue l’istinto.
«Strana» esordisce, lasciando andare una risata. Thalia le fa eco. «Era un tipo tutto particolare. Non saprei nemmeno descrivertela così, a parole, come si farebbe con tante altre persone. Lei era davvero… speciale. Speciale in quel modo un po’ bislacco che non tutti saprebbero apprezzare, ecco. Faceva delle cose che, a sentirle, ti farebbero pensare di lei che fosse una criminale, ma io riesco a ricordare solo le parti belle perfino nel mezzo di quelle brutte».
Nieve sa di essere stata avara, involontariamente. Ed è per questo che Thalia, come sempre, le viene incontro col garbo che ha reso possibile giungere al punto in cui si trova adesso la loro amicizia.
«Ti va di farmi un esempio? Raccontami qualcosa che avete fatto insieme!»
Un accenno di titubanza s’insinua nell’animo della Rigos, quando domanda: «Ti andrebbe davvero?»
L’occhiata che le assesta l’amica è sufficiente a ritenere oltrepassato lo scoglio posto da quell’interrogativo. Si dischiudono, così, le maglie del primo c’era una volta.
Ỳma le aveva detto di tenersi pronta e nient’altro, persuasa che rimanere vaga fosse, a ogni buon contro, la soluzione migliore. Puntando Nieve col dito storto dai reumatismi, le aveva impartito l’ordine di starsene seduta su uno slittino arrabattato finché non l’avesse vista uscire dalla bottega. Da lì in poi, ci avrebbe pensato lei.
Ci volle un po’ perché l'attesa potesse dirti terminata e il mistero venisse — finalmente, ma non troppo felicemente — svelato. Coi talloni piantati nella neve ghiacciata, in cima a una delle discese più ripide di Borgarbyggð, la piccola vide Ỳma oltrepassare l’ingresso dello spaccio a passi trafelati, reggendosi a stento sul bastone che usava per camminare.
«Ninìska, tieniti pronta» la sentì strillare, allorché il negoziante si affacciava sulla strada e la ricopriva di improperi. «Abbiamo la cena, AH-AH!»
Il riferimento la indusse a chinare lo sguardo: solo allora individuò la saccoccia che la balia stringeva gelosamente al petto. Terrorizzata, Nieve spalancò gli occhi e fu sul punto di protestare per il timore che passassero dei guai, quando Ỳma si lasciò cadere sulla porzione di slittino libera e, assestando una spinta portentosa al pavimento con la stanga, le spinse entrambe giù per la via.
«Formaggio arrosto alla faccia di quel trippone dello Sveinsson stasera, wu-huuuuu» le urlò all’orecchio, cingendola per prevenire una caduta, mentre entrambe scivolavano sullo strato di gelo a bordo di un oggettucolo sciancato quanto lo era Ỳma. «Urla, bambina! Forza! Divertiti!»
Di quel giorno alla furiosa ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti dopo lunghissime notti trascorse in preda ai crampi della fame, Nieve non avrebbe ricordato l’attimo di paura dato dal furterello, né la rabbia che aveva scorto sul viso paonazzo del bottegaio o le sbucciature date da un atterraggio tutto fuorché aggraziato. Avrebbe ricordato l’abbraccio vigoroso in cui erano avvinte, la sensazione di libertà data dalla corsa folle sullo slittino, le sottane volanti di Ỳma al vento, le loro risate sguaiate lungo l’intera discesa, l’impressione di essere felice e fortunata come nessun altro su quello stupido pezzetto di terra.

Con gli occhi persi nella flora, Nieve rinviene da quel ricordo per cercare lo sguardo dell’amica. «Capisci?» Deglutisce, in parte nel timore che, come tanti altri, Thalia possa male interpretare le azioni della vecchina e, in parte, commossa dalla vividezza con cui sono emersi i dettagli dell’episodio. «Adesso, lo so che era sbagliato; che stava rubando a un commerciante onesto. Dio, se qualcuno provasse a farlo da Safarà, gli farei il culo a strisce. Ma mi sono così tanto divertita che, tornassi indietro, lo farei di nuovo. Farei di nuovo tutto con lei».
Un’altra risata, di pancia e lunga, abbandona la bocca della Rigos ed è così contagiosa che, inavvertitamente, imbratta le labbra di Thalia. Quando si rinviene, Nieve ha un intero reggimento di lacrime di divertimento assiepato sull’orlo delle ciglia folte.
«Oddio, Morry, era talmente sorda» inizia a raccontarle. «Non so se fosse dovuto alla sporcizia, perché, credimi, eravamo veramente sudicie da fare schifo. Non so se fosse mezzo stonata di suo, cioè proprio nata così, ma ricordo che u-una volta…»
Un altro accesso di risa la travolge, rallentando il ritmo della narrazione senza rovinarlo.
«Ỳma, lo sai che i fiori hanno dentro i pisssilli?» La domanda di Nieve irruppe nella quiete del pomeriggio, mentreché erano intente a prendere il sole sul retro della catapecchia. Ovviamente, la corretta pronuncia di quell’ultima, cruciale parola — “pistilli” — sarebbe venuta incontro a entrambe, evitando il prosieguo di un’assurda interazione. A un tempo, avrebbe privato la Nieve del futuro di un prezioso momento di pura gioia. «Me l’ha detto la moglie del pastore: dentro i fiori ci vanno i pisssilli».
Ỳma, che stava con le cosce vecchie in bella mostra a beneficio della foresta, espresse tutto il suo stupore con quel modo di fare da squinternata che le apparteneva. Mani ai fianchi e sorriso da carogna, parzialmente distesa su un bancale rotto, scrutò Nieve con un certo interesse.
«E, così, la signora reverenda ti ha fatto il discorso delle api e dei fiori, eh? Ci avrei scommesso che era un’intenditrice di piselli, prima di sposarsi» commentò, divertita. «Non tutti i fiori contengono i piselli, Ninìska. Cioè, possono ma ce li devono mettere dentro. E alcuni sono meglio di altri». Incurante dell’inopportunità della conversazione per una bambina di soli cinque anni, Ỳma continuò: «Ma alcuni non valgono proprio la pena. Sono pericolosi!»
Nieve si issò sui gomiti, sgomenta.
«I pisssilli sono pericolosi?» chiese, incapace di comprendere per quale ragione la moglie del pastore non gliel’avesse rappresentato.
«HA! Puoi giurarci! Certi piselli portano guai, perché chi li ha è stupido e non li sa usare. Prendi il pastore: se era furbo, mica sceglieva di infilarsi nel tulipano di sua moglie» le spiegò con una logica inattaccabile.
Nieve ebbe l’impressione che le fosse appena stato svelato un enorme segreto. «La moglie del pastore ha un… Cos’è un tupilano? È brutto? Tu l’hai visto?»
«Per i calzoni dell’arcivescovo, Ninìska, certo che no! Ma mi giocherei queste mie vecchie scarpe bucate che non è un granché.»
«Mi piacevano i pisssilli» commentò la bambina, dispiaciuta, dopo qualche tempo.
Ỳma, per parte sua, le lanciò un’occhiataccia. «Sei troppo piccola per farti piacere i piselli, Ninìska. E, se qualche porco te ne mostra uno, dimmelo ché ci penso io. Glielo taglio e ci mangiamo per una settimana, o per una cena scarsa se siamo sfortunate» sghignazzò, battendo i piedi sul terreno umido per il divertimento.
Nieve, nell’osservarla confusamente, si riscoprì lieta dell’effetto che i pisssilli avevano avuto sull’umore della sua balia. «Si possono anche mangiare?!»
«… Ne parleremo quando sarai più grande. Non essere ingorda come la moglie del pastore!»
Era il qui pro quo più grande che avessero mai avuto negli anni passati insieme.

Nieve e Thalia si guardano attraverso uno spesso strato di lucciconi. Hanno i muscoli di viso e addome dolenti per le risate e le mani che premono sulla bocca. Incapaci di trattenersi o anche solo mitigarsi, hanno attirato l’attenzione di una donna nei dintorni: dal balcone sulla destra, le ha scrutate e ha agitato la mano con fare gioviale al loro indirizzo, salvo poi invitarle ad abbassare i toni.
«È stata la mia prima lezione sul sesso e non me ne sono nemmeno resa conto» riflette a voce alta la Rigos, passando le dita sul viso per ripulire la scia tiepida di una lacrima.
«Dal modo in cui parli di lei, sembra uno spasso più che una criminale» azzarda Thalia e le sue parole non mascherano affettazione o condiscendenza e tanto basta a favorire le condizioni dello scambio in corso.
«Lei era così: tutta a modo suo. E non le importava che gli altri non la capissero. Era come immune alle dicerie» le spiega, rabbuiandosi un poco. «La etichettavano come la pazza del villaggio, sai? Gli altri abitanti, dico». Un’ombra di rammarico sorvola i suoi occhi chiari. «Ma, poi, cosa vorrà mai dire?» Non sta cercando davvero una spiegazione nell’infinita capacità di ponderazione dell’amica. La sta cercando in sé stessa; e, forse, non ha fatto in tempo a porsi il quesito ché ha già trovato la risposta. «Era pazza perché rubava? Perché non sentiva? Perché non era istruita? Perché viveva la vita un po’ alla sua maniera? Allora, sì, lo era. E quindi? Non cancella il fatto che si sia presa cura di me quando nessun altro avrebbe voluto farlo; che mi abbia fatto ridere e sognare; che non mi abbia mai, mai, mai fatto del male». Nieve sospira, improvvisamente stanca, dunque poggia i gomiti sulla pietra del parapetto e chiude gli occhi. «Da piccola, l’ho odiata alcune volte» confessa, la voce fioca sotto il peso del senso di colpa. «Volevo essere come tutti gli altri: avere una mamma e un papà, una bella casa, da mangiare tutti i giorni. Invece, avevo Ỳma. E un rudere da cui entravano i topi d’estate e la neve d’inverno. E il cibo di tanto in tanto. Lei era la mia unica costante e detestavo che fosse così strana. Pensavo che fosse lei il motivo del rifiuto degli altri bambini, degli sguardi oltraggiati e delle manate dei loro genitori. E mi dispiace così tanto, adesso che capisco che mi avrebbero respinta comunque, adesso che vorrei chiederle perdono e non posso».
Nell’intreccio che le opprime lo sterno, Nieve rinviene le ragioni sbiadite dal vino. Ecco perché si ostina a tenere l’argomento Ỳma lontano dalle sue conversazioni. È per il modo in cui la fanno sentire la convinzione di averle arrecato un torto e l’esigenza di doverla proteggere dal biasimo altrui.
Lascia una carezza distratta sul volto, prima di incorniciarlo tra le dita. Ha avuto molto tempo per pensare alla sua balia e, crescendo, di modellare un responso in grado di soddisfarla su una delle figure più controverse della sua intera esistenza. Nel farlo, di recente, si è imposta di non commettere l’errore dell’insincerità. Ỳma è stata profondamente imperfetta, come sente di essere a sua volta. Eppure è proprio nelle declinazioni di quell’imperfezione che ha trovato il coraggio di amarla. Adesso che ha conosciuto meglio il mondo e ha dalla sua il vantaggio dell’età, sa che non c’è nulla che cambierebbe della vecchina sbalestrata che l’ha allevata. E sa che tornerebbe indietro, rifacendo tutto daccapo, solo per poter collezionare ancora gli stessi, sciocchi, folli ricordi che la legano a lei.
Soltanto sul finire di una pausa di riflessione durata molti minuti, si concede un ultimo sorriso.
«Adesso so tante cose che prima non potevo capire. So che la follia è un modo di additare il diverso, per giustificare la paura che abbiamo di non essere accettati quando non abbiamo il coraggio di essere chi siamo veramente. Lo so anche grazie a te». La rivelazione è improvvisa, inaspettata. Il ghigno che rivolge a Thalia riporta in auge il suo estro sbarazzino, diradando la foschia dell’amarezza. «Non sono perfetta, non sono normale, non sono facile. Sono un po’ pazza anch’io, magari. E sono sicuramente il peggior prototipo di amica che ti potesse capitare. Eppure lo vedo che mi vuoi bene, che mi vuoi bene davvero. E ogni tanto penso che, se ci fossimo incontrate quando ero un cosino tutto zozzo e puzzolente, perfino allora avresti trovato il modo di volermene, di guardare oltre, di portarci ad avere che abbiamo ora». Inclina il viso e i capelli d’argento scivolano dolcemente sulla pelle del collo, lanciandosi nel vuoto dello strapiombo sulla collina. «E forse è così perché sei tocca anche tu». Sorride. «Perché siamo tutti stramaledettamente matti e cerchiamo soltanto qualcuno capace di abbracciare la nostra follia e completarla con la sua».


And out of all these things I've done
I think I love you better now




Edited by ~ Nieve Rigos - 15/3/2020, 13:06
 
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