Occhi di miele, Privata

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view post Posted on 25/5/2019, 19:08
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Jolene White
Infermiera ☽ 20 anni
Guferia


Nell'infermeria del castello, giornate tranquille alternavano il loro scorrere piatto ad altre più burrascose. Modellate dai Maghi e dalle Streghe che si susseguivano coi loro caratteri e le loro vicende, le ore non erano mai uguali. Ciascuna poteva nascondere risvolti inaspettati che divertivano, stupivano o mettevano alla prova l'infermiera White. Il suo stesso ruolo subiva cambiamenti più o meno percettibili, a seconda della situazione.
«Quindi credi che lo abbia fatto per vendicarsi di quando hai fatto la spia con il professore?» Fece del proprio meglio per nascondere sotto ad un velo di comprensione il divertimento che faceva capolino nella voce.
«Oh, ne sono assolutamente sicura.» La risposta della ragazzina arrivò sibilando tra i denti. La mascella era serrata – solo in parte a causa del dolore causato dalle dita di Jolene sull'occhio violaceo, e per la maggiore trasudante puro desiderio di vendetta. La donna avrebbe cercato di calmare i bollenti spiriti, ma la verità era che anche lei sarebbe stata piuttosto infastidita se avesse ricevuto un cannocchiale tirapugni come regalo di compleanno. “Incartato e col fiocco e tutto”, come aveva testimoniato Kimberly quando, tra le lacrime di rabbia e dolore, aveva fatto il suo ingresso in infermeria. Suo fratello – colui che le aveva spedito quel dono - gliela avrebbe pagata, e l'unico motivo per cui era ancora incolume era che si era rifugiato nella sua sala comune e si rifiutava di uscirne.
«Fatto, la pasta cancella lividi dovrebbe risolvere il problema in qualche ora. Fino ad allora ti consiglio di rimanere qui e...» Ma non fece in tempo a terminare la frase, che la studentessa si precipitò come una furia fuori dalla stanza. La porta le sbatté alle spalle con forza, facendo trasalire Daisy, che stava sonnecchiando sul suo trespolo dietro la scrivania.
Jolene sospirò: quella non era che la ciliegina sulla torta, in una mattinata che senz'altro era da inserire tra quelle movimentate. La stanchezza di una notte quasi insonne non faceva che essere appesantita dagli studenti con le loro lamentele e le loro storie assurde.
Fu con sollievo che, qualche tempo più tardi, accettò di prendersi una pausa. L'infermeria sarebbe rimasta nelle mani di un'aiutante, e nel frattempo Jolene avrebbe potuto rimanere tranquilla nella propria solitudine. Con la piccola civetta in spalla, si diresse verso la Guferia: la ricordava come uno dei luoghi più isolati di Hogwarts. Oltre che dai rapaci, non era amata da molti a causa dell'aspetto spoglio e poco confortevole. Le poche sedie che vi si potevano trovare erano dure e scomode, ma anche da studentessa Jolene aveva apprezzato quella postazione. Era perfetta per poter leggere e scrivere lunghe lettere, ascoltando solo i propri pensieri e lo sbattere di ali dei gufi. Era proprio ciò che intendeva fare in quell'occasione: le sue tasche ospitavano penna, calamaio e qualche pergamena attentamente piegata. Aveva in programma un dettagliato resoconto dell'ultimo periodo, con cui avrebbe aggiornato la zia italiana che l'aveva ospitata durante gli anni precedenti. Le due intrattenevano una corrispondenza regolare, seppure settimane intere intercorressero tra una risposta e l'altra. Sarebbe stato piacevole immergersi nel racconto, in quella versione distorta – eppure sorprendentemente sincera – delle sue giornate.
Salì anche l'ultimo gradino, e mosse il primo passo all'interno della Guferia. L'altro quasi non fece in tempo a seguire, che dovette abbassarsi repentinamente per non finire sulla traiettoria di un gufo dal piumaggio scuro. Quest'ultimo prese quota appena prima di raggiungerla, per poi svolazzare altrove. «Per Merlino! Questi mi uccideranno, prima o poi.» Il respiro venne rilasciato in quel borbottio, in parte rivolto a se stessa e in parte a Daisy, mentre ritornava dritta e cercava di ridarsi un contegno. Forse sarebbe stato più difficile del previsto trovare un po' di pace.


 
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view post Posted on 27/5/2019, 07:55
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La Londra Babbana in cui ci si imbatteva se solo si decideva di allontanarsi di qualche centinaio di metri dal Paiolo Magico era un caos unico e multicolore di un'insalata di etnie ed età. In qualsiasi altro giorno della settimana Elhena avrebbe dovuto fare lo slalom tra masse in grisaglia che marciavano verso il loro lavoro d'uffico dalle 9 alle 5. Di sabato, invece, era con i turisti che doveva fare i conti. D'accordo, a voler ben vedere qualcuno avrebbe potuto obiettare come fosse anche lei una turista, sia come strega, sia come gallese che a Londra ormai ci andava solo per prendere il treno, fare acquisti a Diagon Alley e visitare il Ministero alla bisogna; ma, ecco, almeno lei riusciva ancora a muoversi senza avere su di sé la chiara aura che avevano i turisti d'oltre Manica.

Si infilò senza pensare nel primo coffee shop disponibile. Le ci vollero un paio di secondi buoni, varcata la soglia, per registrare il marchio verde e bianco che raffigurava una sirena e rendersi conto della sua scelta. Be', lì di sicuro avrebbe trovato una presa dove connettere caricatore e cellulare. Sempre che la permanenza ad Hogwarts non avesse fuso l'apparecchio, pur sempre spento. Era un modello vecchio, risalente a quasi dieci anni prima, il genere compatto di prima che i cellulari iniziassero a essere usati per tutto tranne che per telefonare.

Lo Starbucks era rigonfio di gente, come naturale aspettarsi da un sabato pomeriggio. Dopo mezz'ora di fila e almeno dieci persone ancora davanti a lei, Elhena iniziava a chiedersi se non avesse fatto meglio a cercarsi qualcosa di meno famoso ma più tranquillo. Non era certo l'unico coffee shop dotato di prese elettriche.

Altri dieci minuti e si sedeva vicino alla prima presa libera sbocconcellando un muffin che a malapena poteva essere chiamato dolce. Uno finiva con l'avere un palato viziato quando cresceva con la combinazione di cucina di Hogwarts e merende da Fortebraccio. Il prezzo da pagare per avere di nuovo un cellulare funzionante.
Un giorno avrebbe imparato a far parlare il suo Patronus e allora comunicare con casa non sarebbe più stato un problema.

Il cellulare prese vita con lentezza esasperante, ma almeno si accese. Quindi a Elhena fu sufficiente un tasto.


"Pronto, mamma? Sì, sto bene. No, non è successo nulla. No, non sono scappata da Hogwarts. Come sarebbe a dire che sarebbe un'idea? Il colloquio? Sì, è andato bene, credo. Almeno lì non potevano bocciarmi. Sì, ora ti racconto. Come non vuoi? Una lettera? Ma', ti racconto ora a voce, è più semplice. Se papà vuole sentire, vallo a chiamare. Ok, glielo racconterai dopo. Devo proprio? Sì, lo so, ma è proprio per questo che mi sono fatta la strada fino a Londra. Speravo di semplificare le cose. Sicura? Ok, vi manderò una lettera. Sì, anche una per i nonni. Ciao ma', salutami tutti."

Quindi sua madre voleva che lei scrivesse una lettera. Sorprendente dato che per anni si era lamentata del dover ricevere la posta via gufo e non per mano umana come qualsiasi altro cristiano. Elhena guardò il muffin mangiucchiato per due terzi e le si chiuse lo stomaco all'idea di ingerirne anche un solo altro morso.
Magari Penny lo avrebbe apprezzato.

Le ci era voluta una settimana per mettere inchiostro su pergamena abbastanza parole da rendere la lettera degna di tale nome. Alla fine il colloquio di lavoro era stato solo il pretesto per trovarsi a parlare di tutt'altro, dall'avere un nuovo Caposcuola alle voci che il professor Midnight sacrificasse vergini il venerdì sera. D'accordo, l'ultima parte era valsa il buttare la lettera nel fuoco e ricominciare da capo.

La seconda missiva raccoglieva le stesse informazioni solo riaggiustate per fingere di non aver fatto un pigrissimo copia-incolla.

La voliera l'accolse con la solita cacofonia di bestie notturne di botto disturbate dal loro pisolino pomeridiano. Un concerto di fischi e bubbolii. E da qualche parte, a pulirsi le penne sul trespolo, doveva esserci Cleite, occhi gialli su campo nero. A sperare in un colpo di fortuna sarebbe stato sufficiente agitare le lettere sopra la testa perché il gufo scendesse da ovunque si fosse andato a cacciare.
Se solo fosse stato così semplice.

Sollevò le buste senza troppa convinzione.

L'improvviso peso di un paio d'artigli dritti nella spalla destra strapparono una mezza imprecazione di sorpresa.
Nemmeno in tempo di rimettere in ordine la situazione, che al pacchetto di piume fu allegata un'esclamazione di una voce che Elhena avrebbe detto di aver già sentito, se avesse avuto quel genere di memoria.

Fu solo quando ne individuò la fonte che poté ricollegare viso a ricordo. Quindi ricostruì gli eventi. L'intero suo corpo si irrigidì come succedeva sempre quando incrociava un qualunque adulto che avesse un minimo di autorità ad Hogwarts in una situazione più informale.

"Tutto bene? Cleite è sempre abbastanza brusco."

 
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view post Posted on 3/6/2019, 21:31
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Jolene White
Infermiera ☽ 20 anni
Guferia


Le era mancato il tempo per una visione anche solo parziale della Guferia: le ali nere l'avevano accolta quando ancora si trovava sulla soglia, e fu solo dopo che si furono allontanate che poté accorgersi di un'altra presenza umana. Di fronte alla studentessa, Jolene si affrettò ad indossare un'espressione controllata, allontanando dai tratti la sorpresa e la paura che li avevano deformati. Raddrizzò le spalle e accennò un sorriso che, nelle sue intenzioni, avrebbe restituito alla sua uniforme il giusto grado di rispettabilità.
«Sì, certo.» Passato un primo momento di incertezza, si concesse di guardare con più attenzione la figura che le stava dinanzi. La ragazza – che aveva già visto, per quanto non sapesse associare un nome al suo volto - doveva frequentare uno degli ultimi anni: il suo viso dimostrava una maturità pari a quella dell'infermiera, se non addirittura maggiore. C'era poca differenza d'età tra Jolene e gli studenti più grandi, tanto che, non fosse stato per l'inconfondibile abbigliamento, avrebbe potuto passare per una di loro. I primi tempi, quella constatazione l'aveva lasciata piuttosto perplessa e indecisa su quale fosse la giusta distanza da mantenere. Una volta presa dimestichezza con il proprio incarico, però, Jolene aveva capito quale fosse il modo più naturale di trattare con gli studenti. Una familiarità distesa definiva il suo atteggiamento, senza dimenticare tuttavia di scandire una divisione di ruoli ben precisa. Queste, quantomeno, erano le sue intenzioni fintanto che si trovasse tra le mura del castello.
Dopo una breve pausa, aggiunse: «Mi sono solo presa un piccolo spavento». Abbassò lo sguardo sulla propria spalla, là dove la piccola civetta riposava. «Credo che anche Daisy si sia...uhm.» Si interruppe nel vedere l'animale, perfettamente immobile, fissare un punto indefinito con occhi grandi come fondi di tazzine. «...spaventata?»
Incerta, Jolene sollevò una mano a toccare il piumaggio della creatura. Quella non dette segno di sentirla, perseguendo in un'immobilità innaturale. Pareva che si fosse pietrificata dalla paura: la donna continuò a cercare una reazione mentre, secondo dopo secondo, l'agitazione cresceva in lei. Lanciò uno sguardo allarmato alla studentessa, prima di sentire gli artigli della civetta affondare con più forza nella sua carne. Subito dopo Daisy si riscosse, arruffando le piume prima di rilassarsi in una forma tondeggiante che la faceva assomigliare a una grossa puffola pigmea.
Jolene non si era accorta di aver trattenuto il fiato, ma a quel punto tirò un sospiro di sollievo. Per un istante aveva temuto che quella creatura fosse così fragile da non poter sopportare un colpo modesto come quello. «Curiosa strategia di difesa», commentò con un sorriso diretto alla ragazza. Non voleva che si sentisse responsabile per quel piccolo incidente, così pose ulteriore gentilezza e delicatezza nei suoi modi. Poté finalmente rilassarsi, e fece qualche nuovo passo all'interno della struttura. Un alito di vento entrato da una delle numerose aperture fece ondeggiare le ciocche che erano sfuggite alla treccia, solleticandole le guance per qualche secondo. «Mi ha quasi fatto prendere un colpo. Sai, non è da molto che mi tiene compagnia, e devo ancora conoscerla in tutte le sue stranezze. E non sembrano poche». Pose particolare enfasi in quell'ultima frase, alludendo alle sue implicazioni comiche. A volte la civetta pareva più la parodia di un rapace, che un esemplare di tutto rispetto. Jolene non poteva immaginarsela in libertà, a doversi procacciare con le sue forze il nutrimento: a malapena si faceva scomodare per inviare le missive.
Indubbiamente avrebbe potuto restare per ore e ore a parlare del suo nuovo famiglio, ma difficilmente l'altra ne sarebbe stata interessata. Così, Jolene rivolse la sua attenzione a lei: «Credo di averti già vista in infermeria di recente, o mi sbaglio? Però non credo di ricordare il tuo nome, perdonami.»


 
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view post Posted on 5/6/2019, 11:04
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Si ricordava dell'altra strega, l'Infermiera che solo poche settimane prima l'aveva accolta quando, dopo mesi a trascinarsi di giorno in giorno, Elhena si era finalmente scrollata di dosso la propria apatia abbastanza da entrare e chiedere aiuto. Il ricostituente aveva fatto miracoli. Si svegliava ancora all'alba in preda agli incubi da stress pre-esame e la notte, quando miracolosamente aveva finito i compiti per tempo, si buttava sul letto crollando addormentata spesso senza nemmeno essersi messa il pigiama, ma almeno lo faceva in piena salute fisica. O, si poteva dire, le cose andavano meglio di quando era tornata da Gerusalemme.

Non ricordava invece bene il nome dell'Infermiera. La sorprendeva che fosse così giovane, sebbene non fosse una novità a Hogwarts vedere assunto personale che fino a poco tempo prima aveva fatto parte del corpo studentesco, persone che erano state studenti fino a giugno e a settembre stavano dietro una cattedra. Quanti anni poteva avere? Non più di venticinque, quasi di sicuro. A ipotizzare che fosse più giovane, c'erano buone possibilità di averla già incrociata per i corridoi del castello quando era ancoa una studentessa.
Elhena scavò nella memoria, ma le fu impossibile ricollegarla a un viso in particolare, tra centinaia dei quali aveva avuto solo una conoscenza superficiale. Tantomeno ebbe successo nel ricordare con precisione la Casata di cui aveva fatto parte. Avrebbe escluso Tassorosso, per ovvi motivi di frequentazione, ma da lì a scommetterci c'era una bella differenza.

La giovane età dell'Infermiera le suscitava un misto di dubbio e ammirazione.

Ulteriori riflessioni furono interrotte da una lieve beccata sull'orecchio da parte di Cleite. Gli artigli continuavano a stare ben saldi sulla spalla della ragazza. Ritornò alla realtà.

"Di solito se ne sta sul trespolo" rispose, non appena il cervello ebbe elaborato quello che l'Infermiera le aveva detto. "Non immaginavo di trovare qualcuno in Guferia a ques'ora."

Fantastico. Proprio la giustificazione migliore. Di nuovo il becco del gufo nero trovò la delicata pelle del lobo, con una contorsione che solo un gufo avrebbe saputo fare. Elhena tuttavia non si voltò a guardare cosa avesse il volatile per cui insistere tanto. La sua attenzione, infatti, era tutta per la donna davanti a lei e, soprattutto, il batuffolo di piume che, ora se ne accorgeva, teneva in mano.

Paragonata a Cleite, che superava quasi di una spanna la sua testa, quella civetta era uno scricciolo.


* Oddio, le ho ucciso la civetta *

Questo infatti il primo pensiero che attraversò la mente della Tassina quando la piccola civetta si chiuse nell'immobilità del panico. Oppure era proprio andata, infartata, letteralmente morta di paura. E come si sarebbe giustificata? Di fatto il colpevole era Cleite, ma la responsabilità era sua. Non era pronta ad avere una civetta sulla coscienza.

"Siamo in due. A essersi prese un colpo" si affrettò ad aggiungere per amor di chiarezza. "Sebbene immagino sia stato peggio per -" Te? Lei? Odiava quando il confine tra pronomi e rapporti di persone diventava labile. La strega poteva quasi essere sua coetanea, ma faceva comunque parte dello staff. "Te."*

"È in effetti molto piccola, se posso permettermi, non ha difficoltà a portare le lettere?" Faticava a immaginarsi una simile civettina a sfidare le correnti della brughiera scozzese e a volare per miglia da un capo all'altro dell'isola.

"Mi chiamo Elhena, comunque. Elhena Attwater, quinto anno, piacere. Il non ricordare il nome è reciproco, temo."

Che l'Infermiera fosse parte dello staff non garantiva che la Tassina avesse memorizzato il suo nome. Poco ci era mancato che dimenticasse quello della sua stessa Capocasa.

Per la terza volta Cleite tornò ad esigere attenzioni a suon di beccatine. Elhena si decise infine a voltarsi verso l’animale, accompagnato da un mezzo sbuffo e esasperazione e una rapida occhiata di scuse in direzione dell’altro strega.
Non appena i suoi occhi chiari incrociarono quelli ambrati del volatlle, quasi che aver ottenuto quello che voleva lo avesse di colpo stancato, Cleite spiccò il volo in un frullo d’ali verso il trespolo più vicino. Elhena ringraziò tra sé e sé che fosse uno ancora abbastanza ad altezza d’uomo. Nonostante il rapporto un po’ conflittuale che aveva col proprio famiglio, le dispiaceva quando si trovava costretta a usare un altro gufo. DI norma, la cura era peggio del male e un offesissimo Cleite la ripagava con giorni passati a ignorarla. Se tenessi davvero a me, avresti insistito di più, sembrava dire quando si voltava dall’altra parte nell’istante in cui si accorgeva della sua presenza in Guferia.

Allungò con cautela le nocche della mano verso il becco del gufo, un gesto che di solito serviva a testarne l’umore, a patto di avere i riflessi veloci quando il gufo aveva la luna storta. Elhena trattenne il respiro, in attesa, finché non avvertì una lieve puntura. Sospirò di sollievo. Cleite stava poggiando il proprio becco contro le sue dita, senza però arrivare a tagliare la carne. Una piccola tregua. L’assenza di biscottini gufici le valse comunque un’occhiataccia.

“Su, dammi la zampa. Bravo. Porta queste a casa.”


Sarebbero stati poi i suoi genitori a recapitare la seconda missiva ai nonni. Preferiva infatti evitare a Cleite la difficoltà di un percorso a più tappe.
Assicurate le lettere perché Cleite non le facesse cadere, Elhena lo convinse affinché saltasse sul suo braccio e da lì lo portò alla finestra. Da sua abitudine, il gufo si tuffò prima in picchiata per poi riacquisire rapidamente quota e scomparire nel cielo terso della primavera scozzese.

“Giuro che non ho idea di cosa gli sia preso” commentò a favore dell’Infermiera. “Cioè, di solito fa di tutto per ignorarmi.”



* Il dubbio di Elhena si pone solo nella finzione in cui stiamo scrivendo in italiano, perché l'inglese usa sempre lo you

Onestamente, non ho idee di dove voglio andare a parare col gufo in carenza d'affetto.
 
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view post Posted on 15/6/2019, 19:25
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Jolene White
Infermiera ☽ 20 anni
Guferia


Sapeva di non essere l'unica a trovare inusuali e per certi versi problematiche le situazioni informali di contatto con gli studenti più grandi. L'esitazione della bionda venne compresa al volo dall'infermiera, che sorrise incoraggiante quando infine la ragazza arrivò alla decisione di darle del tu. A suo avviso era la soluzione più naturale, quella che lei stessa avrebbe preso se si fosse trovata dall'altra parte dell'interazione. Amava le conversazioni e i rapporti che fossero il più paritari possibile; non aveva mai apprezzato quelle persone che, consapevoli della propria posizione, tracciavano un confine invalicabile tra se stessi e coloro che li circondavano. Rispettava l'esperienza e la professionalità, ma non la soggezione che talvolta ne scaturiva: credeva che potesse minare la sincerità di un confronto, rinchiudendo entrambe le parti in ruoli rigidi e ben definiti.
«Le affido solo le consegne locali», spiegò quando le venne posta quella domanda – a suo avviso piuttosto lecita. «Se devo mandare una lettera da qui fino a Londra mi affido ai gufi della scuola, lei rimane principalmente per compagnia.» Era piacevole avere Daisy appollaiata vicino alla scrivania in Infermeria. La sua innata tranquillità la rendeva una presenza discreta, pressoché invisibile ai malati. Era in grado di sonnecchiare per giri interi delle lancette, senza altro intervento se non una occasionale arruffata di piume. Nei momenti morti accettava di buon grado l'affetto della padroncina, sulla cui spalla si posava talvolta, quando voleva cambiare prospettiva.
Quando la studentessa le rivelò il proprio nome, Jolene fu piuttosto certa di non averlo mai sentito in precedenza. Questo escluse, tra le altre, la possibilità che si fossero conosciute quando ancora studiava a Corvonero: fatto possibile, se non probabile, considerando che Elhena frequentava il quinto anno. «Io sono Jolene White, il piacere è mio.»
In seguito, l'attenzione della ragazza venne richiamata dal suo gufo. Jolene lasciò che Elhena se ne occupasse, e nel frattempo abbassò lo sguardo sulla propria civetta. Daisy affondava ancora gli artigli nella carne della donna, che con una smorfia di dolore riuscì infine a staccarla e a spostarla sul braccio. La avvicinò a sé, sperando che potesse tranquillizzarla. Le dita della mano libera tracciarono una trama delicata tra le piume sul collo, e a poco a poco la civetta parve riprendersi. Nemmeno Willy, il pesce rosso che aveva avuto per tanti anni, era mai stato così spaventato da un gufo. Aveva adottato Daisy per la sua docilità, ma non si era immaginata che si potesse spingere fino a tali estremi.
Di una natura completamente opposta, Cleite appariva come una creatura fiera che sapeva il fatto suo. Jolene vide la scena insieme ad Elhena, e credette di vedere la stessa cautela che assumeva lei stessa quando doveva trattare con un gufo sconosciuto e potenzialmente scontroso. La maggior parte delle volte, le sue esperienze finivano con una beccata più o meno furiosa; cosa che in quel caso, fortunatamente, non avvenne. Ammirò la maestosità dello dispiegarsi delle ali scure; la mancanza di esitazione con cui il rapace si slanciò all'esterno la fece vergognare per un istante dell'imbranata pigrizia di Diasy.
«Forse non vi vedevate da tanto?» Provò ad ipotizzare, quando Elhena le espresse la sua perplessità. «Il vecchio gufo di mia madre, ad esempio, non sopporta avere nessuno vicino, figuriamoci essere toccato. A volte sparisce per giorni, e non ti dico che grattacapo se in quel periodo c'è bisogno di mandare una lettera.» Virginia andava fuori di testa ogni volta che capitava. «Però quando torna sembra improvvisamente cambiato, si rifiuta di scendere dalla spalla e se non ha le attenzioni di tutti è un disastro. Tutto ciò solo per qualche ora, poi torna il vecchio sé.» Interrogò Elhena con lo sguardo, chiedendosi se potesse essere quello il suo caso.

 
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view post Posted on 18/6/2019, 07:40
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Quando il sorriso dell'infermiera le fece capire che la scelta di usare il "tu" era stata quella giusta, la Tassina rilassò appena le spalle. Non tanto per la possibilità di parlare quasi da pari, cosa che le facilitava le interazioni interpersonali ma non era indispensabile, quanto per aver evitato di essere partiti col piede sbagliato nella definizione dei rapporti. Era un passo falso che le lasciava sempre uno strano e niente affatto piacevole retrogusto in bocca.

Guardò un'ultima volta fuori dalla finestra solo per avere la conferma che Cleite si era ormai dileguato del tutto. Ora non restava che aspettare. Di solito impiegava circa un paio di giorni per raggiungere il Galles e altrettanti per tornare. Aggiungendo il tempo per scrivere una risposta, a meno che non si trattasse di un'emergenza, spedita una lettera a casa, riceveva la risposta dopo circa una settimana.

Diversa sembrava essere la situazione con Daisy. Se prima aveva già avuto il sospetto che un simile batuffolo di piume non potesse sostenere lunghi viaggi, a meno di non dividerli in numerose tappe, ora ne aveva la conferma.


"È comunque qualcosa. In attesa che cresca."

Aveva detto l'ultima parte della frase senza pensarci, sicura che le dimensioni della civetta fossero dovute all'età. A ripensarci, quando aveva comprato Cleite dal Serraglio Stregato era già grande il doppio della civetta, eppure Elhena credeva che avesse sui sette anni. A fare i calcoli a ritroso, sarebbe dovuto essere poco più di un pulcino all'epoca. Un pulcino molto cresciuto a ripensarci; oppure era semplicemente un po' più vecchio.

"Anche io uso a volte i gufi della scuola. Di solito quando devo spedire una lettera urgente e Cleite è in viaggio."

Ringraziando chi di dovere, negli ultimi tempi non c'era stato nessun evento tale da richiedere una missiva di emergenza.

"Se non è andato in pensione ci dovrebbe essere un allocco dal piumaggio rossiccio che è sempre abbastanza disponibile."

Seguendo le proprie parole ruotò in parte la testa alla ricerca di suddetto volatile, senza però riuscire a individuarlo, forse via oppure troppo in ombra.

"Piacere mio" rispose quindi alla presentazione di Jolene. Un secondo dopo si stava già chiedendo a mezzo-pensiero se fosse a conoscenza della canzone dove la sua più famosa omonima se ne andava in giro a rubare uomini.

* No, niente canzoncine *

Sollevò pensierosa gli occhi verso il distante soffitto della Guferia quando Jolene le suggerì il motivo per lo strano e inaspettato comportamento del suo gufo nero. Possibile che fosse dovuto alla vecchiaia? A ribadire la sua ignoranza in fatto di età gufiche, non le era ancora passato per la mente che Cleite potesse iniziare a essere considerato vecchio.
Uth aveva più di vent'anni ed era ancora vivo. Non si muoveva più e respirava a malapena, tranne quando ritrovava la voce per strillare contro Cleite, ma era vivo; per quanto la Tassina fosse certa che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo.
Comunque in confronto Cleite era ancora un cucciolo; o un adolescente. Oddio, magari era l'adolescenza.


"Dici? In effetti era un po' che non venivo alla Guferia."

Tra la mezza-depressione che l'aveva colpita e l'assenza di notizie degne di nota, tra una cosa e l'altra, aveva fatto passare quasi un mese senza inviare lettere di sua sponte.
Erano stati più i suoi genitori a prendere l'iniziativa nel cercare di mantenere un minimo di corrispondenza, almeno le necessarie due righe di circostanza per chiederle se fosse ancora viva e come andassero i compiti; in quel caso Elhena si era limitata a rispondere usando lo stesso gufo mandato dai genitori. A volte riconosceva il gufo di nonno Edmund, altre si trattava di volatili sconosciuti. All'inizio si era chiesta chi glieli avesse prestati, se anche fuori da Hogwarts ci fosse un sistema di gufi postini in prestito. Aveva quindi concluso che, sì, probabilmente esisteva. Se non proprio a Pentyrch, dove viveva qualche mago ma era in generale una cittadina Babbana, abbastanza vicino.


"Forse con l'età diventano gelosi" aggiunse, pensierosa. Avrebbe anche aggiunto "permalosi", se non fosse stato per il fatto che un po' permaloso Cleite lo era sempre stato.

Sorrise alla storia di Jolene. Per quanto quasi assurda non le fu troppo difficile figurarsi l'immagine di un gufo in crisi di affetto e comportamenti da Primadonna.

"Immagino che ormai ci siate abituati."



Avrei dovuto accennare al fatto che Elhena non è andata in Guferia perché ha passato un inverno non molto brillante, ma stonava e la bimba è riservata. Quindi, ancora gufi.
 
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view post Posted on 20/6/2019, 21:30
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Jolene White
Infermiera ☽ 20 anni
Guferia


Quando si accorse dell'errore di Elhena, Jolene scosse la testa. «Oh, no. Non è ancora del tutto cresciuta, ma è una civetta nana, quindi anche quando lo sarà somiglierà più a una grossa puffola pigmea che a un gufo.» Con grande probabilità non avrebbe mai neppure raggiunto i venti centimetri di altezza. A ben pensarci, non era stata la scelta migliore dal punto di vista dell'utilità: non considerando che i suoi genitori e la stragrande maggioranza delle sue conoscenze avevano dimora a Londra, così lontano dalle distese Scozzesi. Jolene però si lasciava distrarre piuttosto facilmente dai suoi propositi, e l'aspetto tenero e indifeso della civetta era stato un'autentica calamita. Aveva una predilezione per la delicatezza, ciò che era più fragile di lei smuoveva il suo desiderio di proteggerlo.
Così, aveva infine deciso di non prendere l'ennesimo gufo fiero e scontroso: di quella sorta se ne trovavano già in abbondanza in Guferia. La raccomandazione della studentessa le sarebbe tornata senza dubbio utile: «Grazie», disse, «se ne avrò bisogno proverò a ricorrere a lui».
Si limitò ad annuire quando le venne detto di una prolungata assenza da quelle parti. Non era suo compito indagare sulle motivazioni, se pure ve ne fossero state di particolari. Per la verità, si sarebbe impicciata volentieri di tutti gli affari altrui, ma fortunatamente aveva abbastanza buon senso da evitarlo. Disse, invece: «Sì, sono anni che ha le stesse pretese». La piega delle labbra si colorò di una leggera ironia nel parlare del vecchio e bisbetico gufo di Virginia. Quando era ancora una bambina aveva passato dei brutti momenti sotto allo sguardo infuriato del rapace, i peggiori strilli li aveva lanciati con le dita rinchiuse nella morsa del suo becco affilato. «La vecchiaia per lui non c'entra niente, il caratteraccio è innato.» Seguì una breve pausa, poi chiede: «Quanti anni ha Cleite? Mi sembrava abbastanza giovane.»
Si mosse nuovamente, facendo attenzione a posare i piedi su porzioni di pavimento pulite. Tracciò il suo percorso fino alla finestra più vicina, fermandosi solo quando sentì il davanzale di pietra premere leggermente contro il suo busto. Sentì Daisy irrigidirsi sotto alle sue dita, la presa dei suoi artigli farsi più serrata nel testimoniare una curiosa avversità per la libertà del cielo. Sul momento non vi fece caso, perdendosi per qualche secondo con lo sguardo tra i tetti e le torri del castello, scuri e appuntiti contro un azzurro quasi perfetto. La bella stagione si mostrava nei colori forti, nel calore che con dita leggere, quasi timide, accarezzava la pelle dopo i mesi d'Inverno. C'era nell'aria una dolcezza che da sempre le aveva dato una grande energia. I suoi pensieri diventavano di giorno in giorno più leggeri, liberi della nebbia che li offuscava nelle giornate più uggiose. A trovarsi lì, alle porte della Primavera in quella posizione privilegiata, avrebbe potuto fingere che niente circondasse l'imponente castello. Bastava controllare lo sguardo: fissarlo su un punto, stringere appena le palpebre per tagliare fuori dal campo visivo il verde della vegetazione. Avrebbe potuto illudersi di trovarsi in un castello sospeso nel vuoto.
La civetta, però, apprezzava meno quel panorama. D'un tratto si alzò in volo, e Jolene la seguì con lo sguardo mentre si inoltrava al sicuro dentro la torre. Se la ragazza non l'avesse respinta, si sarebbe andata a posare sulla spalla di Elhena: lì sarebbe rimasta, una presa leggera contro la divisa, in curiosa attesa di una mossa della giovane. «Dietro al collo», avrebbe detto Jolene con un sorriso leggero. «I suoi preferiti sono i grattini dietro al collo.»
Poi, con la medesima semplicità con cui aveva parlato, si sarebbe voltata una volta ancora verso l'esterno. La prima volta che aveva fantasticato guardando fuori dalle finestre di una torre aveva undici anni, e la Sala Comune Corvonero sfoggiava alle sue spalle un blu intenso come quello del cielo notturno. In seguito quell'apertura sull'altezza era diventata un rifugio dove poter ascoltare i propri pensieri come se l'esistenza si fosse svuotata di tutto il resto.
«Da questa altezza mi sembra sempre tutto così distante da poterlo ignorare del tutto. I primi anni in cui studiavo a Corvonero facevo a volte una specie di gioco tra me e me: mi affacciavo a una finestra della Sala Comune, e fingevo che sotto di me ci fosse un paesaggio del tutto diverso dal parco, dal lago e della foresta. Ogni volta uno nuovo.» Lanciò un'occhiata alla ragazza da sopra la spalla, e scoppiò a ridere. «Avevo una certa immaginazione, da ragazzina.» Preferì tacere sul fatto che quell'aspetto fosse rimasto invariato negli anni e che, a volte, riprendesse quel suo vecchio e stupido gioco. Ne aveva parlato senza riflettere, con la naturalezza che la guidava nelle conversazioni, caricando la voce di una leggerezza perfetta: proprio come se stesse parlando del tempo.



Lo so, erano meno strani i gufi :grat:
 
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view post Posted on 22/6/2019, 17:26
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Una civetta nana. Onestamente, Elhena fu più sorpresa di quanto avrebbe dovuto alla nuova informazione. Di fatto, avrebbe dovuto aspettarselo, dato che tra un po’ Daisy era abbastanza piccola da stare comodamente nel palmo di una mano. Forse il suo debole “Ah … ok” fu più dettato dal quell’imbarazzo che la coglieva sempre quando commetteva un errore, soprattutto nelle relazioni interpersonali. Poco importava quanto fosse all’apparenza piccolo e insignificante. Per quanto la battuta sulle puffole pigmee le strappò un sorriso.

“Allora quando sarà il momento dovremo fare un confronto. Ho giusto una Puffola Pigmea a disposizione.”

Si figurò la scena, il candore di Daisy vicino al rosa shocking di Penny e il cercare di capire chi fosse più grande. E poi avrebbero scoperto che le civette e le puffole pigmee andavano perfettamente d’accordo.

“È raro vedere gufi e civette così piccoli qui ad Hogwarts” continuò, nel tentativo di non far morire la conversazione. Uno di quelli era stato il gufetto di Chris … cioè, di Chrisalide, un batuffolo di piume grigio-marroncine, ma dagli occhi tanto grandi ed espressivi che una persona avrebbe potuto trascorrere ore a guardarci dentro. Ormai tutto quello apparteneva al passato.
Senza pensarci si sfregò il polso dove un tempo il nastrino bianco della Serpeverde le aveva fatto da braccialetto, ma le dita arrivarono a pizzicare solo la pelle. Già. Doveva ancora abituarsi a quell’assenza, così come al non avere più il peso del secondo specchio comunicante nella tasca destra della divisa. In entrambi i casi, era stata lei la causa di tale mancanza, nel tentativo di ammettere e accettare che, per ragioni a lei ancora sconosciute, Chrisalide aveva voluto tagliare i ponti.

Forse avrebbe dovuto provare a scriverle un’altra lettera. A furia di non incrociarla mai a Hogwarts, nemmeno a cena quando bene o male tutti gli studenti erano presenti, aveva finito col credere che se ne fosse andata proprio dalla scuola - quasi sicuramente per ragioni familiari - ma ora le veniva in mente di essere partita da un presupposto sbagliato.


“Cleite? Onestamente non saprei. CI stavo proprio pensando” rivelò, tenendo per se l’ovvia battuta sul leggere nel pensiero. La sentiva lì, sulla punta della lingua, ma lì sarebbe stata. “L’ho comprato quando ero al primo anno, circa sette anni fa” continuò, con uno sforzo questa volta per non perdersi nei ricordi. Aveva passato quasi mezz’ora nel negozio a cercare di decidersi su quale animale comprare, passando dai micetti tigrati ai topolini bianchi che sonnecchiavano nelle loro gabbiette. Ricordava la confusione e di come Cleite fosse uno dei pochi animali a starsene in silenzio. Forse era stato quella a conquistarla, oltre ai vantaggi di avere un gufo personale a fare da postino.
“Era alto più o meno così.” Indicò a gesti poco meno di due spanne. “Direi sugli otto o nove anni” concluse. Di nuovo, non aveva bene idea a quanti anni corrispondesse un anno da gufo in anni umani, sebbene era certa che nel mondo magico avessero una vita più lunga dei loro cugini selvatici. “Fa l’offeso, ma non si è mai rifiutato di portare una lettera.”

Alla fine, sapeva che il suo famiglio le voleva bene, solo che lo dimostrava alla sua maniera, in un rapporto di affetto quasi professionale, una sorta di relazione basata sul rispetto reciproco. Sì, spesso Elhena tornava dalle sue visite in Guferia con le dita sanguinanti per una beccata un po’ troppo violenta, ma Cleite non l’aveva mai ferita davvero e quando la ragazza voleva accarezzargli la testa, si lasciava blandire. Un semplice incantesimo poi era sufficiente a far rimarginare i tagli.

Osservò Jolene muoversi verso la finestra. Da dove si trovava, Elhena non poteva esserne sicura, ma le parve che Daisy non fosse molto entusiasta del cambiamento. Lei stessa preferiva non avvicinarsi troppo alle finestre, soprattutto quando si trovava in una torre e la finestra non aveva il vetro per permettere ai gufi di entrare e uscire a loro piacimento. Una civetta che aveva paura delle altezze, comunque, doveva ancora vederla.

Sussultò appena per la sorpresa quando Daisy fuggì dalle mani di Jolene per andare a rifugiarsi non su un trespolo, come Elhena aveva pensato all’inizio, ma dritta sulla sua spalla, dove quasi sicuramente gli artigli di Cleite avevano già lacerato la stoffa. Grazie al cielo esisteva il Reparo. Le piume di Daisy le facevano il solletico contro il collo.


“Uhm … d’accordo.”

Se Jolene le stava dando quell’informazione doveva essere per invitarla a tenere per un po’ la civetta. Elhena si chiese se stesse cercando di far fare loro amicizia dopo l’episodio di poco prima. Non avrebbe avuto molto senso, dopotutto non era Elhena quella che aveva spaventato Daisy. A meno che la piccola civetta non fosse spaventata dagli estranei in generale, piccola com’era.

Dovette fare un minimo di contorsioni per spostare l’animale dalla spalla all’avambraccio, che piegò poi verso l’addome, così da avere infine la civetta in una posizione abbastanza comoda per farle i grattini come suggerito dall’Infermiera. Fece un primo tentativo con cautela, attenta a non stringere troppo così che la civetta potesse volare via se lo avesse desiderato.

Nel frattempo ascoltò quello che Jolene aveva da dire. Corvonero dunque. Diverse risposte passarono per la mente della Tassina alla luce della nuova informazione, ma nessuna le sembrò consona. Tra queste, anche una sulla rivalità che da anni caratterizzava Tassorosso e Corvonero. Nemmeno la battuta sull’essere allora abituata alle torri sembrava essere consona.


“È un gioco curioso” commentò quindi con cautela. In un certo senso capiva che Jolene stava cercando di aprirsi con lei, rivelandole il chiaro segnale di un carattere sognatore e prono alle fantasticherie. Da questo punto di vista, non poteva di certo giudicarla, non quando lei stessa condivideva in parte la stessa tendenza a perdersi nella propria immaginazione. Con l’unica differenza che lei preferiva tenersi a distanza dalle finestre. Ultimamente benediceva spesso il non essere stata smistata in una Casata che aveva la Sala comune in una torre.

“E sei riuscita a visitare uno di quei posti?” chiese infine.



Un po' forzato, ma era per uscire dalla zona gufi.
Ho considerato che Jolene sappia già che Elhena è Tassorosso per via della divisa
 
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view post Posted on 30/6/2019, 18:18
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Jolene White
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Un rapido sguardo intorno a sé fece confermare a Jolene ciò che Elhena aveva appena sostenuto: erano rari i rapaci minuti come Daisy, lì al castello. I gufi che li circondavano vantavano dimensioni più o meno imponenti, nessuno avrebbe potuto essere accolto nei palmi delle mani con la facilità della civetta. Non vi aveva mai fatto caso prima di allora, ma quella selezione rispondeva perfettamente alla necessità di comunicare con un mondo che da Hogwarts era ben distante. Cleite, molto più che la civetta di Jolene, appariva come la scelta ideale: fiero con la sua ampia apertura alare di velluto scuro – ne aveva apprezzato la bellezza, quando non se ne era più sentita minacciata. Poteva vantare anche, a quel che sembrava, un numero di anni ancora esiguo nella prospettiva di vita della sua specie.
Il cielo oltre la finestra più vicina servì alla rossa come distrazione da uno scambio di battute che, per quanto piacevole, non la impegnava certo nel profondo. La sua attenzione era spesso volatile, fluttuando con leggerezza tra il mondo esterno e i pensieri che si rincorrevano nella sua mente. Due spinte contrastanti, negli ultimi anni più che mai, si contendevano il suo dominio: la tendenza ad isolarsi nelle proprie fantasie da un lato, e l'entusiasmo di parlare con chi la circondava dall'altro. Esternare il moto dei pensieri era, in quelle occasioni, un naturale compromesso.
Piccole confidenze come quella le sfuggivano, talvolta, senza che Jolene se ne preoccupasse più di tanto. Sapeva che, per quanto apparentemente potessero esporla al giudizio altrui, erano solo innocui aneddoti sulla superficie della propria identità. Sapeva parlarne con una leggerezza sconcertante, soprattutto ad illustri sconosciuti come Elhena. Attese la sua risposta animata da una punta di curiosità, come se quell'improvviso cambio di rotta fosse un modo per svelare chi le stava di fronte, più che se stessa. La ragazza mantenne i propri toni moderati, la stessa educazione che non sarebbe risultata inappropriata in pressoché nessuna circostanza.
«Non esattamente», fu l'immediata risposta della rossa. Sarebbe stato ben difficile visitare i paesaggi della sua infanzia, a patto che esistessero realmente lande in cui fiumi di cristallo sgorgavano dal mare per scomparire tra le fessure delle rocce. Anche qualora fossero ispirati a luoghi concreti – scorti in cartolina, oppure sulle mensole, incorniciati da pesanti ghirigori -, i paesaggi divenivano suoi solo quando vi avesse apposto qualche elemento della propria fantasia, oppure preso in prestito da quella altrui. Per molto tempo era stato quello l'unico legame davvero legittimato dalla piccola White, che non poteva sentire propria una realtà del tutto indipendente dal suo mondo interiore.
Altro, però, disse alla studentessa: «Non ho mai viaggiato molto lontano.» Oscar era stato un appassionato esploratore, un giovane uomo interessato a vedere con i propri occhi, a sentire sotto alle proprie dita tutte le meraviglie di cui avesse sentito, ancor di più quelle che gli fossero state taciute. L'arrivo dell'unica figlia aveva posto fine al nomadismo che per anni aveva disegnato la sua vita: brevi tratti decisi che, tutto ad un tratto, si erano conformati in un'unica linea sinuosa protrattasi fino al presente. La famiglia di Jolene pareva aver esaurito la sete di viaggiare con la sua nascita, e così lei era stata cresciuta con l'idea che il mondo potesse essere vasto solo nelle memorie, nell'immaginazione e nei cimeli che, immobili negli angoli della casa, esercitavano il loro fascino misterioso ed inafferrabile.
«Credo che lo farò in futuro, quando le cose staranno diversamente. Allora forse potrò confrontare la mia immaginazione con la realtà, anche se credo che sia una delle peggiori premesse per qualsiasi cosa.» Si voltò sulla scia di quella affermazione, una mezza risata a piegarle le labbra nell'appoggiarsi con la schiena contro l'alto davanzale di pietra. Allora poté vedere che Elhena aveva seguito i suoi consigli, e la civetta stava evidentemente apprezzando le attenzioni di quella nuova presenza. Dopo i primi momenti di incertezza e tensione, gli occhi erano stati pigramente socchiusi e il corpicino si era finalmente rilassato. «Le piaci», azzardò Jolene allegramente. Era altresì vero che fosse piuttosto difficile che qualcuno non piacesse a Daisy, ma tacque su quel punto.
Invece, rivolse alla giovane una domanda: «Tu invece? Molti ragazzi, appena finiti gli studi, si prendono qualche tempo per viaggiare. Hai mai preso in considerazione questa possibilità?» C'erano ancora più di due anni per prendere quel tipo di decisione ma, se poteva fidarsi della sua memoria, già all'età di Elhena i suoi ex compagni di studi mostravano con entusiasmo i loro piani – più o meno concreti – dell'anno sabbatico che li avrebbe visti esplorare i Paesi stranieri alla stregua di giovani nobili alle prese con il Grand Tour. Un sogno ricorrente, che non invecchiava mai.

 
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view post Posted on 3/7/2019, 08:07
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Davvero?

Rispose Elhena alla scoperta della mancata corrispondenza tra le fantasie di Jolene e la realtà. Di sicuro non la risposta migliore al momento, dove la sorpresa non si adattava poi tanto, ma sempre meglio di quel solito oh da singolo sospiro che stava diventando la sua risposta standard.
Nemmeno capiva la sua difficoltà improvvisa nella conversazione. Aveva affrontato cose ben peggiori, raccontato e ascoltato traumi.
Il rivelare un hobby infantile per far andare avanti la conversazione non sarebbe dovuto essere un problema.
Una conversazione andava avanti a furia di domande, giusto?


"Mancanza di tempo?"

O forse c'era qualcosa di più profondo. Ultimamente c'erano molte cose che sarebbero potute andare diversamente; eppure Jolene appariva così serena e positiva che risultava difficile immaginarla con dei fantasmi del passato.
Del resto, se aveva scelto di fare l'infermiera doveva essere il tipo da non farsi scoraggiare facilmente.


"Immaginazione troppo fantasiosa?" ebbe poi il coraggio di ipotizzare come conclusione di quella parte della conversazione. Nei suoi anni ad Hogwarts aveva imparato che il cercare di applicare un fantasticare alla realtà poteva portare tanto a meravigliosi progressi, nuovi incantesimi e pozioni, quanto a mostruosi disastri per eccesso di distrazione.

Nel mentre, Daisy sembrava davvero adorare i grattini. Erano passati pochi secondi e Elhena poteva già sentire la civetta nana muoversi giusto quanto bastava per trovare la posizione più confortevole possibile, accoccolandosi contro la sua pancia. Le parole di Jolene furono solo la conferma.
Elhena, da parte sua, doveva ancora abituarsi un poco a una civetta così piccola. Sarebbe stata comodamente in una delle tasche della divisa. Chissà ne Jolene ogni tanto la portava in giro in quella maniera?
Lei lo faceva ogni tanto con Penny, soprattutto il sabato mattina quando portava la puffola direttamente a colazione per viziarla un po' di più con qualche leccornia extra.


"In realtà non ci ho mai davvero pensato molto" commentò con diretta sincerità. Negli ultimi tempi era già stato tanto recarsi a lezione. Spazio per viaggi che non fossero andare a Londra, anche solo immaginati, non c'era stato.
"Direi che non mi dispiacerebbe l'esperienza" proseguì. "E comunque credo che sarà obbligato se voglio lavorare nella cooperazione internazionale."
Lo sbuffo di una risata rivolta a se stessa sottolineò l'ovvio dell'affermazione.
"Però al momento non ho una meta. Sarei più il tipo di persona che segue un piano messo in moto da altri" ammise, per quanto l'immagine non le piacesse affatto. Era stanca di seguire il flusso delle cose e allo stesso tempo non aveva abbastanza forze per modificarlo.
"Cioè, forse ci discuterei prima, se la destinazione proprio non mi piacesse. Ma al momento non ho in mente nulla di particolare, ecco" ribadì, salvo aggiungere all'ultimo "Direi niente posti troppo ... avventurosi."

Le dispiaceva che Jolene si dovesse sorbire quella risposta abbozzata e insicura, ma più parlava, più le idee si facevano chiare nella sua mente e riusciva a capire di più dei propri desideri. A quel punto era naturale che volesse assicurarsi di non dare un'immagine eccessivamente falsata di sé.

"Per quelle bastano le missioni del Preside Peverell."

Tornata da Gerusalemme aveva sentito sulla pelle il fantasma della sabbia per giorni, oltre a scoprire una notevole macchia rossa, principio di una scottatura, sulla nuca. Un pomeriggio di foresta pluviale o foresta medievale era sufficiente a soddisfare per un anno ogni suo desiderio di avventura. Per quanto suo padre potesse credere che lei avesse ereditato la temerarietà del ramo materno, Elhena trovava che il suo gene dell'avventura, se esistente, stesse sonnecchiando.

C'erano poi i viaggi sognati quando era bambina, le promesse di portarla con se non appena fosse stata abbastanza grande. Safari in Africa e trekking tra le montagne cinesi, questi soltanto un paio degli accenni di futuro che aveva potuto assaporare da piccina.
Ora era grande e nel frattempo la vita aveva cambiato i suoi piani.
C'era in effetti una meta, l'unica per anni, il pensiero terribilmente limpido.

* Brasile *

Ma quella era una necessità. Ingoiò la parola. Le era impossibile non pensarci ma era qualcosa che riguardava lei e lei soltanto.



Chiedo venia per la risposta banale e la presa a male. Mi stavo un attimo incartando


Edited by - Gwen - - 4/7/2019, 20:36
 
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view post Posted on 21/7/2019, 18:04
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Jolene White
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La mancanza di tempo era la scusa più abusata al mondo. Tutto quel che la magia poteva fare al riguardo – così aveva letto in un saggio mordace di Cornelia Creecks, che scandagliava il mondo magico moderno in un modo che a Jolene lasciava sempre l'amaro in bocca -, tutto ciò che avrebbe potuto permettere ai Maghi era di concedere loro, tramite le Giratempo, più ore in cui lamentarsi di dover correre sempre da una parte all'altra. La White aveva personalmente ricorso a quella scusa innumerevoli volte, e sarebbe risultato perfettamente accettabile se in quell'occasione avesse accettato l'aiuto di Elhena e avesse detto che sì, era proprio Crono ad averla eletta come ennesima vittima. Se non che preferì essere più sincera. «Sì, adesso non ho tempo. Ma anche quando avrei potuto farlo, ho scelto diversamente. Perdere altri punti di riferimento era l'ultima cosa di cui avessi bisogno in quel momento.» Terminare gli studi l'aveva spaesata quasi più che iniziarli: a dispetto dell'età, non era ancora stata in grado di assumersi il peso della sua sete di cambiamento. Jolene si limitava nella sua sofferta sedentarietà, e rimaneva immobile di fronte a ciò che di più vitale scorreva in lei – in profondità, accuratamente nascosto al mondo.
In quel periodo, ad ogni modo, la situazione era mutata. Non avrebbe potuto partire nemmeno se ne avesse avuto il coraggio: i suoi genitori richiedevano la sua presenza in Gran Bretagna. Le lande Scozzesi erano la massima lontananza concessale, la sua dimora nei momenti in cui non si trovava nel piccolo appartamento a neppure dieci minuti dalla dimora famigliare. La salute di Oscar aveva subito uno spaventoso tracollo dopo l'infarto, e sia lui che Virginia avevano bisogno del sostegno – emotivo e materiale – della loro bambina. In quel contesto Jolene non si permetteva neppure di accarezzare la possibilità di un distacco: sarebbe stato mostruoso.
Simili pensieri ebbero appena l'occasione di affacciarsi alla sua mente, concentrata sullo scambio con la studentessa. Annuì alla sua ultima domanda: «Un problema terribile, converrai con me». Lo disse con le labbra tirate in un sorriso leggero, e così pensò che la questione della fantasia si potesse considerare conclusa.
Per quanto non si facesse problemi a parlare, l'ascolto era ciò che preferiva in uno scambio di battute. Le storie che gli altri erano in grado di delineare di fronte ai suoi occhi erano brevi scorci di vita che amava collezionare. Le parole erano solo la superficie, sotto di esse un basamento di gesti, sguardi ed espressioni erano altrettanto rivelatori. La Tassorosso avrebbe potuto notare lo sguardo fermo e attento della Strega, il suo viso deterso di emozioni immediatamente classificabili. Jolene cercò di immaginarsi la ragazza nei panni della Ministeriale: avrebbe avuto un ufficio sullo stesso piano di quelli di Issho Fujitora e Vath Remar, in quel corridoio di porte allineate dietro alle quali si svolgevano i piccoli rituali quotidiani o le grandi mosse che intessevano una rete di collegamento tra il loro Paese e l'estero. L'atteggiamento di Elhena si sarebbe potuto facilmente collocare dietro a quelle scrivanie, o di fronte a diplomatici da tutto il mondo: unica nota stonata una certa reticenza, quasi che non si trovasse del tutto a suo agio lì, sotto ai suoi occhi. D'altra parte, la distanza che aveva mantenuto fino a quel momento la rendeva sfuggente, non del tutto conoscibile: pensava che potesse essere una buona qualità in un contesto politico.
C'era, poi, di nuovo la questione dei viaggi. Riconobbe, in un certo senso, uno spirito simile al suo. Le vennero in mente una miriade di risposte, ma il commento finale di Elhena si guadagnò tutta la sua attenzione. «Oh sì, ne so qualcosa delle missioni del preside.» Un'ombra scese sul suo viso. «Non direttamente, però in un paio di occasioni ho potuto vedere gli effetti che hanno sugli studenti.» Il suo stesso colloquio aveva previsto la cura di un ragazzino su cui il “club di storia” si era accanito con più violenza di due bolidi impazziti. In un secondo momento, poi, la White e l'aiuto-infermiera Ayumo avevano avuto il loro ben daffare nel trattare ustioni, lividi, ossa incrinate e contusioni di ogni genere. Fino ad ora era stata la sfida più impegnativa che avesse affrontato durante le ore di lavoro, tanto che nella sua memoria quei momenti critici riaffioravano ogni volta che vedeva uno dei numerosi volti che per giorni e giorni avevano giaciuto tra le lenzuola dell'infermeria. Ma se Elhena aveva partecipato a quell'incontro, come mai non ricordava di averla vista in cura? «Qualche tempo fa in infermeria c'è stato il finimondo, tra una decina di feriti», spiegò. «Però non ricordo di averti vista tra di loro, allora.» A dirla tutta, credeva di averla trovata al secondo piano una sola volta.

 
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view post Posted on 20/8/2019, 12:32
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Mentre Jolene raccontava, Elhena si era finalmente arrischiata a muovere qualche passo più vicino alla finestra, spinta da quella curiosità che continuava a persistere nonostante le sempre presenti vertigini. Da un lato era ben felice di tenersi a distanza di sicurezza dalla possibilità, per quanto remota, di farsi un volo di non avrebbe saputo dire quanti piani con inevitabile conclusione finale; dall’altro, la vista da lassù doveva di certo essere magnifica e nemmeno lei ne era immune.

“Capisco. Immagino faccia sempre paura abbandonare i propri punti di riferimento” iniziò a rispondere, per quanto incerta su come proseguire il discorso. Aveva sperimentato anche lei la medesima paura? Eccome. Eppure, a ripensarci, aveva sempre cercato di non limitarsi alla propria zona di conforto, finendo col tirarsi fuori da lì a viva forza se necessario. Col senno di poi, per quanto faticoso, le era stato utile. Almeno non si era sentita del tutto persa quando i vecchi punti di riferimento avevano cominciato ad andarsene a uno a uno.

“Però credo che a volte serva a trovarne di nuovi e più solidi” provò a suggerire. Non aveva però intenzione di dispensare perle di una saggezza che non possedeva. Piuttosto preferiva cercare di spingere Jolene verso la speranza che non fosse tardi per andare ad esplorare il mondo.

“Però c’è ancora tempo, non è vero?” - e in quella domanda dal sapore retorico c’era l’attesa di una risposta affermativa che sarebbe servita tanto a Jolene quanto a lei - “E il mondo per ora non scappa, per fortuna. Magari durante le prossime vacanze estive?” si azzardò a suggerire. Non aveva particolare idea di come fosse la vita del personale scolastico nei mesi in cui Hogwarts chiudeva i battenti per la tanto agognata pausa di luglio e agosto. Forse qualcuno rimaneva al castello, ma la maggior parte doveva pur avere una vita fuori dalle mura del maniero. Non riusciva a credere che fosse impossibile ritagliarsi anche solo qualche giorno da trascorrere in riva al mare o a gironzolare per una qualche città d’arte o per indugiare in qualsiasi tipo di vacanza Jolene sentisse più consono per le proprie abitudini e inclinazioni.

Lo sguardo neutro di Jolene la metteva un attimo a disagio. Non le piaceva non riuscire a capire cosa stesse pensando l’altra persona, soprattutto quando lei stessa non era del tutto convinta delle proprie scelte. Aveva rivelato quello che sarebbe potuto essere un piano di vita futura e non le sarebbe dispiaciuto trovare nell’espressione della propria interlocutrice la nuova conferma di aver fatto la scelta giusta. Non sembrava essere il caso. Persino durante il colloquio con Atena per l’orientamento professionale le era parso che la docente avesse avuto qualche dubbio circa la sua scelta. Probabilmente c’entrava la sua reticenza col doversi rapportare con gli altri. Tuttavia, quella era solo una parte dell’intero complesso della diplomazia internazionale e, se doveva spingersi di nuovo fuori dalla propria zona di sicurezza, lo avrebbe fatto.
Certo, tra la teoria dei buoni propositi e la pratica rimaneva comunque un oceano di se e di ma.

Si sentì allora in parte sollevata quando poté cambiare il discorso verso l’argomento Scuola di Atene.


“Onestamente mi meraviglio di non essermi ancora rotta qualcosa. Per ora sono stata diciamo fortunata. Solo bruciature e contusioni” disse. Abbozzò un sorriso, come a dire “be’, poteva andare peggio”, per quanto in sé sapeva che ci fosse poco di cui essere felici.

Quello stesso sorriso scomparve presto dalle labbra non appena Jolene ricordò le fasi del post- Gerusalemme. Tornò a quella sera, allo spaesamento di ritrovarsi di colpo nel 2018 dell’ufficio di Peverell dopo aver assaggiato la polvere e il sangue dell’Israele del I secolo d.C. Ricordava l’effetto quasi da jet-lag per l’improvvisa compressione in pochi minuti di ore di missione. L’assordante silenzio del castello di notte dopo il fragore delle armi e della battaglia.


“Hai ragione, non c’ero” si costrinse a rispondere, col tono piatto di chi cercava di distaccarsi da una situazione. “Cioè, ero in missione, ma niente infermeria” si affrettò a specificare. In qualche senso le importava precisare di essersi stata. In fondo fare parte della Scuola di Atene era ancora per lei motivo di orgoglio.

“Non so perché. Ero così stanca che mi sono ritrovata a tornare al dormitorio” cercò di spiegare. “E per una volta non ero poi così acciaccata.”

Ovviamente era solo la punta dell’iceberg. C’era stata la sensazione di trance da dopo-battaglia, il muoversi come da automa che era ormai diventato il suo modo per affrontare i traumi, perché se si fosse fermata tutto le sarebbe caduto addosso. Prima o poi avrebbe però dovuto affrontare il problema. Soppesò l’idea di chiedere se l’infermeria offrisse un servizio psicologico. Allo stesso tempo, si diceva di non essere poi così in crisi da averne bisogno. Era facile a parole dire di non considerare da nulla i propri problemi solo perché qualcun altro poteva aver sofferto di più; nella realtà, invece, la tentazione di costringersi a ingoiare tutto e andare avanti era fortissima e difficilissima da smantellare.

 
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view post Posted on 3/11/2019, 18:04
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Jolene White
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Jolene sapeva che la sua reticenza a qualsiasi cambiamento che non fosse puramente superficiale era ingiustificabile. Si rendeva conto della precarietà della sua posizione, del dolore insensato di chi prova a trattenere tra le proprie dita i granelli di sabbia e, inevitabilmente, non vi riesce. Esserne consapevole, tuttavia, non era sufficiente a darle la giusta spinta per scuotersi. Ecco quindi che viveva in una sorta di placida attesa, che difficilmente sarebbe finita se non quando qualche evento avrebbe reso insopportabile la sua attuale posizione. Aveva l'impressione che i punti di riferimento più importanti, nella sua vita, fossero rimasti pressoché i medesimi nel corso degli anni: la sua famiglia, cui era affettuosamente legata, e intorno alla quale gravitavano altre convinzioni che avrebbero anche potuto mutare, purché la base su cui poggiavano rimanesse stabile. Ma ecco che anche quest'ultima era stata messa in pericolo, ed ora la giovane era alla ricerca, ancora inconsapevole, di una solidità che albergasse unicamente in lei stessa. Ben lontana era dalla sua meta, e guardava con ammirazione a chi fosse sopravvissuto ad un rovesciamento radicale della propria esistenza.
«A te ha fatto paura perderli, i punti di riferimento?», chiese, in una richiesta di confidenza forse eccessiva. Il suo viso era calmo, ma un accenno di tensione nella voce testimoniava che l'eventuale risposta avesse una certa importanza per lei. Era stata più diretta di quanto non fosse solita, ma l'impersonalità che – credeva – Elhena aveva accuratamente scelto per le sue parole la lasciava piuttosto interdetta. Si sentiva sempre estraniata, quando sentiva qualcuno esprimere in modo generale e privo di attaccamento idee ed emozioni che quasi certamente aveva provato: le dava l'impressione che l'altro tentasse di nascondersi, e di attribuire a chiunque altro la propria sfera più intima. Lei, dal canto suo, cercava sempre di essere il più onesta possibile, e difficilmente si riservava la libertà di generalizzare.
«Magari durante le prossime vacanze estive?»
Si ritrovò a sorridere con calore a quella domanda. Era come se Elhena si sforzasse di aprire per lei un ventaglio di possibilità che Jolene stessa rifiutava di vedere. «Sì, magari durante le vacanze estive», ripeté sovrappensiero. «Ho sempre desiderato vedere l'Egitto.» Un accenno ad un luogo finalmente concreto, esistente, e un desiderio cullato, se non con intensità, comunque con interesse.
Non era sicura di cosa pensare delle motivazioni della Tassorosso riguardo al non essersi presentata in Infermeria. I feriti che aveva assistito erano in condizioni pietose, tutto in loro parlava di una dura battaglia. Lo strazio dei corpi intaccava immancabilmente anche lo spirito, e se lei era rimasta scossa dalle conseguenze, non poteva che immaginare quanto terribili fossero state le cause. Poteva credere che Elhena fosse stata più fortunata dei suoi compagni, e non avesse riportato i medesimi danni; tuttavia continuava a pensare che l'impatto emotivo e psicologico di un disastro come quello non potesse lasciare nessuno indifferente, e specialmente non degli studenti così giovani. Immaginandosi nei panni della ragazza, Jolene non aveva difficoltà a contemplare la reticenza di circondarsi ancora una volta dei gemiti dei compagni feriti, dell'odore pungente, addirittura soffocante delle pozioni impiegate in grandi quantità su ogni corpo. Lei stessa si era sentita quasi nel centro dell'azione, e non l'aveva neppure vissuta sulla propria pelle: erano bastati gli effetti a rievocarla, ed una simile impressione non poteva che amplificarsi in qualcuno che non doveva ricorrere all'immaginazione per ricostruire l'accaduto.
Esitò qualche istante, prima di dare voce ai propri pensieri: «Sai, allora ero appena stata assunta. Per me era ancora una novità, essere responsabile di tutte quelle persone. È stato… sfiancante.» Si concesse una pausa, durante la quale lasciò indugiare lo sguardo sull'espressione di Elhena. «La stanchezza mi è rimasta addosso per giorni, come se fossi stata testimone di una catastrofe. Non oso neppure immaginare che cosa abbia significato vivere l'azione sulla propria pelle.»

 
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view post Posted on 30/4/2020, 00:35
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Diede un rapido sguardo fuori dalla finestra, verso il cielo, giusto per non ricordarsi di trovarsi su una Torre, troppo distante dal suolo per i suoi gusti.
"No, non direi paura" si arrischiò a dare un giudizio, tornando a fronteggiare Jolene. Appoggio le mani sul davanzale della finestra. "Delusione, forse" continuò, con la fronte aggrottata nel cercare di dare un nome a quanto provato di volta in volta quando uno dopo l'altro i docenti a cui si era bene o male affezionata avevano deciso di lasciare Hogwarts. Per non parlare di quelle amicizie che era riuscita a stringere. Anche molte di quelle si erano perse.
"E anche tristezza. Ci si sente un po' abbandonati" mormorò, parlando un poco al vento. Ammetteva che in alcuni casi la colpa era anche stata sua, che non era mai stata un genio a gestire i rapporti umani. Ma se con persone come Eloise o Niahndra almeno c'era sempre l'occasione di incrociarsi in Sala Comune o a lezione, altri invece erano scomparsi nel nulla.

Fu allora felice per il discorso mossosi su lidi meno emotivamente pesanti.

"Egitto come piramidi e templi o per qualcosa di più diciamo, mondano?" chiese, con un accenno di sorriso per accompagnare la propria battuta. Del resto, l'Egitto era celebre per la sua ricchissima storia e la magia che ancora emanava. Nonostante fossero passati anni, Elhena ricordava ancora le lezioni di Storia della Magia sull'argomento, fosse solo che il ripasso in vista dei GUFO l'aveva portata a rispolverare vecchi appunti e conoscenze.

Allo stesso tempo era inutile negare che in Egitto si potevano anche trovare spiagge stupende e una magnifica barriera corallina. E in fondo non c'era nulla di male a voler mettere da parte i libri per un po' e godersi una vacanza un po' meno intellettuale.


"Però sì, le foto di alcuni templi sono incredibili. Ho visto che alcune hanno ancora in colori originali. Fa strano pensare che siano vecchi di millenni e che siano lo stesso giunti fino a noi."

Le persone che avevano dipinto quegli affreschi erano polvere - o mummificate, in questo caso - da tempo immemore, eppure il loro lavoro persisteva. Loro non c'erano più, ma le loro immagini erano ancora lì, con i medesimi pigmenti in cui quegli artisti avevano intinto dita e pennello.
Fu quasi scontato che le venisse da chiedersi lei cosa avrebbe lasciato, quale sarebbe stata la sua eredità. Ci sarebbe stato tra mille anni, magari, qualcosa per cui parlare ancora di lei? C'era chi perfezionava una pozione, chi inventava un nuovo incantesimo, chi scopriva questa pianta o quella creatura. Professori e ministri, il mondo magico era pieno di gente che era riuscita ad imprimere un segno più o meno profondo e a pensarci si rischiava di finire col credere di non essere all'altezza.


"Un battesimo del fuoco" fu la prima cosa che le venne da dire sull'emergenza che Jolene, da neo-infermiera si era trovata a gestire. "Sai, a volte mi chiedo quanto sia reale. Cioè, le ferite lo sono. Ma non ho ancora deciso se sia un viaggio nel tempo o una simulazione molto realistica."

La frase, che era in generale partita con un tono quasi positivo, cadde di nuovo nella serietà man mano che la ragazza sentiva di nuovo le implicazioni derivanti se l'esperienza fosse stata davvero reale. Non c'era possibilità che tutti quei soldati fossero sopravvissuti e lei era stata complice. Inutile poi girarci attorno, in quegli istanti la possibilità di fare vittime non le era passata nemmeno per l'anticamera del cervello, troppo concentrata nel voler distruggere l'ariete a tutti i costi.

"Credo che stanchezza sia la parola giusta. Quanto al viverlo ..."

Si fermò un attimo a riflettere. In confronto agli orrori che le erano stati accennati da parte di chi si era gettato nella battaglia invece che dedicarsi a operazioni di sabotaggio, quello che aveva vissuto lei era nulla. Alla fine aveva solo fatto esplodere un ariete, ottenuto qualche livido con un kelpie, rischiato di dormire per sempre in un oblio perenne ... insomma, cose da nulla.

"Ecco ... diciamo che per poco non finivo in coma per l'eternità. Per fortuna c'era Thalia. Anche se -" le sfuggì una mezza risatina nervosa "di solito Minerva porta via chi si trova in grave difficoltà, quindi non credo che sarei rimasta laggiù" si affrettò ad aggiungere e non era affatto chiaro se cercasse di convincere Jolene o se stessa.

"Però non ero nel cuore della battaglia. Mi sono ritrovata a svolgere di più, diciamo, azioni di sabotaggio."

 
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