Si ricordava dell'altra strega, l'Infermiera che solo poche settimane prima l'aveva accolta quando, dopo mesi a trascinarsi di giorno in giorno, Elhena si era finalmente scrollata di dosso la propria apatia abbastanza da entrare e chiedere aiuto. Il ricostituente aveva fatto miracoli. Si svegliava ancora all'alba in preda agli incubi da stress pre-esame e la notte, quando miracolosamente aveva finito i compiti per tempo, si buttava sul letto crollando addormentata spesso senza nemmeno essersi messa il pigiama, ma almeno lo faceva in piena salute fisica. O, si poteva dire, le cose andavano meglio di quando era tornata da Gerusalemme.
Non ricordava invece bene il nome dell'Infermiera. La sorprendeva che fosse così giovane, sebbene non fosse una novità a Hogwarts vedere assunto personale che fino a poco tempo prima aveva fatto parte del corpo studentesco, persone che erano state studenti fino a giugno e a settembre stavano dietro una cattedra. Quanti anni poteva avere? Non più di venticinque, quasi di sicuro. A ipotizzare che fosse più giovane, c'erano buone possibilità di averla già incrociata per i corridoi del castello quando era ancoa una studentessa.
Elhena scavò nella memoria, ma le fu impossibile ricollegarla a un viso in particolare, tra centinaia dei quali aveva avuto solo una conoscenza superficiale. Tantomeno ebbe successo nel ricordare con precisione la Casata di cui aveva fatto parte. Avrebbe escluso Tassorosso, per ovvi motivi di frequentazione, ma da lì a scommetterci c'era una bella differenza.
La giovane età dell'Infermiera le suscitava un misto di dubbio e ammirazione.
Ulteriori riflessioni furono interrotte da una lieve beccata sull'orecchio da parte di Cleite. Gli artigli continuavano a stare ben saldi sulla spalla della ragazza. Ritornò alla realtà.
"Di solito se ne sta sul trespolo" rispose, non appena il cervello ebbe elaborato quello che l'Infermiera le aveva detto. "Non immaginavo di trovare qualcuno in Guferia a ques'ora."
Fantastico. Proprio la giustificazione migliore. Di nuovo il becco del gufo nero trovò la delicata pelle del lobo, con una contorsione che solo un gufo avrebbe saputo fare. Elhena tuttavia non si voltò a guardare cosa avesse il volatile per cui insistere tanto. La sua attenzione, infatti, era tutta per la donna davanti a lei e, soprattutto, il batuffolo di piume che, ora se ne accorgeva, teneva in mano.
Paragonata a Cleite, che superava quasi di una spanna la sua testa, quella civetta era uno scricciolo.
* Oddio, le ho ucciso la civetta *
Questo infatti il primo pensiero che attraversò la mente della Tassina quando la piccola civetta si chiuse nell'immobilità del panico. Oppure era proprio andata, infartata, letteralmente morta di paura. E come si sarebbe giustificata? Di fatto il colpevole era Cleite, ma la responsabilità era sua. Non era pronta ad avere una civetta sulla coscienza.
"Siamo in due. A essersi prese un colpo" si affrettò ad aggiungere per amor di chiarezza. "Sebbene immagino sia stato peggio per -" Te? Lei? Odiava quando il confine tra pronomi e rapporti di persone diventava labile. La strega poteva quasi essere sua coetanea, ma faceva comunque parte dello staff. "Te."*
"È in effetti molto piccola, se posso permettermi, non ha difficoltà a portare le lettere?" Faticava a immaginarsi una simile civettina a sfidare le correnti della brughiera scozzese e a volare per miglia da un capo all'altro dell'isola.
"Mi chiamo Elhena, comunque. Elhena Attwater, quinto anno, piacere. Il non ricordare il nome è reciproco, temo."
Che l'Infermiera fosse parte dello staff non garantiva che la Tassina avesse memorizzato il suo nome. Poco ci era mancato che dimenticasse quello della sua stessa Capocasa.
Per la terza volta Cleite tornò ad esigere attenzioni a suon di beccatine. Elhena si decise infine a voltarsi verso l’animale, accompagnato da un mezzo sbuffo e esasperazione e una rapida occhiata di scuse in direzione dell’altro strega.
Non appena i suoi occhi chiari incrociarono quelli ambrati del volatlle, quasi che aver ottenuto quello che voleva lo avesse di colpo stancato, Cleite spiccò il volo in un frullo d’ali verso il trespolo più vicino. Elhena ringraziò tra sé e sé che fosse uno ancora abbastanza ad altezza d’uomo. Nonostante il rapporto un po’ conflittuale che aveva col proprio famiglio, le dispiaceva quando si trovava costretta a usare un altro gufo. DI norma, la cura era peggio del male e un offesissimo Cleite la ripagava con giorni passati a ignorarla. Se tenessi davvero a me, avresti insistito di più, sembrava dire quando si voltava dall’altra parte nell’istante in cui si accorgeva della sua presenza in Guferia.
Allungò con cautela le nocche della mano verso il becco del gufo, un gesto che di solito serviva a testarne l’umore, a patto di avere i riflessi veloci quando il gufo aveva la luna storta. Elhena trattenne il respiro, in attesa, finché non avvertì una lieve puntura. Sospirò di sollievo. Cleite stava poggiando il proprio becco contro le sue dita, senza però arrivare a tagliare la carne. Una piccola tregua. L’assenza di biscottini gufici le valse comunque un’occhiataccia.
“Su, dammi la zampa. Bravo. Porta queste a casa.”
Sarebbero stati poi i suoi genitori a recapitare la seconda missiva ai nonni. Preferiva infatti evitare a Cleite la difficoltà di un percorso a più tappe.
Assicurate le lettere perché Cleite non le facesse cadere, Elhena lo convinse affinché saltasse sul suo braccio e da lì lo portò alla finestra. Da sua abitudine, il gufo si tuffò prima in picchiata per poi riacquisire rapidamente quota e scomparire nel cielo terso della primavera scozzese.
“Giuro che non ho idea di cosa gli sia preso” commentò a favore dell’Infermiera. “Cioè, di solito fa di tutto per ignorarmi.”
* Il dubbio di Elhena si pone solo nella finzione in cui stiamo scrivendo in italiano, perché l'inglese usa sempre lo you
Onestamente, non ho idee di dove voglio andare a parare col gufo in carenza d'affetto.