| — 19 ▴ Hufflepuff▴ Fifth year —◤scheda ◤nervous ◤third floor ◤evening« Spero tu stia scherzando.» « No no lo giuro è tutto vero! È stata proprio l’armatura! » « Un’armatura. » Horus sollevò platealmente il sopracciglio sinistro, esibendosi in quella che era la migliore espressione di scetticismo del suo (vasto) repertorio.« Sí, un’armatura, accidenti! Devi credermi! » Thomas Mudfort, Tassorosso del quinto anno, sospiró e, avvilito, scoccò ad Horus un’occhiata colma di frustrazione. « Non mi credi. » Constatò. Si torceva le maniche della tunica, pieno di nervosismo. « Beh Mudfort aiutami a capire. Io ti presto i miei preziosi appunti di Trasfigurazione, e di certo non perché te li sei meritati… » Spostò il peso da una gamba all’altra ed incrociò le braccia. Horus superava l’altro di una buona decina di centimetri e questo gli permetteva di dare maggiore enfasi al suo discorso. Se fosse stato per lui, a Mudfort non avrebbe prestato nemmeno un calzino. Aveva la fama di essere un contaballe per giustificare la propria imbranataggine, uno pigro che preferiva scroccare i compiti altrui, affinché applicarsi davvero. Aveva un’unica fortuna: Ainsel lavorava nella stessa casa editrice di sua madre Susan. Così, una volta che quest’ultima aveva pregato Ainsel per conto di suo figlio, Horus non aveva potuto evitarlo. « ...E ora mi vieni a dire che questi appunti sono stati rubati da —Pausa— Un’armatura. Un’armatura animata che ti ha tirato un pugno mentre camminavi e che ti ha rubato gli appunti caduti. Scusami tanto, Thomas, ma è difficile da credere anche ad Hogwarts. » Lo scherno permeava ogni singola parola e il viso era indurito da un’espressione severa ed inflessibile. « E secondo te come me lo sono fatto questo? » Lamentoso, Thomas si indicò la fronte dove, in effetti, un voluminoso bernoccolo lo faceva rassomigliare ad un buffo incrocio fra un unicorno e un troll. In un altro contesto, in un’altra situazione umorale, Horus avrebbe riso, ma in quel momento non gli riuscì altro che sentenziare un crudele: « Da solo? » Pur vivendo ad Hogwarts, infatti, ed essendo avvezzi a gabinetti volanti, zuccheriere indisponenti e quadri chiacchieroni, un’armatura che tira di boxe (ladra, per giunta!) era difficile da credere anche in una scuola stramba come quella. Esasperato, Thomas imprecó e batté un piede a terra in una scena veramente patetica. « Senti Sekhmeth puoi anche non credermi, ma vai a vedere con i tuoi occhi! È al terzo piano, appena sali le scale a destra! Sono sicuro che è ancora lì. Magari riesci a recuperare i tuoi appunti e mi crederai! » Sbottó, puntandogli il dito contro il petto in un impeto di nervoso coraggio. « Molto bene. » Rispose lui, serafico, senza muoversi d’un passo. « Ma puntami ancora quel dito addosso e io te lo spezzo e lo lancio a Pix, così può usarlo come stuzzicadenti. » Thomas deglutì e, lentamente, abbassò il braccio: qualcosa nello sguardo dell’altro gli faceva credere che l’avrebbe fatto ben volentieri. Horus, in risposta, gli voltò le spalle « Se non ritrovo i miei appunti, con o senza armatura, saprò con chi sdebitarmi. » E questo bastò a Thomas per rimanere in silenzio e guardarlo andare via. Tutta Tassorosso era a conoscenza del pessimo umore che in quei giorni accompagnava Horus Sekhmeth. Raramente lo si era visto sorridere e altrettanto raramente aveva rivolto la parola a qualcuno. Molti sospettavano che questo avesse a che fare con la sua uscita prematura dal Barnabus, il torneo per cui tutta la Casata aveva tifato per lui per un periodo fin troppo breve. Nonostante avesse sentito qualcuno bisbigliare al suo passaggio, Horus non aveva smentito nulla. Aveva accettato in silenzio e con un sorriso tirato aveva accolto commenti dei compagni che avevano tentato di rassicurarlo. La verità, però, è che la sua sconfitta in sé non rappresentava il fulcro del suo malumore. Oh, certo, ero arrabbiato con sé stesso per come si era lasciato distrarre dal Molliccio, ma era stata la sua reazione e l’incontro con quella creatura ad averlo messo in agitazione. Se chiudeva gli occhi, pensava ancora al suono delle ossa che scricchiolavano e si rivedeva mentre, pietosamente, correva alla porta dello stanzino e cercava di scuoterla per poter uscire. Un idiota Un idiota così spaventato da sentire lo stomaco a soqquadro ogni qualvolta vedeva del cibo.
Camminava contro corrente, mentre un’orda di studenti affamati scendeva le scale per recarsi a cena in sala grande. Dovevano essere le sette di sera o giù di lì e Horus era ben lieto di trovarsi lontano dalla bolgia. Non aveva fame, tanto per cambiare, e così, scansato un gruppo di Corvonero particolarmente rumoroso, saltò sulla rampa in procinto di cambiare giusto in tempo. Il pianerottolo del terzo piano era squisitamente deserto. Con le mani nella tasca dei pantaloni—da quando aveva dismesso la spilla, non indossava la divisa quando non era obbligatorio—, si diresse lentamente dove Thomas aveva indicato. Incontrò qualche armatura a guardia delle porte delle varie aule e ogni qualvolta ne superava una, si soffermava a guardarla; più per ironia, che per reale fiducia nelle parole del concasato. « Di’ un po’, ti senti vivo? » Domandò ironico in direzione di quello che doveva essere stato un soldato tondo quanto una campana. Non giunse risposta —« Ovviamente. »— ed Horus, che si era fermato, scosse il capo e riprese a camminare pigramente. « Thomas Mudfort sei un grandissimo figlio di… » Ma la frase gli morì in gola. Un rumore, in fondo al corridoio che voltava a sinistra, aveva attirato la sua attenzione. Rimase immobile, in attesa, mentre dalla tasca stringeva la bacchetta. Un altro suono, quasi metallico: non doveva essere la sua immaginazione, a quell’ora erano tutti a cena. Rasentò così il muro, camminando veloce, ma silenzioso, pronto a cogliere la fonte del rumore alla svolta. *Sta a vedere che Mudfort aveva ragione?* Un altro passo e lui, rapido, balzò oltre l’angolo, la bacchetta sguainata. « Aha! » ◤Look up at the stars and not down at your feet.◥Code © Horus E UOLLA’. Pensa di fare quello che vuoi, puoi o non puoi essere tu oltre l’angolo, può essere qualsiasi cosa. Insomma, hai completamente carta bianca!
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