Andante con moto., Privata.

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« Spero tu stia scherzando.»
« No no lo giuro è tutto vero! È stata proprio l’armatura! »
« Un’armatura. » Horus sollevò platealmente il sopracciglio sinistro, esibendosi in quella che era la migliore espressione di scetticismo del suo (vasto) repertorio.« Sí, un’armatura, accidenti! Devi credermi! » Thomas Mudfort, Tassorosso del quinto anno, sospiró e, avvilito, scoccò ad Horus un’occhiata colma di frustrazione.
« Non mi credi. » Constatò. Si torceva le maniche della tunica, pieno di nervosismo. « Beh Mudfort aiutami a capire. Io ti presto i miei preziosi appunti di Trasfigurazione, e di certo non perché te li sei meritati… » Spostò il peso da una gamba all’altra ed incrociò le braccia. Horus superava l’altro di una buona decina di centimetri e questo gli permetteva di dare maggiore enfasi al suo discorso. Se fosse stato per lui, a Mudfort non avrebbe prestato nemmeno un calzino. Aveva la fama di essere un contaballe per giustificare la propria imbranataggine, uno pigro che preferiva scroccare i compiti altrui, affinché applicarsi davvero. Aveva un’unica fortuna: Ainsel lavorava nella stessa casa editrice di sua madre Susan. Così, una volta che quest’ultima aveva pregato Ainsel per conto di suo figlio, Horus non aveva potuto evitarlo. « ...E ora mi vieni a dire che questi appunti sono stati rubati da —Pausa— Un’armatura. Un’armatura animata che ti ha tirato un pugno mentre camminavi e che ti ha rubato gli appunti caduti. Scusami tanto, Thomas, ma è difficile da credere anche ad Hogwarts. » Lo scherno permeava ogni singola parola e il viso era indurito da un’espressione severa ed inflessibile.
« E secondo te come me lo sono fatto questo? » Lamentoso, Thomas si indicò la fronte dove, in effetti, un voluminoso bernoccolo lo faceva rassomigliare ad un buffo incrocio fra un unicorno e un troll. In un altro contesto, in un’altra situazione umorale, Horus avrebbe riso, ma in quel momento non gli riuscì altro che sentenziare un crudele: « Da solo? »
Pur vivendo ad Hogwarts, infatti, ed essendo avvezzi a gabinetti volanti, zuccheriere indisponenti e quadri chiacchieroni, un’armatura che tira di boxe (ladra, per giunta!) era difficile da credere anche in una scuola stramba come quella.
Esasperato, Thomas imprecó e batté un piede a terra in una scena veramente patetica. « Senti Sekhmeth puoi anche non credermi, ma vai a vedere con i tuoi occhi! È al terzo piano, appena sali le scale a destra! Sono sicuro che è ancora lì. Magari riesci a recuperare i tuoi appunti e mi crederai! » Sbottó, puntandogli il dito contro il petto in un impeto di nervoso coraggio.
« Molto bene. » Rispose lui, serafico, senza muoversi d’un passo. « Ma puntami ancora quel dito addosso e io te lo spezzo e lo lancio a Pix, così può usarlo come stuzzicadenti. » Thomas deglutì e, lentamente, abbassò il braccio: qualcosa nello sguardo dell’altro gli faceva credere che l’avrebbe fatto ben volentieri. Horus, in risposta, gli voltò le spalle « Se non ritrovo i miei appunti, con o senza armatura, saprò con chi sdebitarmi. »
E questo bastò a Thomas per rimanere in silenzio e guardarlo andare via. Tutta Tassorosso era a conoscenza del pessimo umore che in quei giorni accompagnava Horus Sekhmeth. Raramente lo si era visto sorridere e altrettanto raramente aveva rivolto la parola a qualcuno. Molti sospettavano che questo avesse a che fare con la sua uscita prematura dal Barnabus, il torneo per cui tutta la Casata aveva tifato per lui per un periodo fin troppo breve. Nonostante avesse sentito qualcuno bisbigliare al suo passaggio, Horus non aveva smentito nulla. Aveva accettato in silenzio e con un sorriso tirato aveva accolto commenti dei compagni che avevano tentato di rassicurarlo. La verità, però, è che la sua sconfitta in sé non rappresentava il fulcro del suo malumore. Oh, certo, ero arrabbiato con sé stesso per come si era lasciato distrarre dal Molliccio, ma era stata la sua reazione e l’incontro con quella creatura ad averlo messo in agitazione. Se chiudeva gli occhi, pensava ancora al suono delle ossa che scricchiolavano e si rivedeva mentre, pietosamente, correva alla porta dello stanzino e cercava di scuoterla per poter uscire.
Un idiota
Un idiota così spaventato da sentire lo stomaco a soqquadro ogni qualvolta vedeva del cibo.

Camminava contro corrente, mentre un’orda di studenti affamati scendeva le scale per recarsi a cena in sala grande. Dovevano essere le sette di sera o giù di lì e Horus era ben lieto di trovarsi lontano dalla bolgia. Non aveva fame, tanto per cambiare, e così, scansato un gruppo di Corvonero particolarmente rumoroso, saltò sulla rampa in procinto di cambiare giusto in tempo. Il pianerottolo del terzo piano era squisitamente deserto. Con le mani nella tasca dei pantaloni—da quando aveva dismesso la spilla, non indossava la divisa quando non era obbligatorio—, si diresse lentamente dove Thomas aveva indicato. Incontrò qualche armatura a guardia delle porte delle varie aule e ogni qualvolta ne superava una, si soffermava a guardarla; più per ironia, che per reale fiducia nelle parole del concasato.
« Di’ un po’, ti senti vivo? » Domandò ironico in direzione di quello che doveva essere stato un soldato tondo quanto una campana. Non giunse risposta —« Ovviamente. »— ed Horus, che si era fermato, scosse il capo e riprese a camminare pigramente. « Thomas Mudfort sei un grandissimo figlio di… » Ma la frase gli morì in gola. Un rumore, in fondo al corridoio che voltava a sinistra, aveva attirato la sua attenzione. Rimase immobile, in attesa, mentre dalla tasca stringeva la bacchetta. Un altro suono, quasi metallico: non doveva essere la sua immaginazione, a quell’ora erano tutti a cena. Rasentò così il muro, camminando veloce, ma silenzioso, pronto a cogliere la fonte del rumore alla svolta. *Sta a vedere che Mudfort aveva ragione?*
Un altro passo e lui, rapido, balzò oltre l’angolo, la bacchetta sguainata.
« Aha! »
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E UOLLA’. Pensa di fare quello che vuoi, puoi o non puoi essere tu oltre l’angolo, può essere qualsiasi cosa. Insomma, hai completamente carta bianca!
 
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view post Posted on 26/5/2019, 21:31
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serpeverde IV anno 18 anni
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William Black
Il sole e la luna sono due astri che, per antonomasia, sono destinati a vivere due vite separate e distinte. Vi è però un'occasione che può portare ad un cattivo presagio o ad uno spettacolo meraviglioso: L'eclissi, il sovrapporsi di uno degli astri sull'altro, generando un gioco di luci in grado di ammaliare o scatenare terrore.

Di recente, William aveva passato più ore in biblioteca che in sala comune. Sentiva le narici impregnate dell'odore di polvere e vecchie pergamene, un profumo familiare che aveva sempre apprezzato ma che negli ultimi giorni aveva cominciato a mal sopportare. Ormai ricordava perfettamente la disposizione di ogni mobilia, pezzo d'arredamento, scaffale, reparto e - per poco - non era in grado di decantare ogni singolo autore dei libri di Trasfigurazione. La bibliotecaria aveva preso a scuotere la testa ogni qual volta lo vedesse entrare e - per quanto il giovane lo ritenesse un gesto insopportabile - vi era poco da biasimarla. Negli ultimi giorni il Barnabus lo aveva costretto a studiare più del solito, arrivando a fargli saltare dei pasti e persino alcune delle lezioni meno importanti. Passata la prima prova, il numero di sguardi su di lui era aumentato, così come erano aumentate anche le invidie altrui; per questo la biblioteca si era confermata un ottimo tempio in cui estraniarsi da atteggiamenti che lo facevano sentire un pesce fuor d'acqua, più di quanto lui non facesse già normalmente. Accantonato il reparto di Trasfigurazione, William aveva trovato un nuovo nido in quello di pozioni in cui aveva iniziato a portarsi avanti rispetto al programma scolastico. In quella materia si sentiva decisamente più navigato ma, al contempo, sentiva sulle spalle un maggior peso. Che i concasati si aspettassero da lui grandi cose, visti i risultati ottenuti durante le Giornate della Pozione, non poteva fregargliene di meno; ma dal peso delle sue stesse aspettative, proprio non poteva liberarsi.

Era uscito tardi dalla biblioteca. Se non fosse stato per i brontolii insistenti del suo stomaco, probabilmente avrebbe saltato anche quel pasto ma si costrinse a dedicare del tempo anche alla sua salute. La maggior parte degli studenti aveva già abbandonato aule e sale comuni per dirigersi a pian terreno e la classica folla dell'ora di punta era andata scemando, lasciando William in pace per i corridoi. Viste le temperature miti degli ultimi giorni, della divisa scolastica erano rimasti unicamente camicia bianca e pantaloni mentre sottobraccio portava un quaderno su cui aveva appuntato tutti quegli ingredienti con cui riteneva di non avere sufficiente familiarità. Sceso al terzo piano, superata l'aula di Incantesimi, aveva notato una statua alla sinistra dell'ingresso e due alla sua destra; Black non si capacitò di come avesse fatto a non notare prima quell'incoerenza simmetrica all'interno del castello e la curiosità lo spinse a fermarsi. Indispettito, si avvicino alla terza statua, quella che riteneva fuori posto: era identica alle altre due, stessa armatura e stessa posa; l'unico dettaglio che gli fece storcere il naso era la visiera dell'elmo leggermente alzata. Un colpo delle dita, un pesante stridio di metallo e la sistemò, deciso a mettere una croce su quell'episodio.
Proseguì, ormai pronto a svoltare l'angolo quando si vide puntata alla carotide una bacchetta. La sorpresa lo paralizzò e fu un bene, dato che mai avrebbe accettato di mostrarsi spaventato di fronte allo studente che gli stava puntando contro l'arma: Horus Sekhmeth. La sua figura era sbucata all'improvviso, lasciando il serpeverde completamente indifeso. Nella sua mente iniziarono a formarsi diverse risposte e altrettante domande. Portava rancore per le sorti del Barnabus? Era davvero così infantile da scendere a tanto? Stentava a crederci ma non lo conosceva abbastanza da poterlo escludere. Certo non si trovava nella posizione per riflettere a mente lucida, per quanto freddo e composto potesse mostrarsi Black, disarmato era alla mercé di qualunque incantesimo Horus avesse in serbo per lui.
«Sekhmeth - Lo sguardo indignato, il tono rabbioso - che diavolo stai facendo?»
Deciso a prendere tempo la mano destra scivolò verso l'impugnatura del legno di pioppo, riposto nella tasca posteriore dei pantaloni. Si mosse lentamente mentre il suo sguardo oscillava dagli occhi del tassorosso alla mano con cui reggeva l'arma. Qualunque fossero i suoi intenti, certo William non aveva la minima intenzione di restare lì a guardare. Una volta raggiunta l'impugnatura della bacchetta, avrebbe fatto un piccolo scatto a sinistra, abbastanza da destabilizzare il ragazzo e disarmarlo con un Expelliarmus. L'avrebbe fatto se solo non avesse sentito un dolore lancinante alla schiena, dovuto ad un impatto con un oggetto non identificato che lo fece rovinare a terra. Ammaccato, William vide la figura di un'armatura che si alzava la visiera dell'elmo per riporvi all'interno il quaderno arrotolato in cui aveva annotato gli ingredienti. In mezzo a quella confusione, l'armatura animata si guardò attorno prima di cominciare la sua fuga o - quantomeno - un suo tentativo.

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view post Posted on 20/6/2019, 17:33
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Nell’attimo prima di piombare oltre l’angolo, solo una remota parte del suo cervello gli aveva chiesto se fosse veramente certo di ciò che stava per fare. Horus non si era soffermato a pensare, trasportato dall’enfasi di aver trovato quei benedetti appunti e sorpreso lui stesso per la veridicità di quanto gli era stato raccontato. Se tramite un’armatura incantata o nelle sembianze proprio di Mudfort poco importava, purché avesse riavuto ciò che era suo. Tuttavia nulla poté prepararlo a chi incontrò alla svolta del corridoio. Rimase stupidamente nella posizione d’attacco osservando, confuso, il volto pallido di William Black. Intercorse, così, un lungo momento di tacito silenzio e palpabile sorpresa che percepì chiaramente condivisa tra loro. La voce del Serpeverde, ripresosi, sibilò ed ebbe lo stesso effetto di uno schiaffo in pieno viso. Horus roteò gli occhi verso l’alto, sbuffando, ed abbassò la bacchetta, sentendo bruciare lo stomaco per quella magra figura.
« Calmati, Black, ignoravo fossi tu. » Lo liquidò, atono, scoccando una rapida occhiata alla mano di lui che si muoveva lenta, presumibilmente pronta a cingere la propria arma. Nonostante la condivisione delle avventure con la Scuola di Atene, Horus non conosceva affatto William Black né aveva mai prestato troppa attenzione alle dicerie degli altri studenti. Si diceva che fosse un tipo sospetto, incapace di farsi degli amici e le ragazze si dividevano tra coloro che ne fuggivano lo sguardo perché spaventate e coloro che sospiravano per il suo aspetto misterioso e nostalgico. Non si sapeva granché di lui e forse era proprio la sua riservatezza a condannarlo alle chiacchiere di studenti annoiati, un destino che sfortunatamente condivideva anche lui. L’unica cosa che Horus sapeva era che quel ragazzo, sottile come un giunco e dagli occhi pungenti, era ancora un Campione del Barnabus e lui, invece, no. Le sue dita ebbero uno spasmo involontario e con la scusa, Horus abbassò lo sguardo sulla propria bacchetta per rinfoderarla nella cintura, avanzando di un passo per proseguire la ricerca. Fu per questo che non notò l’armatura che, quatta quatta, era uscita da un angolino e aveva spinto con forza il corpo del ragazzo per sottrargli il quaderno. William venne così spinto in avanti e più per riflesso che per reale intenzione, Horus si sporse in avanti nel tentativo di attutire la caduta, ma la posizione e la velocità fu tale che si ritrovò a terra anche lui senza avere il tempo di dire nemmeno una parola. Basito, con i palmi a terra, guardò l’armatura ladra darsela a gambe imboccando le scale.
« Ah! È lei! La vacca ruba-appunti! » Gridò puntando il dito contro lo sferragliante ammasso di metallo. Balzò in piedi di tutta fretta e guardò velocemente William.
« Ecco cosa diavolo stavo facendo. » Aggiunse, ironico, prima di lanciarsi al suo inseguimento. Non ebbe modo di notare che persino Black era stato derubato così non perse tempo ad aspettarlo. Scattò veloce, sfilando la bacchetta e macinò i pochi metri che lo separavano dalla scala, cominciando a salirne i gradini a due a due.
L’armatura, tuttavia, era ben più furba di quanto ci si aspettasse da lei, e così, frenando improvvisamente la sua corsa sul pianerottolo, emise un sordo rumore cigolante e spinse giù sulla rampa le due compagne inanimate che vegliavano l’ingresso del corridoio. Le armature andarono in mille pezzi e rotolarono rumorosamente sugli scalini.
« Merda. »
Rapido, Horus tentò di evitarli ma proprio quando superava un pezzo di piede, un pesante quanto appuntito elmo bacinetto rimbalzò su un gradino e lo prese dritto sulle ginocchia, infilzandosi come uno spiedo. Con un gemito il Tassorosso si piegò in avanti, puntando un Protego davanti a sé per ripararsi dalla pioggia dalla frana medievale che l’aveva investito.
L’armatura nel frattempo se l’era svignata, lasciandosi dietro solo l’eco di una metallica sghignazzata.
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Scusa mucho el ritardissimo! :zalve:
 
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view post Posted on 3/7/2019, 23:30
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William Black
Rimase disteso a terra per diversi secondi, il dolore alla schiena era lancinante ma ciò che più gli doleva era il mento, sbattuto all'impatto col pavimento. L'essersi ritrovato improvvisamente gambe all'aria e il forte colpo alla mascella lo lasciarono stordito e disorientato. Persa la bussola, non si accorse dell'effetto domino che la sua caduta aveva avuto su Horus ma il tassorosso ebbe tutto il tempo di rialzarsi e superarlo prima che William riusce a riprendere il controllo dei sensi. Si rialzò a fatica e raccolse sia la bacchetta sia la dignità che sentiva di aver perso a fronte di quell'umiliazione. Non solo era saltato a conclusioni affrettate, passando per idiota per aver quasi dato inizio ad una rissa tra studenti, era anche stato colpito alle spalle e atterrato dal frutto dell'incantesimo di qualche incompetente incapace di controllare la trasfigurazione animata. Di tutte le persone di fronte a cui avrebbe voluto fare una simile magra figura, l'adepto di Tosca era sicuramente l'ultimo della lista.
Era conscio di non poter ignorare né lo studente né l'armatura, specie dopo che questa gli aveva rubato il quaderno degli appunti, dunque cercò di recuperare terreno, avvicinandosi alle scale a passo sostenuto; con la testa in subbuglio, correre non era certamente un'opzione. Si fermò di colpo quando vide pezzi di ferraglia rotolare giù per le scale. Che si trattasse dell'armatura? Eppure non aveva visto Horus usare alcun incanto. Riprese a marciare ancor più in fretta, spinto questa volta anche dalla curiosità. Ciò che vide fu l'armatura animata svignarsela mentre Horus veniva colpito poco prima di lanciare un Protego per difendersi. Nessun segno di scherno apparve sul volto di Black ma quell'episodio lo aiutò a tranquillizzarsi, almeno adesso avevano entrambi un episodio da dimenticare. Rimase immobile qualche istante, il tempo di veder rotolare giù dagli scalini l'ultimo frammento dell'armatura usata come diversivo. Prese dunque a salire le scale osservando le spalle del rosso mentre lo raggiungeva.
«Non so perché tu stia dando la caccia a quella - Una breve pausa, gli sembrava ridicolo dirlo ad alta voce - armatura. » Una volta raggiunto, non si degno di rivolgergli lo sguardo mentre gli parlava.
«Ma ha rubato il mio quaderno quindi posso occuparmene io.» Ignaro del fatto che Horus avesse il suo stesso scopo, William lo aveva appena invitato a farsi da parte. Certo non avrebbe lasciato la ricerca dei suoi appunti al Tassorosso e, ancor più certamente, non avrebbe voluto condividere con lui <i>graditi piaceri
di quell'imprevisto. Per qualche strano motivo, dal suo tono di voce risultava persino più scorbutico del solito. Era noto che Black tendesse ad importunare più di frequente le ragazze, trovando più facile imbarazzarle o creare situazioni equivoche; con i ragazzi invece si limitava soltanto a rispondere ad eventuali provocazioni, ignorandoli quando non aveva motivo di attaccar con loro bottone. Anche per questo motivo, probabilmente, William non aveva mai approfondito la conoscenza con Sekhmeth, persino quando si erano ritrovati come compagni di squadra nelle bizzarre avventure imbastite da Peverell. Sapeva poco di lui e quel poco non era che il frutto dei chiacchiericci che si dipanavano per i corridoi. Sia durante le feste che le escursioni della scuola di Atena, lo aveva sempre visto circondato dalle persone, considerato da molti un leader carismatico. Il Serpeverde si era fatto un'opinione tutta sua nel vederlo in azione, in un certo senso lo stimava per la padronanza che aveva degli incantesimi ma il suo concetto di stima era decisamente distorto, impossibile da paragonare a quello altrui. E allora perché quel tono? Ora che Horus era stato estromesso dal Barnabus, William avrebbe avuto tutti i motivi per ritenersi soddisfatto, in modo trasversale poteva sentirsi migliore di lui, aveva persino il colpo pronto in canna, avrebbe potuto provocarlo come e quando voleva. Eppure niente, sul suo volto non vi era dipinta la solita espressione sorniona, al contrario era scuro, incupito, come se gli fosse stato strappato via qualcosa.

Poco importava perdersi in quei pensieri. Sentiva l'impellenza di allontanarsi da lui e rivendicare l'affronto subito occupandosi di quella maledetta armatura. Proseguì con tranquillità, sapeva di aver perso di vista quell'ammasso di ferraglia e non voleva sottovalutarla, specie dopo il modo in cui era riuscita a mettere in ridicolo un ex-caposcuola e un ex-prefetto; correre lo avrebbe solo portato a sprecare energie e a perdersi preziosi dettagli.
Sottecchi, tornò a fissare Horus, non aveva idea di come avrebbe risposto alla sua affermazione, lo riteneva un tipo sufficientemente orgoglioso da impuntarsi ma allo stesso tempo non portava più la spilla al petto, non era più un suo dovere morale. Sperò fino all'ultimo di vederlo desistere o non sarebbe riuscito a liberarsi di quel bruciore che gli infiammava la bocca dello stomaco.

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view post Posted on 14/7/2019, 11:55
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Il dolore che si era diramato improvvisamente dal ginocchio gli aveva momentaneamente tolto il respiro e appannato la vista. Il Protego fu una benedizione poiché un pezzo di spallaccio era venuto già con così tanta velocità che rimbalzò sulla parete magica e piombò giù dalla tromba delle scale; non fu chiaro se giunse mai a terra o se rimase sospeso in chissà quale limbo spazio-temporale. Fatto sta che Horus era piegato in avanti, la mano libera stretta al ginocchio e una serie di imprecazioni ben stampate nella mente, così colorite da far impallidire uno scaricatore di porto. E a contribuire al nervosismo, maggiormente amplificato dopo quell’episodio, ci pensò Black. Con tempismo disarmante e con la giusta scelta di parole —prive di sarcasmo, ma non per questo più sopportabili— William acuì l’ira di Horus che provò il forte desiderio di Schiantarlo giù di sotto, a far compagnia allo spallaccio.
Si trattenne, a fatica, dal sibilare un vaffanculo tra i denti (non era proprio il caso e, del resto, Black non era stato così sgradevole) e anzi, piuttosto si rimise in piedi proprio quando il ragazzo lo aveva raggiunto. Il ginocchio doleva, ma l’orgoglio in quel momento bruciava ancora di più e tanto bastava. Lui l’aveva battuto al Barnabus (in un certo senso), non poteva permettergli anche di affrontare quella stramaledetta armatura da solo, come un cavaliere risolvi-problemi. Così non disse nulla mentre riprendeva velocemente a salire le scale come se nulla fosse —con tanti ringraziamenti dalla sua rotula.
« No grazie. » Rispose piuttosto brevemente, accelerando il passo e cercando di colmare in fretta l’ultima rampa. Con lo sguardo già cercava tracce della malandrina che, tuttavia, sembrava essere sparita nel nulla.
« Ha anche i miei, di appunti, perciò è anche un mio affare. » Concluse brevemente, atono, mentre giungeva sul pianerottolo. Si voltò appena, osservando velocemente il viso di Black che camminava più tranquillo. Avevano due approcci diversi: Horus era istintivo, predatore e per quanto fosse stato preso alla sprovvista, teneva conto del fatto che in quell’occasione, oltre che furbizia, bisognava puntare sulla velocità. William, invece, gli sembrava un tipo molto più cauto, più riflessivo quasi all’esasperazione; gli ricordò, in un certo senso, il se stesso di qualche tempo prima, quando ancora non si era abbandonato all’Istinto che ormai aveva cominciato a guidarlo. Su una cosa, però, entrambi convergevano i loro diversi modi di essere: non erano degli sprovveduti e possedevano il dono, raro, della Razionalità.
Per un solo istante, mentre guardava quel volto impassibile e freddo, gli occhi verdi glaciali che scrutavano la zona, gli venne in mente che forse era il caso di collaborare, avendo entrambi un obiettivo in comune. Ma quella frustrazione che albergava nel suo petto e che contaminava, in quei giorni, qualsiasi buon pensiero negò seccamente quella proposta e Horus si voltò bruscamente, lasciando indietro il ragazzo e procedendo a passi spediti.
Giunse così al termine della grande anticamera che, per loro sfortuna, sfociava in ben tre corridoi diversi. Pur tendendo le orecchie, non si udivano rumori ed Horus sospirò, chiudendo gli occhi per un istante e stringendo la presa sulla bacchetta: quanto lo avrebbero punito se avesse castato un Bombarda ovunque?
« We, amico. » Una voce gracchiante lo ridestò da quel mistico momento ed Horus si guardò intorno. Vide Black e con aria un po’ perplessa gli scappò un interrogativo: « Come mi hai chiamato, scusa? »
« Ma no, sono qui, in alto! »
Sempre più confuso, Horus seguì la voce e, poco sopra di lui, appeso alla consunta parete, c’era il quadro di un buffo signorotto, probabilmente vissuto nel Rinascimento. Il viso rubicondo, circondato da una barba bianca di dubbio gusto ed un eccentrico cappello piumato lasciavano immaginare che il tizio fosse stato, in vita, un Mago alquanto bizzarro.
« Cercate l’armatura, vero? » Li guardò con fare complice e poi, senza nemmeno attendere una risposta aggiunse: « È andata di là! » Ed puntò col dito il corridoio centrale. Horus seguì con lo sguardo l’indicazione e aggrottò la fronte, incerto. Chi mai l’aveva visto quel quadro?
« Non date retta a quell’ubriacone! È andata di qua! » Questa volta a parlare fu il ritratto di una donna anziana dal naso pronunciato e occhietti da topo, vestita in modo altrettanto stravagante e posizionata esattamente dal lato opposto del Mago. Indicava il corridoio di sinistra, quello a lei più vicino.
« Ve lo dico io, quello non ci capisce un bubotubero! »
« Cosa, cosa? Brutta megera, sei tu che sei cecata! Li confondi! »
« No, tu li confondi, Vermicolo che non sei altro! »
« Ah, fantastico. » Fu tutto ciò che Horus riuscì a dire, portandosi una mano alle labbra con fragilissima calma.
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William Black
La risposta di Sekhmeth arrivò fredda, atona, portatrice di un messaggio che William aveva sperato di non sentire: non avrebbe desistito. Stando alle sue parole, quell'armatura era una ladra seriale di appunti scolastici, qualcosa che William non riusciva a classificare in nessun contesto logico. Per un momento arrivò persino a pensare che fosse un tentativo di Nieve di sabotarlo ma in quel caso non avrebbe avuto senso mirare anche al Tassorosso, dal momento che non faceva più parte dei giochi. L'armatura folle non poté che ricordargli anche l'episodio con Thalia, durante la lezione di Barrow; quella volta era stato proprio Black a creare accidentalmente un manichino impazzito, tanto che la ragazza ci era quasi rimasta secca. Di certo lei e Minotaus non aveva gradito e sarebbe stato impossibile nonché superfluo spiegargli che non era stato intenzionale. Ad ogni modo, rispetto al manichino animato dal Serpeverde, quell'armatura era molto più scaltra, manipolata sicuramente da un incantesimo ben più potente e preciso. Non si limitava ad eseguire un ordine specifico: si nascondeva, attaccava, scappava e rubava appunti; chiunque l'avesse animata doveva essere molto esperto o molto incapace, il confine era labile.

Per fortuna, anche Horus sembrava non gradire particolarmente la compagnia di William, tanto che scelse un approccio più dinamico ed istintivo. Lo superò rapidamente, raggiungendo il piano superiore prima di lui ma parve fermarsi poco dopo, bloccato dalla scelta dei tre corridoi.
Seppur in modo soffuso, gli parve di sentire un vociare indistinto, suono che attirò anche Horus - decisamente più vicino di lui al punto d'origine. Quando questo si voltò per rivolgersi al Serpeverde, Black aggrottò la fronte in un'espressione a cavallo tra il dubbioso e l'infastidito. *Ma chi ti considera.* Trattenne a forza quel pensiero sulla punta della lingua e si limitò a colmare le distanze. A quanto pare, il vociare proveniva da due quadri, disposti uno di fianco all'altro ed entrambi rappresentati due figure estremamente bizzarre. Da come parlavano, sembrava impossibile fidarsi di loro e - come se non bastasse - le loro testimonianze erano opposte. William, sicuramente meno affabile del Tassorosso, etichettò immediatamente i dipinti come inutili e - in quanto tali - non gli rivolse la minima attenzione. Scelse invece di osservare i vari corridoi, cercando una qualunque pista che potesse indicargli una direzione. Era strano che non vi fosse alcun suono di ferraglia, quell'armatura faceva un modesto baccano mentre correva mentre adesso vi era un silenzio piatto, quasi inquietante. Gli venne in mente di come avesse incrociato un'armatura in più, prima di incontrare Sekhmeth e di come questa avesse la visiera dell'elmo leggermente aperta. Sapendo cosa cercare, al Serpeverde non fu diffcile individuare un gruppo dispari di armature, lì dove ve n'erano sempre state un numero pari. Entrambi i dipinti mentivano, l'armatura non era andata da nessuna parte.
«Hey» Si rivolse ad Horus sottovoce. Detestava l'idea di collaborare ma, se il ragazzo se ne fosse andato per fratte, poi avrebbe dovuto consegnargli il quaderno o cercare qualcuno che lo facesse in sua vece. Tra i due mali, scelse di sopportare ancora qualche minuto la sua compagnia, così da potersene poi liberare definitivamente. «Guarda lì.» Gli indicò il gruppo anomalo di armature con lo sguardo, dopodiché rivolse uno sguardo tagliente ai quadri, che evidentemente dovevano annoiarsi parecchio per trovare divertente quel siparietto. Si avvicinò dunque alle armature lentamente, facendo cenno ad Horus, colla mano libera, di essere prudente, evitando mosse affrettate. Non poteva esaminare tutte le armature una ad una da vicino o rischiava di prendersi una testata di ferro sul muso, puntò quindi la bacchetta sul gruppo e, atono, pronunciò la formula di appello. «Accio quaderno.»

Sentiti libero di scegliere l'evolversi della vicenda come preferisci. L'armatura è effettivamente lì? L'incanto funziona? La terra è piatta?

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Il nervosismo, acuito dal dolore e dall’umiliazione da poco ricevuta, aveva ormai raggiunto gli argini di una pazienza al limite delle sue forze. Horus stava effettivamente considerando l’idea di dare fuoco a quei maledetti quadri, fondere l’armatura e, nel dubbio, Obliviare Black, unico testimone di quell’assurda caccia al ladro. Nessuno avrebbe saputo che era stato proprio lui e Gazza, del resto, avrebbe facilmente incolpato Pix per l’incendio. Sì, si disse mentre si massaggiava le palpebre, in sottofondo le voci dei quadri che litigavano, poteva funzionare. 
Poi, però, il sussurro di William lo destò dal piano di vendetta ed Horus abbassò lentamente la mano, guardandolo di sottecchi. Riluttante seguì lo sguardo del Serpeverde ed i suoi occhi incontrarono un gruppo di armature. Alzò il sopracciglio, inizialmente confuso da quell’indicazione, poi, contandole, capì e schiuse le labbra.
« Figlia di…» Bisbigliò, quando individuò un elmo con la visiera alzata. Abbassò lo sguardo, laddove c’erano le placche di ferro delle ginocchia e notò delle ammaccature laddove qualche minuto prima Horus aveva colpito la ladra di libri con una fattura. Era lei. 
Finse indifferenza, mentre i quadri, dimentichi di loro, avevano preso a lanciarsi epiteti ben poco adatti a dei signori della loro epoca e allungò una mano verso William che gli aveva voltato le spalle. Per un lungo momento fu tentato di poggiare le dita contro la spalla del ragazzo, invitandolo a non avvicinarsi, ma quell’attimo di tentennamento bastò per perdere l’occasione. William si mosse lentamente, cauto, ed Horus se la cavò con un semplice spasmo della mano destra che prontamente abbassò. Rimase invece fermo al suo posto, piegando leggermente il capo di lato per osservare il Serpeverde che gli faceva cenno di prestare attenzione.

« Io non lo farei… » Sussurrò in sua direzione quando capì cosa Black avesse intenzione di fare. Per quanto frutto di una trasfigurazione maldestra e mal riuscita, quell’armatura era tanto furba quanto potenzialmente pericolosa. Certo, non si trattava di un manufatto oscuro —e ci mancherebbe— ma se l’era cavata fin troppo agilmente per essere solo un ammasso di rottami. 
Così, mentre William alzava la bacchetta, Horus strinse la sua, pronto ad un’eventuale rappresaglia dell’armatura. Questa, avvertito il pericolo, sobbalzò con un rumore metallico e poi, spingendo le altre compagne inanimate —che oscillarono pericolosamente—, provò a svignarsela. L’incantesimo di Appello di Black fu più veloce e la colse proprio un attimo prima della sua fuga. L’armatura si fermò di scatto e poi ebbe come degli spasmi; la mano guantata si posò laddove ci sarebbe dovuto essere uno stomaco ed Horus la guardò inorridito. Poi la visiera si spalancò e l’armatura rigettò tutti i quaderni rubati: non solo Horus riconobbe il suo, ma molti altri vennero fuori, saettando contro Black con la loro mole di pergamene svolazzanti e fogli sparsi come uno sciame d’api decisamente ingombrante.
« Expello! » Esclamò Horus, puntando la bacchetta verso i quaderni e scacciandoli in direzione opposta a dove si trovavano lui e Black. Questi deviarono bruscamente e caddero a terra, ben lontani dall’armatura che ora, approfittando del momento, si stava raddrizzando, pronta a svignarsela. 
« Mannaggia Black, prendila! » Gridò Horus, lanciandosi all’inseguimento della baldracca intenta a filarsela per il corridoio di sinistra ed incitata dai quadri dei due Maghi stravaganti. Prima di farlo, però, l’armatura diede una pedata alle compagne inanimate che, ancora oscillanti, rovinarono l’una contro l’altra con un terribile effetto domino. Un forte rumore di ferraglia rimbombò per tutto il piano: elmi scompagnati rotolarono per terra come tante gobbiglie; spalletti e cubitiere rimbalzarono con un tintinnio di padelle mentre busti, gambe e piedi si ammassavano l’una sull’altra con un gran baccano. Horus si arrestò un attimo prima di capitombolare anch’egli addosso all’ecatombe di armature, mentre, in lontananza, scagliava una fattura Impedimenta, mancando per un pelo la ladra fuggitiva.
L’eco del frastuono continuò a diffondersi per le scale, mentre una gran cagnara alimentata dai vari quadri che si lamentavano d’esser stati svegliati o interrotti si univa al marasma. Neanche un secondo dopo un urlo rauco ed isterico si alzò da qualche piano più in basso.

« Piiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiix!!! »
Gazza stava salendo le scale. 


◤Look up at the stars and not down at your feet.◥Code © Horus



Abbiamo i quaderni, ma siamo bloccati su due lati; la vacca se l’è svignata. A te la scelta. :flower:
 
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6 replies since 24/5/2019, 18:29   281 views
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