Vibrazioni , Annullata.

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 8/3/2019, 12:52
Avatar

Ocean eyes.

Group:
Caposcuola
Posts:
9,900
Location:
Nowhere

Status:




Megan M. Haven ¬
Prefetto Corvonero | 17 Anni




Era una giornata uggiosa, le mura del castello venivamo accarezzate dalla leggera pioggia. Il suono ovattato e rilassante si effondeva nella stanza, addolcendo il sonno di chi, quella mattina di un Sabato qualunque, cercava di recuperare la stanchezza della settimana passata.
Megan era in piedi nel silenzio, le linee morbide del tessuto di seta le accarezzavano il corpo asciutto e la luce illuminava ogni curva e lineamento delicato. Braccia conserte e occhi rivolti verso il grigiore di quel panorama, al di là dei tagli irregolari delle gocce sul vetro dell'ampia finestra.
Era sveglia da un po', l’ansia che l'aveva intrappolata nella sua morsa, non più data dai suoi soliti mostri interni ma per l’attesa di una risposta che a breve sarebbe arrivata, la stava logorando. Qualche giorno prima aveva deciso di partecipare al Barnabus, di mettere in pratica le sue capacità davanti a centinaia e centinaia di persone che ne avrebbero parlato per anni. Era tesa come una corda ma i suoi intrecci erano duri, consistenti e difficili da spezzare. Sapeva che qualsiasi cosa sarebbe andata ad affrontare, l’avrebbe accolta con la massima consapevolezza nelle sue capacità spingendole al meglio. Era solita dare il massimo, senza crogiolarsi in cose inutili, senza avere pensieri di probabili fallimenti: dritta all’obiettivo, con qualsiasi metodo e mezzo a disposizione. Non sapeva cosa l’avrebbe accolta all’effettivo - se fosse stata lei la scelta - ed era questo a preoccuparla. Sapeva che la situazione in cui si trovava era solo lo step iniziale con il quale doveva fare i conti ogni volta che attendeva qualcosa di importante, ogni volta che desiderava tantissimo qualcosa. Doveva solo aspettare e lei odiava farlo, la pazienza non giocava a suo favore quasi mai.
Un leggero miagolio le fece abbassare lo sguardo: Damon era lì e richiedeva attenzioni. Così si accucciò accarezzando il manto soffice cinereo, delineando lentamente e delicatamente con le dita le linee perfette che attraversavano il pelo dalla testa alla coda.
Si lascio cullare dalle fusa mentre gli occhi dolci posavano sulle iridi feline; un’altra carezza e si sollevò avanzando verso lo specchio.
Poche volte si era incontrata con se stessa, altrettante si era detta di prendere ogni cosa e buttare tutto alle proprie spalle andando avanti. Era inutile, ogni volta che si osservava riusciva a vedere perfettamente i segni indelebili di un dolore troppo grande con il quale avrebbe dovuto convivere per l’eternità. Ce la doveva fare, doveva cercare di prevalere su quella macchia nera che lentamente le aveva sporcato i vestiti, addentrandosi sulla pelle e salendo, in maniera incisiva, fino al volto quasi a soffocarla. Era riuscita per un pelo a riemergere e sapeva di chi era il merito.
Gli occhi indugiarono su ogni lineamento, le mani cercarono di coprire i segni evidenti del tormento e della stanchezza, pettinarono i lunghi capelli corvini e successivamente si lasciarono guidare fino a togliere il pezzo di tessuto azzurro.
Le gambe si infilarono nella gonna della divisa, poi indossò la camicia che venne chiusa lasciando liberi i primi due bottoni. Nessuna cravatta a stringerle il collo, vi era l'amuleto poggiato su di esso che nascose sotto il tessuto in popeline bianco. La spilla, poi, venne fermata sul morbido maglioncino aperto mentre vagava silenziosamente nella stanza alla ricerca delle scarpe abbandonate la sera prima. Qualche istante dopo era pronta per uscire: non sapeva cosa avrebbe fatto così presto in una giornata come quella, che non permetteva nemmeno di godersi un po' d'aria fresca, ma nel mentre la Sala Grande veniva preparata, per accogliere la gustosa colazione, si sarebbe concessa un giro nella tranquillità più assoluta.
Prese la boccetta di profumo fra le mani, prelevandola dal sul contenitore e - mentre due, tre, quattro spruzzi di liquido le inumidirono appena la pelle - la scatola vuota cadde a terra spinta da un piccolo libricino, l’unico a cui faceva da fermo.
Abbandonò la boccetta in vetro sul legno e si piegò sulle ginocchia a raccogliere l'oggetto. Sapeva cos’era, sapeva cosa conteneva e si chiese se sarebbe stata la cosa giusta da fare dopo così tanto tempo. Tutto sembrava condurla ad un'unica decisione: il sogno lucido fatto pochi giorni prima e poi ciò che era accaduto in quegli istanti. Quante volte aveva ripetuto la stessa azione ogni giorno eppure nulla era mai successo. E ora? Forse la sua poca lucidità sulla questione la stava facendo andare oltre ma non le importava affatto, per lei aveva un significato.
Strinse forte fra le mani il piccolo libro cercando di respirare profondamente e scaricare la tensione che solamente tenerlo le provocava, poi uscì dalla stanza e dalla Sala Comune portandolo con sé.

***

Non sapeva se sentirsi pentita di quella scelta, né se era stato giusto portare alla luce quel genere di ricordi ormai accantonati nel tempo. Il punto era che ormai aveva fatto il suo ingresso nell’aula al terzo piano e non era riuscita a fare un solo passo indietro.
Si era lasciata sfuggire un sospiro sorpreso nel vedere come era stata organizzata nel suo piccolo. L'Aula Insonorizzata per qualche attimo la costrinse a chiudere gli occhi portandola indietro nel tempo: era come vivere una delle sue tante lezioni di musica, solo che non aveva il suo meraviglioso pianoforte a mezza coda posizionato al centro dell’immenso salone; Jacqueline affianco a lei e sua madre e suo padre a fare da spettatori, quando non erano troppo impegnati con il lavoro. Riuscì a scostarsi da quella breve ma intensa e felice immagine e scrutò la stanza, osservando il panorama che dalle ampie vetrate si mostrava in tutta la sua bellezza, anche se ingrigito da quella giornata. Era perfetto quel clima per la musica, era perfetto per lei.
Lentamente si avvicinò e accarezzò le corde dell’arpa, lasciandole scorrere sotto le dita affusolate. Socchiuse le palpebre e respirò profondamente: le sentiva le note e vibravano nella sua anima toccando punti dolorosi ma così dannatamente belli allo stesso tempo.
Solo quando il suono smise di effondersi in maniera perfetta, lasciò le iridi focalizzarsi sul suo strumento: il pianoforte verticale era a pochi metri da lei e per qualche attimo ebbe l’istinto e la voglia di fuggire. Non sapeva se sarebbe stata in grado ma c’era stata una sera, non troppo lontana, in cui aveva capito che avrebbe dovuto affrontare ciò che più temeva senza reprimere alcuna emozione. Solo che adesso era da sola a farsi spazio fra i suoi mostri, cercando di non lasciare che la controllassero.
Strinse il tomo fra le mani e fu quella la spinta che si diede per camminare fino allo sgabello. Si sedette e scoprì i tasti, in quel momento si sentì cedere: un leggero tremolio la pervase e il cuore iniziò a battere forte contro il petto.
Si fece coraggio ancora e sfogliò le prime pagine posizionando il libro sul leggio; la scrittura di Eloise sembrava ancora fresca, tanto era nitida, e riuscì a malapena a trattenere le lacrime.
Ogni nota lì dentro era opera di sua madre e stava per la prima volta scoprendo una parte di lei completamente sconosciuta. In qualche modo l’avrebbe vissuta, anche se non conosceva a pieno quel suo lato.
Così prima di premere i primi tasti, abbandonandosi totalmente, lesse la prima pagina.
A Megan.
Le prime note, poi, toccarono ogni superficie della stanza, con un senso questa volta. Si era dimenticata di quanto fosse bella quella sensazione, di quanto le era mancata provarla. Così chiuse gli occhi lasciando le mani scorrere sui tasti d’avorio.



© Esse | harrypotter.it

 
Top
Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 8/3/2019, 16:59






Elijah M. Sullivan ¬
Caposcuola Serpeverde ¬
17 Anni




Quel gufo era arrivato in Sala Comune subito dopo colazione. Era l’ultima cosa che si aspettava e l’unica che non voleva vedere. Riconobbe subito il sigillo di ceralacca nera, che metteva in bella mostra una “M” che sembrava scritta da un amanuense. Si sedette su uno dei divani davanti al caminetto e, spaccato il sigillo, srotolò il foglio. La calligrafia inclinata e appuntita era inconfondibile. Suo nonno Lance gli aveva scritto e non lo faceva mai. Gli occhi chiarissimi del Serpeverde scivolarono sulle lettere riportate sulla pergamena e, arrivato alla fine, rimase a fissarla silenzioso.
La lesse di nuovo.

Nipote,
come immagino non avrai dimenticato, il prossimo sabato sarà il compleanno di tua nonna.
Avremo una cena in famiglia alla quale ti viene chiesto di presenziare. Nessuna scusa verrà accettata.
Te e quel buono a nulla di tuo fratello dovrete venire accompagnati, come viene richiesto a dei maggiorenni del nostro rango. Immagino che tu abbia una ragazza, hai 17 anni, mi rifiuto di sentirmi dire il contrario.
Sei quindi atteso, con la tua ragazza, in Villa sabato prossimo alle 19.
Puntualità.
L.M.


La respirazione iniziò a sfuggire al suo controllo, sebbene Elijah facesse respiri sempre più profondi. Con lentezza esasperante accartocciò il foglio tra le mani e rimase lì con lo sguardo perso nel vuoto. Furono istanti infiniti in cui il cuore pompava forte sangue e rabbia. Un nuovo respiro e si alzò di scatto, lanciando quella maledetta pergamena nel fuoco che ardeva poco lontano da lui. Alcuni primini iniziarono a fissarlo, curiosi.
- Non è successo nulla – schioccò le dita, invitandoli, nemmeno tanto gentilmente, a rimettere il naso nei libri che avevano davanti.
Intrecciò le mani, stringendole con forza l’una contro l’altra. Una ragazza, lui al momento non aveva alcuna ragazza, ma era impensabile contraddire Lance, soprattutto quando si trattava di celebrare in pompa magna il compleanno di nonna Dawn. Elijah avrebbe dovuto trovare un’accompagnatrice da portare a cena quella sera. Ma chi? Dove poteva mai trovare una ragazza disposta a fare una cosa del genere? Soprattutto una ragazza disposta a farlo per lui senza condizioni?
Sapeva benissimo le voci che giravano su di lui a scuola, voci che gli aveva confermato anche Victoria da quando aveva ripreso un minimo a parlare. Le aveva detto la verità, che lui non era così e non lo era mai stato. Sì, gli piacevano le ragazze, ma come piacevano a tutti i maschi della sua età. L’unica volta che aveva toccato davvero la pelle di una donna era stato la sera del ballo, quando aveva sfiorato la schiena nuda di Megan ed i suoi recettori tattili non riuscivano più a dimenticare quel momento.
- Hai mai dato un bacio ad una ragazza? - gli aveva chiesto Victoria, fremente di curiosità. Il Serpeverde non se l’era sentita di metterla a tacere, ci teneva moltissimo che sua sorella parlasse con lui. Anche se controvoglia, si era messo a sedere vicino a lei e le aveva risposto con tutta la sincerità possibile.
- Ho baciato due sole ragazze, una invece ha baciato me – si strinse nelle spalle – una volta ho dato un bacio per gioco ad una donna in un negozio, ma era solo per finta, Vic.
- Tu non sei come dicono le ragazze della scuola, Elijah.
- Lo so.
Non era mai stato il Dongiovanni scolastico che tutti credevano, ma sapeva che avrebbe avuto quell’etichetta addosso in eterno e che, probabilmente, nessuna l’avrebbe mai preso sul serio. Non gli importava nulla, nulla. Perché mai avrebbe dovuto convincere qualcuna? Lui non era così, punto e basta. Tanto sapeva che era tutto inutile. Lui non era fatto per l’amore, lui non era in grado di amare una donna e non avrebbe mai trovato nessuna pronta ad accettarlo per quello che era. Era un carattere complicato e tremendamente sfaccettato che, con il passare degli anni e degli eventi, diventava sempre più intricato. Nessuna si sarebbe fatta carico dei suoi tormenti, nessuna mai gli sarebbe stata accanto per alleggerire quel peso. Elijah aveva raggiunto questa tragica consapevolezza e l’aveva accettata. Lui non era in grado di amare perché non era lui stesso uno da amare.
I pensieri si rincorrevano ancora nella sua testa mentre gli occhi vennero catturati dalle fiamme che dondolavano poco lontano. Non poteva continuare a tornare lì con la testa. Quei pensieri andavano schiacciati, così come andava schiacciato tutto il resto.
Forse era quello il momento per fare una cosa che aveva rimandato da parecchio tempo. Forse.
Voltò lo sguardo dal fuoco e si diresse nella sua stanza. La cercò con sguardo, trovandola appoggiata a fianco al suo armadio, esattamente dove l’aveva lasciata dopo averla acquistata. La chitarra nera fiammante gli ricambiava lo sguardo, come se non aspettasse altro che riceve quelle attenzioni da parte sua. Le lunghe dita del Serpeverde la carezzarono facendo vibrare una delle corde più esterne. La sollevò e si mise a sedere sul letto, lasciando che l’indice toccasse appena la corda del Mi. Non sapeva suonare e quella era l’unica cosa che conosceva per aver visto suo fratello mentre lo faceva.
No, non era il caso di mettersi a deliziare i suoi concasati con le sue prodezze musicali. Elijah non sapeva minimamente tenere in mano uno strumento e ogni volta che toccava una corda sembrava che avessero scannato un maiale poco lontano. Afferrò la sua chitarra e uscì dalla Sala Comune, risalendo dai Sotterranei.
Se doveva maltrattare la musica, era il caso di farlo dove nessuno avrebbe potuto sentirlo.
Dove aveva infilato quello strano libretto babbano con gli accordi? Fece mente locale e rammentò di averlo messo dentro a libro di Pozioni. Senza perdere tempo a cercare, prese tutto volume con la mano libera. Sapeva che dentro c’erano anche parecchie pergamene nuove, sicuramente gli sarebbero servite. La matita invece la teneva sempre in tasca, era certissimo fosse lì senza nemmeno verificare. Era in divisa, camicia, cravatta e maglione leggero con i colori della Casa di Salazar. A causa della sua mole, gli stava decisamente attillato, ma non si era preso il disturbo di cambiarlo. Non gli dava alcun fastidio.

Salì al Terzo Piano e, senza pensarci due volte, abbassò la maniglia dell’Aula Insonorizzata. Oh, lo era sul serio perché, prima di varcarne la soglia, non aveva sentito le note provenire dal pianoforte.
Richiuse la porta con delicatezza, sperando che la persona che stava suonando non venisse distratta dalla sua entrata. Sollevò lo sguardo e rimase pietrificato.
Scappava in quel posto per fuggire dal mondo e chi ci trovava? Era davvero lei? Non poteva esserne certo, era di spalle. No, non poteva esserne certo, eppure lo era e senza alcun dubbio. La persona che stava suonando era Megan. Si voltò di scatto verso la porta, mosso dalla tentazione di uscire da lì prima che lei si accorgesse della sua presenza. La mano aveva quasi raggiunto la maniglia quando si fermò a mezz’aria. Voleva davvero andarsene? Si voltò a guadarla.
Vattene, Sullivan!
Gonfiò il petto, riempiendolo di tutta l’aria possibile. Mentre suonava, le ciocche di capelli scivolavano appena seguendo il movimento delle spalle. Elijah rimase in silenzio, immobile, incerto sulla decisione da prendere.
Esci da qui! Adesso!
Il giovane Serpeverde voltò anche il corpo verso il piano e la mano si allontanò dalla maniglia. Portò il libro di Pozioni contro il petto, lasciando la chitarra oscillare nell’altra mano ad una decina di centimetri dal pavimento.
Avanzò lentamente, fino ad arrivare ad un metro da lei. Poteva mettersi a suonare per affari suoi, ma era ovvio che – alla prima nota – la Corvonero si sarebbe girata stizzita alla ricerca dello storpiatore di chitarre.
Suonava così bene che Elijah si sentiva uno schifo all’idea di interrompere quel momento, però…
Però voleva che si voltasse.
- Ciao, Megan – disse sovrastando appena la musica delicata che usciva dal piano.
Saresti dovuto andare via! Brutto idiota!





© Esse | harrypotter.it

 
Top
view post Posted on 9/3/2019, 18:16
Avatar

Ocean eyes.

Group:
Caposcuola
Posts:
9,900
Location:
Nowhere

Status:




Megan M. Haven ¬
Prefetto Corvonero | 17 Anni




Le dita si muovevano lente, toccando con delicatezza i tasti bianchi. Li accarezzavano come fossero la cosa più preziosa al mondo, la cosa più fragile mai esistita. Non era capace di descrivere ciò che provava in quel momento mentre le note fluivano nell’aria e si depositavano sfiorando ogni superficie. Come la polvere, riempivano quella stanza e il cuore della giovane ragazza bronzo blu.
Le emozioni dentro di lei avevano preso vita: erano belle, fresche e dannatamente vive da sentirle attraversare ogni spazio del suo esile corpo. Aveva aperto gli occhi continuando a leggere i passi da seguire e, una volta memorizzati, si immergeva nel suono soave e colmo di una profondità spiazzante.
Sua madre era davvero brava e si dispiaceva di non averla potuta sentire suonare a lungo. Poteva solo godere di piccoli ricordi di quando era ancora troppo bambina per ricordarne a pieno i dettagli. La vedeva al suo fianco mentre le insegnava cosa doveva e non doveva fare, mentre le sorrideva con orgoglio quando gli accordi suonavano precisi senza alcuna incertezza ad alterarne la melodia.
Tuttavia quei tempi avevano avuto una durata breve: Jacqueline l’aveva sostituita ed erano rari i momenti in cui riusciva a sentirla suonare.
Uno dei ricordi più recenti, che custodiva gelosamente dentro sé, ritraeva Eloise in un pomeriggio estivo, nel silenzio scandito dal ticchettio dell’orologio sul muro. Megan era poggiata sullo stipite della porta e l’ascoltava perdersi in quel lasso di tempo che avrebbe voluto fosse eterno. L’eleganza e la sinuosità dei movimenti, l’accortezza del sapere andare piano e poi forte, con lo scopo di incidere più emozioni in contrasto, erano qualità che invidiava; caratteristiche che ad oggi erano parte anche a lei. Così si perdeva in quelle vibrazioni e nella realtà del presente, accorgendosi che ciò che stava suonando in quegli istanti era ciò che apparteneva a quel pezzo di memoria ancora vivo nella sua mente. Sorrise, un’espressione amara ma allo stesso tempo fiera. Con il senno di poi avrebbe voluto fare tante domande a sua madre, tutte quelle che non aveva mai avuto il coraggio di fare, cosicché oggi non avrebbe dovuto fare i conti con ciò che poteva solo credere fosse la realtà.
Era arrabbiata, lo era tanto, ma non riusciva a non amarli ed era quello che la torturava di più. Forse un giorno sarebbe arrivata a trovare la pace ma fino ad allora avrebbe trovato qualsiasi modo per scoprire cosa si celava dietro alla morte dei suoi genitori.
Le note ora forti esprimevano la sua rabbia, ne accentuavano i punti salienti e ne delineavano la costanza. Era chiaro come i suoi pensieri si sfogassero sulla tastiera, come fosse lei la colpevole di tanta sofferenza. Respirò profondamente fino a tornare ad accarezzare quella melodia, ora più lentamente, ora quasi silenziosamente.

Quegli attimi di tempesta e di quiete arrendevole, non le permisero di sentire ciò che era successo alle sue palle. No fino a che una voce calda non invase il suo spazio.
Il Do divenne un Si, il Re# scivolò sul Mi, il Sol mutò in un La e il pezzo si inclinò rompendo la magia.
Megan si bloccò di colpo e tutto iniziò a prendere una piega diversa.
Oh…no, no, no, no!
Aveva riconosciuto chiaramente la persona che era alle sue spalle e per qualche istante volle sparire. A lungo aveva evitato di incontrare Elijah dopo ciò che era successo sulla Torre di Divinazione, un po’ per vergogna, un po’ perché non sapeva cosa avrebbe potuto dirgli. Perfino entrare tutti i giorni in Sala Grande era diventato difficile: i tavoli erano vicini e si era ritrovata più di una volta ad osservarlo, senza sapere la vera motivazione. Cosa doveva dirgli se lo avesse mai incontrato? Perché tanto sarebbe successo e allora avrebbe dovuto indossare una delle sue migliori maschere e fingere che nulla fosse cambiato. Perché nulla era cambiato di fatto, o forse era qualcosa di cui si convinceva e voleva in qualche modo portare avanti. Ciò di cui era certa, o almeno le sembrava, era che quella sera aveva esagerato con il Whiskey e che non avrebbe mai dovuto concedere tanto al ragazzo. Eppure una parte di sé si rasserenava a quel pensiero e sorrideva al ricordo di quegli attimi di pura e totale libertà. Non lo aveva ringraziato e sapeva che avrebbe dovuto, ma allo stesso tempo era certa che per lui fosse chiara la sua profonda gratitudine.
Ebbene c’era riuscita, aveva superato numerosi giorni, evitando qualsiasi tipo di situazione che l’avrebbe potuta mettere in difficoltà. Non si era smossa persino quando aveva saputo che era stato promosso come Caposcuola, sebbene avesse avuto l’istinto di irrompere fra i Serpeverde, in uno dei tanti pranzi e delle tante cene, per fargli le sue congratulazioni con il solito e punzecchiante modo. Ma c’erano tanti fermi fra quelle azioni, tra cui il non avere intenzione di incontrare anche Wolfgang. E poi era troppo il blocco che aveva nei suoi confronti e non se ne capacitava proprio perché ora lei - che era sempre sfacciata in ogni occasione - si ritrovava a discutere con se stessa su come affrontare quella dannata situazione a cui non sapeva dare una linea precisa.
Nonostante tutto si sentiva una stupida e ogni giorno, ogni volta che era sul punto di fare qualcosa, perché si sentiva terribilmente in torto, si ritrovava a fare dietrofront. Non era abituata a concedersi, a dare tanto di sé: ogni qual volta si ritrovava a fare un passo avanti ne faceva altri tre tornando indietro. Elijah non era differente, lui avrebbe avuto lo stesso trattamento, eppure c’era una cosa che lo aveva differenziato da molti: il suo esserci quando aveva avuto il bisogno di qualcuno al suo fianco. Probabilmente se non l’avesse seguita sulla Torre il briciolo di luce che aveva ancora dentro di sé si sarebbe spento per sempre, tanta era la tremenda solitudine che aveva provato. Questa consapevolezza, però, ancora aveva difficoltà ad accettarla ma era chiaro, lo era stato anche per le stelle quella notte, che lui era qualcuno che non poteva perdere, che non doveva in alcun modo.
Un amico, qualcuno con cui poter essere la vera Megan senza condizioni o stupide regole. Doveva solo riuscire a farlo entrare senza paura e, solo grazie alla sua vicinanza, avrebbe lottato affinché accadesse.
Quando il pensiero di Elijah non la sfiorava, quando riusciva a portare avanti la sua vita scolastica, c’era Victoria che, con eccessivo entusiasmo, vantava l’amore per suo fratello. E così, per quanto poteva evitarlo, era diventato una costante indefinita, che non trovava una posizione nella sua piramide ma che inconsciamente l’aveva trovata nel suo cuore. Cosa provava? Confusione ma profondo affetto. Tuttavia lottare con se stessa avrebbe prevalso sempre e la consapevolezza che questo lato non sarebbe mutato in alcun modo, questo credeva, le faceva pensare di non poter incasinare altre persone, men che meno Elijah con tutti i suoi numerosi problemi.
Dunque, pensieri contorti avevano evidenziato quei giorni di distanza ma, ora che lui era lì, a pochi qualche centimetri, nulla sembrava essere mutato e ogni cosa pareva essersi fermata a quella sera.
Per un piccolo ma intenso attimo si sentì strana, agitata e terribilmente impacciata. Sapeva che avrebbe dovuto fare i conti prima o poi con la realtà dei fatti, anche se da una parte si era convinta di fuggire in eterno.
«Hey, ciao.» si era voltata appena alzando la testa.
Gli occhi scrutarono la figura, fino a evidenziarne ogni dettaglio quando si trovò a girare interamente su se stessa. La spilla sul petto del ragazzo splendeva con fierezza, mettendo in risalto il maglione stretto che definiva ogni linea muscolare. Megan incontrò i suoi occhi e gli sorrise, provava difficoltà ma era cosciente del fatto che avrebbe dovuto combatterla a qualunque costo.
«Non ho avuto modo di farti i miei complimenti, ora dovrò stare attenta a come mi comporto. Ma dimmi, preferisci che ti dia del lei?» ghignò appena.
Era felice per lui ed era certa che avrebbe sostituito Miss Rose con grande capacità. D’altronde i Serpeverde erano tanto narcisisti quanto ambiziosi e Elijah indossava quelle vesti perfettamente.
«Come mai qui?» chiese mentre lentamente abbassava lo sguardo accorgendosi solo in quel momento della chitarra che stringeva nella mano. «Oh… e chi lo avrebbe mai detto! Suoni la chitarra?» tornò a guardarlo incuriosita da quella nuova scoperta. «Non sapevo che in te si nascondesse un musicista,» disse con tono di evidente provocazione «dovresti farmi sentire qualcosa! E, soprattutto, dovresti sapere che non accetto no.» le spalle all’insù e si alzò lasciando lo spazio al Serpeverde. «Prego, accomodati.» con un cenno della mano gli indicò di prendere post, mostrando un mezzo sorriso in attesa delle sue reazioni.
Non era stato poi così difficile controllare le parole, fare attenzione che la voce non tremasse. La risposta era chiara se avesse solo saputo trovarla: in quel momento era la vera Megan e con Elijah le veniva tutto più facile. Poteva nascondere la difficoltà che provava, poteva arrampicarsi sugli specchi pur di arginare un determinato contesto, ma lei in quel momento non stava fingendo nei confronti del Serpeverde e non mentiva nemmeno a se stessa; celava solo una parte che prima o poi sarebbe diventata troppo grande da poter trattenere.



© Esse | harrypotter.it

 
Top
Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 10/3/2019, 18:54






Elijah M. Sullivan ¬
Caposcuola Serpeverde ¬
17 Anni




La consapevolezza che non sarebbe dovuto restare in quell’Aula si faceva strada dentro di lui attimo dopo attimo. Non era stata affatto una buona idea.
- Stai bene? - si ritrovò a chiedere, ripensando a quella sera sulla Torre. Avrebbe voluto andarla a cercare, una parte di lui si sentiva ancora in debito nei confronti della Corvonero, alla fine però non aveva fatto niente. L’aveva vista in Sala Grande, sebbene i suoi occhi volessero e dovessero cercare altro, ma non si era permesso di disturbarla per sapere. Aveva avuto la sensazione che stesse un po' meglio. L’aveva poi frenato il dubbio che Megan non ricordasse cosa fosse successo quella sera. Perchè doveva essere proprio lui farle a saltare alla mente una cosa che, forse, lei voleva solo dimenticare?
La scrutò dalla testa ai piedi, come se non l’avesse mai vista. Gli occhi chiarissimi del Serpeverde si ritrovarono ad indugiare sul primo bottone allacciato della camicia, poi scesero appena.
Memore di quello che era accaduto al Ballo, abbassò immediatamente lo sguardo nella speranza, sicuramente vana, che lei non se ne fosse accorta. Le iridi trasparenti di Elijah si ritrovarono incollate alle gambe di Megan, in un imbarazzo che sembrava non avere fine.
Impose a se stesso di cercare gli occhi cobalto, quegli occhi che gli piacevano un casino e che avevano un potere immenso su di lui. Sebbene lei avesse una capacità tutta sua per riuscire a dargli sui nervi, quella rara sfumatura di blu aveva la capacità di calmarlo in un modo che non comprendeva. Sì, esattamente come in quel momento.
Le sorrise, nonostante tutto, anche se si limitò a tirare la bocca nel modo meno indolore possibile.
Era vero, non gli aveva ancora fatto le congratulazioni, sebbene i loro sguardi si fossero incrociati varie volte durante i pasti. Non era stata l’unica a non farglieli. Una persona mancava ancora all’appello, qualcuno per lui molto importante. Elijah si era interrogato varie volte se questa latitanza e quello che era successo la sera del Ballo avessero un legame tra loro. Forse non avrebbe dovuto seguirla quella sera, forse era stato tutto uno sbaglio. Ma come avrebbe mai potuto lasciarla da sola in quel momento? E soprattutto, dove accidenti stava lui se ci teneva così tanto come diceva? Perchè non l’aveva seguita? Per quale motivo l’aveva lasciata sola in un momento del genere? No, aveva agito bene. Lui ci sarebbe stato, così come le aveva promesso e mai avrebbe mancato alla parola data. Era stato un patto silenzioso e per questo motivo aveva per lui un valore enorme.
- Non serve che ti comporti in modo diverso, la Megan di sempre mi va benissimo.
Un leggero ghigno fece specchio a quello della Corvonero, per allargarsi un po' di più.
- Però, se ti fa piacere, posso sempre convocarti nell’Ufficio dei Caposcuola alla prima cosa simpatica che mi dici – il ghigno si aprì in un sorriso appena accennato – Grazie, comunque.
E fin qui, tutto bene, o quasi. Fu dopo che la situazione iniziò a precipitare in un burrone così profondo di cui non riusciva nemmeno a vedere il fondo.
E’ logico che non l’avresti mai detto, non so mettere una nota in croce.
Era sul punto di dirle che, sì, la chitarra era la sua, ma sapeva a malapena metterla in posizione sulle cosce. Era in grado di sfuggire al martirio che gli si stava per palesare davanti agli occhi? Come mai tutte le sue certezze si sgretolavano come non era mai successo prima?
- Io… - fece appena in tempo a grugnire, ma Megan lo incalzò di nuovo con un’espressione di curiosità sul viso.
Certo che non potevi immaginarlo, io e i musicisti siamo sue pianeti alieni.
E sperò vivamente che la curiosità e i commenti avessero trovato gloriosamente il fondo.
Fu in quel momento che, invece, il sadismo della Corvonero mise le ali e spiccò il volo. Facile per lei, sapeva suonare benissimo! Lui invece?
Farti sentire cosa, scusa? Un maiale moribondo. Ci tieni così tanto?
Elijah sgranò gli occhi a quella richiesta inaspettata. La sua strafottenza lo aveva sempre salvato, ma lì non c’era faccia tosta che sarebbe stata in grado di suonare al suo posto.
Lo so bene che non accetti un No, ma non potresti fare un’eccezione per una volta?
Ci sperò, ci sperò davvero fino all’ultimo. Quando però Megan si alzò, invitandolo a prendere il suo posto, Elijah strinse con forza il manico della chitarra come se fosse quello della sua Firebolt. Magari fosse stata la scopa, con quella avrebbe fatto un figurone, ma non era proprio in grado di far fronte a quella richiesta di esibizione.
La ragazza sorrise ed Elijah si ritrovò ad annuire e a far uscire dalla bocca qualcosa di davvero inaspettato – Va bene.
Ma va bene cosa? Cosa? Sullivan ti sei bevuto il cervello? Tu non sai suonare nemmeno una nota.
Le passò a fianco, abbassando appena le palpebre nel tentativo di reprimere la sua crescente difficoltà. Quasi la sfiorò e l’aroma del mandarino tornò a colpire ancora i suoi sensi. Trattenne il fiato. Ma cosa gli stava passando per la testa? La sua razionalità ed il suo autocontrollo venivano prima di tutto. Sempre.
Si sistemò sulla comoda seduta a due posti del piano e posizionò i piedi esattamente come faceva quando studiava. Ruotò la caviglia sinistra, lasciando che il malleolo esterno toccasse quasi terra. La pianta del piede destro andò ad appoggiarsi sul collo interno dell’altro piede.
Solo a quel punto sistemò la chitarra sulla coscia e cercò di arpionare le corde. La forza per schiacciarle non gli mancava, ma la tecnica faceva acqua da tutte le parti. A breve sarebbe affogato senza gloria, ormai ne era perfettamente consapevole. Allentò la presa con la mano sinistra e con la punta dell’indice destro fece trillare la corda più fina.
Diiiiiin
Il Serpeverde sollevò la testa verso Megan, esibendo una smorfia – Non è accordata bene. Dammi solo qualche minuto.
Girò la chiavetta per tirare quella corda già perfetta. Fece suonare anche la seconda, accompagnando il gesto con un grugnito di disapprovazione.
Sullivan, le corde sono sei. Quanto pensi di riuscire a far durare questo Calvario? Dille che non sai suonare, brutto imbecille!
C’era sempre una via di salvezza. Magari qualcuno avrebbe fatto irruzione, richiedendo la sua presenza chissà dove. Sarebbe stato anche disposto a bere un the con gli elfi delle cucine, se solo un imprevisto lo avesse tirato fuori da quell’imbarazzo.
Diiiiiiiiiiiin
L’ultima nota fece sentire la sua voce con prepotenza, ma nessuno apparve dal nulla.
Il palmo del Serpeverde colpì le corde con violenza, sbloccandone brutalmente il suono e facendo vibrare la cassa. Gli era sempre risultato difficile ammettere di non saper fare qualcosa, ma ammetterlo davanti alla Corvonero gli richiedeva uno sforzo disumano. Nonostante tutto non riusciva a mentirle.
- Non so suonare. Non ho idea di come fare. Non conosco nemmeno una nota e un accordo. Ok?
Lo disse con il suo vocione tutto d’un fiato, come se quello fosse l’unico modo per buttare fuori quell’imbarazzante confessione. Si stava consegnando mani e piedi alle prese in giro taglienti di Megan.
Sollevò lo sguardo a cercare le iridi cobalto senza alcuna paura. Gli occhi chiarissimi del Caposcuola guizzarono testardi in quelli della Corvonero.
- Tu sei molto brava, ti ho sentita prima – se c’era un modo per cambiare discorso, doveva trovarlo in quel preciso istante – magari puoi insegnarmi qualcosa. Ti va?
Non l’aveva detto, vero?





© Esse | harrypotter.it

 
Top
view post Posted on 17/3/2019, 15:31
Avatar

Ocean eyes.

Group:
Caposcuola
Posts:
9,900
Location:
Nowhere

Status:




Megan M. Haven ¬
Prefetto Corvonero | 17 Anni




Avrebbe giurato di sentire perfettamente la tensione irrompere fra di loro in quel momento, come il guizzo di una goccia d’acqua fredda e improvvisa sulla pelle. Se ne dispiacque tanto quanto basta da avvertire il senso di colpa avvolgerla senza alcuna difficoltà. Negli occhi del Serpeverde osservava tristezza e delusione; farne parte anche di un solo piccolo angolo nascosto la faceva sentire ferita. Ma perché? Era chiaro, aveva fatto sì che, di nuovo, in mezzo si mettessero una lunga fila di sentimenti in contrasto, gli stessi che a lungo l’avrebbero fatta sprofondare. Era sempre stata convinta di non poter cambiare ma parte di lei, dopo quelle parole di quella sera, che l’avevano toccata nel profondo, avrebbe fatto un’eccezione per il Serpeverde.
Ci stava provando a rimediare a suo modo, probabilmente sarebbe stato anche discutibile ma era certa che lui avrebbe compreso, o almeno ci sperava. Non era facile tornare a guardarsi in modo differente dopo ciò che era successo, perché ricordava perfettamente di essere andata oltre sotto ogni punto di vista. Tuttavia non si sentiva in torto, anzi ci provava a voler sentire il rimorso, perché per lei era naturale, ma di lui non vi era alcuna traccia.
Così si era limitata a seguire l’istinto, provando a nascondere l’imbarazzo che minacciava di sbucare senza alcun preavviso, lasciandosi andare ma preservando quel lato di sé. Non era cambiato nulla ma di fatto sembrava fosse il contrario. Forse non a lungo avrebbe potuto fingere che averlo davanti a sé era difficile, con tutta probabilità sarebbe incappata in qualche errore ma non voleva rovinare più nulla, glielo doveva.
Aveva sorriso annuendo, non una sola parola a confermare quel gesto, quando lui le aveva chiesto come stava. Stava bene? Forse sì, o forse non voleva farlo preoccupare ancora, ma aveva la certezza di sentirsi più libera.
Era riuscita a rompere il ghiaccio lasciando che la sua faccia tosta prevalesse ancora, cercando di non pensare a niente che non fosse il solo e unico presente. Si era poggiata sul pianoforte, incrociato le braccia e fissato il mento su di esse osservandolo.
Era stato facile per lei capire la difficoltà che Elijah stava provando solo dalla posizione strana che aveva assunto una volta seduto sulla panchetta. Tacque, si limitò ad alzare un sopracciglio e ad aspettare che qualcosa si muovesse dandosi il beneficio del dubbio. Quando il primo suono del Mi cantino uscì neutro e perfettamente intonato Megan chiuse un occhio storcendo la bocca. Le sembrava del tutto impacciato e le conferme le arrivarono proprio quando lui le disse che quella nota doveva essere accordata, lì Megan capì cosa stava succedendo. Così si alzò e incrociò le braccia nell’attesa, perché sapeva che tutta quella situazione non avrebbe avuto lunga vita. Trattenne un sorriso, vedendolo in difficoltà lo trovava buffo e decisamente tenero nell’imbarazzo più assoluto. Poi arrivò il momento che aspettava e quando i loro occhi si incrociarono portò il dorso della mano sulla bocca.
«Credo che visiterò l’ufficio dei Capiscuola molto presto.» rise di gusto «Ti prego di scusarmi ma era davvero divertente vederti…» fece un attimo di pausa e allungò la mano verso la direzione del Serpeverde «così.» cercò di ricomporsi con molta difficoltà, poi avanzò verso di lui fino a farsi spazio al suo fianco, confermando un sì silenzioso a quella richiesta.
«Ok, possiamo lavorarci.» ghignò con in volto stampato un sorriso divertito. «Iniziamo dalla posizione,» si spostò verso il bordo dello sgabello e le gambe andarono ad aprirsi leggermente: la sinistra più avanti rispetto a quella destra. «una volta imparato avrai modo di metterti come vuoi ma al momento dovrai accontentarti delle basi.» le mani si posarono su entrambe le gambe «Su! Via quella posa graziosa e mettiti così.» lo osservò con attenzione trattenendo l’ennesima risata. Sebbene la chitarra non fosse il suo strumento conosceva bene le regole, non le sarebbe stato difficile insegnargli il minimo indispensabile e con molta probabilità poteva portare quella sua gentile concessione a qualche favore che lui avrebbe potuto ricambiarle.
«Ora posso avere la chitarra? Così vedi come devi metterti e sistemo il caos che hai fatto.» lo punzecchiò allungando una mano verso di lui.
Afferrò la cassa trascinandola lateralmente fino a portarla sulla coscia destra. Sì posizionò senza alcuna difficoltà, andando a pizzicare la corda fina in nylon e ruotando leggermente la parte meccanica. Così fece con tutte le altre, lasciando infine scorrere la punta del pollice e dell’indice suonando tutte e sei le note. La mano sinistra andò a sorreggere il manico e mentre il pollice faceva da sostenitore nella sua parte inferiore le altre dita poggiarono sulla tastiera. I polpastrelli premettero su quest’ultima e con il
primo dito destro accarezzò le corde; un giro di Do bastò per invadere il momento di silenzio che si era creato fra loro. Li sentiva i suoi occhi su di lei, sentiva il peso del suo sguardo, ma doveva cercare altro, doveva focalizzarsi su altro.
«Ok, dovremmo esserci.» sollevò la chitarra invitandolo a riprenderla con sé « Sarò molto severa, probabile che te ne pentirai.» si morse le labbra sorridendo divertita e sì alzò in piedi «Fammi vedere come possiamo iniziare.» fece pochi passi e si voltò fronte a lui «Sei pronto?» Gli occhi si poggiarono su Elijah, determinati a scrutarne ogni minimo movimento.
Non sapeva bene cosa sarebbe uscito da quella prova, era la prima volta che si improvvisava maestra. Non aveva mai insegnato a nessuno ciò che sapeva fare, perché ne era molto gelosa, ed Elijah doveva ritenersi fortunato sotto questo punto di vista. D’altra parte, però, era ben felice di rivestire quel ruolo in quel momento e sperava di riuscirci al meglio.




© Esse | harrypotter.it

 
Top
Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 20/3/2019, 13:33






Elijah M. Sullivan ¬
Caposcuola Serpeverde ¬
17 Anni




Per quale maledetto motivo era entrato in quell’Aula? Non aveva davvero niente di meglio da fare che andarsi a dare in pasto alla Haven come se non ci fosse un domani?
La guardò sollevando appena le sopracciglia. Non stava ridendo, vero?
Eccome se sta ridendo, Sullivan, e sta ridendo di te.
Non sopportava sentirsi in difficoltà e doverlo ammettere apertamente era stato tremendamente umiliante per uno come lui. Doverlo fare davanti a lei, poi, era stato anche peggio.
- Davvero? Mi verrai a trovare? - il suo solito ghigno apparve puntuale, cercando di far svanire l’imbarazzo che aleggiava a mezz’aria – Sarà un piacere poterti sculacciare, Haven.
Se esisteva una divinità superiore, sarebbe dovuta uscire in quel momento e tirarlo fuori da quel disastro. Lui ci stava mettendo la faccia tosta delle grandi occasioni, ma non era certo che sarebbe bastata.
Voleva aiutarlo ad imparare. Era decisamente una buona notizia. Ma come mai continuava a ridacchiare? Elijah fece un respiro profondo, doveva assolutamente riprendere il controllo di se stesso e della situazione.
I suoi occhi chiarissimi la scrutavano, disegnando in testa la sua figura, istante dopo istante. I capelli scuri, lunghi e folti, le labbra carnose e perfette, il corpo armonioso in ogni sua curva. E poi c’erano le gambe. Belle, perfette, lunghe da mandarti dritto al manicomio.
Ma si faceva fare la divisa su misura per caso? Era strano perché le stava davvero perfetta addosso, curioso che non lo avesse mai notato prima.
Un attimo, ma lui l’aveva mai guardata? E soprattutto, perché lo stava facendo in quel momento?
Non aveva senso, tutto girava al contrario. Ogni logica che l’aveva sempre accompagnato sembrava andare a testa sotto in quel momento. Era lui che comandava il suo cervello, lui e basta!
Doveva far tornare le cose sui binari giusti, i suoi.
La guardò dritta negli occhi, alla faccia della decisione, e le sue iridi trasparenti si mossero con quelle di Megan, mentre lei si avvicinava.
- Uhm – grugnì quando la Corvonero lo invitò a cambiare posizione. Perchè doveva essere costretto a portare le piante dei piedi a terra per poter suonare? Lui si metteva sempre con le caviglie storte, era la sua posa abituale. Non lo avrebbe mai fatto, sapeva benissimo che si trattava di una battaglia persa. Una volta da solo, avrebbe piazzato le gambe ad ostrica e tanti saluti alle basi della musica.
Decise di farla contenta comunque, spostò lo sguardo sulle gambe di Megan per verificare la posizione miracolosa e l’occhio finì esattamente tra il ginocchio e l’orlo della gonna. E lì rimase, senza rendersi conto di fissarla in modo non molto normale.
Sveglia! Che accidenti fai?
Fece scivolare la chitarra sulle gambe, spostandola in direzione della Corvonero. Negare, negare sempre fino alla morte. Non stava facendo assolutamente niente, stava solo studiando la posizione. Questa volta non sarebbe stato differente, lui non avrebbe concesso nulla. Anzi, è più giusto dire che sarebbe stato diverso, diverso da tutte le altre volte in cui si era lasciato troppo andare. Aveva abbassato la guardia con lei e questa cosa non sarebbe mai dovuta succedere. Lui non poteva e non doveva sentirsi vulnerabile, con niente e con nessuno.
Portò gli occhi su di lei, mentre prendeva la sua chitarra, mentre la faceva cantare esattamente come avrebbe dovuto. La guardava e una parte di lui la vedeva diversa, eppure era sempre la solita Megan, pungente e velenosa. Elijah non sapeva spiegarlo. Forse la sua mente non riusciva a dimenticare quella notte alla Torre, in cui lei si era mostrata a lui in tutte le sue fragilità.
La fissò ancora, misurandone il profilo, sebbene lo conoscesse alla perfezione. Era davvero la stessa ragazza? Come faceva a mostrarsi così ora?
Che domanda idiota, Sullivan! Tu stai facendo esattamente lo stesso con lei.
Era vero, andava tutto bene. Mai più l’avrebbe coinvolta, mai più le avrebbe mostrato le sue ferite aperte. Era forte, lo era sempre stato e sarebbe andato avanti da solo senza l’aiuto di nessuno.
Megan mosse il braccio sulle corde, ed eccolo di nuovo. L’aroma del mandarino andò a colpirgli le narici molto più delle altre volte. Non sembrava più solo, c’era qualcosa che ne smorzava ed esalta il profumo allo stesso tempo.
Lo fece, senza nemmeno rendersene conto. Lo fece e basta.
Si sporse leggermente verso Megan, nel tentativo di cogliere quella sfumatura che mancava all’appello. Mentre lo faceva, evitò di guardarla in faccia, e lasciò ciondolare gli occhi sulle mani di lei che suonavano.
Che accidenti stai facendo? La stai annusando!
Qualcosa dentro di lui si pietrificò all’istante, nell’attimo esatto in cui prese coscienza di quel gesto insensato. Quella cosa degli odori era sempre stata la sua dannazione, al pari del velluto.
Deglutì il nulla, ma il suo stato catatonico lo aiutò a non muovere gli occhi dalle mani di Megan e dalle corde della chitarra. Fece un respiro profondo. Oh, merda! Non di nuovo.
Chiuse un secondo gli occhi e li riaprì. Doveva uscire uscire da quel casino in cui era andato mettere il naso. E non era un modo di dire.
- Gireresti il manico della chitarra? - doveva riuscire a pensare – Anche se mi avvicino di più non riesco a vedere bene come metti le dita.
Salvo in calcio d’angolo? Forse, lui non si era affatto avvicinato per odorarla ma solo per vedere la pozione della mano sulle corde. Negare, negare sempre.
Nel momento che la Corvonero gli passò di nuovo la chitarra e si alzò, si ritrovò a ringraziare tutte le divinità antiche, partendo da Zeus fino ad arrivare ad Odino. Lontano il profumo, lontano il problema.
Da quando è un problema? No, per sapere.
Senza pensare ad altre “distrazioni”, mise le dita sulle corde della chitarra e provò a ripetere quello che aveva fatto Megan.
Perchè sei riuscito a vedere? Allora non è vero che i sensi si escludono a vicenda. Sono colpito.
Fece un respiro profondo, prendendo in corpo aria senza essenze di troppo, e qualcosa dentro di lui riprese a funzionare.
Quella ragazza non portava un vero profumo, oramai ne era sicurissimo. Aveva una qualche pozione, con qualche ingrediente strano che a lui dava in testa. Altrimenti non si spiegava.
- Prenderesti, per favore, una pergamena? Sono in fondo al libro di Pozioni – tornò a guardare le corde della chitarra cercando di ripetere al meglio i movimenti che gli erano appena stati indicati. Aveva un’ottima memoria, ma era sempre stato dell’idea che scrivere le cose aiuta a fissarle meglio in testa. Voleva fare un piccolo schema della posizione delle dita, da usare poi come promemoria insieme al piccolo libro Babbano.
Non avrebbe più mosso lo sguardo dalla chitarra, almeno finché fosse stata lei chiedergli di farlo.





© Esse | harrypotter.it

 
Top
view post Posted on 28/3/2019, 15:17
Avatar

Ocean eyes.

Group:
Caposcuola
Posts:
9,900
Location:
Nowhere

Status:




Megan M. Haven ¬
Prefetto Corvonero | 17 Anni




Aveva posato gli occhi su di lui con estrema attenzione, se voleva essere in grado di insegnargli qualcosa allora non avrebbe dovuto lasciare nulla al caso. Seguiva ogni singolo movimento senza perdere di vista nemmeno un dettaglio; sì, glielo aveva detto che con molta probabilità si sarebbe pentito di quella scelta ma la caparbietà del Serpeverde non l’aveva affatto stupita. Così trovava quella situazione molto divertente, d'altro canto non avrebbe potuto essere diversamente se solo il pensiero non le cadeva ogni minuto al ricordo di quella sera.
Il peggio, però, sembrava essere passato, perché pochi istanti prima lo aveva sentito così vicino da destabilizzarla, sebbene avesse fatto di tutto per non darlo a vedere, e ora questo non la tormentava più.
Si era accorta di ogni cosa, di Elijah che si avvicinava al suo viso anche solo per guardare. Aveva provato a respirare, perché l'aria aveva smesso fluire nei suoi polmoni per qualche attimo, cercando un controllo che sapeva sfuggirle. Ora, lontana, poteva dirsi salva ma quanto sarebbe bastato?
In quel momento si lasciò colmare da un silenzio indefinito, un’assenza di suoni che per qualche istante le sembrò così lunga da sentirne il peso. Prendere in mano qualsiasi situazione che le capitava davanti era stato sempre facile per lei; era solita non porsi alcun problema e buttarsi a capofitto in ogni circostanza ma quella... Quella era totalmente diversa. Non era solo perché si erano avvicinati troppo fisicamente ma anche perché, ora, lui conosceva ciò che la tormentava di più al mondo e avendolo davanti non riusciva a far finta di nulla, almeno non del tutto. Lo dicevano i suoi occhi quando lo osservavano, probabilmente lui non sarebbe riuscito a capirlo ma Megan lo sentiva il modo in cui tutto sembrava aver preso una sfumatura diversa dinnanzi a lei, persino i battiti del suo cuore erano insoliti. Tuttavia decidere di portare avanti una maschera, almeno fino a che ne avrebbe avuto le capacità, le sembrava l’unica soluzione. Successivamente avrebbe individuato un errore in ciò che sentiva, era certa che, probabilmente, la sua vulnerabilità aveva scatenato tutto questo e che in lui ora vedeva una forma di protezione che le lasciava fraintendere ciò che provava. Gratitudine? Sì, era quello ciò che sentiva, continuava a convincersi.
Gli occhi cobalto, velati da leggere sfumature grigiastre, che ne caratterizzavano il clima di quella giornata, seguivano le posizioni del ragazzo: non era complicato come inizio e nonostante i primi tentennamenti alla fine Elijah sembrava aver compreso chiaramente come eseguire quei semplici passi.
Si diresse, così, verso la sedia alle sue spalle, seguendo la richiesta che lui le aveva fatto, sincerandosi che tutto fosse nel posto che le aveva indicato.
Le mani indugiarono per qualche attimo fra i fogli in cerca di qualcosa di pulito su cui scrivere. Sorrise perché in quegli scritti vedeva così tanta attenzione e ordine che era un piacere osservarne ogni particolarità. Cumuli di pergamene, che illustravano una certa dose di appunti, erano messe in perfetto ordine, tant'è che per Megan non fu difficile trovarne una pulita.
Ma nell'istante in cui tirò fuori una di queste, tra gli altri fogli, qualcosa le scivolò sotto gli occhi e fu, per l'appunto, il proprio nome inciso su carta che la bloccò per qualche istante.
Cos'era? Una lettera per caso?
L'ansia e la tensione vennero ad avvolgerla come fossero un robusto cappio posizionato attorno al collo. Più si lasciava andare alla voglia di afferrarla più sentiva il nodo stringerle la gola. Non poteva aspettare molto, doveva prendere una decisione in fretta e lei aveva già deciso. Per quanto sbagliato sarebbe stato prendere quella lettera, non poteva fare a meno di lasciarsi sopraffare dalla curiosità: Cosa voleva dirle? Perché?
L'afferrò veloce facendo attenzione ai movimenti di Elijah poco distante da lei e l'aprì appena, giusto quanto basta per leggerne alcune righe:

”Ciao Megan,
Esiste un gufo giusto da scrivere? Non lo so, ma se sì, allora è questo. Quello che hai ricevuto tempo fa non avrei dovuto inviartelo, mai avrei dovuto nemmeno pensarlo.
Ti ho fatto del male, ma non era mia intenzione, e questa cosa continua a tormentarmi.
Mi hai chiesto perché ho cercato proprio te e continuo a rifarmi la stessa domanda da quella sera. Non lo so. Io non lo so. Perché te nonostante tutto? Mi interrogo e non riesco a trovare una risposta sensata. L’unica cosa di cui sono certo è che ho sbagliato tutto con te...”

Non seppe descrivere realmente cosa quelle parole le provocarono dentro ma la ferirono; tanto che si ritrovò ad accartocciare il pezzo di carta fra le mani, abbandonandolo nella tasca, e a trattenere le lacrime. Era chiaro che qualsiasi cosa lei aveva fatto per lui era stato un errore, ed era chiaro anche a Elijah. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di leggere le altre parole fino alla fine ma doveva: tanto valeva andare affondo alla cosa anche se questa avrebbe potuto farla stare male. Le erano bastate quelle poche frasi, dunque come sarebbe stata la sua reazione a fronte delle altre? Non era la prima volta che si scontrava con una verità che la feriva ma fino a qualche istante prima aveva creduto che nulla, dopo quello che le era successo, avrebbe scalfito ancora la sua pelle. Tuttavia in quel momento si rese conto dell’importanza che dava al Serpeverde: per quanto poteva sfuggirgli, per quanto poteva negare qualsiasi situazione passata e presente nei suoi confronti, le emozioni non mentivano mai lo sapeva.
Aveva rubato quella lettera e probabilmente, prima o poi, Elijah l’avrebbe cercata ma non le importava. Non era stata lei a prenderla, si convinceva, e qualsiasi accusa eventuale sarebbe stata negata senza alcun problema. Respirò profondamente chiudendo gli occhi e cercando di controllare ogni sua azione: doveva fare finta di nulla, anche se era così tremendamente difficile.
Così nell'agitazione urtò la sedia e il libro di Pozioni cadde a terra lasciando scivolare via tutti i fogli al suo interno.
«Oh, che disastro! Scusami.» disse nel totale imbarazzo, senza però rivolgergli lo sguardo. Sapeva che sarebbe stata di facile lettura e così a testa china sul pavimento si era posizionata sulle ginocchia provando a raccogliere uno ad uno i fogli caduti.
Calma. Devi stare calma.
Provò a convincersi.



© Esse | harrypotter.it

 
Top
6 replies since 8/3/2019, 12:52   223 views
  Share