Elijah M. Sullivan ¬
Caposcuola Serpeverde ¬
17 Anni
Per quale maledetto motivo era entrato in quell’Aula? Non aveva davvero niente di meglio da fare che andarsi a dare in pasto alla Haven come se non ci fosse un domani?
La guardò sollevando appena le sopracciglia. Non stava ridendo, vero?
Eccome se sta ridendo, Sullivan, e sta ridendo di te.Non sopportava sentirsi in difficoltà e doverlo ammettere apertamente era stato tremendamente umiliante per uno come lui. Doverlo fare davanti a lei, poi, era stato anche peggio.
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Davvero? Mi verrai a trovare? - il suo solito ghigno apparve puntuale, cercando di far svanire l’imbarazzo che aleggiava a mezz’aria –
Sarà un piacere poterti sculacciare, Haven.Se esisteva una divinità superiore, sarebbe dovuta uscire in quel momento e tirarlo fuori da quel disastro. Lui ci stava mettendo la faccia tosta delle grandi occasioni, ma non era certo che sarebbe bastata.
Voleva aiutarlo ad imparare. Era decisamente una buona notizia. Ma come mai continuava a ridacchiare? Elijah fece un respiro profondo, doveva assolutamente riprendere il controllo di se stesso e della situazione.
I suoi occhi chiarissimi la scrutavano, disegnando in testa la sua figura, istante dopo istante. I capelli scuri, lunghi e folti, le labbra carnose e perfette, il corpo armonioso in ogni sua curva. E poi c’erano le gambe. Belle, perfette, lunghe da mandarti dritto al manicomio.
Ma si faceva fare la divisa su misura per caso? Era strano perché le stava davvero perfetta addosso, curioso che non lo avesse mai notato prima.
Un attimo, ma lui l’aveva mai guardata? E soprattutto, perché lo stava facendo in quel momento?
Non aveva senso, tutto girava al contrario. Ogni logica che l’aveva sempre accompagnato sembrava andare a testa sotto in quel momento. Era lui che comandava il suo cervello, lui e basta!
Doveva far tornare le cose sui binari giusti, i suoi.
La guardò dritta negli occhi, alla faccia della decisione, e le sue iridi trasparenti si mossero con quelle di Megan, mentre lei si avvicinava.
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Uhm – grugnì quando la Corvonero lo invitò a cambiare posizione. Perchè doveva essere costretto a portare le piante dei piedi a terra per poter suonare? Lui si metteva sempre con le caviglie storte, era la sua posa abituale. Non lo avrebbe mai fatto, sapeva benissimo che si trattava di una battaglia persa. Una volta da solo, avrebbe piazzato le gambe ad ostrica e tanti saluti alle basi della musica.
Decise di farla contenta comunque, spostò lo sguardo sulle gambe di Megan per verificare la posizione miracolosa e l’occhio finì esattamente tra il ginocchio e l’orlo della gonna. E lì rimase, senza rendersi conto di fissarla in modo non molto normale.
Sveglia! Che accidenti fai?Fece scivolare la chitarra sulle gambe, spostandola in direzione della Corvonero. Negare, negare sempre fino alla morte. Non stava facendo assolutamente niente, stava solo studiando la posizione. Questa volta non sarebbe stato differente, lui non avrebbe concesso nulla. Anzi, è più giusto dire che sarebbe stato diverso, diverso da tutte le altre volte in cui si era lasciato troppo andare. Aveva abbassato la guardia con lei e questa cosa non sarebbe mai dovuta succedere. Lui non poteva e non doveva sentirsi vulnerabile, con niente e con nessuno.
Portò gli occhi su di lei, mentre prendeva la sua chitarra, mentre la faceva cantare esattamente come avrebbe dovuto. La guardava e una parte di lui la vedeva diversa, eppure era sempre la solita Megan, pungente e velenosa. Elijah non sapeva spiegarlo. Forse la sua mente non riusciva a dimenticare quella notte alla Torre, in cui lei si era mostrata a lui in tutte le sue fragilità.
La fissò ancora, misurandone il profilo, sebbene lo conoscesse alla perfezione. Era davvero la stessa ragazza? Come faceva a mostrarsi così ora?
Che domanda idiota, Sullivan! Tu stai facendo esattamente lo stesso con lei.Era vero, andava tutto bene. Mai più l’avrebbe coinvolta, mai più le avrebbe mostrato le sue ferite aperte. Era forte, lo era sempre stato e sarebbe andato avanti da solo senza l’aiuto di nessuno.
Megan mosse il braccio sulle corde, ed eccolo di nuovo. L’aroma del mandarino andò a colpirgli le narici molto più delle altre volte. Non sembrava più solo, c’era qualcosa che ne smorzava ed esalta il profumo allo stesso tempo.
Lo fece, senza nemmeno rendersene conto. Lo fece e basta.
Si sporse leggermente verso Megan, nel tentativo di cogliere quella sfumatura che mancava all’appello. Mentre lo faceva, evitò di guardarla in faccia, e lasciò ciondolare gli occhi sulle mani di lei che suonavano.
Che accidenti stai facendo? La stai annusando!Qualcosa dentro di lui si pietrificò all’istante, nell’attimo esatto in cui prese coscienza di quel gesto insensato. Quella cosa degli odori era sempre stata la sua dannazione, al pari del velluto.
Deglutì il nulla, ma il suo stato catatonico lo aiutò a non muovere gli occhi dalle mani di Megan e dalle corde della chitarra. Fece un respiro profondo. Oh, merda! Non di nuovo.
Chiuse un secondo gli occhi e li riaprì. Doveva uscire uscire da quel casino in cui era andato mettere il naso. E non era un modo di dire.
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Gireresti il manico della chitarra? - doveva riuscire a pensare –
Anche se mi avvicino di più non riesco a vedere bene come metti le dita.Salvo in calcio d’angolo? Forse, lui non si era affatto avvicinato per odorarla ma solo per vedere la pozione della mano sulle corde. Negare, negare sempre.
Nel momento che la Corvonero gli passò di nuovo la chitarra e si alzò, si ritrovò a ringraziare tutte le divinità antiche, partendo da Zeus fino ad arrivare ad Odino. Lontano il profumo, lontano il problema.
Da quando è un problema? No, per sapere.Senza pensare ad altre “distrazioni”, mise le dita sulle corde della chitarra e provò a ripetere quello che aveva fatto Megan.
Perchè sei riuscito a vedere? Allora non è vero che i sensi si escludono a vicenda. Sono colpito.Fece un respiro profondo, prendendo in corpo aria senza essenze di troppo, e qualcosa dentro di lui riprese a funzionare.
Quella ragazza non portava un vero profumo, oramai ne era sicurissimo. Aveva una qualche pozione, con qualche ingrediente strano che a lui dava in testa. Altrimenti non si spiegava.
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Prenderesti, per favore, una pergamena? Sono in fondo al libro di Pozioni – tornò a guardare le corde della chitarra cercando di ripetere al meglio i movimenti che gli erano appena stati indicati. Aveva un’ottima memoria, ma era sempre stato dell’idea che scrivere le cose aiuta a fissarle meglio in testa. Voleva fare un piccolo schema della posizione delle dita, da usare poi come promemoria insieme al piccolo libro Babbano.
Non avrebbe più mosso lo sguardo dalla chitarra, almeno finché fosse stata lei chiedergli di farlo.