Camminava.
Passi lenti e incerti lasciavano esattamente intravedere quanto ogni cellula del suo corpo gridasse altro rispetto alle sue azioni. Eppure si muoveva, dritta verso l’uscita, mentre il dolore lentamente si affievoliva lasciando spazio a una libertà emotiva che aveva dimenticato.
Non aveva mai pensato di potersi liberare del suo dolore in quel modo, lasciare che uscisse e si disperdesse nell’aria come polvere da sparo dopo un colpo ben assistito. Il proiettile, però, era stato direzionato nel punto sbagliato e sebbene Elijah glielo avesse ribadito più volte che c’era e ci sarebbe stato nonostante tutto, lei sapeva di avergli dato un peso in più da portare. Una preoccupazione in più di cui doveva farsi carico e che probabilmente lui non si aspettava affatto.
Così, era inevitabile per Megan sentirsi in colpa, come era difficile convincersi che tutto sarebbe andato bene adesso che aveva fatto ciò che avrebbe dovuto fare molto tempo prima. Sfogarsi, lasciare andare via il dolore senza spingersi al limite tanto da scoppiare.
Solo che ora, seppur rifiutando quella sensazione, sentiva il peso più leggero. Poteva sollevare meglio le spalle, camminare dritta e riuscire a respirare in maniera diversa. Per quanto voleva opporre resistenza a quella sensazione di sollievo non avrebbe resistito a lungo. Doveva accettare di sentirsi così, anche se era passato tanto tempo dall’ultima volta; adattarsi alla leggerezza che percepiva, anche se non era più abituata e le sembrava così strano. Se solo avesse saputo che quello era stato il primo passo fatto verso se stessa e per se stessa, avrebbe lasciato che tutto andasse, semplicemente, come era giusto che fosse. Eppure le serviva solo del tempo per capire, per mettere a fuoco ogni emozione provata. Parlarsi davanti a uno specchio, affrontare i suoi mostri in maniera diversa e lasciarsi prendere per mano mentre camminava lungo un percorso troppo pericoloso da poter affrontare da sola.
La solitudine in quel caso sarebbe stata la sua definitiva distruzione e non doveva toccare il fondo, anche se non aveva fatto nulla per evitarlo fino ad ora.
Tempo.
Era il tempo che le serviva e poi lui, le serviva anche Elijah e lo avrebbe capito.
Un lungo e intenso sospiro riuscì a calmare i battiti del suo cuore, finalmente sentiva che riprendevano il loro regolare ritmo, mentre abbandonava quel luogo a passi incerti, dettati dall’abitudine di doversi sempre allontanare da tutto e tutti. Il vento freddo, con una carezza leggera, le sfiorò le ciocche corvine e il vestito iniziò ad ondeggiare lentamente giocando con la luce della luna riflessa sulla stoffa oro. Luccicava nel buio come fosse ricoperta di stelle e lei era l’oscurità dell’universo.
La testa le girava ancora ma con meno intensità adesso, Elijah era riuscita a calmarla in qualche modo e continuava a chiedersi perché era stato così facile per lui. Forse gli aveva permesso troppo, probabilmente l’alcol aveva aiutato quell’assurda situazione, ma si sentiva meglio e a tratti lo sopportava.
Così cercò di abbandonarsi a quello stato di velata pace, senza aspettarsi nient’altro dal Serpeverde. L’udire dei passi, però, allarmarono ogni cosa e sebbene continuasse a ripetersi di andare avanti il corpo non rispose alle sue volontà. Lo sentiva sempre più vicino e si lasciò raggiungere nonostante avesse cercato con tutta se stessa di ignorare il richiamo a lei sconosciuto. Non c’era riuscita, ma lo voleva davvero?
Il battito nel petto aveva ripreso a tamburellare agitato. Questa volta, però, lo sentiva risuonare in maniera diversa, come se il suo rumore fosse la cosa più dolce al mondo ma anche quella più pericolosa. Rimbombava come un tamburo nel sottofondo di una canzone dalla melodia soave, che cresce ad ogni cambio di direzione causando ansia, agitazione ma allo stesso tempo un'insolita pace .
Elijah continuava a toccarla piano, con la delicatezza di una piuma che poggia lenta su una superficie. Leggera, delicata le aveva sfiorato l’anima senza bisogno di troppi giri di parole. Ed era quel suo modo di essere che la metteva in un angolo, inerme, lasciandosi leggere senza alcuna difficoltà. Si sentì avvolta da una carezza di protezione, impercettibile ma per lei così chiara da spaventarla a morte. Doveva badare lei a sé, non aveva bisogno di nessuno. Tuttavia perché non riusciva ad abbandonare quel dolce torpore che aveva avvolto la sua anima? Non trovava alcuna spiegazione e nonostante fosse una sensazione del tutto positiva, allo stesso tempo sentiva che era completamente sbagliato provarla.
La razionalità usciva sempre allo scoperto in qualche modo e i pensieri negativi divenivamo tornadi improvvisi pronti a distruggere ogni cosa.
Lasciami andare, ti prego. Avrebbe voluto dire, ma quel pensiero si sgretolò nella sua mente. Perché era così difficile?
Mentre si faceva coraggio per proseguire, invitando con i gesti il Serpeverde a lasciare stare, sentì la fronte premere sulla testa. Il respiro fra i capelli lasciò spazio a lunghi brividi su tutto il corpo che viaggiarono indisturbati. Strinse le mani e chiuse gli occhi senza frenare in alcun modo ciò che stava sentendo. Lo lasciò fare, non mosse un muscolo. Non ci riusciva… dannazione!
Lasciami andare… continuava a ripetergli in silenzio, mentre le lacrime le accarezzavano delicatamente una ad una il volto.
Quelle parole le avevano toccato il cuore lasciando l’involucro in pietra, che lo proteggeva da qualsiasi emozione, sgretolarsi lentamente.
«Non sei sola, nemmeno quando urli in silenzio. Io riesco a sentirti, esattamente come ora.»Non riuscì a percepire il distacco perché tutto avvenne così velocemente che, ritrovarselo davanti a una distanza troppo vicina, la destabilizzò.
Così mentre Elijah le afferrava i polsi, accarezzandole con le dita i palmi e con i pollici entrambi i dorsi, lei restò a guardarlo. Lo lasciò fare, senza riuscire a fermarlo. Alla sua richiesta aveva accennato un dolce sorriso. «
Ok, ci provo.» gli aveva sussurrato appena mentre le dita stringevano le spalle teneramente.
Non sapeva dare un nome con esattezza a ciò che stava percependo in quel momento, sembrava come se non fosse lei, se allo scoperto fosse uscita una parte del suo essere che ormai non ricordava più e che non conosceva affatto. Elijah la stava vedendo e per la prima volta, davanti ai suoi occhi, non si sentiva in difetto e lui le pareva così forte da non aver paura di potergli fare alcun male.
Le braccia la strinsero con delicatezza sotto il tessuto della giacca che poggiava ancora sulle sue spalle, poteva sentirne perfettamente la potenza ma allo stesso tempo la dolcezza infinita: come se Elijah stesse toccando la cosa più delicata al mondo. Le dita fredde si mossero sulla pelle calda procurandole intensi brividi di piacere. Aveva inarcato la schiena appena per poi lasciarsi andare totalmente all’abitudine di quel gesto finché le gote non si colorarono di un rosso sbiadito.
Elijah la guidò proprio come aveva fatto nella Sala Grande ma, in assenza di spettatori, le sembrava tutto così intimo da sentire l’imbarazzo avvolgerla con maggiore intensità.
Sì lasciò andare e mentre le mani di lui le indicavano con naturalezza ogni movimento; Megan lo seguiva come fosse la cosa più semplice al mondo, ora totalmente rilassata da quegli attimi. Le mani, poggiate ancora sulle spalle, lasciarono la presa andando in avanti, superando il tessuto blu. Fece un passo verso di lui lasciando solo pochi centimetri a separarli. Lo guardò negli occhi nell’incertezza delle azioni che, involontarie, giunsero a quel parziale abbraccio, poi li riabbassò spostando il viso da un lato. Non capiva cosa le stava succedendo ma l’aria aveva iniziato a pesarle nei polmoni.
Dondolarono qualche attimo e Megan abbassò le palpebre cercando di immaginare la musica, proprio come lui le aveva detto, ma sentiva il suo cuore, i respiri vicini e nient’altro.
Fu quando Elijah la guidò ripercorrendo gli stessi movimenti nella Sala Grande che si lasciò definitivamente andare. Ora ascoltava la musica soave, le vibrava sotto la pelle fintanto che il cuore si amalgamava perfettamente a quel suono, diventandone parte integrante.
Uno, due, tre volteggi e rise per la prima volta: il suono della sua risata di diffuse sulla torre. Come un eco la sentì rimbombare nello spazio aperto, mentre una creatura in un battito di ali si allontanò veloce da una nicchia poco distante.
Un ultimo giro e i loro corpi si trovarono più vicini. I nasi quasi si sfiorarono e tutto iniziò a girare vorticosamente nella sua testa.
Megan non era pronta a quella sensazione, non era in grado di saperla gestire. Così le labbra si schiusero e il petto si gonfiò in cerca di ossigeno. La mano strinse appena la giacca mentre l’altra era avvolta dalla presa leggera di Elijah. Lo sentiva sulla sua pelle il calore che emanava e inevitabile fu per lei chiedersi cosa stava succedendo anche a lui.
Doveva andare via.
Lo guardava negli occhi, fissi nelle iridi chiare, senza dire una parola. Forse erano proprio loro a parlare per lei ma non se ne sarebbe resa conto così facilmente. Ciò che sentiva in quel momento era la totale assenza della percezione del suo corpo. Si sentiva vulnerabile, a tratti in pericolo, minacciata da un’azione che non voleva. Perché non lo voleva, giusto? In quei pochi istanti, che parvero eterni, si interrogò su cosa avrebbe dovuto fare mentre sentiva il suo cuore esplodere e le gambe cedere lentamente scosse da un formicolio improvviso. Non riusciva a comprende cosa stava provando e perché, l’unica spiegazione plausibile l’aveva attribuita all’alcol: era stato quest'ultimo a metterla in totale confusione, non c'era altro.
Elijah era stato gentile con lei e basta, probabilmente sarebbe andato tutto in maniera diversa se non avessero, entrambi, ingerito quella bevanda.
Le dita accarezzarono lentamente il palmo del Serpeverde sciogliendosi da quella presa. La mano poggiata sulla spalla scivolò lungo il fianco e la testa si abbassò leggermente distogliendo a fatica lo sguardo.
«
È meglio che vada, è tardi.» gli aveva detto mentre cercava di tornare a respirare facendo qualche passo indietro. Le parole le si impigliarono fra le labbra e l’agitazione si sparse come biglie cadute sul pavimento.
Raccolse le scarpe poco lontane con fatica, le mani tremavano e non riusciva a farle smettere. Non lo guardò mentre attraversava la piccola area, gli passò accanto con sguardo basso. Non riusciva ad avere coraggio, c’era qualcosa che la tormentava.
«
Buonanotte.» Un gesto semplice della mano e lo lasciò lì, poi attraversò la soglia, in direzione della Sala Comune, inghiottita dal buio.
Molte cose sarebbero state diverse dopo quella sera per Megan. Qualcosa era cambiato quella notte: lei… Loro lo erano in qualche modo.
Grazie. Sorrise.