Lost in Time and Space, Privata

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 16/1/2019, 19:00




Lost In Time And Space Prefect | 17 | Slytherin

La seguì senza fare storie, risalendo la scala che li avrebbe condotti nelle zone alte del Castello. Si sentiva strano, troppo. Non sapeva cosa si stesse muovendo dentro di lui così bene da rovinargli l’umore. Il tulle del vestito di Victoria frusciava ad ogni passo. Era strano il rumore che produceva mentre strofinava sui gradini, ricordava quasi il suono appagante delle onde del Lago Nero. La piccola mano di Vic stringeva la sua, con una decisione che il Serpeverde non pensava potesse possedere uno scricciolo come lei. Osservò le loro dita unite, la pelle di sua sorella era così chiara da sembrare trasparente. Sollevò appena lo sguardo e la vide. I capelli rossi erano ancora raccolti da un lato, ornati da una serie di fiori lilla. L’espressione decisa sembrava fosse alla ricerca di qualcosa. Non ebbe alcuna difficoltà a tenere il passo della piccola Corvonero e, quando arrivarono in prossimità della Torre, Victoria rallentò l’andatura, facendo dondolare insieme le loro braccia. Elijah ebbe l’impressione di essere stato trasportato indietro nel tempo, in un qualcosa che aveva ormai dimenticato. Si strofinò appena la punta del naso.
- Elijah, ti piace il mio angelo?
Il Serpeverde voltò il viso di scatto. Non riusciva a seguirla, o magari non era stato particolarmente attento fino a quel momento.
- Il tuo...cosa?
- Megan, il mio angelo.
Elijah si ritrovò a dilatare appena gli occhi, quella frase lo aveva totalmente spiazzato. Eppure doveva pensarci, eppure doveva essere così.
- Perchè è il tuo angelo?
Non avrebbe potuto partorire una domanda più stupida e ne era perfettamente cosciente. Elijah sapeva bene cosa fosse successo quella notte nella Sala Comune degli adepti di Priscilla, eppure finse in modo spudorato. Non poteva metterla nei guai, non lei. C’era di più, c’era molto di più di ciò che lui e Megan pensavano.
- Perchè lei è capace di salvarti, in qualsiasi modo una persona possa essere salvata.
Elijah la guardò intensamente. Era sorprendente la semplicità della frase appena pronunciata da sua sorella. Era sorprendente come lui capisse e condividesse quelle parole. Annuì ma non aggiunse altro. Per un po' camminarono in silenzio, finché non giunsero davanti all’ingresso della Sala dei Corvonero. Victoria si mise a sedere a terra contro la parete, senza preoccuparsi minimamente che il suo bel vestito potesse sporcarsi o sgualcirsi. Lo invitò a mettersi sul pavimento a fianco a lei, e Elijah non se lo fece ripetere una seconda volta. Non fece in tempo a sistemarsi che Victoria si spostò, mettendosi a sedere sulle sue gambe ed il Serpeverde si ritrovò avvolto in una nuvola di velo vaporoso color pervinca.
I capelli di Victoria gli sfiorarono di nuovo il viso e lei ora lo guardava con espressione assorta. La bocca sottile, dalle vaghe sfumature pesca, sembrava quasi esitare. Gli occhi verdi-azzurri, un pò più scuri dei suoi, sembravano vibrare di impazienza. Elijah la fissava in silenzio, con un'attenzione che non le aveva mai riservato prima. Lei mosse la piccola mano dalle unghie perfette e andò a sfiorgli la guancia. Il Serpeverde si sentì completamente impreparato. Era assurdo come un gesto, all'apparenza privo di troppa importanza, lo stesse riducendo al silenzio. Era una delle sue tre sorelle preferite, insieme a Sarah e Clarissa. Non era mai riuscito a scegliere tra loro nè voleva farlo.






Lei ti piace? - lo gelò senza usare il minimo tatto.
- No - rispose fermamente. Era imperturbabile come al solito. Fu tutto inutile perché lei tornò all'attacco.
- Ti ho visto come ballavi con lei - una risatina le tese le labbra - vi ho visti.
- Stavamo solo ballando, Vic, niente di più - perché quello era, un ballo innocente, non c'era altro.
Lei gli fece no con il dito, muovendolo davanti al suo naso.
- È bella, vero? - e ora come mai cambiava domanda? Non sapeva se fosse un buon segno oppure no - anche tu lo sei, e lo dicono anche le mie compagne di corso.
Era un incubo.
Come si può definire il terzo grado di tua sorella di undici anni? E come si può classificare il momento in cui ti riferisce i commenti inopportuni delle sue compagne di scuola? Un incubo farcito di parole melense.
Poi perché gli faceva tutte quelle domande? Non avevano senso. Non avevano alcun fondamento. Lui aveva solo invitato una ragazza a ballare. Possibile che un gesto normale di cavalleria stesse scatenando una simile reazione? Non riusciva a crederci. E' proprio vero che le donne sono capaci di creare una favola basandosi su una cosa senza importanza.
- Dovresti invitarla ad uscire – la vocina di Victoria lo distolse dalle sue argute considerazioni. Elijah rimase a guardarla in silenzio per qualche istante prima di metabolizzarne le parole.
- Un att...cosa? No!
Non ci pensava minimamente a fare una cosa del genere, anche invitarla a ballare era stato uno sbaglio enorme. Non aveva alcuna intenzione di perseverare nei suoi errori, soprattutto se andavano in quella direzione. Era la ragazza di Wolfgang e lui non avrebbe mai fatto un torto del genere a qualcuno che considerava un fratello. Sì, Wolf ultimamente era parecchio strano nei suoi confronti, non riusciva a capirlo, ma questo non cambiava la sostanza delle cose. L’aveva invitata solo per gentilezza, così come aveva fatto a On the Road, e non c’era altro da dire. Anche lì erano entrati insieme, e anche quella volta era successo per puro caso. Lì Wolf non aveva affatto gradito, a giudicare dalle sue occhiate. Ricordava di non essersi posto alcun problema, ora perché tutto sembrava così difficile? L’unica cosa che sapeva era che non aveva alcuna intenzione di ferire Wolf, così come non lo avrebbe fatto con Daniel. Non provava assolutamente nulla nei confronti di quella ragazza, a parte della gratitudine, ma anche se fosse stato Elijah avrebbe ricacciato tutto dentro, nel posto più lontano della sua anima, là dove confinava tutte le cose da dimenticare. No, non a Wolfgang, mai, a lui no. Elijah avrebbe superato tutto, e l’avrebbe fatto da solo come sempre. Non sarebbe stato un problema. Lui poi non voleva ragazze, non voleva storie, non voleva nessuna vicino da far soffrire. Lui non era per l’amore, non lo era mai stato. Elijah Sullivan non sapeva amare e non avrebbe imparato. Stava molto meglio da solo così come era sempre stato.
- Ha un ragazzo, Vic, quindi non sarebbe fattibile nemmeno se volessi, e lei non mi interessa minimamente – quel concetto doveva entrarle bene nella testa se non voleva alimentare equivoci. Quell’idea non gli sfiorava nemmeno l’anticamera del cervello.
- Mi piace molto Megan – confessò senza censure la piccola Sullivan.
- Lo so – il tono tra il rassegnato e l’infastidito. Non aveva alcuna intenzione di mettersi ad affrontare certe faccende con sua sorella. Non sapeva nemmeno di cosa stesse parlando. Non aveva alcuna intenzione di portare avanti quel discorso con lei, nè ora, nè mai.
Ancora seduta sulle sue gambe, Victoria si lanciò sul collo di Elijah, cingendolo con le sue esili braccia. Si lasciò trasportare da quel dolce aroma di colonia per bambini che arrivava dai suoi bellissimi capelli rossi. La strinse a sua volta con le braccia, ricreando un’alchimia che tra loro mancava da tempo e che forse non avevano mai avuto. Il dolore ti unisce, è innegabile. Ora lui e Vic condividevano un segreto pesante ed era certo che lei non l’avrebbe mai rivelato a nessuno. Era parte di loro e così sarebbe stato per sempre. Chiuse piano gli occhi, lasciando il dominio solo agli altri sensi, l’olfatto e il tatto tra tutti. Si accorse che aveva freddo, era gelida. L’avvolse il più possibile con le sue braccia muscolose, cercando di scaldarle almeno la schiena. Per tutti i Troll! Era magrissima, riusciva a contarle le vertebre ad una a una. Piccola, gracile, fragile, più di qualunque essere umano che conoscesse. Respirò profondamente, lasciando che l’aria gli consumasse i pensieri. Durò solo l’arco di qualche secondo perché un rumore di passi annunciava l’imminente arrivo di un Corvonero. Strinse appena le palpebre, ora era lì, lo sapeva. Aprì piano gli occhi, trovando il pavimento di pietra esattamente come l’aveva lasciato. Insieme ad esso, i suoi occhi chiarissimi incontrarono l’orlo di un vestito dalle trame dorate, qualcosa che ricordava perfettamente di aver già guardato. No, non poteva essere lì! Cosa ci faceva lì, l’aveva lasciata in Sala Grande con Wolf. Non doveva essere lì, non aveva alcun senso. Le iridi si mossero piano, percorrendo la sua figura finché non incontrarono gli occhi cobalto e l’imbarazzo l’assalì. Staccò Victoria da sé, sciogliendo il loro abbraccio il più velocemente possibile, gli occhi sempre a controllare le reazione della Corvonero.
- Megan - esclamò, segnalando a sua sorella la presenza del Prefetto della sua Casa, prima che potesse sfornare nuove frasi inopportune. La sollevò dalle sue gambe e riguadagnò la posizione eretta.

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Lost In Time And Space Prefect | 16 | Ravenclaw

Aveva oltrepassato la soglia della Sala Grande abbandonando il trambusto che l’aveva avvolta durante quei momenti trascorsi al suo interno. Non si trattava solo delle voci, del caos e della troppa gente che aveva riempito quello spazio così grande; si trattava di lei, di lei e basta.
Tutto quello che era successo aveva solo aggiunto legna umida sul fuoco, questa cercava di ardere e più bruciava più lei si sentiva soffocare dal fumo che emanava.
Non riusciva a comprendere cosa realmente le stesse accadendo, per quale motivo si sentisse così stanca, così in torto e in difficoltà. La sua mente viaggiava aiutata dall’alcol che aveva manifestato i suoi primi effetti. E mentre le labbra inumidite dal liquido cui non riusciva a distinguerne il sapore - data la sua scarsa conoscenza in merito - si posavano ancora una volta sul bordo della bottiglia, chiuse gli occhi. Erano tutte lì le sensazioni e nessuna di esse era scomparsa.
La pelle a contatto con quella di Elijah, i movimenti lenti e carichi di elettricità, i suoi occhi chiari e il cuore impazzito. Il sentirsi altrove per qualche attimo, il volerlo sentire ancora per poter dimenticare il resto. Poi tutto cadeva in frantumi e Wolfgang era davanti a lei, gli occhi colmi di rabbia, amarezza e tristezza. Il gelo e l’allontanamento volontario che aveva adottato e l’inevitabile senso di colpa colpirle lo stomaco. Era nausea quella che percepiva e non riusciva a lasciare uscire tutto fuori. Sentiva una parte del suo cuore spezzato, più di quanto non lo fosse già, e la rabbia verso se stessa graffiarle la pelle.
Era stata una stupida, aveva lasciato andare via Wolfgang e non aveva fatto nulla per trattenerlo a sé.
Il punto era che non voleva farlo, non lo voleva accanto. Era una propulsione naturale che non riusciva a gestire; tutelare le persone a cui voleva bene, anche se significava farle soffrire, perché nulla sarebbe stato peggio di lei al loro fianco in quel modo.
Tuttavia, sebbene conoscesse il suo grande limite, il suo non volersi far aiutare, il suo combattere da sola guerre troppo grandi e violente per poter sopravvivere, il pensiero di avergli fatto ancora del male la distruggeva. Sapeva bene quanto le sue parole potevano ferire ma di più la sua indifferenza, il suo silenzio. Questi ultimi erano pungenti come un ago trovato fra le coperte: improvviso, inaspettato e doloroso.
Ma cosa poteva fare? Come avrebbe dovuto comportarsi? Non era abituata a forzare le sue scelte, a prendere una strada che non avrebbe mai voluto percorrere. Si chiedeva se sarebbe stato giusto abbassare la testa almeno una volta, lasciare entrare gli altri e pensare realmente a sé. No, non come un’egoista.
Non era sicura che questo sarebbe mai cambiato, Wolfgang era importante, gli voleva bene, eppure…
Eppure se ne era andata, nemmeno questo era bastato.

Si trascinava lungo i corridoi del castello, avvolta dalle fiamme delle torce che ne illuminavano parzialmente il percorso. Gli occhi, ora aperti, puntavano avanti ma senza guardare veramente. Sì immergevano nel buio della prospettiva che inghiottiva in lontananza parte dell’andito, e mano mano che si avvicinava ne scopriva i dettagli.
Percorreva quelle mura ogni giorno da anni ormai eppure ogni volta si stupiva di non conoscerne ogni minima parte. In quel momento, però, Megan avanzava senza nemmeno rendersene conto realmente, i suoi piedi schiacciavano la pietra con parziale stabilità, fino a ritrovarsi accostata al muro per togliersi le scarpe. La spalla destra poggiò sulla pietra umida mentre la mano libera afferrava i tacchi uno alla volta; li aveva tolti e ora li stringeva fra le dita.













Continuava a percorrere la strada che l’avrebbe portata in Sala Comune e ogni passo era sempre più difficile da fare. Sembrava come se qualcuno la trattenesse a sé con una corda; camminava e pareva percorrere gli stessi angoli del castello, tutto non mutava, perfino i quadri avevano preso le stesse sembianze.
L’alcol senza dubbio era il colpevole.
Un sospiro di sollievo si librò nell'aria alla vista della grande scala a chiocciola. Quel percorso infinito stava per terminare e presto avrebbe trovato il suo letto ad accoglierla, con esso i pensieri di una notte insonne e il desiderio di un domani che non avrebbe mai voluto che arrivasse.
I piedi nudi toccavano i gradini uno alla volta, non sentiva il freddo che emanavano anzi percepiva quei lievi brividi e ne provava piacere.
Le voci dei quadri in lontananza non la smossero, le loro parole sembravano un perfetto sottofondo sulle quali si concentrò fino alla loro scomparsa. Quello che avvertiva in quel momento era un corpo lontano, ancora gestibile, e la sensazione le piaceva da morire.
Gli occhi bassi, puntati su ogni scalino, guardavano attenti ogni mossa sbagliata. Non aveva di certo voglia di farsi del male, di cadere e aggiudicarsi un viaggio in infermeria, o peggio. Li contava, se ne era accorta solo al trentesimo, e aveva fatto caso a come non stava pensando a nulla in quel momento. Aveva trovato una distrazione banale ed efficace, ma sarebbe ben presto finita.
Mentre continuava a dare spazio ai numeri, riempendo la sua mente, una voce spezzò quell’incanto. Questa arrivò improvvisa e le ci volle più di un secondo per realizzare. Non aveva fatto caso che era ormai arrivata e poco più di dieci gradini la separavano dall'entrata della Sala Comune.
Lo sguardo si alzò di scatto, temendo che ad accoglierla fosse proprio il suo Caposcuola. Con velocità nascose la bottiglia dietro di sé, cercando di assumere un pieno ed efficace controllo.
Quando realizzò che davanti non c’era Daddy ma Elijah, ciò che sentì fu una violenta scossa che la fece sussultare appena.
Strinse il pugno e una scarpa scivolò ai suoi piedi; non sapeva cosa dire.
Chiuse così per un attimo gli occhi, convincendo se stessa di potercela fare. Il pensiero che la vita le stesse remando contro ancora una volta l’avvolse e così si lasciò sfuggire un sospiro stremato. Le palpebre si aprirono e lo sguardo si posò ai piedi del ragazzo, Victoria era lì e quello fu ancora più tremendo. Quale orribile esempio le avrebbe dato? Il suo Prefetto in giro con una bottiglia di liquore, intenta ad affogare in essa i suoi problemi.
Fantastico.
Le sorrise a fatica, cercando di controllare ogni muscolo del proprio corpo. Lo stava perdendo e non era solo l’alcol ad esserne la causa.
«H-hey.» disse in maniera quasi impercettibile, mentre la mano dietro alla schiena stringeva l’oggetto di vetro.
«N-non volevo interrompere nulla. Stavo salendo sulla Torre per una boccata d’aria, scusatemi.» la voce le tremò appena.
La torre, certo. Quella era una una perfetta alternativa.
Gli occhi blu si posarono per un breve istante su Elijah, si morse le labbra nervosa temendo che lui capisse cosa stava accadendo. L’agitazione era in corso e più era lì ferma più peggiorava.
Raccolse lentamente la scarpa caduta a terra, poi salì gli ultimi gradini. Un sorriso dolce rivolto a Victoria e continuò ad andare avanti... forse l’aveva scampata.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 23/1/2019, 12:40




Lost In Time And Space Prefect | 17 | Slytherin

Vide appena il movimento con cui la Corvonero cercò di occultare l’oggetto che teneva in mano, ma nel silenzio che li avvolgeva riuscì a cogliere perfettamente un suono che aveva udito mille volte. Era il classico rumore di un liquido che dondola in qualcosa di vetro, e il fatto che lei lo stesse nascondendo non prometteva nulla di buono. Strinse gli occhi chiarissimi per definire meglio i particolari. Il capo del Serpeverde si piegò da un lato, le labbra si schiusero appena. Non poteva esserne sicuro, certo, eppure tutto ciò che gli si palesava davanti agli occhi portava in un’unica direzione. Aveva probabilmente in mano una bottiglia piena e non si trattava di acqua.
Elijah rimase completamente impassibile e guardò in silenzio Megan che si allontanava per andare sulla Torre. In quello stato? Come no! Non era proprio il caso di lasciarla andare da sola. Da quello che lei stessa gli aveva detto non reggeva gli alcolici e chissà che accidenti avrebbe potuto combinare. Era perplesso, tanto. L’aveva lasciata poco prima in Sala Grande a parlare con Wolfgang ed ora se la ritrovava davanti in quello stato. Ma cosa poteva essere successo di così grave? Strinse di nuovo gli occhi mentre faceva un carezza leggera a Victoria. Si voltò a guardarla.
Sua sorella era rimasta in silenzio al saluto di Megan, magari le aveva fatto un sorriso o un cenno con il capo, ma lui questo non poteva saperlo e non glielo avrebbe chiesto. Gli occhi della piccola Sullivan erano ancora rivolti al punto in cui il suo Prefetto era sparito. Si aspettava forse di entrare insieme a lei? Aveva forse nuove confessioni da farle?
- Signorina Sullivan, direi che è giunta l’ora che tu vada a dormire – un lieve sorriso per rassicurarla e mascherare dove i suoi pensieri stessero andando davvero. Si chinò e le stampò un bacio sulla guancia. Sua sorella rimase a guardarlo per qualche istante, ma non sembrava delusa. Era una fortuna. Crearle dispiacere era l’ultima cosa che voleva in quel momento.
- Non dire a mamma che sono stata alzata fino a tardi. Mi aveva detto di ritirarmi alla dieci e mezzo – un velo di preoccupazione le incupì lo sguardo.
Elijah le fece l’occhietto – Sarò una tomba.
La piccola Corvonero guadagnò l’entrata della Sala Comune senza aggiungere altro. Non si era accorta di nulla, per fortuna. Al Serpeverde non serviva sapere altro in quel momento. L’importante era che sua sorella non si sentisse rifiutata da lui e che non avesse colto il momento difficile di Megan. Sì, forse voleva godere della compagnia del suo Angelo, ma una parte di lei sapeva che ora non era il suo turno.
La porta si richiuse e Elijah si diresse senza indugi verso la Torre. Megan aveva fatto tanto per sua sorella e anche per lui. Non l’avrebbe mai lasciata da sola in quel momento difficile, glielo doveva. Sì, era il minimo che potesse fare per lei.
Si sentiva in colpa nei confronti del Prefetto Corvonero, oltre che responsabile.




Nonostante tutto non fece la scalinata di corsa. Sapeva che avrebbe fatto rumore e notare la sua presenza, ed era l’ultima cosa che voleva in quel momento. Ma non era l’unico motivo, ne era consapevole. Aveva bisogno di pensare, di raccogliere le idee. Percorse un gradino alla volta, proprio come la sua natura gli suggeriva. La domanda arrivò puntuale. Perchè lo stava facendo? Sarebbe dovuto restare con Victoria, avrebbe dovuto regalarle ancora un po' del suo tempo, eppure non aveva esitato a rispedirla in Sala Comune. Perchè? Forse la risposta era solo una, glielo doveva. Quando lui si era sentito solo, vuoto, perso, lei c’era stata. Elijah non sapeva come questo fosse stato possibile, eppure la Corvonero era rimasta lì vicino a lui, senza dire una parola. Gli aveva tenuto la mano senza fare discorsi stupidi, gli aveva solo fatto sentire la sua vicinanza. Lui avrebbe dovuto fare lo stesso per lei.
I gradini erano sempre di meno, lo sapeva anche se non li aveva contati. Un passo, un altro, un altro ancora. Sentiva solo il suo respiro e il suono leggero delle suole degli stivaletti. Arrivato in cima, la vide immediatamente vicino al parapetto. Non era il posto migliore dove potesse stare in quel momento, non se aveva bevuto. Aveva fatto benissimo a salire, ne era sempre più consapevole. Non aveva la minima idea del perché fosse in quello stato, ma era evidente che non potesse restare da sola. Appoggiò il braccio piegato contro lo stipite della porta. La mano stretta in un pugno, dondolava appena davanti al suo viso, un movimento lento dal viso al muro. La vide bere. Restò in silenzio.
I suoi occhi trovarono la schiena per la prima volta. Sentirla sotto le dita gli aveva dato un’insana sensazione di leggerezza e non voleva che si ripetesse. Mentiva a se stesso? No, non lo stava facendo. Ma se non lo faceva, cos’era quel desiderio che provava di sfiorarla di nuovo? Ehi, era la schiena della Haven, non aveva proprio nulla di speciale.
Lui non la sopportava, loro non si sopportavano.
Distolse lo sguardo. No, non gli interessava minimamente guardarla, lui era lì solo per aiutarla. Punto.
Tornò a concentrarsi sulla bottiglia che teneva in mano e sul parapetto troppo vicino. Doveva fare in modo di allontanarla da lì.
- Ciao… - a dispetto del suo vocione, riuscì parlare in modo abbastanza tranquillo e rassicurante. Non voleva che si spaventasse, facendo qualche movimento pericoloso verso il vuoto.
- Potrei averne un sorso? - chiese iniziando a muoversi piano verso Megan – è venuta anche a me la voglia di bere.
Rimase a fissarla in silenzio di nuovo. Fece un altro passo – Per favore


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view post Posted on 29/1/2019, 22:51
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Lost In Time And Space Prefect | 16 | Ravenclaw

Percorrere gli ultimi gradini non era stato poi così difficile, no quando l’unico obiettivo era stato quello di avanzare senza destare attenzione. L’unica difficoltà che aveva provato era il dover sfuggire da qualcosa prima che fosse stato troppo tardi. Così aveva superato la porta in legno e si era concessa la calma davanti al panorama di quella notte invernale. Una notte che non aveva più significato da molto tempo ormai, come tutto ciò che aveva da sempre condiviso con chi ora non c’era più.
Chiuse gli occhi per qualche istante, abbandonandosi a ricordi lontani di cui percepiva sempre meno i dettagli. Ed era casa quella che cercava, il calore accogliente delle sue mura ora troppo fredde e impolverate. Era la musica dei tasti del pianoforte, le parole dolci dei suoi genitori e la felicità di una sicurezza ormai sgretolata come sabbia fra le sue piccole mani.
Stringeva gli occhi e si sforzava ma non riusciva più a percepire nulla, sentiva solo il silenzio di quel buio infernale.
Voleva spostare i suoi pensieri altrove, dove era abituata a sentirne il dolore. Quello che era successo nella Sala Grande era qualcosa cui si era trovava impreparata, sebbene ne avesse da tempo studiato le modalità. Non ci riusciva, non riusciva a ricordare nulla se non brevi fotogrammi che non decideva, che non sceglieva.
Come era possibile che lentamente stesse dimenticando tutto? I ricordi erano sempre meno frequenti e i sogni ormai erano scomparsi del tutto. Li stava forse lasciando andare? La sofferenza l’aveva portata inconsapevolmente a difendersi credendo che, ricordando appena qualche immagine, forse si sarebbe alleggerita da quel peso?
No, non sarebbe stato così. Più restava in quella fase più cercava di capirne il motivo. I ricordi, ciò che vedeva attraverso i sogni, erano il suo unico appiglio.













La bottiglia dondolava fra le sue mani oltre il parapetto in pietra; sentiva il liquido accarezzare le pareti in vetro producendo un suono soave, rilassante. Era bastato quel suono per distoglierla dai pensieri, lasciandole posare lo sguardo sull’oggetto, studiando forma e colore del contenuto. Un sorso, ancora, e strizzò gli occhi cercando a fatica di mandare giù quel sapore. Era arrivata al limite, non ne sopportava nemmeno più l’odore, eppure non smetteva.
Poi ci fu un momento in cui l’immagine chiara di un ricordo tornò nella sua mente. Solo in quell'istante si rese conto di quanto non avesse alcun controllo e che quello che stava facendo sembrava essere l’unica soluzione per arrivare dove desiderava, per arrivare a sentire i suoi genitori così vicini. Bere, lasciarsi andare agli effetti che le procurava quell’azione, la faceva camminare leggera in uno spazio infinito di sensazioni positive. Non era giusto lo sapeva, non era quello il modo, ma le sembrava l’unico adesso. Più beveva più perdeva il controllo, ora sapeva come doveva fare se la lucidità rappresentava, ormai, il buco nero del suo passato.
In quel momento quello che avvertiva era un senso di pace, dove ogni cosa assumeva la parte più bella, ove tutta la negatività sembrava scivolare via lontano da lei.
D’improvviso l’ufficio di suo padre era lì, davanti ai suoi occhi, poteva vedere esattamente tutti i mobili che ne caratterizzavano la strana particolarità. Le mensole contenevano i tesori più belli da cui sempre era rimasta affascinata. Era un fanatico d’arte e tutto all’interno di quella stanza era pregiato, intoccabile e dannatamente costoso.
Lavorare all’Ars, dunque, era per Megan motivo di orgoglio proprio perché sapeva che in qualche modo avrebbe reso orgoglioso suo padre.
Se ne stava dietro alla porta in legno, gli occhi blu spiavano senza capire e osservavano la grande e possente figura dietro allo scrittoio. Stava percorrendo un flashback che la vedeva protagonista di un episodio lontano, qualcosa che aveva dimenticato e che ora era così chiaro.
Carl scriveva e affianco a lui la bottiglia di un whisky dell’Ottocento, la sua preferita, una delle tante che custodiva gelosamente dentro alla teca in vetro alle sue spalle. Eloise camminava preoccupata avanti e indietro nervosamente.
La tensione che respirava era così tremenda che pur non capendone il motivo la sentiva premere sullo stomaco con decisione ed estrema forza. C’era qualcosa che non andava ma lei era troppo piccola per poterlo capire. Quel ricordo era confuso, solo una frase e nulla più era rimasta impressa nella sua mente… Poi il buio.
«Basta! Non possiamo continuare così. Non ce la faccio più, Carl.» la voce spezzata, ne ricordava il suono graffiante, poi la porta si chiuse senza permetterle di andare oltre.

Non si era resa conto di aver chiuso gli occhi e che aveva ripreso a respirare solo nel momento in cui tutto svanì. Il suono della voce calda, delicata nella sua profondità, la risvegliò lentamente e un impercettibile tremolio improvviso l’avvolse.
Elijah era lì, l’aveva seguita.
Un lungo sospiro e la difficoltà prese il sopravvento su di lei. Cosa odiava di più in quel momento? La sua presenza forse? O il fatto che lui l’avesse vista in quelle condizioni?
Lo sentiva vicino e d’un tratto avvertì il freddo di quella sera, come se l’alcol avesse di colpo finito il suo effetto e il calore che provocava fosse scomparso totalmente.
Non disse nulla, raccolse la poca forza che aveva per allungargli la bottiglia senza nemmeno guardarlo. Non poteva vederla in quel modo, non voleva che lui percepisse la sua difficoltà, il suo essere così indifesa.
Cercò di dargli le spalle e a passi incerti, mossi con estrema fatica, si allontanò.
Quel groviglio di sensazioni che, di nuovo, stava provando le fecero salire la nausea. Una parte di lei voleva che andasse via, l’altra desiderava che restasse. Perché? Tuttavia non riuscì a interrogarsi a lungo, troppo scossa dalle circostanze cui aveva assistito, agito e rifiutato. La difesa prese il sopravvento, ancora, era inutile combatterla non ci riusciva. Aveva aumentato le distanze mentre ora le mani libere si stringevano attorno al suo esile corpo.
Elijah non doveva essere lì. Di colpo le percezioni positive, la tranquillità e la leggerezza scomparvero come una nuvola di fumo in uno spazio aperto. Si sentì soffocare e fu pervasa da un senso di colpa che non doveva avere, che non poteva avere.
«Ti prego, vai via.» la voce flebile, insicura.
Tutto sembrava perdere il senso mentre a fatica cercava di liberarsi dalla morsa che aveva stretto il suo cuore. Non voleva farsi vedere così, non voleva che lui capisse le sue debolezze in quel modo.
Doveva sempre sembrare sicura ai suoi occhi, doveva far vedere che aveva forza da vendere, che nulla poteva scalfirla. E adesso? Lui avrebbe visto chiaramente il suo dolore, non era abituata, lei non condivideva nulla di sé e questo la spaventava da morire.



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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 4/2/2019, 17:04




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Rimase immobile a guardarla, senza fare un ulteriore passo. La lacrima contro cui si era scontrato a Londra molti mesi prima era solo la punta dell’iceberg di ciò che aveva ora davanti agli occhi. Strinse appena le iridi chiarissime, tutto il resto del corpo non mosse nemmeno l’aria.
Le doveva la sua presenza e non se ne sarebbe mai andato, anche se non sapeva ancora come avvicinarsi. Le doveva l’attenzione e i silenzi, così pesanti e preziosi.
Le doveva la pazienza e la dedizione, le stesse con cui lei gli aveva curato le ferite, facendole sembrare meno profonde e dolorose. Le doveva il suo tempo che diventava sempre surreale, e le doveva i suoi occhi. Sì, quelli glieli doveva più di tutto, perché lei non li aveva mai abbassati, perchè non si era mai arresa nel volergli stare accanto. Nonostante tutto quelli c’erano sempre stati, gli occhi, ed Elijah non li avrebbe mai distolti. Era lì per lei, perchè glielo doveva. Sì, continuava a ripeterselo attimo dopo attimo eppure nessuno lo stava costringendo. Glielo doveva, ma con la stessa intensità lo voleva.
Non le avrebbe permesso di lasciarsi andare, cadendo nel vuoto di quella disperazione. Sapeva che Megan non glielo avrebbe mai concesso e lui non sarebbe stato da meno. Entrambi erano così tremendamente orgogliosi, ma Elijah era pronto a farla appoggiare contro le sue spalle che di disperazione erano diventate roccia.
Fece un paio di passi e arrivò a prendere la bottiglia. La raccolse da sotto, senza toccare la mano della Corvonero. La sollevò calcolando con lo sguardo quanto ne aveva già bevuto. Forse era troppo, non voleva che bevesse di più. Poggiò la bocca sul vetro e si concesse alcuni sorsi veloci, che scivolarono in gola come velluto, arrivando nello stomaco con la stessa determinazione di sempre.
- Sono già dove voglio essere e non ho intenzione di muovermi.
La voce era solida come la sicurezza che voleva darle in quel momento, calda e delicata come la mano che lei gli aveva stretto a Lago.
Mosse l’alcool nella bottiglia, come era solito fare con il bicchiere. Il liquido ambrato gli ricambiò lo sguardo, illuminato dalla luce della Luna che filtrava dalle aperture della Torre. Sollevò gli occhi verso quel chiarore e le iridi verdi ghiacciate presero delle sfumature che sapevano di notte e di inverno. Mosse le palpebre un paio di volte e bevve di nuovo, con maggiore convinzione, quindi abbandonò la bottiglia sul pavimento.





Fece un respiro profondo e tornò a guardala. Non l’aveva mai vista così. Era piccola, fragile, pronta a finire in mille pezzi da un momento all’altro. L’osservò mentre si stringeva le braccia intorno al corpo, i tratti della schiena ancora di più in evidenza. Sembrava indifesa, ma il Serpeverde sapeva quanta forza avesse dentro. Era giusto avere quei difficili momenti di sconforto ma Megan era perfettamente in grado di superarli. Erano uguali in questo, due pietre solide ma fragili. Erano capaci di restare perfettamente intatti se lanciati a chilometri di distanza. A volte, invece, si spezzavano in due con una piccola caduta. Era il destino di quelli come loro, era il loro destino e lui lo sapeva molto bene.
La mano si mosse fino a raggiungere il bottone della giacca e lo fece saltare fuori dall’asola senza troppi complimenti, nel silenzio dei gesti dettati dall’istinto. Andò a ripetere la stessa operazione con il secondo, senza mai abbassare lo sguardo. Gli occhi chiarissimi di Elijah erano fissi sui suoi capelli scuri, raccolti e morbidamente ribelli. La luce della notte gli regalava nuove tonalità, cupe e avvolgenti. Le ciocche giocavano a rincorrersi sulle trame del vestito dorato, mentre una brezza lieve le faceva ondeggiare verso la schiena. Per un momento, un rapido istante condito di infinito, Elijah si ritrovò in Sala Grande sotto le luci della festa. La faceva volteggiare e la sua mano era proprio lì, dove indugiavano ora i suoi occhi. Ne sentiva ancora la morbidezza sotto la pelle ed il calore che gli entrava nella punta delle dita facendole vibrare come le corde di un’arpa.
Le mani del Serpeverde afferrarono la giacca alla fine del bavero e la fecero scivolare dalle spalle. I suoi occhi ne seguirono il movimento per un attimo, celati appena sotto alle ciglia scure. La fece ruotare in silenzio davanti a sé, aprendola leggermente.
E così si mosse, andando verso di lei finché non le fu alle spalle. Silenzio, ancora silenzio, il loro linguaggio preferito, quello in cui non avevano bisogno di traduzioni. Sollevò la giacca, facendola frusciare appena, e la pose sulle spalle di Megan con lentezza esasperante. I tessuto le toccò la schiena e l’avvolse nel suo caldo abbraccio. Conservava il tepore del corpo di Elijah. Quel gesto era ciò che lui non avrebbe mai fatto, ma lasciò che altro parlasse al suo posto. Le braccia la cinsero appena per sistemare ciò che doveva e poi le dita mollarono la presa, aprendosi a ventaglio, allontanandosi leggere per sparire di nuovo alla vista della ragazza.
Rimase a guardarla, sperando che accettasse quel gesto che era il suo modo di prenderle la mano. L’osservò dilaniato dai dubbi delle reazioni che ne sarebbero arrivate. I suoi occhi la fissarono ancora, mentre era sommersa nell’abbraccio che aveva voluto regalarle. Non lo era davvero, ma aveva quel sapore particolare che solo il Serpeverde sapeva dargli. Aveva il suo profumo ma, soprattutto, parlava la sua stessa lingua, così ferocemente incomprensibile.

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Gli occhi chiusi per un breve istante avevano cercato, sperato, di riaprirsi vedendo scomparire le luci lontane di quel cielo nero. Svegliarsi da quell’incubo era ciò che desiderava ma più il tempo passava più rendersi conto che si trattava della realtà diveniva doloroso.
Aveva perso qualcuno quella sera e lo aveva fatto con consapevolezza. Ed era proprio quest’ultima che la distruggeva, insieme al non essere riuscita a fare diversamente. Eppure lei voleva evitarlo, voleva non creare altro dolore, non essere un peso e invece… Sì, aveva fatto peggio.
I sensi di colpa, come in un circolo vizioso, avevano iniziato a danzare nella sua mente. Battevano i talloni sul pavimento ballando scoordinati senza seguire il giusto ritmo. Il fardello che portavano si era posato sulle sue spalle, proprio come ogni dolore che l’aveva avvolta senza alcuna resistenza a impedirne l’accesso. Sì era fatta sopraffare, si era lasciata cadere in un pendio senza allungare le mani in cerca di un appiglio, anche questa volta. Lentamente stava andando via, lentamente si sgretolava come sabbia fra le dita. Era sempre stata brava a nascondersi, a far prevalere la parte forte, indifferente e completamente estranea ai fatti accaduti. Megan era quella solitaria ma gentile e rispettosa; era quella disponibile, a tratti divertente e con una lunga lista di difetti a seguire. Tuttavia cosa aveva dentro veramente? Dentro scoppiava giorno dopo giorno. Una mela lucida, di un rosso acceso, meraviglioso, ma all’interno marcia, nera come la pece.
Nessuno se ne era mai accorto prima d’ora, nessuno aveva fatto caso quanto rancore, vendetta e angoscia avesse in serbo la sua anima. Nessuno, eccetto lui.
Elijah riusciva a sfondare la barriera che aveva costruito senza alcuna fatica e lei non riusciva ad accettarlo. Lui non doveva vederla in quel modo.
Così dandogli le spalle aveva cercato di allontanarlo. Nulla di nuovo lo faceva sempre, pochi però avevano la stessa capacità del Serpeverde, la stessa insistenza e caparbietà. E proprio per questa consapevolezza che la risposta che le diede non fu per lei una sorpresa.
Aveva sospirato silenziosamente, non era del tutto sicura che fosse stata una reazione negativa. Una parte di lei si sentì bene in quel momento, sebbene la controparte rifiutasse quel genere di sensazione. Così si irrigidì quando lo senti camminare alle sue spalle. Passi lenti, e nell’udire sempre più vicini, scandivano la loro distanza che diveniva più breve, ancora una volta.











Un pugno allo stomaco e si mosse appena, era pronta a sfuggire di nuovo ma qualcosa la teneva ancorata lì e non fece alcun passo. D’improvviso sentì il calore del tessuto della giacca posarsi sulle spalle e una stretta leggera cingerle le braccia per poi scivolare via; un tocco delicato ma estremamente limpido nella sua essenza. Abbassò la testa leggermente e gli occhi si chiusero ancora abbandonandosi alla sensazione del calore che in quel momento percepiva sulla pelle. Il profumo, così intenso, le invase le narici e per un breve istante si lascio trasportare da quell’odore. Lui non poteva vederla ma sorrise e lo fece senza rendersene conto.
Nuovi brividi le attraversarono la pelle, improvvisamente il freddo sembrava un ricordo lontano e ora le mani, che cingevano il busto, allentarono la presa andando a cercare il morbido tessuto blu. Afferrò i lembi e li strinse a sé lasciandosi abbracciare completamente da quel calore familiare.
Ciò che percepiva in quel momento era confuso; per la prima volta avrebbe lasciato uscire i suoi sentimenti, abbandonandosi totalmente. Sapeva che con molta probabilità se ne sarebbe pentita il giorno seguente ma non aveva voglia di fermarsi. Era stanca, un vaso pieno fino all’orlo a cui sarebbe bastato aggiungere solamente alcune gocce d’acqua per straboccare. Non aveva voglia di lottare contro chi sapeva bene come sfiorarla, perché lui lo sapeva fare bene. Sarebbe stato inutile, un eterno conflitto che non avrebbe mai trovato la sua resa, perché chi si stava scontrando giocava ad armi pari.
«Sai, molte volte mi chiedo se sono io quella sbagliata ma credo di avere già la risposta.»
Ruppe il silenzio. Le parole si liberarono improvvisamente, senza alcun pensiero a prenderne decisione, come se in quel preciso istante avessero il sentore di poter essere comprese. Era l’alcol, niente di più.
«Non sono capace a tenere accanto a me le persone, non ci riesco. Nemmeno questa volta ce l’ho fatta. » la voce le tremava appena, lui poteva percepire perfettamente le sue inclinazioni. Le mani lasciarono la presa e con estrema calma il pollice e l’indice della destra andarono a sfilare l’anello gemello dall’anulare.
Glielo aveva regalato lei, una promessa che si era infranta e che ora le pesava sul cuore.
Così le parole di Wolfgang le tornarono nella mente e con esse ogni espressione e movimento.
Alzò la testa verso il cielo, cercando di frenare le lacrime e respirando profondamente. Quanto avrebbe voluto avere delle risposte, sapere cosa fare e come anche in quel caso. Una parte di lei si sarebbe buttata alle spalle tutto, l’altra però continuava a mantenere vivo il sentimento nei confronti del ragazzo.
«Doveva essere una serata speciale, io glielo dovevo dopo tutto questo tempo.»
La testa le girava e insieme a lei cumuli di pensieri che si sovrapponevano gli uni sugli altri.
Tornò ad abbassare lo guardo e gli occhi si posarono sui riflessi dorati del vestito.
Mi dispiace, non sono capace. Si asciugò in fretta una lacrima.
«Sono così arrabbiata. Credimi.» sospirò concedendosi una breve pausa.
«È colpa loro se sono diventata così, solo colpa loro.» si morse il labbro con rabbia, mentre il fuoco dentro di lei iniziò a divampare. Strinse i pugni e con un battito di ciglia cercò di riprendere il controllo.
Tutte le azioni che aveva compiuto fino a quel momento avevano una sola e unica causa e le bugie che la circondavano facevano da perfetta e mediocre cornice, aggravando solamente la situazione giorno dopo giorno.
«Ma lascia stare, non ho bisogno di niente. Puoi ridarmi la bottiglia?»
Chiese e con coraggio si voltò poggiando la schiena contro la parete, mentre lo sguardo posava sull’anello che oscillava fra le sue dita.
Non incrociò gli occhi del ragazzo, non aveva bisogno di farlo. No, non dal momento che lui avrebbe visto ancora più chiaramente la sua sofferenza. Probabilmente non avrebbe potuto capire perché non sapeva nulla, o almeno questo era ciò che credeva.
«Come sta Vic-Victoria? La trovi bene?»
Stava cercando di portare l’argomento altrove, lontano da lei e da ciò che stava affrontando. La voce era incerta, le tremava appena; aveva parlato troppo e si chiedeva per quale motivo lo avesse fatto. Iniziava a sentire il peso delle parole che aveva appena pronunciato e ad avere chiara la sua immagine indifesa fronte al Serpeverde. Non aveva avuto alcun controllo pochi istanti prima, non lo aveva nemmeno adesso e non lo sopportava affatto. Non voleva e non doveva essere compatita da nessuno, lei non aveva bisogno di questo.
Avanti! Respira, perché è così dannatamente difficile.
L'aria iniziava a mancarle e il cuore non smetteva di perdere il ritmo, che veloce le scoppiava in petto. Prendeva aria e la buttava fuori ancora e ancora, cercando la calma che non riusciva a trovare.

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Edited by Megan M. Haven - 12/2/2019, 21:58
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 12/2/2019, 09:15




Lost In Time And Space Prefect | 17 | Slytherin

Era tutto dannatamente difficile. Ogni passo, ogni gesto, ogni parola. Eppure Elijah riusciva a sentirla. Percepiva il dolore che viaggiava nello spazio tra loro due. Si esprimeva in quella lingua così chiara che non aveva alcuna difficoltà a tradurre. Era come se fosse scritto nero su bianco, già pronto da leggere. Si sentiva completamente impacciato, non si muoveva a suo agio in quel tipo di faccende. Aveva quasi l’impressione di annaspare nel vuoto. Cosa poteva fare in quel momento? Cosa doveva dire? Non era il problema di sembrare banale, ma quello di trovare le parole perfette, quelle che si incastrano senza fare male, i giusti gesti. Megan con lui era stata perfettamente in grado, ma il Serpeverde non era certo di riuscire nella stessa impresa.
Fece un paio di passi indietro. Voleva lasciarle i suoi spazi. Non c’era alcuna necessità di starle addosso, la sua giacca stava già facendo un qualcosa che aveva un sapore forte per uno come lui.
- Siamo sbagliati insieme – sussurrò appena, mentre le dita passavano tra le ciocche del ciuffo di capelli. Iniziava a tirava un vento più tagliente ma Elijah non aveva affatto freddo. Sentiva il calore invadergli il corpo con insistenza, come se volesse diventarne assoluto padrone. Fece un sospiro lieve alle nuove affermazioni nella Corvonero. Loro erano due numeri primi in un mondo perfettamente divisibile e non erano in grado di trovare nessuno con cui interfacciarsi. Era una delizia perché Elijah amava i suoi spazi, il dolce sapore della solitudine e dei momenti in cui era solo con se stesso. Di contro, era anche una maledizione perché pochissimi riuscivano a collocarsi nel suo mondo.
- Non devi essere tu a dover tenere accanto le persone, Megan, sono loro che devono volerlo.
Lo pensava e l’aveva sempre pensato. Elijah non era il tipo che restava in finestra ad osservare passivamente lo scorrere degli eventi. Lui voleva sempre essere parte attiva. Se voleva una cosa, cercava in tutti i modi di ottenerla. Non aveva mai cercato davvero le persone, non aveva fatto mai nulla di concreto per tenerle accanto e quello era sempre stato un suo limite. Era così, però, e non poteva cambiare la sua essenza ed il suo modo storto di vedere le cose. Erano i suoi occhi quelli che osservavano e non quelli di un altro. Era sbagliato ostinarsi a cercare, aveva raggiunto questa consapevolezza. Elijah non voleva più cercare, non lo avrebbe fatto mai più.






«Doveva essere una serata speciale, io glielo dovevo dopo tutto questo tempo.»
Le parole lo colpirono come una palla di cannone, dritte al centro dello stomaco. Che cosa stava facendo lì? Ma soprattutto, perché non c’era con lei chi doveva esserci davvero? Era sbagliato, era tutto sbagliato, eppure non riusciva ad andare via fregandosene di quello che lei stava provando in quel momento.
- La rabbia non è mai sbagliata – le iridi del Serpeverde vibravano della stesa furia, una sensazione che aveva imparato ad amare e sfruttare sempre a suo vantaggio – senza quella non saprei come andare avanti.
Tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca, lo aprì e ne sfilò una utilizzando le labbra. La fece dondolare per qualche istante, mentre cercava di fare il punto della situazione. Cosa avrebbe dovuto fare davvero? In cuor suo conosceva già la risposta, la conosceva piuttosto bene ma andava a cozzare contro i suoi desideri più profondi. Recuperato l’accendino Babbano, fece girare la rotellina e la fiamma apparve puntuale. Aspirò e la punta della sigaretta prese vita, brillando nella poca luce che li circondava.
- Non ho mai pensato che possa essere colpa tua e non devi pensarlo nemmeno tu. Mai.

Quando la Corvonero di voltò, Elijah vide chiaramente l’anello che teneva in mano. Conosceva bene quel monile, ne aveva al dito uno uguale e poteva intuire che fossero entrambi legati alla stessa persona. Guardò l’indice della mano, dove la pietra viola del suo anello gemello brillava appena ai raggi lunari. All’altra mano, l’Adularia urlava invece la sua gioia. Fissò la pietra, una parte di lui sapeva cosa sarebbe stato giusto fare, lo sapeva benissimo. Sarebbe bastato pochissimo, ma Elijah rimase a guardarla senza fare nulla.
Finì in silenzio la sigaretta, lasciando a Megan il tempo di metabolizzare le sue parole e di far ordine nei suoi pensieri.
Gli occhi chiarissimi tornarono a guardarla per qualche istante, prima di muoversi verso la bottiglia che aveva lasciato sul pavimento. Portò il collo alla bocca e bevve con gusto, più che poteva, inclinando la testa all’indietro. Ma cosa stava facendo? Perchè si comportava così? Doveva essere impazzito!
Strizzò gli occhi con rabbia, mentre mandava giù l’ennesimo sorso. Nonostante avesse bevuto parecchio, era perfettamente sobrio. Il problema vero era un altro.
Forse stava aiutando lei, ma non aiutava affatto il suo migliore amico. Sapeva cosa provava Wolf per quella ragazza, glielo aveva detto. E lui? Lui cosa provava? Lui cosa c’entrava lì?
Nulla, assolutamente nulla. No, non era quello a frenarlo, nella maniera più assoluta. Era il suo risentimento nei confronti di Wolfgang, che non era più certo essere un suo amico. Per lui era così, ma i comportamenti dell’altro Serpeverde lasciavano pensare tutto il contrario. Non riusciva a dimenticare il loro incontro estivo. Da quel giorno non si erano più presi un attimo per loro, per parlare. Nonostante tutto, Elijah aveva continuato a pensare che non fosse cambiato nulla.
Era stato il Natale a smentirlo, in cui il silenzio di Wolf aveva dato sempre più consistenza ai suoi pensieri. Il suo amico l’aveva completamente ignorato, comportandosi come se la loro amicizia non avesse importanza. Bene, allora, lui si sarebbe comportato di conseguenza.
- Victoria dice che sei il suo angelo.
E si avvicinò piano, senza perderla di vista nemmeno un attimo. Passi lenti, cercando di fare meno rumore possibile. Quando le fu di fronte si fermò. Nella destra teneva la bottiglia. L'aveva bevuta quasi tutta per evitare che potesse farlo lei.
Sollevò lo sguardo mentre l’altra mano si posò su quella di Megan, stringendo appena le dita tra le sue. Non voleva imporle nulla. Il suo tocco, la sua vicinanza c’erano, lui era lì e non se ne sarebbe andato. C’era perché voleva essere lì, perché glielo doveva, e ci sarebbe restato a dispetto di ogni rifiuto, esattamente come le aveva detto, ma doveva essere lei a decidere.

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Lost In Time And Space Prefect | 16 | Ravenclaw

La luce dell’anello brillava sotto i suoi occhi blu. Tutto pareva chiaro a chi osservava, un gesto deciso fatto con delusione e rabbia, ma nulla era come sembrava essere.
Navigava nell’incertezza più assoluta, cercando di rimanere a galla durante ogni tempesta che incontrava. Ce l’aveva sempre fatta, anche nel momento di maggiore intensità dove l’unica alternativa era lasciarsi annegare. Lei era sopravvissuta in qualche modo e questo lo doveva a Wolfgang. Eppure non era stata in grado nemmeno di tenersi vicino l’unico appiglio a cui era riuscita ad aggrapparsi nel buio più totale, l’unica certezza che credeva di avere e di poter tenere al suo fianco.
Perché, sebbene non fosse successo nulla, era sicura di averlo perso per sempre? Continuava a farsene una colpa, a punirsi di un qualcosa che non avrebbe potuto mai frenare. Perché lei era così ed era certa che nessuno sarebbe stato in grado di stare al suo fianco. Non la meritava e lo sapeva, lui aveva bisogno di altro, qualcuno disposto a dargli ciò che lei non avrebbe mai potuto concedergli.
Così in quel momento, con le spalle contro il muro, continuava a elaborare ogni parola detta da Elijah. Lo aveva lasciato parlare senza replicare e ogni risposta ricevuta aveva risvegliato in lei qualcosa.
E se era vero, se non era solo lei il problema? Se era davvero come le aveva detto? Magari Wolfgang non aveva insistito abbastanza, non era stato realmente presente. Era vero, chi voleva rimanere al fianco di qualcuno, restava e basta senza alcun ostacolo a frenarlo. Forse non era solo e unicamente colpa sua ma come faceva a convincersene? Avrebbe voluto tanto smettere di pensare, allontanare la rabbia che la soffocava. Come poteva trarre forza da quest’ultima? Lei non ne era capace.
Il respiro continuava ad arrancare e la testa le girava così tanto che la presenza del Serpeverde in quel momento doveva considerarsi una salvezza, la sua. Non era prudente stare lì da sola, non in quelle condizioni.
Alzò lo sguardo mentre l’immagine del ragazzo era così offuscata che riusciva solo a vederne i gesti confusi. Sentiva l’odore del fumo e inevitabile il ricordo prima di entrare nella Sala Grande, insieme a Emily, l’abbracciò. Riusciva a vederlo chiaramente: il braccio unirsi al suo e poi…
Strizzò gli occhi non appena la risposta di Elijah arrivò. Una smorfia confusa in cerca di carpire il significato e qualche secondo per comprendere realmente per quale motivo lui fosse intervenuto in quel modo. Gli aveva chiesto di Vic e lo aveva del tutto rimosso.
«Il suo angelo? » sorrise, mentre il cuore si scaldava rielaborando quanto aveva ricevuto. Era felice di aver avuto la possibilità di prendersi cura di qualcuno per la prima volta, Victoria poi aveva qualcosa di speciale per lei. Non poteva dimenticare ciò che aveva provato quella notte e quanto l’istinto di proteggerla l’avesse stretta in un nodo impossibile da sciogliere. La prima morsa dalla quale non tentava di svincolare, sebbene la sua forza fosse ridotta ai minimi per la giovane Corvonero non avrebbe fatto un passo indietro.
«Oh… piccola.» gli occhi erano tornati a guardare le sue dita, l’anello gemello dondolava fra il pollice e l’indice della mano sinistra mentre la mano destra teneva stretto un lembo della giacca attorno a proprio corpo. Era troppo lontana da quella realtà per potersi accorgere che Elijah si era avvicinato a lei. Solo quando si avvide dell’ombra e sentì le dita afferrare le sue tutto le piombò addosso lasciando spazio ai brividi incontrollati e al cuore esploderle in petto. Fu freddo di nuovo, non aveva importanza l’alcol nelle sue bene quando lui era così dannatamente vicino.










Avrebbe dovuto allontanarlo ma non lo fece, lo lasciò fare e la mano si staccò dal tessuto seguendo quel movimento delicato. Era imbarazzo quello che stava provando, totale confusione e smarrimento nel comprendere realmente cosa le stava succedendo. Era così strano averlo lì, percepirlo in un modo totalmente diverso dal solito tanto da non saperlo spiegare. Sollevò la testa e lo sguardo andò a cercare quello di lui, gli sorrise con un velo di imbarazzo mentre gli occhi lentamente si abbassarono sulle sue labbra. Perché? Strinse le dita attorno alle sue poi respirò profondamente, mentre il cuore non smetteva di tamburellare impazzito nel petto. Come se avesse ripreso la sua corsa improvvisa dopo attimi di stop; come se dovesse rincorrere i battiti perduti in quegli istanti che parvero eterni. Era tesa, lui non avrebbe avuto difficoltà nell’osservarla, si sarebbe accorto di ogni piccolo e impercettibile gesto.
Le palpebre si chiusero per trovare la calma, per cercare di scrollare via quella sensazione strana che la destabilizzava tanto da avvertire il rischio di fare dei passi falsi, qualcosa che avrebbe rimpianto probabilmente, o forse no.
No.
Li riaprì e spostò le sue iridi cobalto sulla bottiglia, non vi era rimasto più nulla all’interno, si contavano sì e no due dita scarse a colorarne il fondo.
Con una spinta leggerà si sollevò dal muro a fatica e, accorciando le distanze, lasciò scivolare la mano via da quella di Elijah mentre con l’altra afferrava la bottiglia lasciando cadere a terra l’anello senza rendersene conto.
«Credi sia pazza? Ce ne era almeno la metà quando te l’ho data. » lo sguardo severo incrociò quello del ragazzo senza alcuna difficoltà stavolta. Con un gesto apparentemente semplice portò la bottiglia alla bocca, un altro sorso, quello finale.
«Non c’è più nulla? Non hai niente con te? »
Lasciò il braccio cadere verso il basso «Bisognerebbe rubarne un’altra dal banchetto… Vai tu?! » il labbro inferiore si piegò in giù «Per favore! »
Due parole a chiudere quella richiesta poi un tonfo e la bottiglia di vetro scivolò fra le sue dita sfiorandole il piede e frantumandosi in mille pezzi.
«Cazzo! » Barcollò in avanti cercando di evitare di farsi del male. Le mani si poggiarono entrambe sul petto del Serpeverde spingendolo indietro.
«Dio! Che disastro! Dovremmo raccogliere i cocci. » si staccò trovando l’equilibrio necessario, per quanto possibile, prima di dare le spalle a Elijah e chinarsi a prendere ciò che era rimasto della bottiglia a terra.
In realtà non sapeva cosa stesse facendo, non era mai chiaro in sua presenza. I piedi nudi erano ora pericolosamente vicino ai vetri mentre le mani afferravano ogni singolo coccio. Poi d’improvviso la stretta della mano divenne troppo ferrea, non aveva la giusta percezione per dosare la forza e aveva chiuso le dita troppo forte.
«Ahi!» Un frammento le aveva bucato la pelle lasciando il sangue defluire macchiando la pietra scura. Macchioline perfette, che a contrasto con la luce quasi assente sembravano inchiostro nero su pergamena.
Si alzò con difficoltà lasciando le dita penzolare lontano dal vestito, bruciava ma non sentiva dolore: l’alcol era una perfetto anestetizzante.



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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 14/2/2019, 14:54




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Le sfiorò le mani con le sue e si ritrovò di nuovo sulla pista da ballo, guidato dalla musica e da emozioni impreviste e intense. Gli occhi chiarissimi di Elijah erano fissi in quelli cobalto della Corvonero. Cercava risposte disperate a tutto quello che gli stava succedendo. Mille perché e nessuna risposta che potesse aiutarlo. Si sentiva inappropriato, eppure un tarlo dentro gli diceva che non doveva muovere un passo da lì. Voleva aiutarla. Non voleva lasciarla da sola in quello stato, evitando che continuasse a bere. Aveva solo bisogno di focalizzare la sua forza ed Elijah gli avrebbe prestato la sua per tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Era confuso e quella confusione lo stava facendo sbarellare, portandolo a fare gesti che mai avrebbe fatto in vita sua. Perché? Maledizione! Perchè stava succedendo? Cosa gli stava succedendo? Non si era mai sentito così in tutta la sua vita. Era sempre riuscito a gestirsi e a gestire le situazioni nel modo più razionale e lineare. Ora, invece, si sentiva come una piccola barca di legno in balia di una tempesta. Fece un sospiro mentre gli occhi le misuravano il viso, come se volesse imprimersela nella mente per sempre, un disegno che sarebbe stato solo per lui. Il calore delle sue dita lo faceva palpitare. Battiti sempre più veloci, ed era sicurissimo che lei se ne sarebbe accorta. Se ciò fosse successo, non avrebbe mai sopportato l’imbarazzo. Gli occhi però indugiarono ancora sul suo viso, sui suoi occhi, sulle sue labbra. Il cuore partì con più slancio ed Elijah abbassò le palpebre, cercando una via di fuga a quella situazione ingestibile. In piedi in mezzo ad una bufera, sempre e comunque, lui era in grado di farlo e l’avrebbe fatto. In quel momento non era lui quello importante. No, non lo era affatto.






Quando Megan lasciò la sua mano fu dolore e sollievo allo stesso tempo. Elijah però si appigliò al secondo, era quello che lo faceva sentire più forte in quel momento.
- Ce n’era più di metà, l’ho bevuta io per evitare che lo facessi tu.
Per favore, guardami. Guardami!

Davvero lo voleva? Davvero non cercava più la salvezza?
- No, non ho nulla … - e anche se avesse avuto altro alcool, non glielo avrebbe mai dato in quel momento. Era lì per aiutarla e non per buttarla ancora più nel baratro - Megan...
Quella richiesta rischiò di metterlo al tappeto, ma Elijah non le avrebbe mai preso altro whiskey, mai. Era pronto a farsi prendere il petto a pugni e sarebbe rimasto in piedi senza dire una parola. Era quella la cosa giusta da fare e lui l’avrebbe fatta. E’ sempre molto più facile far felice una persona che fare il suo bene. Il Serpeverde avrebbe voluto fare entrambi, ma il secondo era molto più urgente in quel momento.

La bottiglia si infranse a terra, seminando cocci in tutte le direzioni – Ehi… - le sussurrò, ma lei lo spinse via in modo del tutto imprevisto. La guardò attonito per alcuni secondi e furono proprio quelli che fecero precipitare le cose. Si sentì un idiota quando il sangue schizzò dal dito della Corvonero, un idiota nel profondo.
Non le permise di fare altro, non era nelle condizioni di poterlo fare. Si avvicinò di nuovo e la sollevò di peso, un braccio dietro la schiena e l’altro sotto le gambe. Non fu la cosa più semplice del mondo, vista la mole del vestito, ma riuscì a fare ciò che aveva deciso. Si mosse con Megan e, mentre si avvicinava al muro, tornò a guardarla – Ai cocci ci penso io – la voce scese di un tono appena – ma prima penso a te, piccola iena.
La sistemò sul pavimento, lasciando che si appoggiasse il più comodamente possibile alla parete. Si sedette di fronte a lei. Prese la mano senza indugi tra le sue ed osservò la ferita. Si trattava di un taglio, non particolarmente profondo. Era il caso però di accertarsi che non vi fossero dentro dei piccoli pezzi di vetro. Agì d’istinto, come aveva visto fare tante volte a sua sorella Hannah. Era una Medimaga, ma spesso seguiva metodi spartani che sosteneva essere molto efficaci. Portò il polpastrello di Megan tra le labbra, usandole per aspirare il sangue con forza. Le palpebre si sollevarono a cercare i suoi occhi. Tornò a ripetere l’operazione un paio di volte, finché non fu certo che fosse tutto a posto. La guardava e, mentre ancora lo faceva, staccò le labbra lentamente per tornare a guardare la ferita. Annuì e prese la bacchetta. Tenendo il polso flessibile avrebbe eseguito un semicerchio in senso orario dal basso verso l’alto. Al termine del movimento avrebbe dato un colpetto verso al ferita, facendo attenzione a non toccarla. Mentre eseguiva tutto il movimento, avrebbe pronunciato con calma la formula, calcando bene le ultime due sillabe.
- Medèor Vulneràtio
La ferita sarebbe svanita, ma Elijah sapeva che il dolore che le invadeva il petto non sarebbe scomparso con la stessa facilità. Chiuse le mani a conchiglia e dentro di esse trattenne la mano di Megan. Solo in quel momento tornò a guardarla.
- I mostri dell’anima non mi fanno paura – socchiuse appena le labbra, un istante per riprendere fiato – posso aiutarti a schiacciare anche i tuoi. Non me ne vado, Megan, non me ne vado nemmeno se mi dici che non devo farlo.
Le lasciò la mano e prese il mento della Corvonero tra le dita – Guardami – sussurrò – io sono qui. Qui!


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Non era quello lo stato in cui doveva sprofondare, era la prima a sapere che i suoi genitori mai sarebbero stati contenti di ciò che stava facendo, ma non le importava più nulla. La rabbia che provava non riusciva a permetterle di sentire il rimorso ad ogni azione negativa; al contrario lei ci si immergeva e lo faceva con consapevolezza, come se in qualche modo potesse fare loro un torto, fargli pagare il male e la delusione che le avevano scaricato addosso. Poi c’erano i ricordi che riaffioravano, la mente leggera ricostruiva lentamente ogni momento passato. L’unico modo in cui riusciva a vedere, a percepirli ancora lì, era bere e voleva continuare a farlo. E li vedeva, erano chiari i loro sguardi severi, le loro voci dure mentre la riprendevano.
«Megan, ti fai male se cadi da lì. »
I piedi poggiavano lungo la striscia del muro di cinta che proteggeva la grande casa. In bilico con le braccia larghe sfidava la gravità, come un equilibrista su un filo.
In quel momento, nel presente, stava sorridendo, perché sentiva l’amore sfiorarle l’anima.
E così, benché in modo diverso, ora continuava a camminare lungo quella striscia, a saltare ad ogni spazio per non cadere nel vuoto e accorciando le distanze ad ogni salto. Ma sembrava non essere più abbastanza, lei voleva toccarlo quel vuoto, spingersi oltre. Per questo motivo non voleva protezione, non voleva che tutto quello che stava vedendo svanisse. E poi non ne aveva bisogno, si rifiutava di ricevere un aiuto da qualsiasi persona perché sapeva di non essere in grado di gestire le sue emozioni in alcun modo. Ferire se stessa significava ferire gli altri, se questi ultimi tenevano a lei, e così si manteneva a una distanza appropriata. Li proteggeva a suo modo pur sapendo che non tutti accettavano quella situazione e che non sempre sarebbe stata capita, Wolfgang era la prova evidente del suo fallimento. Elijah invece?
Desiderava bere ancora, arrivare al limite e superarlo. Non le importavano le parole che il ragazzo le aveva detto in quel momento e della sua delicatezza nel gestire quella situazione. Lo aveva pregato di fare qualcosa per lei, e un celato “No” non era quello che avrebbe voluto sentirsi dire.
Megan lo sapeva bene cosa lui stava facendo: cercava di proteggerla in qualche modo, soppesando parole e gesti per riuscire a rimanere al suo fianco. Elijah conosceva il suo carattere aggressivo, sapeva che compiendo un passo falso lei avrebbe preso fuoco e la situazione sarebbe degenerata senza mezze misure. Lo aveva provato sulla sua pelle quel giorno a Londra.
Tuttavia, in quegli attimi, Megan non riusciva a manifestare alcun sentimento diverso dalla rabbia e dalla sofferenza. Non era stata in grado di ringraziarlo, sebbene ogni cellula involontaria del suo corpo andava in un’unica direzione. Era grata della sua presenza, era grata della sua vicinanza e una parte di lei, nascosta dietro al grande muro della sua anima, si sentiva al sicuro.
Ma in quegli istanti non era stata in grado di ascoltare, tutto poi era successo così velocemente che non aveva avuto il tempo di dire altro, di andare affondo al suo desiderio, di allontanare Elijah per non averle dato ascolto.
Per esigui ma per lei infiniti secondi aveva osservato il sangue scorrere sul suo dito, lasciando che fluisse e bagnasse il pavimento. Incantata dal rosso scarlatto provò una strana sensazione: le piaceva e si lasciava trasportare da quel lieve dolore che l’aveva distratta da ogni pensiero. In quel momento sembrava che ogni cosa avesse perso la sua importanza e la ricerca di quella sensazione stava prendendo il sopravvento. Adesso capiva cosa aveva spinto Victoria a rifugiarsi in quel gesto, ora capiva perché le era rimasta accanto. Lei non era del tutto diversa, aveva solo delle responsabilità in più e non doveva lasciarla affondare.
Lo stato in cui si era persa non durò molto e quando si sentì afferrare dal ragazzo si irrigidì ma non oppose resistenza.
La mano penzolò per qualche attimo all’esterno, lontana dal vestito dorato, e non appena si sentì poggiare a terra tirò indietro le gambe in posizione di chiusura. Era totalmente confusa che aveva sentito parlare Elijah senza riuscire a capire alcuna parola.
Si lasciò afferrare la mano ferita, mentre con espressione interrogativa si chiedeva cosa avesse intenzione di fare. Poi sentì un pugno allo stomaco colpirla forte e un brivido di piacere risalire sulla schiena.
Un bacio sul dito ferito e sentì mancare l’aria per qualche attimo. Cosa stava facendo? Perché?
Non riuscì a fare altro che restare a guardare, mentre dentro di lei cumuli di sensazioni si mescolavano lasciandola in balia della confusione più totale. Lo guardava e probabilmente la sua espressione di totale smarrimento faceva intravedere quanto fosse in imbarazzo. Sentiva il volto andare a fuoco ad ogni movimento delle labbra che il Serpeverde muoveva sulla sua pelle.
Se l’alcol la stava aiutando in una direzione dall’altra parte la rendeva debole, incapace di reagire. Quando le labbra si staccarono e il calore abbandonò quell’angolo del suo corpo, Megan non poté frenare il pensiero che la spingeva a volerlo sentire ancora.











Lo guardava con attenzione, lasciava che i suoi gesti la trasportassero senza fare nulla per fermarli. La ferita si richiuse dopo l’incantesimo e Megan non sapeva se sentirsi sollevata o meno.
Era così dannatamente complicata da riuscire a non tollerare lei stessa il suo atteggiamento, ma non sarebbe cambiato, non ancora.
Lo aveva ascoltato con più attenzione questa volta mentre la mano venne accolta dal calore di quelle del Serpeverde.
Gli occhi fissavano i suoi, immobili nell’udire quelle parole mentre il dolore allo stomaco diveniva più forte.
Devi andare via!
Avrebbe voluto dare vita a quel pensiero eppure quando schiuse appena le labbra, lasciò spazio solo a un impercettibile respiro di resa.
La presa si allentò e la mano scivolò delicata sul tessuto, come fosse addormentata. Le spalle poggiate contro il muro spingevano forte cercando una via d’uscita. Si sentiva soffocare ancora una volta ma più intensamente adesso.
Quando Elijah le prese il mento fra le dita, sollevandolo, chiuse gli occhi. L’invito a guardarlo era troppo in quel momento, soprattutto dopo quelle parole.
Una lacrima le solcò la pelle perlacea, e le labbra si incresparono lasciando vedere chiaramente il suo dolore. Sì voltò da un lato liberandosi dalla presa; non voleva che la guardasse, non così.
«Non è facile. Non lo è mai per me. Vorrei avere solo indietro le mie certezze.» la mano accarezzò il suo viso lavandolo dalle lacrime che ora scendevano senza alcun freno.
« Ho solo bisogno di poterli avere ancora qui e so che è impossibile. Sono sola, capisci? Lo sono anche in mezzo a tanta gente, Elijah. »
Tornò a guardarlo, la voce le tremava senza controllo «Ho provato con tutta me stessa a cercare di andare avanti, ma è dannatamente difficile. Wolfgang era l’unica cosa che riusciva a farmi rimanere a galla e, a quanto pare, sembra che non sia riuscita a tenerlo affianco a me.» si morse le labbra mentre un leggero sollievo si faceva strada nel suo corpo.
«Vorrei solamente smettere di pensare, non sentirmi sbagliata e invece mi sento un pericolo per tutti quelli che mi circondano. Perché li ferisco in qualche modo, perché non sono capace di lasciarmi andare.» era la prima volta che confessava ciò che da tempo la logorava dentro, che lasciava uscire quelle parole senza frenarle in alcun modo.
«Ora però sono questa e non posso farci niente. Sono arrabbiata, delusa, circondata da innumerevoli domande a cui non riesco a dare una risposta.
Mi sento tradita da loro, da mio padre e mia madre, ma come faccio a urlaglielo in faccia se loro non ci sono più? Non puoi aiutarmi, nessuno può.
» Si fece forza e con fatica si sollevò. Una spinta e tornò ad appoggiarsi contro il muro, ora in piedi.
«Tu sei qui, ti vedo. Ma io? Io non ci sono più Elijah, credimi.»
Mi dispiace
Un passo in avanti e aveva superato il Serpeverde. Le lacrime si erano fermate mentre cercava di riprendere la via da cui era arrivata. Voleva ansarsene, voleva lasciare quel luogo adesso, perché rappresentava la parte in cui aveva liberato il suo dolore e faceva così dannatamente male.
Lui l’aveva saputo e ora si sentiva così vulnerabile da poter essere spezzata solo con un leggero soffio di vento. Avvertiva il cuore battere forte, lo stomaco contorcersi e il senso di smarrimento avvolgerla in una morsa troppo stretta. Eppure una parte di lei era sollevata ma niente sembrava poterla fare riemergere da quello stato e si pentiva di ogni passo fatto.
Non era giusto. Lui non doveva portarsi dietro anche il suo fardello.
Così, tutto perdeva ancora di più il senso. Non sapeva cosa stava provando, non riusciva a rispondere alle domande che ora le affollavano la mente senza lasciarle la libertà di farle smettere in alcun modo.
Perché si sentiva così in presenza di Elijah? perché ogni emozione sembrava impazzire ad ogni sguardo e tocco? Perché proprio lui? C’era qualcosa che non tornava, c’era qualcosa che probabilmente rifiutava. Ma nonostante tutto lei sapeva, ne aveva avuto la conferma, che per quanto potesse respingere quella situazione lui sarebbe rimasto.
«Non devi essere tu a dover tenere accanto le persone, Megan, sono loro che devono volerlo.»
Quelle parole le tornarono in mente, chiuse gli occhi e le lasciò andare. L’avvolsero come una coperta calda e accogliente in un luogo freddo e solitario.
Lui era stato l’unico a volerlo, era stato l’unico a rimanere, e lei? Se ne stava andando ancora, mentre il cuore impazziva affinché l’ascoltasse.
Elijah era lì per lei, doveva smetterla di lottare da sola.



I'm not sure how to feel about it, but I know there's something when I look at you.





 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 21/2/2019, 09:55




Lost In Time And Space Prefect | 17 | Slytherin

Le labbra sul dito di Megan vi arrivarono in modo del tutto istintivo, senza pensare. Il contatto fu, invece, molto diverso, inaspettato e destabilizzante. Gli occhi chiarissimi del Serpeverde erano fissi in quelli cobalto di lei, soppesandone ogni espressione, ogni più piccolo movimento che avrebbe dovuto metterlo sull’attenti. Che cosa stava facendo? Davvero stava tenendo il dito della Corvonero tra le labbra? Doveva essere completamente impazzito. Riusciva a percepirne il calore così bene che sembrava andasse in fiamme. Non avrebbe dovuto farlo. No, non avrebbe dovuto farlo nella maniera più assoluta.
Il volto di Megan era come perso, e non poteva essere altrimenti a causa dell’alcool. Probabilmente in quel momento aveva una visione del tutto distorta della realtà e non percepiva affatto quel contatto che stava scatenando in lui l’Inferno.
Doveva staccarsi, doveva assolutamente allontanare la sua bocca da lei. Doveva, ma non voleva. Era una lotta che lo stava dilaniando, in cui doveva solo trovare la forza di mettere un freno alle emozioni sbagliate che stava provando in quel momento.
Non reagì alle sue parole ed Elijah che pensò nulla di quello che avrebbe potuto dirle in quel momento sarebbe andato a segno. In ogni caso non si sarebbe mosso da lì e non gliene fregava nulla se lei lo volesse o meno.






Le parole che seguirono lo travolsero come un fiume in piena, ma la sua forza emotiva aveva solide radici e rimase lì, attendendo che la furia dell’acqua si fosse placata quel tanto che bastava. Era in un pantano in cui si sapeva muovere abbastanza bene. Le paludi ti spaventano solo se non le conosci, ma se sai come gestire i tuoi passi, allora tutto diventa più semplice.
La lasciò parlare, lasciando che buttasse fuori tutto il dolore che aveva dentro. Chissà da quanto tempo portava quel fardello. Era arrivato il momento che lo appoggiasse sulle spalle di un altro e le sue erano già allenate alle perfezione. Per lui non era difficile e lo avrebbe fatto, soprattutto perché lo voleva.
Davanti ai suoi occhi, freddi di ghiaccio e caldi di erba appena tagliata, si palesò una realtà che mai avrebbe immaginato, ma che conosceva bene. La solitudine era di nuovo lì a fargli da colonna sonora, ma questa volta non era la sua. Non sarebbe scappato, no, sarebbe rimasto lì. Ne fu colpito nel profondo e si sentì un egoista per non averlo capito subito. Come era potuto essere così cieco davanti ad una richiesta d’aiuto di cui, in fondo, aveva avuto sentore già quel pomeriggio a Londra?
Fece un passo restando ancora alle sue spalle, come l’ombra che la seguiva sempre o l’angelo di cui anche lei aveva bisogno.
- Io ti vedo, Megan, e non ti ho mai vista così bene come in questo momento.
Le lacrime che le erano scene sulle guance gli stavano entrando sotto pelle, come le gocce d’acqua quando camminava sotto al temporale, dolci e assolute, carezze implacabili.
Si avvicinò di più finché la distanza fu quasi impercettibile. Il profumo della Corvonero lo avvolse di nuovo e gli occhi di Elijah si chiusero. Un silenzio in cui si concedeva di sentirla, respirarla, viverla, come mai aveva fatto fino a quel momento. Perchè gli faceva quell’effetto quella vicinanza? Quale demone si agitava dentro di lui, stravolgendogli ogni tipo di certezza? No, non stava accadendo nulla di diverso dal solito.
Lei era Megan, era solo Megan.
La testa del Serpeverde si piegò in avanti finché con la fronte non toccò la testa di Megan, lì dove i capelli gli scivolarono sulla pelle del viso.
- Non sei sola, nemmeno quando urli in silenzio. Io riesco a sentirti, esattamente come ora.
Fu quello l’unico contatto che riservò ad entrambi, loro che facevano della distanza la loro migliore alleata. Socchiuse le labbra ma, nonostante tutto, si rese conto che il respiro iniziava a mancargli. Perchè stava succedendo, perché? Era del tutto assurdo con lei. Magari si stava solo facendo trasportare dall’atmosfera della serata, niente di più. No, non c’era niente di più che potesse cambiare le carte in tavola.
Lasciò andare appena il respiro tra le ciocche, poi si mosse intorno a lei finché non le arrivò di fronte, e lo fece senza mai sfiorarla.
Furono di nuovo quei due occhi cobalto nei suoi, che senza un perché scivolavano a fondo. La guardò e lo fece in silenzio, anche se non capiva perché lo stesse facendo o la vera ragione che lo spingesse ad essere lì dritto di fronte a lei. Era tutto assurdo, un qualcosa che non aveva preventivato.
Sarebbe dovuto andare via e lo sapeva, lo sapeva benissimo, ma non poteva muovere un passo. C’era qualcosa dentro di lui che glielo impediva, il senso di gratitudine sicuramente. Che altro poteva mai essere?
- Mi devi un ballo prima che questa serata finisca.
Le mani di Elijah si spostarono verso il basso finché non trovarono i polsi di Megan. Li trattennero per qualche istante, sollevandoli poi verso l’alto. Mosse le braccia della Corvonero fino a portarle sulle sue spalle senza attendere la risposta. Lo fece e basta. Quando fu certo che non si sarebbe mossa, le dita lasciarono la presa, anche se gli occhi non fecero lo stesso. La mano destra tornò a poggiarsi sulla schiena nuda e questa volta non fu sola, mentre le braccia l’avvolgevano.
- Immagina la musica – le sussurrò con il suo vocione che quel silenzio tendeva ad amplificare – Riesci a sentirla?
La fece girare lentamente verso sinistra e poi su se stessa. Girarono di nuovo e quel cerchiò quasi perfetto fece avvicinare di più i loro volti, così tanto che la punta del naso arrivò quasi a sfiorarsi.
Perché all’improvviso l’aria iniziava a mancare in quel modo? Perchè un gesto così facile, che aveva fatto mille volte, gli sembrava ora così maledettamente difficile? L’alcool aveva forse fatto effetto anche a lui? Sì? Non ricordava di aver bevuto così tanto o forse in quella bottiglia non c’era solo del semplice whisky. Non avrebbe dovuto bere, ma limitarsi a vuotare la bottiglia sul pavimento. Era stato un idiota, ma in quel momento gli era sembrata davvero la cosa più giusta da fare.

If you felt alive before, tell me: how do you feel while looking at me now?




 
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view post Posted on 27/2/2019, 10:22
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Ocean eyes.

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Lost In Time And Space Prefect | 16 | Ravenclaw

Camminava.
Passi lenti e incerti lasciavano esattamente intravedere quanto ogni cellula del suo corpo gridasse altro rispetto alle sue azioni. Eppure si muoveva, dritta verso l’uscita, mentre il dolore lentamente si affievoliva lasciando spazio a una libertà emotiva che aveva dimenticato.
Non aveva mai pensato di potersi liberare del suo dolore in quel modo, lasciare che uscisse e si disperdesse nell’aria come polvere da sparo dopo un colpo ben assistito. Il proiettile, però, era stato direzionato nel punto sbagliato e sebbene Elijah glielo avesse ribadito più volte che c’era e ci sarebbe stato nonostante tutto, lei sapeva di avergli dato un peso in più da portare. Una preoccupazione in più di cui doveva farsi carico e che probabilmente lui non si aspettava affatto.
Così, era inevitabile per Megan sentirsi in colpa, come era difficile convincersi che tutto sarebbe andato bene adesso che aveva fatto ciò che avrebbe dovuto fare molto tempo prima. Sfogarsi, lasciare andare via il dolore senza spingersi al limite tanto da scoppiare.
Solo che ora, seppur rifiutando quella sensazione, sentiva il peso più leggero. Poteva sollevare meglio le spalle, camminare dritta e riuscire a respirare in maniera diversa. Per quanto voleva opporre resistenza a quella sensazione di sollievo non avrebbe resistito a lungo. Doveva accettare di sentirsi così, anche se era passato tanto tempo dall’ultima volta; adattarsi alla leggerezza che percepiva, anche se non era più abituata e le sembrava così strano. Se solo avesse saputo che quello era stato il primo passo fatto verso se stessa e per se stessa, avrebbe lasciato che tutto andasse, semplicemente, come era giusto che fosse. Eppure le serviva solo del tempo per capire, per mettere a fuoco ogni emozione provata. Parlarsi davanti a uno specchio, affrontare i suoi mostri in maniera diversa e lasciarsi prendere per mano mentre camminava lungo un percorso troppo pericoloso da poter affrontare da sola.
La solitudine in quel caso sarebbe stata la sua definitiva distruzione e non doveva toccare il fondo, anche se non aveva fatto nulla per evitarlo fino ad ora.
Tempo.
Era il tempo che le serviva e poi lui, le serviva anche Elijah e lo avrebbe capito.

Un lungo e intenso sospiro riuscì a calmare i battiti del suo cuore, finalmente sentiva che riprendevano il loro regolare ritmo, mentre abbandonava quel luogo a passi incerti, dettati dall’abitudine di doversi sempre allontanare da tutto e tutti. Il vento freddo, con una carezza leggera, le sfiorò le ciocche corvine e il vestito iniziò ad ondeggiare lentamente giocando con la luce della luna riflessa sulla stoffa oro. Luccicava nel buio come fosse ricoperta di stelle e lei era l’oscurità dell’universo.
La testa le girava ancora ma con meno intensità adesso, Elijah era riuscita a calmarla in qualche modo e continuava a chiedersi perché era stato così facile per lui. Forse gli aveva permesso troppo, probabilmente l’alcol aveva aiutato quell’assurda situazione, ma si sentiva meglio e a tratti lo sopportava.
Così cercò di abbandonarsi a quello stato di velata pace, senza aspettarsi nient’altro dal Serpeverde. L’udire dei passi, però, allarmarono ogni cosa e sebbene continuasse a ripetersi di andare avanti il corpo non rispose alle sue volontà. Lo sentiva sempre più vicino e si lasciò raggiungere nonostante avesse cercato con tutta se stessa di ignorare il richiamo a lei sconosciuto. Non c’era riuscita, ma lo voleva davvero?
Il battito nel petto aveva ripreso a tamburellare agitato. Questa volta, però, lo sentiva risuonare in maniera diversa, come se il suo rumore fosse la cosa più dolce al mondo ma anche quella più pericolosa. Rimbombava come un tamburo nel sottofondo di una canzone dalla melodia soave, che cresce ad ogni cambio di direzione causando ansia, agitazione ma allo stesso tempo un'insolita pace .
Elijah continuava a toccarla piano, con la delicatezza di una piuma che poggia lenta su una superficie. Leggera, delicata le aveva sfiorato l’anima senza bisogno di troppi giri di parole. Ed era quel suo modo di essere che la metteva in un angolo, inerme, lasciandosi leggere senza alcuna difficoltà. Si sentì avvolta da una carezza di protezione, impercettibile ma per lei così chiara da spaventarla a morte. Doveva badare lei a sé, non aveva bisogno di nessuno. Tuttavia perché non riusciva ad abbandonare quel dolce torpore che aveva avvolto la sua anima? Non trovava alcuna spiegazione e nonostante fosse una sensazione del tutto positiva, allo stesso tempo sentiva che era completamente sbagliato provarla.
La razionalità usciva sempre allo scoperto in qualche modo e i pensieri negativi divenivamo tornadi improvvisi pronti a distruggere ogni cosa.
Lasciami andare, ti prego. Avrebbe voluto dire, ma quel pensiero si sgretolò nella sua mente. Perché era così difficile?
Mentre si faceva coraggio per proseguire, invitando con i gesti il Serpeverde a lasciare stare, sentì la fronte premere sulla testa. Il respiro fra i capelli lasciò spazio a lunghi brividi su tutto il corpo che viaggiarono indisturbati. Strinse le mani e chiuse gli occhi senza frenare in alcun modo ciò che stava sentendo. Lo lasciò fare, non mosse un muscolo. Non ci riusciva… dannazione!
Lasciami andare… continuava a ripetergli in silenzio, mentre le lacrime le accarezzavano delicatamente una ad una il volto.
Quelle parole le avevano toccato il cuore lasciando l’involucro in pietra, che lo proteggeva da qualsiasi emozione, sgretolarsi lentamente.
«Non sei sola, nemmeno quando urli in silenzio. Io riesco a sentirti, esattamente come ora.»











Non riuscì a percepire il distacco perché tutto avvenne così velocemente che, ritrovarselo davanti a una distanza troppo vicina, la destabilizzò.
Così mentre Elijah le afferrava i polsi, accarezzandole con le dita i palmi e con i pollici entrambi i dorsi, lei restò a guardarlo. Lo lasciò fare, senza riuscire a fermarlo. Alla sua richiesta aveva accennato un dolce sorriso. «Ok, ci provo.» gli aveva sussurrato appena mentre le dita stringevano le spalle teneramente.
Non sapeva dare un nome con esattezza a ciò che stava percependo in quel momento, sembrava come se non fosse lei, se allo scoperto fosse uscita una parte del suo essere che ormai non ricordava più e che non conosceva affatto. Elijah la stava vedendo e per la prima volta, davanti ai suoi occhi, non si sentiva in difetto e lui le pareva così forte da non aver paura di potergli fare alcun male.
Le braccia la strinsero con delicatezza sotto il tessuto della giacca che poggiava ancora sulle sue spalle, poteva sentirne perfettamente la potenza ma allo stesso tempo la dolcezza infinita: come se Elijah stesse toccando la cosa più delicata al mondo. Le dita fredde si mossero sulla pelle calda procurandole intensi brividi di piacere. Aveva inarcato la schiena appena per poi lasciarsi andare totalmente all’abitudine di quel gesto finché le gote non si colorarono di un rosso sbiadito.
Elijah la guidò proprio come aveva fatto nella Sala Grande ma, in assenza di spettatori, le sembrava tutto così intimo da sentire l’imbarazzo avvolgerla con maggiore intensità.

Sì lasciò andare e mentre le mani di lui le indicavano con naturalezza ogni movimento; Megan lo seguiva come fosse la cosa più semplice al mondo, ora totalmente rilassata da quegli attimi. Le mani, poggiate ancora sulle spalle, lasciarono la presa andando in avanti, superando il tessuto blu. Fece un passo verso di lui lasciando solo pochi centimetri a separarli. Lo guardò negli occhi nell’incertezza delle azioni che, involontarie, giunsero a quel parziale abbraccio, poi li riabbassò spostando il viso da un lato. Non capiva cosa le stava succedendo ma l’aria aveva iniziato a pesarle nei polmoni.
Dondolarono qualche attimo e Megan abbassò le palpebre cercando di immaginare la musica, proprio come lui le aveva detto, ma sentiva il suo cuore, i respiri vicini e nient’altro.
Fu quando Elijah la guidò ripercorrendo gli stessi movimenti nella Sala Grande che si lasciò definitivamente andare. Ora ascoltava la musica soave, le vibrava sotto la pelle fintanto che il cuore si amalgamava perfettamente a quel suono, diventandone parte integrante.
Uno, due, tre volteggi e rise per la prima volta: il suono della sua risata di diffuse sulla torre. Come un eco la sentì rimbombare nello spazio aperto, mentre una creatura in un battito di ali si allontanò veloce da una nicchia poco distante.
Un ultimo giro e i loro corpi si trovarono più vicini. I nasi quasi si sfiorarono e tutto iniziò a girare vorticosamente nella sua testa.
Megan non era pronta a quella sensazione, non era in grado di saperla gestire. Così le labbra si schiusero e il petto si gonfiò in cerca di ossigeno. La mano strinse appena la giacca mentre l’altra era avvolta dalla presa leggera di Elijah. Lo sentiva sulla sua pelle il calore che emanava e inevitabile fu per lei chiedersi cosa stava succedendo anche a lui.
Doveva andare via.
Lo guardava negli occhi, fissi nelle iridi chiare, senza dire una parola. Forse erano proprio loro a parlare per lei ma non se ne sarebbe resa conto così facilmente. Ciò che sentiva in quel momento era la totale assenza della percezione del suo corpo. Si sentiva vulnerabile, a tratti in pericolo, minacciata da un’azione che non voleva. Perché non lo voleva, giusto? In quei pochi istanti, che parvero eterni, si interrogò su cosa avrebbe dovuto fare mentre sentiva il suo cuore esplodere e le gambe cedere lentamente scosse da un formicolio improvviso. Non riusciva a comprende cosa stava provando e perché, l’unica spiegazione plausibile l’aveva attribuita all’alcol: era stato quest'ultimo a metterla in totale confusione, non c'era altro.
Elijah era stato gentile con lei e basta, probabilmente sarebbe andato tutto in maniera diversa se non avessero, entrambi, ingerito quella bevanda.
Le dita accarezzarono lentamente il palmo del Serpeverde sciogliendosi da quella presa. La mano poggiata sulla spalla scivolò lungo il fianco e la testa si abbassò leggermente distogliendo a fatica lo sguardo.
«È meglio che vada, è tardi.» gli aveva detto mentre cercava di tornare a respirare facendo qualche passo indietro. Le parole le si impigliarono fra le labbra e l’agitazione si sparse come biglie cadute sul pavimento.
Raccolse le scarpe poco lontane con fatica, le mani tremavano e non riusciva a farle smettere. Non lo guardò mentre attraversava la piccola area, gli passò accanto con sguardo basso. Non riusciva ad avere coraggio, c’era qualcosa che la tormentava.
«Buonanotte.» Un gesto semplice della mano e lo lasciò lì, poi attraversò la soglia, in direzione della Sala Comune, inghiottita dal buio.
Molte cose sarebbero state diverse dopo quella sera per Megan. Qualcosa era cambiato quella notte: lei… Loro lo erano in qualche modo.
Grazie. Sorrise.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 28/2/2019, 11:01




Lost In Time And Space Prefect | 17 | Slytherin

Le sue mani sulle spalle erano una carezza soave, un tocco che si rinnovava e che assumeva nuove sfumature. Erano una sensazione che pulsava dentro, che lo confondeva, che lo metteva a tappeto. Si sentiva forte, debole, completamente in balia degli eventi, ma era lì.
Le mani si mossero sulla schiena, le braccia la strinsero appena più del lecito. Si sentiva completamente sbagliato, ma una parte di lui voleva che quel momento restasse immutabile. E lei si mosse, solo un passo, mentre le mani scivolavano dietro le sue spalle.
Il suono della risata della Corvonero fu un pugno in pieno petto, sferrato però in un guanto di velluto. Una sensazione piacevole, capace di cullarlo esattamente come le note della canzone che avevano ballato in Sala Grande. Solo che ora lei rideva e tutto gli sembrava perfetto. Le palpebre del Serpeverde scesero appena e le ciglia si incontrarono, sfiorandosi. Le labbra si stavano tirando ed Elijah non se ne avvide. C’erano solo loro e una musica che entrambi ricordavano alla perfezione. Erano rimasti pochi centimetri a dividere i loro respiri quando Megan sollevò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono.
Si sentiva completamente ubriaco eppure certo di essere lucido. Pochi sorsi non erano capaci di ridurlo in quello stato di confusione. Era sempre più convinto che in quella bottiglia non ci fosse solo alcool, era stato aggiunto qualcosa che lo stava facendo sbarellare di brutto e non era da lui. Sì, perché quei due occhi color cobalto non potevano permettersi si avere quel potere su di lui. Abbassò le palpebre senza sapere che la Corvonero l’aveva fatto nello stesso istante. Elijah doveva staccare quel contatto, lo sapeva perfettamente che non poteva, che non doveva. Moriva però dalla voglia di sollevare di nuovo lo sguardo e di muovere anche lui un passo pericoloso verso di lei. Rimase completamente impassibile, continuando a danzare finché i loro nasi non si sfiorarono. Il respiro di Megan gli scivolò sulle labbra, regalandogli un senso di impotenza totale, un qualcosa che non aveva mai provato. Ma cosa stava succedendo? Cosa?
Non riusciva a comprenderlo ma sentiva quanto quella piccola mano nella sua avesse un potere sconosciuto. Sentì l’altra mano che si stringeva sulla sua camicia e un respiro non previsto sfuggì dalle sue labbra.





Doveva staccarsi da lei, doveva farlo esattamente in quel momento. Doveva, lui doveva, poteva. Era difficile, era maledettamente difficile, come se lo avessero pietrificato in quella presa delicata.
Gli occhi del Serpeverde si ritrovarono a guardare le labbra della Corvonero appena socchiuse. Chissà cosa stava pensando? Era anche lei tanto incasinata dentro? Forse sì, probabilmente, in fondo l’alcool li faceva quei brutti scherzi. No, non c’era nulla di strano e lui non stava pensando quello che stava pensando. Nella maniera più assoluta stava desiderando quello che ogni atomo del suo corpo stava urlando. Eppure era ancora lì a guardarla. Cosa stava aspettando ad andarsene da quel posto?
Sentì le dita di Megan muoversi sul palmo della sua mano e si voltò a guardarle. Ne sfiorò appena la parte superiore mentre lei abbandonava la presa.
Non andartene.
Le sue dita si aprirono, decretando la fine di quel contatto e lo stesso fece l’altra mano nel momento che la Corvonero mosse un passo indietro.
Vai, ti prego. Vai!
- Sì, è tardi – si ritrovò a dire senza che lo volesse veramente.
Cercò di respirare ma non ci riuscì. Gli occhi chiarissimi la fissarono mentre recuperava le scarpe e la cercarono ancora mentre lei gli passò a fianco guadagnando l’uscita.
- Buonanotte – sussurrò mentre gli ultimi riflessi del vestito oro scomparivano nel buio della scalinata. Fece un respiro profondo che finalmente gli riempì i polmoni. Ma che accidenti stava succedendo? Non era cambiato nulla, come sarebbe potuto cambiare? Loro erano sempre Megan e Elijah che si punzecchiavano e che si detestavano. Loro non erano diversi, nulla era diverso, eppure tutto era cambiato in un modo che il Serpeverde non riusciva a comprendere.
Era stata colpa dell’alcool, non poteva esserci una spiegazione diversa e i fatti lo avrebbero dimostrato. La prossima volta che si sarebbero incontrati, avrebbero ripreso a prendersi a calci in faccia come sempre.

Elijah fece un passo indietro mentre ancora fissava l’ingresso. Ne fece un altro e non si fermò finché le sue gambe non si scontrarono contro il parapetto della torre. Si voltò piano, poggiando i palmi sui mattoni gelidi che si affacciavano nel vuoto.
Rimase lì a guardare il panorama, spezzato solo dai gufi che entravano ed uscivano dalle nicchie nonostante l’ora tarda. Strinse gli occhi per vedere se c’era anche Zeus, ma quelli che volteggiavano avevano una stazza non indifferente per essere il suo piccolo gufo nero.
La mano sparì nella tasca alla ricerca del pacchetto di sigarette. Ora sì che aveva voglia di fumare, non ne aveva mai avuto tanta voglia come in quel momento. Ne accese una, recuperandola tra le altre senza nemmeno guardare, e la fumò con i gomiti piantati sui mattoni del parapetto. Il vento gelido era un toccasana, lo aiutava a riprendere il controllo delle sue sensazioni.
Arrivato al mozzicone se ne liberò senza troppe cerimonie e, dopo aver sfilato la bacchetta dalla tasca, si diresse verso i cocci. Li avrebbe fatti svanire con un Evanesco e quella bottiglia sarebbe stata dimenticata. E tutto il resto? Sarebbe stato davvero dimenticato? La puntò verso il basso e un bagliore diverso, leggermente più cupo, attirò la sua attenzione. Elijah strinse gli occhi per inquadrarlo meglio nella semioscurità e non ebbe difficoltà a riconoscere l’Anello dei Gemelli. Doveva essere quello che Megan teneva tra le dita poco prima, quello che la legava a Wolfgang. Lo fissò e il braccio che teneva la bacchetta si appoggiò sul fianco. Sapeva che avrebbe dovuto raccoglierlo e riportarlo a Megan, ma non riusciva a dimenticare il momento in cui lei se lo era sfilato dal dito. Si abbassò sulle gambe e lo raccolse con la sinistra, lasciandolo scivolare nel palmo della mano. Era identico al suo, aveva la stessa pietra, era legato alla stessa persona. Chiuse il pugno di colpo e, con un impeto di rabbia, puntò la bacchetta verso i cocci facendoli svanire per sempre. Si sollevò e tornò a guardare l’anello. Perchè una parte di lui voleva non averlo mai trovato? Perchè pensava che sarebbe stato molto meglio che fosse svanito tra i resti di quella bottiglia? Pensò di infilarlo nella tasca interna della giacca e solo in quel momento si rese conto di non averla addosso. La Corvonero era tornata in Sala Comune portandosi dietro la sua giacca. Aprì la mano e guardò l’anello. Entrambi avevano qualcosa dell’altro, ma il significato era molto diverso. Sapeva che doveva restituirlo, ma una parte di lui si opponeva fermamente. Perchè doveva essere lui a ristabilire quel legame? Voleva davvero farlo?
Il pugno si richiuse e i riflessi si spensero. Elijah infilò la mano in tasca e mollò l’anello. Lo toccò con la punta delle dita, individuandolo contro la cucitura. Fece un respiro profondo.
Voleva dire qualcosa se non aveva la giacca addosso per poterlo poi restituire. Sì, tutto aveva un senso. Sempre.

If you felt alive before, tell me: how do you feel while looking at me now?




 
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