Forse il caso

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Leah‚
view post Posted on 6/1/2019, 21:29




Erano due settimane che Leah sperava di incrociare Oliver da solo, in giro per il castello. Il pacchettino che aveva preparato per lui era custodito nella sua tracolla di pelle e stazionava lì in ogni momento della giornata per il timore di non averlo con sè al momento giusto, quello in cui l'avrebbe incontrato in un corridoio semivuoto, con la neve che cadeva dietro le finestre, un gradevole silenzio e il tempo di dargli il suo regalo senza troppi spettatori. Lo aveva avvolto in una luminosa carta dorata e lo aveva decorato con un bel nastro di velluto rosso, lo stesso che usava nei capelli in quel periodo dell'anno. Nel fiocco aveva stretto un rametto di vischio, con le bacche tonde pallide come la luna. A furia di portarlo in giro qualche foglia si era un po' sgualcita, e Leah aveva colto quel segnale come un invito a non aspettare più. Era assurdissimo come il suo cervello si creasse continuamente delle scuse per non andare da lui, per giustificare che non era il momento giusto per il regalo. L'aveva incrociato diverse volte nei corridoi, un paio di volte solo di sfuggita, altre si era fermato a chiederle come stava e dove stava andando... ma lei non aveva mai avuto il coraggio di tirare fuori il pacchettino, ripetendosi che 'non era ancora il momento'
"Sei una codarda, Leah Rose. Il Cappello ha fatto bene a non metterti a Grifondoro," si ripetè quella sera entrando in Sala Grande.
Mancava qualche giorno alla fine della scuola e ai vari tavoli c'erano gruppetti di ragazzi che chiacchieravano e giocavano a scacchi magici in attesa di mangiare. Le candele splendevano allegre sopra la sua testa, e un cielo cupo e nuvoloso sopra di loro minacciava neve.
Si avviò lungo il tavolo dei Tassorosso in cerca di una compagna di casa con cui scambiare due parole e magari farsi passare il malumore.

"Forse dovrei mandargli un gufo per chiedergli di vederci un momento," pensò. "O forse dovrei mandargli il pacchetto via gufo. No, però, questo no. Voglio darglielo di persona. Voglio guardarlo negli occhi e dargli un bacio sulla guancia per augurargli buon Natale."
A quel pensiero si sentì le farfalle nello stomaco e si lasciò andare a un sorriso. E come a rispondere a quella sensazione, fu raggiunta dalla voce di Oliver. Era seduto al tavolo dei Grifondoro, poco oltre il punto in cui si trovava, e le dava le spalle. Era seduto con alcuni compagni di scuola di cui Leah non sapeva - o forse non ricordava - i nomi ed era carino come sempre. Leah adorava il suo stile, ma era convinta che la divisa di Hogwarts gli dava un fascino in più. Forse era la cravatta rossa e oro, forse la camicia... ma quando lo incrociava in divisa il suo cuore faceva una capriola più del solito.
Strinse la mano sulla tracolla. Il suo primo pensiero fu che era stanca dalla giornata di scuola, il secondo che era spettinata - ciocche disordinate erano sfuggite dalla treccia decorata con il consueto fiocco di velluto rosso - e il terzo che forse Oliver avrebbe voluto essere lasciato in pace.

"No," si disse, stringendo più forte la mano sulla tracolla. "Basta inventare scuse, fifona."
Si ravviò la frangetta con un dito, prese un bel respiro e colmò la distanza che la separava da Oliver. Gli si avvicinò e salutò con un sorriso tutto il gruppetto.
- Ciao a tutti! - disse allegramente. - Scusate se vi interrompo. -
Si voltò verso Oliver facendo scivolare la mano nella tracolla.
- Posso rubarti ai tuoi amici per un minuto? - gli domandò. - Ho una piccola cosa per te. -
Le dita scivolarono sul nastro di velluto e sul rametto di vischio custoditi nella borsa e attese la risposta di Oliver prima di tirarlo fuori dalla tracolla.


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O.T.: Solo due post, Oliver, come promesso, e a risposta rapida. Grazie in anticipo c:
 
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view post Posted on 7/1/2019, 12:30
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La partita a scacchi era più lunga del solito, per i suoi gusti; un pedone in avanzata perfetta, una torre in attesa paziente, un alfiere già caduto, ancora sul campo di battaglia. Soffiò con espressione assente, lo sguardo pure, ma il suo avversario parve interpretare quel gesto a suo vantaggio, come a credere di avere la vittoria ormai in pugno. Immutato nel tempo, così come nello stato emotivo, Oliver osservò lentamente l'ennesima strategia puntigliosa del concasato. Sentiva la bocca schiudersi al dolce suono dello scacco matto, le mani fremere per chiudersi a coppa, in un fragoroso applauso, mentre la tazza di latte e camomilla - gusto non tra i migliori - si rovesciava già sull'ampia tavolata fiammeggiante; un battito di ciglia e il cicaleccio ben più tranquillo di voci lì vicine riplasmò il presente. Il banco era ancora completamente asciutto. «Avanti, Castor, un po' più veloce.»
«Gli scacchi pretendono concentrazione, Oliver.»
Un altro sospiro, un altro salto nel vuoto. Attirò con un colpo di bacchetta la brocca di latte, versandone abbondantemente più di un sorso nel bicchiere sulla propria destra; a bordo, quasi in eccesso, arrestò l'Incantesimo e portò via il contenitore senza fretta. Nel frattempo, Castor non aveva ancora deciso: la vittoria era così chiara, così limpida, Oliver per un attimo desiderò suggerire la soluzione adatta, quella evidente. Bastavano un paio di mosse e Castor avrebbe ottenuto il successo che tanto agognava, e che poco tuttavia meritava. Quando finalmente permise all'Alfiere di avanzare, ad un rapido comando nella voce di un sussurro, a fior di labbra si palesò un sorriso sul volto del Caposcuola. Ottima scelta, avrebbe voluto commentare; la Visione si era cristallizzata nel giusto equilibrio, nell'ordine lampante, in quei casi anche molto più nitido di quanto si potesse credere. Un movimento gentile della Torre e Castor avrebbe in definitiva vinto, concludendo quella partita fin troppo tediosa. Oliver sentì gli altri concasati avvicinarsi, spingendosi sulla panca di legno, alcuni sistemandosi sulle sue spalle come rapaci appollaiati. Lo sguardo fisso alla scacchiera, per un attimo tutti furono portati a credere nella sconfitta del loro Caposcuola: un evento unico, raro e di gran lunga interessante, per gli altri tutto sommato. Oliver soppesò il viso paonazzo di Castor, le gote gonfie e già più arrossate, la ruga sulla fronte di per sé liscia: concentrato, furioso anche, impaziente di poter festeggiare con gli altri. Poteva permettergli di vincere, a ben vedere; per una volta, si disse, non sarebbe successo nulla: un commento divertito, una battutina, uno scherzo, avrebbe potuto reggere all'insieme di quelle sciocchezze. Stava per convincersi, non sarebbe stata un'ingiustizia, e forse Castor avrebbe anche sorriso, con il trascorrere dei giorni, senza rendere la vittoria un trofeo duraturo. «Scacco matto.» Parlò ancor prima del tempo, ancor prima di muoversi: interdetti, i ragazzi attorno si sporsero maggiormente, incuriositi e sorpresi, senza capire per davvero cosa fosse appena successo. Le mani del Veggente si allungarono allora subito dopo, il braccio destro a cercare la tazza di latte e caffè macchiato, quella sinistra a piegare la Regina e il Re della scacchiera intera. Il grido funesto dei pedoni spezzati, dei Bianchi distrutti a vantaggio dei Neri, le sue pedine, sfumò rapido al silenzio di Castor e alle voci - alcune divertite, altre più scocciate - dei vicini Grifondoro. Dal suo canto, Oliver sorrise. E ne provò piacere. Assaporò la sconfitta dell'altro come mai prima di allora e più che essere contento della vittoria, per lui scontata, si ritrovò stranamente estasiato allo sguardo acerbo e nervoso dell'altro studente. Soltanto l'intervento di una voce diversa, familiare, viva come nessun'altra per lui, finalmente lo riportò alla genuina gentilezza di sempre. «Leah.» Si rivolse alla Tassorosso con tutto se stesso, abbandonando e scacchiera e tazza fredda, mentre qualche Grifondoro sussurrava piuttosto forte.
«La ragazza di Oliver, è la Tassorosso che ama-»
«Emmett, Charles, fuori dai piedi.»
Oliver guardò di sfuggita alla destra: al commento del concasato non aveva risposto - tutto sommato, era vero, e non gli dispiaceva far capire a Leah, appena arrivata, che le voci su di loro avessero ormai fatto il giro del castello, arrivando fin all'interno della Sala Comune Grifondoro -, al contrario era stata Herbelia, sua amica da più di un semestre; le sorrise e fu lei a liberare quell'angolo di tavolata. Una volta soli, seguiti per un lungo istante da più occhiate curiose di quante se ne potessero contare, Oliver si alzò in piedi, dall'altra barricata della panca di legno.
«È sempre bello vederti, lo sai.» La osservò attentamente, e sorrise.
«Tu sei sempre bella.» Si ritrovò impedito per spingersi oltre e nell'imbarazzo del momento, nel desiderio di sfiorare l'altra anche con un intreccio di mani, le indicò invece tutti quei posti ormai liberi. Attese che si sedesse prima di seguirne l'esempio. «Come stai?» Allungò un piattino di biscotti alle mandorle e limone.
«Sono buonissimi.»
 
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Leah‚
view post Posted on 7/1/2019, 18:11




Niente, non si sarebbe mai abituata al modo in cui Oliver la guardava. Le sembrava che facesse sparire tutto il resto. Per dire, si era a malapena accorta che in dieci secondi il capannello di Grifondoro si era dileguato ed erano rimasti soli.
E anche se non ci credeva, era sempre un'emozione anche sentirsi dire che era bella. Gli sorrise con gli occhi che brillavano, illuminata come sempre da quello che provava per lui.
Colse il suo invito a sedersi e si accomodò sulla panca di legno, con una gamba penzoloni e l'altra piegata sotto di sè, in una posizione decisamente poco femminile ma in cui si sentiva molto più a suo agio. Declinò con un cenno del capo l'invito ad assaggiare i biscotti, perchè doveva giungere al punto o si sarebbe persa anche quell'occasione. Accennò con il capo ai Grifondoro poco lontani: alcuni di loro stavano ancora gettando occhiatine indiscrete nella loro direzione. Trattenne una risatina, divertita e imbarazzata al tempo stesso.

- Pare che li abbiamo fatti scappare. Sarai al centro dei pettegolezzi di casata, stasera. -
Smise di giocherellare con l'estremità della treccia e si fece coraggio. Con un solo gesto infilò la mano nella tracolla, sfilò il pacchettino e lo appoggiò tra le mani di Oliver, appoggiando le proprie sopra le sue mentre chiudeva le sue dita attorno alla confezione. Il nastrino rosso era caldo e morbido sotto le dita, le bacche del vischio brillavano alla luce delle candele.
- Comunque ti restituisco subito ai tuoi amici. Ci tenevo a darti un piccolo regalo prima delle vacanze. E' proprio una sciocchezza, ma mi ha fatto pensare al sole, alla musica... e a te. A tutti i tuoi talenti. Al modo in cui sei... e a quello in cui fai sentire me. - Gli occhi le brillavano, animati dall'emozione e dalla gioia di essere riuscita a dargli il regalo e a dirgli quello che l'aveva spinta a donarglielo.
- Buon Natale. - Aggiunse, stringendo ancora per un istante le proprie mani attorno a quelle di lui prima di lasciare la presa e concedergli la libertà di aprire il pacchetto, se avesse voluto.



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Il pacchettino contiene un amuleto di Apollo color rame con un laccetto di cuoio [+ 2 Mana +2 Salute +1 Corpo].
 
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view post Posted on 17/1/2019, 13:20
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C'era stato un tempo in cui le piccole cose non avevano alcun valore, un tempo in cui si perdevano in infiniti ricami senza necessaria costernazione; non sarebbe stato affatto utile comprenderne le dinamiche, il senso, perfino il proprio completamento: c'era stato un tempo, lo sapeva, in cui tutto andava avanti com'era giusto che fosse, senza alcuna partecipazione, né emotiva né fisica né di altro genere. Da quando si era risvegliata in lui un'eredità che non aveva accolto nel migliore dei modi, non ancora, quelle stesse cose avevano mutato intensità repentinamente: si era assottigliato lo sguardo, così come la stessa imponente Vista, e nella mancanza di potere e di affinità si dissolveva ancora la Concentrazione del Veggente. Ma in Leah, in Leah tutto era fascino, era incanto, era eleganza. Quelle stesse cose che aveva ignorato tanto a lungo, insieme si accentuavano in ogni movimento più leggero, più vivido, più sincero. Nella sua semplicità, Oliver l'aveva scoperto da sempre, la Tassina era gioia e bellezza eterea. Le sorrise, seguendo involontariamente ogni suo gesto. La treccia di capelli che si spostava leggiadra, l'esile figura che rispondeva al suo gentile comando, infine soppesò il suo volto con più attenzione del dovuto. Non si accorse di aver trattenuto il respiro, non si accorse di essere arrossito. Leah era l'unica ancora in grado di risvegliare quell'allegria mai annullata del tutto. Perché lui si sentiva spezzato, e lo sapeva, e tuttavia - di Godric erede attivo e profondo - continuava a peccare di coraggio; avrebbe voluto aprire bocca anche in quell'occasione, prima ancora che l'altra palesasse il motivo vero e proprio di quello sporadico incontro, e avrebbe tanto desiderato comunicarle ogni suo dramma, ogni suo timore, ogni suo cruccio. Tirò un sospiro di sollievo quando Leah prese parola; un battito di ciglia, il cuore in stasi perfetta, Oliver abbandonò ogni reticente annullamento: di sé, del suo segreto, del suo tempo. Perché aveva paura, la più grande in assoluto. Aveva paura di perderla, se si fosse rivelato intimamente. «Loro parlano sempre.» Commentò al volo, quasi distrattamente, in riferimento alla battuta sui Grifondoro; c'era un cenno di divertimento nel suo tono di voce: una parte di sé ne era anche estasiata, perché il Caposcuola non avrebbe richiesto di meglio; essere oggetto di voci sul suo conto, sulla sua storia d'amore e sul suo affetto già conquistato, fondamentalmente tutto forniva un certo apprezzamento. Il pacchetto sfilò dalle mani di Leah alle sue, e per un attimo Oliver si sentì così perso, confuso e su di giri da boccheggiare. Aveva anche quel potere, Leah Elliott, e in quel perdersi e ritrovarsi - attivo e concreto come mai prima di allora - si inoltrava la consapevolezza di essere suo prigioniero, interamente, completamente, e soprattutto volutamente. «Leah, io...»
Chiuse gli occhi in un battito soltanto di ciglia, assaporando la sensazione di felicità che già serpeggiava dal petto, a farsi strada in tutto il corpo, la mente, il cuore in assalto perpetuo. Quando li riaprì, fu lieto di non essere stato vinto dal Tempo e con un leggero movimento della mano, strinse tra le proprie dita quelle dell'altra.
«Non so come ringraziarti, sul serio.»
Si chiese se per una volta il galateo potesse essere messo da parte, accantonato alla rinfusa: "non aprire i regali", se non da soli, era un monito che ancora lampeggiava nella sua memoria. Eppure, se ne fregò altamente: un sottile contatto con le bacche di vischio, un brivido che percorse la schiena improvvisamente, e finalmente il pacchetto brillò al suo contenuto ormai scoperto. «Il dio veggente.» Mormorò appena, e non fu sicuro di essere stato ascoltato. Riconobbe immediatamente il simbolo sul manufatto appena comparso: il Sole si espandeva sulla superficie di rame, e quasi i raggi si estendevano a rimirare una lira, un canto antico, di potere e vaga conoscenza, di arte e di mistica espressione. Il volto del Caposcuola era un tripudio di sensazioni: sorpresa, estasi, perfino un cenno di tristezza. Ed era, in quel connubio, una genuina rappresentazione. La bocca si dischiuse in un sorriso sincero.
«Apollo.» Parlò finalmente a voce normale, tradendo nel tono l'incanto di quel momento; non aveva ancora sfiorato l'amuleto e le dita tremarono convulsamente, per un lungo istante, quando lo recuperò dalla scatola. Il bagliore del rame con le tazze color crema del tavolo risaltò alle iridi del Caposcuola. «Questo è il regalo più bello che potessi farmi, Leah. Ha per me un valore infinito, credimi. Come...»
Lasciò adagiare l'amuleto sul palmo aperto della mano destra.
«Perché proprio Apollo?» chiese con sorpresa e curiosità insieme. Non aveva dimenticato le sue parole: e intimamente, lo sapeva, le avrebbe ricordate per sempre.


 
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Leah‚
view post Posted on 18/1/2019, 18:29




Aveva osservato l'espressione sul viso di Oliver con un sorriso. Era bello essere riuscita a sorprenderlo, una volta tanto. Di solito era lui quello che le compariva davanti nei luoghi più impensati, con un sorriso e un regalo: le piaceva l'idea di averlo stupito. E poi non era la prima volta che si rendeva conto che apprezzava i rari momenti in cui il suo essere l'impeccabile Caposcuola Grifondoro cedeva il posto ad essere solo un ragazzo. Ognuno di quei momenti qualche modo la faceva innamorare un po' di più.
Quando Oliver aprì il pacchetto, riconobbe immediatamente la divinità a cui il ciondolo era collegato. Leah tirò un mezzo sospiro di sollievo: era certa che Oliver lo avrebbe riconosiuto, ma dalla sua espressione si percepiva che lo apprezzava anche. Mentalmente ringraziò Horus che l'aveva aiutata a scegliere: aveva ragione, il ciondolo di Apollo era quello giusto.
Tra i pensieri e il cuore che le rombava nelle orecchie, Leah si era a malapena accorta che Oliver aveva mormorato qualcosa tra sè, senza capirne bene il senso.

- Sì, è Apollo, - gli rispose.
Il ciondolo scintillava tra le dita di Oliver, riflettendo le luci delle candele sopra le loro teste. Era così perso nell'osservare quel piccolo oggetto che Leah si concesse di guardarlo con un po' più di intensità. Chissà cosa stava pensando. Chissà cosa gli faceva pensare quel regalo, chissà cosa si era immaginato lei gli volesse dire. Riusciva a percepire dalla sua espressione che era felicemente colpito da quel regalo inaspettato, ma c'era qualcosa d'altro.

«Questo è il regalo più bello che potessi farmi, Leah. Ha per me un valore infinito, credimi. Come... Perché proprio Apollo?»
Leah si strinse un attimo nelle spalle e poi gli sorrise con luminosa dolcezza.
- Perchè è il dio della musica, che è la cosa che ci ha fatto conoscere... ti ricordi quel pomeriggio nell'orto delle zucche? Ed è il dio del sole, e a parte il fatto che io adoro il sole, mi ricorda tutti i pomeriggi di sole che abbiamo trascorso all'aperto, quando abbiamo sfrecciato sulla Firebolt, e il campo dei girasoli, e il tramonto... E poi... - Leah abbassò la voce e lo sguardo, fissandolo sulle cinghie della tracolla che aveva in grembo. - E poi quando sono con te mi sento come se avessi il sole dentro. -
Si passò un dito sulla frangetta, nervosa e un po' imbarazzata all'idea che in quel fiume di parole le fosse uscita una verità enorme espressa in un modo così stupido.
Scosse appena la testa e trovò il coraggio per alzare di nuovo gli occhi. Avevano un'espressione divertita, anche se le guance ancora rosse tradivano l'emozione di poco prima.

- E poi mi pare che fosse "il bello", tra le divinità romane, no? - Aggiunse con un sorrisetto. - Comunque è soprattutto un amuleto di protezione. Volevo regalarti qualcosa che potesse proteggerti quando ti lanci in quelle cose sconsiderate e pericolose che piacciono tanto a voi Grifondoro, - disse ammiccante. - E anche in tutte le altre situazioni. -
"E che ti ricordi che io ci sono," aggiunse mentalmente.
Non dimenticava i pochi istanti in cui aveva colto un'ombra nello sguardo e nel sorriso di Oliver. Qualcosa che lo preoccupava o forse lo spaventava. Non voleva imporsi e chiedere, era certa che lui l'avrebbe resa partecipe della cosa se e quando l'avesse voluto. Era sicura che, qualunque cosa fosse stata, sarebbe stata abbastanza coraggiosa da affrontarla con lui. Era una Tassorosso, il che voleva dire che sapeva essere coraggiosa come una Grifondoro quando qualcuno che amava era nei guai.
Non voleva essere solo la ragazzina con cui andarsene in giro per la campagna e cantare accompagnati dalla chitarra. Voleva esserci anche nei momenti difficili.




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view post Posted on 24/1/2019, 12:59
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Sentiva la pelle ardere lentamente, e con intensità crescente, al contatto sempre più insistente di indice e pollice sull'amuleto propiziatorio. Non avrebbe potuto chiedere di meglio, lo sapeva bene. Con ogni probabilità, ci sarebbe stato un giorno in cui avrebbe ricordato quel prezioso incontro con il più dolce dei sorrisi stampato sul volto: perché Leah era speciale più di chiunque altri, e tuttavia Oliver non credeva di essere stato ancora in grado di farle capire quanto lo fosse per lui. Le rivolse un altro sorriso, sollevando appena per un attimo il capo in sua direzione; un incontro repentino, il cuore ancora in tumulto, mentre le mani danzavano sulla superficie di rame dell'amuleto. Non c'era cosa più bella. Lo stava analizzando fin nei dettagli, ne sondava la forma e la struttura, il valore simbolico e il suo richiamo; e nel suo sguardo, poteva essere limpido anche agli occhi dell'altra studentessa, si annaspava ancora un senso segreto, qualcosa che avrebbe voluto comunicare con tutto se stesso, e che tuttavia non sentiva di poter dire. Non quel giorno, non con la bellezza più luminosa a fare da cornice. C'era un tempo per le ombre, diceva sua nonna, e non poteva essere quello. «Tu mi vedi, Leah.»
La scelta delle parole, l'uso di alcuni verbi a favore di altri, tutto era un equilibrio cui Oliver non si sarebbe sottratto; se solo la Tassina avesse saputo, se solo avesse potuto intendere il suo messaggio, quel "vedere" appena sussurrato a fil di voce, allora tutto avrebbe avuto un altro valore, ben più profondo, ben più attivo. «Tu mi vedi per come sono e credimi, sento di essere il ragazzo più fortunato di Hogwarts.» Non si trattava, a quel punto, solo del regalo; l'amuleto era delizioso, lo sapevano entrambi, e la manifattura così pregiata non poteva che provenire da Ars Arcana, a Diagon Alley. La conoscenza che aveva dei negozi più ambiti e belli del Mondo Magico non era da poco, per il Caposcuola: un giorno in giro da una parte, il successivo dall'altra, mappe vere e proprie di acquisti e desideri si erano delineate per bene alla sua memoria. Forse, inoltre, Leah non lo sapeva, ma Oliver aveva già fatto visita alla teca di amuleti dell'antico ritrovo della cittadella lontana. Ars Arcana era una miniera d'oro e così lo erano i tesori di carattere e fascino mitologici che custodiva con parsimonia. Annuì, più a se stesso che per una risposta vera e propria. Le mani sfiorarono ancora una volta l'amuleto, stringendosi al punto di annodo della cinghia di caucciù. Si sbottonò di poco la cravatta rosso ed oro della propria Casata, spingendola leggermente verso il basso, così da scoprire il collo parzialmente.
«Un attimo e ci sono.» L'artefatto protettivo scivolò attorno la pelle, infine con le mani portate all'indietro, Oliver legò le due cinghie rapidamente tra sé. Sul petto, ora in mostra, il Simbolo di Apollo risplendeva per bene. Infilò subito dopo l'amuleto sotto il maglione, esattamente sul cuore come gli piaceva pensare. «Ecco fatto.» Si lasciò andare ad un sorriso luminoso, uno dei più sinceri in assoluto in quelle ultime settimane, e subito dopo recuperò la borsa al suo fianco, portandola vicina. Non occorse molto per recuperare un sacchetto di carta, semplice e spoglio, senza fiocchi né decoro alcuno. Lo poggiò sul tavolo, al centro, in direzione della Tassina di fronte. «Anch'io ho qualcosa per te, Leah, ma non potrà reggere mai il confronto, perché il tuo regalo è molto più sentito e bello. Potrei dire che per una volta mi perdonerai, potrei dire che negli ultimi giorni sono stato immensamente impegnato, distratto e preso da altro, ma il fatto è che... è che per quanto sia vero, comunque ti pensavo. Ho improvvisato qualcosa di semplice, ma che spero tu possa lo stesso apprezzare.» Indicò finalmente la confezione di carta. «Non è pronto, ma mi piace pensare che in questo modo sia anche più bello, che possa ricordarti come sono io.» Un bozzolo vero e proprio, al contatto delle mani sarebbe parso come antropomorfo, fin quando appena scartato si sarebbe rivelato in tutta la sua semplicità. Intagliato in legno, scalfito in più punti, di piccole e tozze dimensioni si delineava in quel modo una creatura interamente immobile, dalle fattezze forse inizialmente grezze ma riconoscibili di un passerotto piuttosto basso. Un lavoro manuale, dalle sfumature naturali del castagno scuro e in parte chiaro ai lati, dove le ali piegate dell'uccellino quasi attendevano di spalancarsi. Oliver avrebbe atteso Leah prima di sfilare la bacchetta dalla tavolata e di stringerla tra le mani. Immaginò in quel momento il primo volo di un passerotto, il corpo scosso da un fremito di vita, il soffio del vento già capace di scivolare al cuore e fin nel petto, mentre le piume si districavano in legno e fissa dimora, divenendo così libere. La punta d'Abete sulla testolina sgraziata - a più punti, là dove il materiale era stato sminuzzato alla grossolana maniera - finalmente Oliver diede via all'Incantesimo scelto. Un primo cerchio in senso orario, sinuoso e leggero, il polso in movimento non troppo impegnativo, eppure deciso. Uno scatto successivo, a sfidare la stessa aria dall'alto verso il basso, in prossimità del cuore del passerotto, sulla scia della formula magica, accentuata come dovuto. «Gargòllo»
E così in principio spento, il passerotto si districò dalla morsa del legno.
Finalmente libero, in un risveglio di un sonno profondo, salutò al suo primo volo la ragazza più bella di Hogwarts.
 
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Leah‚
view post Posted on 26/1/2019, 00:20




Leah riusciva a percepire quanto il suo regalo fosse stato apprezzato dal fatto che Oliver continuava a guardarlo senza parlare. Se lo rigirava tra le dita facendolo luccicare alla luce delle candele e non faceva commenti, e forse era proprio quella mancanza di parlantina a sottolineare quanto fosse emozionato.
«Tu mi vedi per come sono e credimi, sento di essere il ragazzo più fortunato di Hogwarts.»
Leah sorrise, con gli occhi che luccicavano. Anche lei si sentiva in quel modo ed era felice di scoprire che i suoi sentimenti - anche in quel senso - erano ricambiati. Più di una volta aveva pensato che Oliver riusciva a vedere una Leah che nemmeno lei stessa riusciva a scorgere, e allo stesso tempo era felice di conoscere e possedere la parte più vera di lui, quella che superava le apparenze e i ruoli e quella che la aveva fatta piano piano innamorare.
Lo guardò allacciarsi il ciondolo al collo e nasconderlo sotto il maglione della divisa, appoggiandosi poi una mano sul cuore per controllare che fosse al posto giusto. Fu un gesto spontaneo, forse senza pretese, ma fece arrossire di nuovo Leah, che si sentiva come se avesse stretto lei al suo cuore, e non solo il suo regalo. Istintivamente le sue dita corsero al ciondolo a forma di sole della sua catenina, rigirandoselo tra le dita con una vaga aria imbarazzata. La sua attenzione fu attirata da Oliver quando appoggiò sul tavolo un involto di carta marrone.
Quindi anche lui aveva qualcosa per lei. Non era riuscita a sorprenderlo, dopotutto. Un pizzico di dispiacere la pungolò ad un fianco, scacciata un istante dopo da un'ondata di curiosità.

«Non è pronto, ma mi piace pensare che in questo modo sia anche più bello, che possa ricordarti come sono io.»
La sua curiosità era stata amplificata dalle sue parole e lanciò ad Oliver solo una breve occhiata per chiedere il permesso di aprirlo. Vista la confezione e la spiegazione era ancora più impaziente di scoprirne il contenuto. La carta marrone si accartocciò in fretta tra le sue dita e Leah si ritrovò tra le mani un piccolo, grezzo, delizioso passerotto di legno. Leah lo strinse tra le dita travolta da un'ondata di affetto e tenerezza.
- Ma è adorabile! - Esclamò, con gli occhi che trasmettevano tutto l'entusiasmo e l'amore che già provava per quel piccolo oggetto.
La sua forma imprecisa le suggeriva che forse era stato proprio Oliver a intagliarlo, ma non voleva saperlo perchè nella sua mente la cosa aggiungeva valore a un oggetto che già le piaceva tantissimo di base. Un uccellino, come quelli di cui seguiva i voli e imitava le canzoni. Lei stessa si sentiva un uccellino, a volte, o per lo meno avrebbe voluto esserlo quando si sentiva in gabbia, costretta tra compiti e muri di pietra.
Oliver la vedeva almeno tanto quanto lui pensava che lei vedesse lui. Gli lanciò uno sguardo colmo d'amore e gratitudine, sperando che l'intuizione e la capacità di leggere lo stato d'animo delle persone che sapeva possedere gli fossero di aiuto per interpretare quel suo sguardo muto.
Ma proprio mentre Leah cercava le parole per descrivergli la sua gioia nel ricevere quel regalo, Oliver aveva preso la bacchetta e l'aveva appoggiata sulla testa dell'uccellino di legno.
E - magia! - all'improvviso la ragazza potè percepire un piccolo cuore prendere forma e iniziare a battere e le ali liberarsi dal legno e diventare piume e ossa. Istintivamente allargò le dita, dando modo al passerotto di aprire le ali e spiccare il volo tra le candele che ondeggiavano sopra le loro teste. Leah alzò lo sguardo e poi balzò in piedi sulla panca, seguendo con gli occhi il volo dell'uccellino.

- Ma... uao! - Esclamò con trasporto. Abbassò di nuovo lo sguardo verso Oliver, con il viso illuminato da gioia, stupore e almeno un altro miliardo di emozioni confuse. Non sapeva esistesse un incantesimo del genere e non si aspettava un regalo del genere. Era come quando l'aveva portata tra i girasoli. Era come se Oliver conoscesse parti di lei che non gli aveva mai raccontato.
Istintivamente gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo stretto.

- Grazie, grazie, grazie! è perfetto! - Esclamò con gioia.
Si sciolse dall'abbraccio e cercò di nuovo l'uccellino nell'aria.

- Tornerà da me? Posso tenerlo? - Domandò. Poi si lasciò andare a un sorriso mesto. - Comunque pare proprio che sia impossibile per me sorprenderti. Penso a un regalo che possa fare al caso tuo... e tu mi regali qualcosa di enormemente più bello. Forse è il caso che lasci a te la parte delle galanterie e mi tenga la capacità di sdrammatizzare i momenti romantici. - Aggiunse con un sorrisetto divertito. Dei due non era certo lei quella capace di dolcezze e romanticismo, quindi non stava dicendo niente di particolarmente nuovo.
- E comunque perchè dovrebbe ricordarmi come sei tu? Non sei nè piccolo nè indifeso come un uccellino... e non mi sembra nemmeno che tu sia ricoperto di piume! - Rispose ammiccante, cercando di strappargli un sorriso.


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view post Posted on 26/1/2019, 12:22
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Non avrebbe potuto né saputo spiegarlo neanche a se stesso, ma da quando l'amuleto propiziatorio si era adagiato sul suo petto, una nuova sensazione - simile all'onda più dolce di un lago - aveva cominciato ad espandersi sottopelle. La passione che nutriva da tempo per l'arte e la sua simbologia, per i richiami mistici e più ancestrali, tutto si delineava nella scelta di una divinità, Apollo stesso, che per lui più di chiunque altri aveva profondo valore. Aprì bocca per dire qualcosa, ma si fermò appena in tempo; non voleva aggiungere altro, non era necessario, e ogni sensazione nei riguardi del potere quasi misterioso del Febo Scintillante sarebbe stato un segreto, forse, come già pensava che potesse essere. Apprezzava quei pensieri, anche se taciti, anche se personali. Sirius, suo mentore, in passato gli aveva anche saputo parlare delle possibili sfumature e richieste d'aiuto che manufatti magici come quell'amuleto potevano mostrare verso un animo incline come il proprio: ed Oliver, la cui Vista era perennemente infiammata, si annullava finalmente in un tepore tutto nuovo, tutto sconosciuto. Scosse il capo in un cenno di consenso, quando finalmente l'Incantesimo appena formulato rivelò il valore per cui era stato chiamato all'appello. Era abile nell'arte trasfigurativa quasi quanto in quella pozionistica, passioni - entrambe - che coltivava fin dal primo giorno in cui aveva messo piede al castello. Al di là dei voti impeccabili che aveva nell'una e nell'altra disciplina, Oliver sapeva di essere destinato alla cura dettagliata, così come allo studio di quelle ramificazioni della magia, molto più di quanto non lo fosse verso altri indirizzi. Come quando il profumo dell'Elisir d'Amore aveva solleticato le sue narici, riuscendo al primo tentativo nell'Aula della Pompadour, anche quel giorno - in quel momento - vedere il passerotto di legno prendere dimestichezza con la nuova agognata libertà fu un successo tra i più semplici, eppure tra i più belli in assoluto. Ancora una volta, Leah fu in grado di sorprenderlo. L'abbraccio che scaturì dal suo gesto più genuino accolse Oliver nel migliore dei modi: un calore a profanare ogni dispiacere e ogni tensione di quell'ultimo periodo, il cuore finalmente in visibilio eccelso, il respiro irregolare perché imbarazzato ed emozionato allo stesso modo. Quanto potere aveva l'altra ragazza nei suoi confronti, quanto potere non sapeva di avere. «Oh Miss Elliott.» Ricambiò il suo abbraccio con altrettanta intensità. «Lei mi consuma.» E in quel verbo, in quella scelta ben ponderata, si delineava un affetto infinito a risveglio etereo di ogni sua ragione, di ogni sentimento, di ogni parte di sé. Il sorriso che ancora brillava sul volto non riuscì a disperdersi neanche quando il contatto stretto delle loro figure si disciolse, mentre il passerotto - rapido, leggiadro, vivace come mai prima di allora - rientrava in picchiata sul tavolo Grifondoro, a pizzicare una briciola di biscotto lì vicino, quasi zampettando su se stesso. Era tutto sommato poco aggraziato nei movimenti, a riprova della lavorazione alla buona, ma era simpatico, come prima impressione. «Tornerà sempre da te, per questo potrà ricordarti di me.» Non riuscì a nascondere un'espressione divertita, sistemando la bacchetta poco distante, di lato. Con un occhiolino, indicò il passerotto e poi si strinse le mani l'una con l'altra, in un gesto del tutto casuale. «Sai, non sei troppo lontana dalla verità. Ti ho mai raccontato di quando il Caposcuola Corvonero mi trovò rivestito tutto di piume da canarino? La giornata più imbarazzante della mia vita, ma è stato divertente. Per Daddy sicuramente.»
Sentiva gli sguardi dei Grifondoro e il loro cicaleccio di voci non troppo lontane, ma in un modo o nell'altro sperava che quell'incontro casuale con Leah potesse durare ancora un po'. Era bello fare colazione tranquillamente con- *Non hai mai chiesto* si ritrovò improvvisamente a pensare. Aveva parlato molto della Tassina ai suoi concasati più fidati, al suo migliore amico tramite corrispondenza epistolare e perfino a sua madre nelle ultime occasioni, e non una sola volta aveva potuto confermare alla stessa studentessa qualcosa che di per sé, doveva ammetterlo, dava per scontato. Così con lo sguardo imbarazzato, leggermente rivolto verso il basso - Leah aveva anche questo effetto, su di lui - Oliver attinse al suo coraggio più grande e le rivolse una domanda gioviale, semplice, diretta. C'era dolcezza nel suo tono.«Leah, io... io credo di non avertelo mai detto, ma ecco... credo che ormai lo sappiano tutti. In Sala Comune, da me, quasi sicuramente. In giro per il castello pure, alle feste spesso andiamo insieme, io... insomma...» Rise, imbarazzato. Le gote arrossate quasi sfumarono in contrasto con la fronte più pallida dell'ultimo periodo e le stesse occhiaie, profonde e scure, si annullarono per un attimo che parve infinito. Si schiarì la voce prima di continuare, imponendosi nuovo autocontrollo.«Leah, vuoi essere... ecco... ufficialmente la mia ragazza?»
Trattenne il respiro, il cuore in tumulto come non mai.
«Cioè, per me lo sei già, lo sei da molto, ma non... insomma. Era chiaro anche per te...» - la guardò con imbarazzo crescente - «...vero?»


Oh Leah Elliott, cosa mi combini... ♥
 
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Leah‚
view post Posted on 2/2/2019, 13:20




Leah seguì con gli occhi il volo dell'uccellino finchè non planò sul tavolo, interessandosi alle briciole sul tavolo. Adorava già quel passerotto, così piccolo e libero, ma imperfetto, poco aggraziato e poco appariscente: le ricordava sé stessa. Raccolse qualche altra briciola dal piatto con le dita e le sparse sul tavolo per trattenere l'uccellino, che si avvicinò saltellando e piegando il capino da un lato con aria sospettosa, prima di avere il coraggio di beccare le briciole. Avrebbe dovuto liberarlo nel cortile, forse? Nel sotterraneo dei Tassorosso non sarebbe potuto essere né libero né felice, e Leah non voleva che si sentisse come si sentiva lei a volte. Oliver le aveva detto che sarebbe sempre tornato da lei, e le sarebbe bastato.
La voce di Oliver la raggiunse in mezzo ai suoi pensieri, colma di dolcezza e di imbarazzo, e Leah si voltò verso di lui con un sorriso. Era sempre sorprendente - e a tratti emozionante - sapere di avere quell'effetto sul Caposcuola Grifondoro. Vederlo così, un po' imbarazzato e un po' insicuro, le dava una strana sensazione, come se dei due lei fosse quella solida e impeccabile e lui il ragazzino imbranato. Forse era quello, ciò che Oliver intendeva quando le diceva "tu mi vedi". Forse aveva bisogno anche lui di essere visto e apprezzato per quello che era, al di là di targhette e impegni e responsabilità. Se solo Leah avesse avuto il coraggio di dirglielo ad alta voce!

«Leah, io... io credo di non avertelo mai detto, ma ecco... credo che ormai lo sappiano tutti. In Sala Comune, da me, quasi sicuramente. In giro per il castello pure, alle feste spesso andiamo insieme, io... insomma... Leah, vuoi essere... ecco... ufficialmente la mia ragazza?»
Leah sorrise.
Se le avessero detto, mesi prima, che quel momento sarebbe arrivato avrebbe riso di incredulità, convinta di essere presa in giro. Oppure sarebbe sbiancata, all'idea di non sapere come reagire. Ma in quel momento si rese conto che una risposta ce l'aveva già in mente. E che ricevere quella domanda non le aveva creato né ilarità né imbarazzo. Forse perché non era una vera domanda, che implicava una vera risposta, ma una semplice constatazione. Ed era così giusto e naturale che fosse stato lui, dei due, ad avere il
coraggio di dirlo ad alta voce.
«Cioè, per me lo sei già, lo sei da molto, ma non... insomma. Era chiaro anche per te...vero?»
Forse un'altra ragazza si sarebbe commossa, forse avrebbero risposto "sì" abbracciandolo come davanti a una proposta di matrimonio... ma ormai Oliver doveva aver imparato che lei non era né particolarmente femminile né particolarmente prevedibile.
Leah era ancora in piedi, così si chinò verso di lui. Già pronunciare quelle parole che le giravano in testa da settimane era difficile, dirle a voce più alta di così non ce l'avrebbe fatta. E poi okay, non era una ragazza timida e vergognosa... però ammetteva che certe cose voleva che le sentisse solo il diretto interessato. Il cuore le batteva forte, ma non era ansia né imbarazzo. Era quel pizzico di emozione che fa sì che una frase venga ricordata e un momento non si perda tra mille altri.

- Ti dirò un segreto, - gli sussurrò nell'orecchio. - Per me lo sei anche da di più. E sono innamoratissima di te. -
Gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, i capelli ricci di Oliver che le solleticavano le ciglia, e poi - nel tempo di un respiro - si sedette di nuovo di fronte lui sulla panca. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il viso sulle mani. Aveva le guance rosse, gli occhi che scintillavano e il cuore pieno di gioia e di emozione.
- Adesso però voglio che mi racconti nei dettagli di questa storia del canarino, che mi interessa molto. - Disse, per stemperare l'emozione di entrambi.
I Grifondoro - e anche i Tassorosso, forse, alle sue spalle - avevano avuto già abbastanza argomenti di qui spettegolare in Sala Comune, per quella sera.



Riservata e vitale, il tempo è capitale
testarda quanto vale, di Tassorosso sii strale!

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view post Posted on 21/3/2019, 03:40
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Should we begin,
before it's too late?

Al contatto leggero, così vicino del volto di Leah, il cuore perse tutti i suoi battiti; come avvampando di un calore senza precedenti, di un imbarazzo misto ad eccitazione, il giovane Caposcuola non riuscì a cucire alcun pensiero in una matassa di per sé già estremamente articolata. Per fortuna, si sarebbe detto in futuro, non aveva boccheggiato come un pesce fuor d'acqua, non di nuovo perlomeno. L'effetto che la Tassina aveva sulla sua persona da un lato era sensazionale, lo faceva sentire ancora vivo, a dispetto di tutto quello che gli stava succedendo nell'ultimo periodo; dall'altro lato, tuttavia, gli dava consapevolezza di essere vinto di un sentimento ben più forte, ben più grande ed esteso di quanto mai provato fino ad allora. Ne era deliziato, grato e riconoscente insieme, ma ne era anche particolarmente preoccupato. Non avrebbe mai definito quello stato come una debolezza, non se i suoi valori gli risultavano così positivi. Era certo, però, di aver appena sacrificato ufficialmente una parte di sé. In quel preciso incontro, a quel tavolo, con la considerazione più ovvia di essersi follemente innamorato da tempo, ormai, Oliver aveva sancito il suo legame. In quella constatazione, a ben vedere, si diramava un Futuro per la prima volta non chiaro, non limpido, senza trame complesse, eppure di una bellezza senza precedenti. Apprezzò l'ignoto come una rivelazione. «Per la prima volta da molto, Leah, sento di essere presente
Le sorrise. Le sorrise una, due, tre volte; in quel modo genuino di un ragazzino nel pieno della sua gioventù, delle sue esperienze, delle sue sensazioni così accese. Le sorrise, perché sinceramente non avrebbe saputo fare altro. Il respiro dell'altra sul proprio collo, a scivolare fino al petto, a ridestarlo dal torpore in cui la Vista sapeva quotidianamente intrappolarlo. Prese in uno scatto emotivo, e tuttavia dolce, la mano di Leah nella sua. La strinse con energia, senza farle del male, ma con quell'intenso desiderio di averla accanto, ancora una volta, ancora un attimo: nel suo presente, nel suo futuro. «Qualsiasi cosa accada, io ci sarò.»
Avrebbe reso la conversazione piacevole di lì a breve: la storia divertente del Canarino, di quando il Caposcuola Corvonero lo aveva ritrovato in una stanza solitaria, al terzo piano, con più piume addosso di quante potesse Oliver stesso ricordarne; il piccolo passerotto che ancora svolazzava da un punto all'altro dell'ampia tavolata, alla ricerca frenetica e deliziata di briciole di biscotti; gli sguardi curiosi e spesso indiscreti dei suoi concasati, tra i Grifondoro più ficcanaso, a fare da contorno di volta in volta; una tazza di caffè tiepido, un paio di dolci lì sul banco di legno, la consapevolezza di trascorrere una tranquilla mattina invernale in Sala Grande. Sorrise, ancora una volta.
«Andrà tutto bene.»
Lo disse in silenzio, tra sé. In quella semplicità il Veggente si ritrovava in modo completo. Ed era fascino, era bellezza, tutto era lei.

 
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