Sabotage

« Older   Newer »
  Share  
~ Nieve Rigos
view post Posted on 29/8/2023, 19:37 by: ~ Nieve Rigos
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,693

Status:


Nieve Rigos
18 anni
Mese di Agosto, IV anno, bocciata dopo due anni di assenza da Hogwarts
Villa dei Gigli
Segue: Cézanne



w5Lpd6X

I see your face when I close my eyes

Il borbottio del cielo preannuncia bufera —una di quelle estive che ti colgono all’improvviso, inzuppando vestiti e annacquando memorie.
Aspiro una boccata di fumo. Seduta sul pavimento in marmo con il capo rivolto verso il soffitto affrescato, ascolto il vuoto denso della villa. Siamo diventati amici col tempo. Mi ha insegnato quanto prezioso sia il silenzio. Ha reso più semplice mantenere il proposito di isolamento. Ha lasciato correre i pensieri più angusti senza mai disturbarli. Mi ha ricordato che la voragine della quale sono custode si rispecchia nella desolazione della casa in cui vivo. In qualche modo, ci capiamo.
Espiro. La nuvola di aconito e belladonna con un tocco di polvere di fata si innalza, volteggia, danza alla luce pigra che precede la pioggia. Infine svanisce. Sento i passi leggeri della mia elfa domestica farsi più vicini. Non sono del tutto sola.
Non sento nulla. Nulla, come fossi morta anch’io. Com’è possibile che non ci sia più. Che questo mondo continui a muoversi senza di Lei. Qual è il senso di un’esistenza —dell’esistenza stessa— che non La comprenda.
Calore. Si fa spazio oltre all’incredulità e al dolore sordo che batte al ritmo del mio cuore, se frammenti ne sono rimasti. Scorre lentamente ai lati di quello che suppongo essere il mio viso. Sto piangendo dagli stessi occhi che bruciano come tizzoni ardenti, che non smettono di fissare il soffitto, che non lo so ancora ma hanno perso ogni traccia di colore.
La voce lontana di un estraneo parla di catatonia e io non so cosa significhi. Nonna Lucrezia, però, piange. Le sue carezze provano a risvegliarmi. Le parole di nonno Gaspare a confortarmi — “Bambina mia, abbiamo ancora tante cioccolate da bere insieme. Non arrenderti. Io rimango finché questo dolore non lo curiamo”. Le loro lacrime a ricordarmi che, di vita, ce n’è ancora.
«Andate a riposare. Penso io a padroncina stanotte.»
Tilly mi accudisce. Non lascia il mio capezzale neppure per un istante.
«Padroncina ha bisogno di qualcosa?»
Le mie labbra si aprono in un sorriso. La sua dolcezza è la sola fiaccola che rischiari il nero della mia notte. Mi volto a guardarla e i suoi occhioni nocciola mi restituiscono un’espressione preoccupata, che spera di essere riuscita a mascherare. Non mangio dal giorno prima.
«Mi manca» le rivelo.
La voce si rompe e le lacrime fanno presto a impossessarsi dello spazio tra le ciglia. Aspiro un’altra boccata di fumo, generosa, ad occhi chiusi. Le prime gocce vengono giù dai cumulonembi e si abbattono sulla pietra d’ingresso della villa. La prima lacrima solca il mio viso.
«Mi manca così tanto che a volte non riesco a respirare, a pensare ad altro. Come se fosse un’ossessione» provo a spiegarle. «Rivivo i momenti che abbiamo passato insieme, quelli belli, e mi devasta sapere che non ne avrò altri».
Devo fermarmi. Porto una mano al viso e lo copro. La bocca si contrae per trattenere un singhiozzo, ma quello scappa e io lo lascio andare. Perché sei andata via? Perché mi hai lasciata sola? Un tuono risuona nel salotto, seguito dallo scoppio del lampo. Forse Gesù non mi ha abbandonata, anche se io ho rinunciato a Lui.
Alzo lo sguardo su Tilly. «Rivivo i momenti in cui le ho riversato addosso tutto quell’odio e l’ho abbandonata, e mi — serro le labbra e assesto un pugno al mio sterno, poi un altro e ancora, ancora, ancora — MI ODIO, CAZZO, MI FACCIO SCHIFO PERCHÉ SONO ORRIBILE» grido a pieni polmoni.
Stavolta non è il cielo a ruggire. Sono le mie parole a risuonare tra le pareti della villa, risalendo le scale. Serpeggiano tra gli intestizi, spezzando il vuoto e il silenzio —percuotendoli. Piango, incontrollata, le spalle scosse dal cataclisma. La sigaretta giace sul pavimento.
«L’HO UCCISA IO, L’HO UCCISA IO, L’HO UCCISA IO…»
Mi rannicchio, stretta nell’abbraccio candido dei miei capelli. Il tocco leggero di Tilly sopraggiunge presto a consolarmi. Mi accarezza il capo con tenerezza.
«Tilly» sussurro al ninnolo che porto al collo.
Lo schiocco che segue mi conforta. Giaccio ai margini di un vicolo che puzza di piscio e sudiciume. I miei vestiti sono fradici e io semincosciente. Non saprei nemmeno ricostruire le vicende che mi hanno condotta qui. Mi accompagna solo la sensazione sgradevole di essermi cacciata nei guai e il desiderio di voler tornare a casa, di sentirmi al sicuro.
«Padroncina! Sta bene? Qualcuno fatta male? Noi andare via subito!»
La preoccupazione nella sua voce restituisce una parziale conferma ai miei dubbi. Realizzo di avere freddo. Quando apro gli occhi, scorgo la neve e un sorriso si dipinge sulle mie labbra. Adoro la neve. Sembrerà scontato, pensando al mio nome, ma non ha nulla a che vedere con la vanagloria. La sua purezza mi ricorda quei momenti d’innocenza con Ỳma dove non esisteva nient’altro che gioia; e io cercavo gli elfi sotto le rocce, mentre lei se la rideva con la sua bocca sdentata, un'oncia di saliva a sussulto
Tilly non prova la stessa gioia, mi rendo presto conto. Sta tentando di scaldare le mie dita bluastre. Sono i miei denti che battono questo ritmo frenetico?
«Portami a casa» le dico.
Un altro schiocco. Il calore di Villa dei Gigli.
Vorrei che non fosse così. Vorrei illudermi di non aver giocato nessun ruolo nella scelta di Roth. Più di tutto, vorrei tornare indietro e cambiare il corso della storia, la nostra: soffocare il mio stupido orgoglio, essere più matura, impedire a un’antipatia per uno sconosciuto di mettersi tra noi, starle accanto, essere presente.
Con le braccia avvolgo il corpo ossuto di Tilly. Il drappo di lino bianco che indossa raccoglie le gocce di pianto che non sono in grado di trattenere. È la sola con cui riesca a parlare di Roth senza sentirmi giudicata, senza che i sentimenti degli altri verso la mia mentore s’intromettano, senza che il bisogno di consolarmi diventi un motivo per ignorare il mio dolore.
La morte porta con sé urgenza. Non c’è tempo per il cordoglio. Non si può rimanere impantanati nella pena della perdita. Ciò che è stato è stato. Dello sprofondo che l’evento ha generato, dovrai occuparti in silenzio e possibilmente con una certa dignità. Non disturbare, non assillare, non intristire. Non diventare pesante. Smettila di essere la persona più triste del gruppo. Comincia a goderti le cose. Cos’è quello sguardo spento. Sono passati due anni, dai. Dovresti averci fatto i conti. Bisogna andare avanti.
«Padrona voleva bene a padroncina.»
La mia elfa domestica è seduta su una poltrona troppo grande per lei. Le gambe pendono a un paio di spanne dal pavimento e il corpicino non arriva nemmeno allo schienale. Non sposto lo sguardo dal camino, benché le sue parole mi abbiano colpita.
«Io ricordo com’era lei con padroncina. Molto dolce e gentile e sorrideva di più.»
Il muscolo che ho nel petto combatte, indeciso. Tra uno sfarfallio e un salto, sceglie qualcosa che sta a metà e che mi costringe ad attingere al bicchiere di whiskey che ho già rabboccato. È un febbraio gelido, lungo e quieto. La scuola è lontana dai miei pensieri. Esisto a stento.
«Anche padroncina voleva molto bene a padrona. Tilly lo sa. Tilly lo vede ogni giorno.»
Chino il capo. Un paio di gocce turbano la superficie dorata del distillato, salandolo.
Io sono ancora qui, ferma al giorno in cui sono diventata ricca perdendo tutto. Gli occhi non bruciano più, i capelli hanno smesso di crescere e sono rinvenuta dallo stato di catatonia. Eppure, nulla è cambiato. L’eco delle parole che hanno annunciato la Sua morte, pronunciate da bocche diverse e spente, trapassano l’agglomerato molle cui devo le mie pene ma anche la mia sopravvivenza —i meccanismi di difesa che, pur da storpia, permettono che io sia ancora qui.
Le mie spalle tremano quando libero Tilly dal mio abbraccio. Lei si allontana in silenzio. Più di altri, conosce il bisogno di spazio che l’isolamento ha forzato nel mio animo. Per una parte di me che vuole la vicinanza, ne esiste un’altra che la rifugge con terrore.
«Preparami un bagno, per favore» le dico, ancora raccolta nell’antro della mia disperazione. Incrocio il suo sguardo. Ha gli occhi inumiditi. Realizzo che deve aver pianto nel consolarmi, commossa dal mio dolore. Provo una tale pena per lei, per essere costretta ad accudirmi, per tutta l’afflizione che sta indirettamente subendo. «E una brocca di vino elfico. Quella grande».
Sul suo viso s’incastra una scheggia di preoccupazione. Sa che mi perderò, che ottunderò i miei sensi fino al suicidio della coscienza. Ma non ha potere di ribattere. Così, nel suo sguardo di nocciole appena colte, la commozione si trasforma in rassegnazione.
«Sì, padroncina.»

Ti voglio bene, Tilly.

You’re still the oxygen I breath


Edited by ~ Nieve Rigos - 29/8/2023, 21:40
 
Top
15 replies since 26/10/2018, 20:48   1071 views
  Share