Sabotage

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~ Nieve Rigos
view post Posted on 30/12/2019, 22:44 by: ~ Nieve Rigos
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entropia.

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Nieve Rigos
17 Anni
Mese di Dicembre, IV anno
Segue: Delicate



0WC8XC9
Nieve s’introdusse di soppiatto nel salotto di casa Del Vespro con la complicità di nonno Gaspare e il favore di un buon Felpato. Non fosse stato per l’andirivieni di gufi e l’appuntamento preso al termine di una fitta corrispondenza, la Rigos avrebbe comunque compreso cosa stesse accadendo entro i confini della stanza adibita all’accoglienza ove si erano svolti alcuni dei pomeriggi più lieti della sua esistenza inglese. L’ambiente — di medie dimensioni, ordinatamente ingombro, confortevole com’era d’uso — si presentò ai suoi occhi in una veste già nota: accadeva in pendenza di ogni ballo che un manichino, diverse stoffe, plurimi aghi, un metro e un numero pressoché infinito di bobine variopinte prendessero posto nell’angolo tra il divano e il suo tavolino, occupando un buon terzo dello spazio. Su una seggiola, di spalle rispetto alla porta che immetteva nella camera, stava sempre, immancabilmente, Lucrezia Del Vespro.
Nieve le lasciò scivolare le braccia attorno alle spalle e le impresse un bacio leggero sulla pelle del collo, inspirandone il profumo. Sorrise nel notarne il sobbalzo e strinse un po’ di più la presa quando ebbe l’intima certezza di essere stata riconosciuta.
«Sei in ritardo» venne apostrofata con dolcezza.
«Sarebbe stato strano il contrario» replicò Nieve, lo sguardo fisso sul libro che la nonna tenea tra le mani. «Fammi indovinare: lo Schiaccianoci?»
Pretendere che un’insegnante dismettesse gli abiti del pedagogo e si appiattisse sulla spicciola arte dei cliché era oltraggioso non meno che impossibile e lo era ancor di più ad aver come interlocutrice una donna del calibro di Lucrezia Del Vespro.
Nello stesso istante in cui le aveva comunicato il tema del ballo di Natale e ne aveva letto la risposta, la Rigos aveva colto tra le righe il sentore di una sottile frustrazione mescersi a un entusiasmo quasi bambinesco. Elaborare un abito che fosse in linea con la storia e soprattutto con la personalità di Nieve avrebbe richiesto uno sforzo differente rispetto alle occasioni trascorse. Per questo, Lucrezia aveva preteso che la nipote trovasse uno spazio libero nella sua fitta agenda per fare una capatina a Londra. E, proprio per conoscerne l’indole, ella non si era sottratta.
«Ho letto tutto quello che c’era da leggere in proposito nell’ultima settimana e mi posso ritenere soddisfatta. So quello che possiamo tentare e quali sfumature possiamo assecondare. Ora, spetta solo a te farmi capire quali siano le tue intenzioni» le disse, mentre Nieve scioglieva l’abbraccio, e agitò la bacchetta in direzione dei voluminosi panneggi riposti su una poltrona. A colpo d’occhio, nella varietà tonale che le venne brevemente sottoposta, l’islandese comprese quanto seriamente la nonna avesse preso il proprio compito di sarta e ne fu compiaciuta. Sapeva che, al di là del bisogno di non affidarsi al caso e della necessità di assecondare una certa propensione al perfezionismo, fosse l’amore che provava per lei a muovere le intenzioni della donna; e la consapevolezza bastò a scaldarle il cuore. «Ho una mia teoria a riguardo, se proprio vuoi saperlo».
Nieve sedette a cavallo d’una sedia, ponendo le braccia sullo schienale e il mento sui polsi; e le rivolse un’espressione furbesca. «Ah sì? E sarebbe?»
«Che la scelta ricadrà sullo Schiaccianoci» le rispose Lucrezia, radiosa.
Le labbra della Rigos si schiusero e scoprirono i denti; e il brillante del septum raccolse uno scintillio di luce, svettando sull’arco di Cupido. C’era una venatura raggiante in Nieve capace di esaltarne la bellezza sregolata, adesso che un accenno di pace le aveva restituito parte dell’equilibrio perduto; e, pur tuttavia, una sbavatura d’incertezza — l’assaggio di un segreto, timidamente serbato e a tratti timorosamente evanescente innanzi al peso delle aspettative altrui — ne mitigava il fervore.
«Non si può dire che tu non mi conosca» concesse sul finire di una risatina bassa. Poi, trasse un’inspirazione per darsi coraggio. «È che mi domandavo se non fosse il caso di provare qualcosa di diverso, stavolta».
Gli occhi di Nieve incrociarono quelli di Lucrezia, trasmettendole l’anteprima di un messaggio più complesso, e tanto bastò perché la diciassettenne ne ottenesse la completa attenzione.
I contorni della sua cottarella adolescenziale avevano opposto un altisonante rifiuto all’ordine di rientrare nei ranghi della normalità e, anziché obbedire, avevano alimentato le fantasticherie della giovane col siero della ribellione. Per la prima volta nella sua vita, così, Nieve si era ritrovata ad ardere dal desiderio di apparire bella, dolce e aggraziata come le altre. Per una notte, una soltanto, si diceva che avrebbe potuto relegare lontano il mosssro che aveva riconosciuto d’essere e acconsentire a liberare la fanciulla che non credeva di poter incarnare — fosse anche stato solo per gioco. E magari, solo magari, Kurt l’avrebbe notata non per l’impiastro scapestrato di cui pensava di doversi curare, ma per la giovane donna che stava diventando.
«Non ho molte idee, eh» si affrettò ad aggiungere, colta da un accesso di ritrosia «perché non conosco bene la storia. Thalia mi ha detto quanto basta e, sì, amo la figura dello Schiaccianoci e c’è una parte di me che vorrebbe tanto, tanto vestirsi come lui. Però…» tentennò e, nel farlo, agganciò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e chinò il capo. Si era ripromessa di scacciare la tentazione di fungere da impedimento nel legame che univa Kurt e la fidanzata, persuasa di non possedere gli strumenti per amare davvero qualcuno; convinta che, se mai si fossero realizzate le condizioni per iniziare una storia con lui, non sarebbe stata in grado di impedirne la rovina. D’altra parte, poteva considerarsi un tentativo di sabotaggio indossare un abito che ne esaltasse la venustà? «Però, magari, non mi si addice qualcosa di diverso. Non lo so, ecco. Non sono sicura nemmeno io…»
Lucrezia si mantenne taciturna per un altro paio di istanti e scrutò l’espressione della nipote. Con la sensibilità d’animo e d’intelletto che le si confaceva, comprese quali dissidi stessero agitando l’animo della ragazzina senza che quella vi avesse fatto cenno.
«Mi sembra una bella idea, invece, anche per spezzare un po’ rispetto all’ultimo ballo. Ti avevo cucito quella bella giacca dal taglio maschile, se la memoria non mi inganna. Optare per un’altra giacca sarebbe ripetitivo e, Merlino mi sia testimone, mia nipote non passerà mai per scontata a un evento con la mia complicità».
Nieve, che aveva gli zigomi colorati d’imbarazzo, sogghignò. Era grata che il discorso stesse vertendo altrove dal vero nocciolo della questione. Che la nonna avesse compreso le sue intenzioni o meno, in quel momento, poco importava di fronte al bisogno di aggirare l’ostacolo! Non voleva dar voce ai suoi pensieri e correre il rischio che, facendosi suono, si mostrassero più biasimevoli dell’eco nella sua testa.
«Hai qualcosa in mente, non è così?» domandò Nieve, mentre nonno Gaspare faceva ingresso nel salotto e si dirigeva a passi spediti in direzione del grammofono con un vinile sospeso tra le dita nodose. Era un maldestro tentativo di ascoltare la conversazione senza che la moglie lo scacciasse malamente, lo sapevano tutti e tre. «Ma non voglio essere un angioletto pieno di brillanti o una principessa delle fiabe con un gonnellone da meringa, sia chiaro! Piuttosto, ritorniamo allo Schiaccianoci e tanti saluti» si affrettò a precisare.
Lucrezia, per tutta risposta, s’accigliò.
«Dovrebbe offendermi che tu mi creda capace di fare una cosa del genere, perché implicherebbe non conoscerti affatto» la rimproverò, appena più duramente di quanto richiedessero le circostanze.
Nieve, per parte sua, deglutì e incrociò lo sguardo del nonno, che le fu silenziosamente solidale dalla distanza. Poi, le prime note si dipartirono dalla tromba del grammofono e tornò la quiete.


Ricordi, sbocciavan le viole
Con le nostre parole
Non ci lasceremo mai
Mai, e poi mai
Vorrei dirti ora le stesse cose
Ma come fan presto, amore,
ad appassir le rose


«Come vi siete conosciuti tu e il nonno?»
La domanda di Nieve spezzò l’atmosfera venuta con la voce del cantautore che erano trascorsi pochi secondi dall’ultimo scambio di battute. La nonna, in segno di pace, fece planare una robusta teiera, un paio di tazzine e un piatto di pasticcini sul tavolo.
«Abitavamo entrambi nello stesso paesino, quindi era pressoché impossibile non conoscersi. E tuo nonno non ha mai fatto nulla per impedire che lo notassi!» Scoccò un’occhiata al marito: era un modo sottile di fargli intendere che l’intrusione non fosse passata inosservata; solo allora appellò una terza porcellana e gliela spedì, non prima di averla riempita fin quasi all’orlo e avergli concesso un’unica zolletta di zucchero e un po’ di latte. «All’inizio, però, eravamo solo amici. Io ero promessa a un altro».
«Tu cosa, scusa?» sbraitò Nieve, trasalendo sul cuscino della poltrona ove s’era spostata. Lasciò scorrere lo sguardo dall’uno all’altro dei due adulti, gli occhioni verdi sbarrati per l’incredulità. Il nonno, che nel frattempo aveva appellato un’altra zolletta e addentato un rotolo alla cannella, si limitò ad annuire con aria contrariata. «Stavi con un altro? Ma come? Ma perché?»
Lucrezia rise e attinse alla porcellana, dunque aggiunse: «Proprio così! I miei genitori mi avevano promesso a un altro ragazzo di buona famiglia: era un matrimonio di comodo, come se ne organizzavano tantissimi in Italia ai nostri tempi, e noi non avevamo molta voce in capitolo. Ribellandomi, ero riuscita solo ad ottenere che la celebrazione non avvenisse prima dei miei diciotto anni. In verità, non avevo alcuna intenzione di sposarmi, all’epoca: ero focalizzata sui miei studi e speravo di essere assunta come educatrice in una buona famiglia. Mi dicevo che questo avrebbe convinto i miei genitori della non necessità di usarmi come merce di scambio, ma sapevo bene che le mie fossero speranze vane. C’erano interessi che coinvolgevano l’intera famiglia e io, in sostanza, potevo solo prendere tempo… Serviti un rotolo alla cannella, bambina, su. Li ho cucinati per te!» L’intimazione della nonna servì solo parzialmente a risvegliare Nieve dallo stato di attonimento nel quale era piombata. Allungò la mano, agguantò un pasticcino e se lo portò alla bocca senza averne alcuna effettiva cognizione, tanto desiderava conoscere il prosieguo della vicenda. «Ti piacciono?»
«Buoniffimi» bofonchiò, le labbra sporche di glassa zuccherina. Deglutì il boccone. «Ma è una cosa orribile! Non si possono usare le persone come se fossero articoli di un negozio. Perché i tuoi genitori volevano farti un torto simile?» la incalzò.
«Non è come pensi, Nieve. Non è che i miei genitori non mi amassero abbastanza da tenere in conto i miei sentimenti. Era un retaggio culturale tipico della società in cui vivevamo. Era così che si usava fare. Spesso, era anche una questione di sopravvivenza: unire le famiglie poteva garantire il sostentamento in periodi di magra; e un matrimonio poteva portare nuova forza lavoro per aiutare e, col tempo, sostituire le vecchie leve». Dall’espressione della nipote, Lucrezia comprese che l’argomento fosse di gran lunga troppo spinoso da affrontare nei giusti termini: Nieve la squadrava come se avesse appena assistito a una scena terrificante del cui sadismo non le riuscisse di capacitarsi. «Comunque, non è questo il punto» soggiunse, riportando l’argomento sull’unico binario percorribile in quella sede. «Il punto è che io ero promessa a un altro e non a tuo nonno».
«E ti piaceva? Quest’altro ti piaceva?»
«Non mi dispiaceva
— uno sbuffo provenne dalla zona del salotto occupata dal nonno, alto a sufficienza da essere udito oltre la musica emanava dal giradischi — e mi era andata meglio che a molte altre. Era un ragazzo molto garbato, avvenente — fu il tempo di un altro sbuffo — e affidabile. Aveva un solo difetto: non era tuo nonno» concluse Lucrezia.
Nieve, il cui sbalordimento indignato aveva resistito fino a quel momento, sorrise e cedette all’incantamento nell’udire le ultime parole della nonna. Essere romantica era un lusso che le capitava di concedersi di rado in presenza degli altri, ma i coniugi Del Vespro — come sempre, del resto — costituivano un’eccezione che, nel presente, non mancò di sottoscrivere una conferma.
«E cos’è successo? Com’è riuscito a conquistarti il nonno e a portarti via al suo rivale?»
«Si è comportato da amico. Era solo un amico» rispose Lucrezia, colta da un flutto di nostalgia «ma il migliore che si possa immaginare d’avere. Era sempre presente quando avevo bisogno di un appoggio. Sapeva ascoltarmi e dare il giusto peso ai miei problemi, facendomeli apparire risolvibili anche quando io ritenevo che fossero insormontabili. Conosceva il modo di farmi ridere, ridendo di sé stesso e delle cose con una leggerezza che non era superficialità. E non ha mai, mai, mai detto nulla di crudele sul mio promesso sposo, perfino se capitava che io me ne lamentassi. Ed è successo che più parlavo con lui e più diventava parte della mia vita. Un giorno, d’un tratto, mi sono resa conto che pensavo a tuo nonno così spesso da avere l’impressione che fosse sempre con me. Vedevo il berretto di un bracciante e mi balzava il cuore in petto di gioia all’idea che fosse lui. Bussava qualcuno all’uscio e pregavo di trovarmelo davanti. Prendevo parte a una festa di paese e desideravo che m’invitasse a ballare. E bruciavo di gelosia al pensiero che un’altra potesse contare per lui più di me, o che un giorno potesse fare con un’altra quello che faceva con me, anche solo parlare delle cose di cui discorrevamo noi. E mi terrorizzava la prospettiva di perderlo. Nel capirlo, ho deciso di non commettere l’errore di aspettare troppo a lungo. Ne ho parlato ai miei e, non senza sforzi, eccoci qui» concluse, versandosi una seconda tazza di tè.
La Rigos batté le palpebre per darsi il tempo di metabolizzare le ultime informazioni, sicché le scappò un sospiro. Era inevitabile che, nell’immaginarsi i contorni del rapporto tra i Del Vespro, soccombesse alla tentazione di indugiare nel confronto. C’erano delle similitudini nella dinamica con Kurt che avrebbero potuto dare adito alla speranza? Nel modo in cui si prendeva cura di lei e si assicurava che stesse bene? Affondò il volto nella porcellana, godendo del tepore che promanava dalla superficie della bevanda, mentre il sapore dolce della cannella trovava il retrogusto amarognolo del tè nero.
«Sembra una fiaba» esordì, allora, sul finire di una sospirata riflessione. «Questo momento, la storia che mi hai raccontato, la musica, voi due… è tutto così bello che non sembra quasi vero» le confessò con la punta del naso arrossata e gli occhi lucidi di piacere. Inclinò il viso all’indirizzo del nonno per domandargli: «Tu confermi tutto?»
Gaspare annuì e diede un’ultima leccata ai baffi zuccherati. Poi, sollevò un dito e aggiunse: «C’è solo una piccola correzione che farei, se mi fosse concesso: non ho mai voluto essere “solo un amico” per tua nonna. Era tutta una strategia per sottrarla a quello scimunito e, come vedi, ha funzionato».
Di lì a pochi secondi, un Compungo partì dalla bacchetta di Lucrezia all’indirizzo del consorte. Nieve, dal canto suo, rise della genuinità della loro interazione e depose la tazza, rapita dalle tinte iridate dei propri pensieri. Avrebbe appreso solo più in là il significato della canzone che aveva fatto da colonna sonora a quel pomeriggio — la storia di un vecchio amore finito in tenerezza, pronto a dischiudersi alle dolcezze di un altro — e l’avrebbe trovato un segno del destino a significare che la corrente relazione di Kurt potesse evolversi in un epilogo inatteso, rispetto al quale avrebbe trovato lo spazio di inserirsi non nel ruolo di chi distrugga ma di chi subentri perché è giunto il suo tempo.
«Non pensereste di me che sono ridicola, quindi, se vi dicessi che vorrei fare colpo su una persona? È per questo che avevo pensato di provare qualcosa di diverso, stavolta» trovò il coraggio di confessare. Aveva il viso in fiamme e il cuore che pompava freneticamente nel petto. «Vorrei solo che mi notasse e che capisse che non sono una bambina, tutto qui» precisò in un disperato tentativo di giustificarsi al cospetto della voce che le intimava di non ammantare di altruismo l’egocentricità dei suoi sogni.
Lucrezia e Gaspare si scambiarono uno sguardo d’intesa.
«Io lo trovo molto furbo» le disse il nonno, che intanto le si era fatto vicino e aveva preso posto sul bracciolo della poltrona, dopo un po’ e le afferrò il naso con delicatezza. «Te lo dico io: non ha scampo come non ne aveva quella che oggi posso chiamare moglie».
Nieve ridacchiò, dopodiché il suo sguardo mutò traiettoria. Di tutte le persone che esistevano al mondo, nonna Lucrezia era quella della cui approvazione avrebbe sempre sentito il bisogno. La stupì trovarla intenta nell’appellare il metro, a fronte aggrottata e con uno spillo tra le labbra serrate.
«Vieni qua e lasciami prendere le misure. Abbiamo un cuore da conquistare e la reputerei già una faccenda molto seria, se non avessi intenzione di fartene conquistare a decine» sentenziò, gli occhi splendenti di risolutezza.

Nieve si abbandonò un ultimo istante contro la poltrona e gettò il capo all’indietro, sollevata. E l’argento cedette il passo al rosa tra le onde della sua chioma leonina.

Per un amore nuovo


 
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