Sabotage

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~ Nieve Rigos
view post Posted on 10/12/2019, 22:30 by: ~ Nieve Rigos
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entropia.

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Nieve Rigos
16 Anni
Fine III anno, inizio IV anno (ipoteticamente)
Segue: Table for Two
Note: Kurt è un png Grifondoro del sesto anno che mi sono divertita a inserire nel background di Nieve qualche tempo fa. Era giunto il tempo di sviscerare la cosa.




ciNrIjO

This ain’t for the best
My reputation’s never been worse, so
You must like me for me
We can’t make
Any promises now, can we, babe?
But you can make me a drink


Vivere nei panni di Nieve Rigos, in quel particolare periodo della sua vita, richiedeva uno sforzo non di poco conto; e non era certo cosa da tutti.
Coi gomiti appuntati sul bancone e il viso adagiato sui palmi, se ne stava seduta su uno sgabello dei Tre Manici di Scopa con espressione assorta. I capelli d’argento ricadevano dolcemente sulle spalle ossute, facendo a botte col nero del maglioncino nel quale si era avvolta. Nel caos moderato del locale, la cui quiete era favorita dall’approssimarsi della sera, ricordava uno spiritello insoddisfatto al quale avessero impedito di compiere una monelleria.
«Alla faccia del broncio, Rigos!»
La considerazione la raggiunse al rallentatore, penetrando gli strati di torpore che si era imposta di indossare per isolarsi dall’esterno. Levò lo sguardo sul garzone che la osservava di sottecchi nell’atto di tergere un boccale — aveva le mani troppo grandi per riuscire a raccogliere le goccioline d’acqua sul fondo; notarlo le strappò una smorfia che ricordava alla lontana un sorriso.
«Brutta giornata?» continuò quello, disinvoltamente.
Il sopracciglio destro di Nieve scattò in alto, conferendole un atteggiamento canzonatorio.
«“Brutto anno” sarebbe più appropriato» rispose, abbozzando un ghigno. Poi, il ricordo di quanto accaduto la sera prima tornò a farle visita e il baluginìo che ne aveva acceso gli occhi si spense. «Hai intenzione di infierire?» domandò con lo spaurimento di un animale in attesa dell’impietosa punizione del padrone.
Kurt, per parte sua, le servì un paziente diniego.
«Per niente al mondo!» La giovialità che emanava da lui indusse Nieve a rilassarsi, solo un pochino. Così, inclinò il capo e, nel movimento, i tratti del suo viso acquistarono una vena interrogativa. Il Grifondoro depose il bicchiere, posizionò lo straccio sulla spalla, incrociò le braccia e assunse un’espressione pensosa, dopodiché decretò: «È che l’ho trovato molto eccitante! Tutti gli uomini sognano di vedere due ragazze fare a botte.»
La risata che abbandonò la bocca di Nieve risuonò per il locale, risalendo su per il petto attraverso i drappi della malinconia, del senso di colpa e dell’incredulità acciocché avesse a farsi suono. Era trascorso talmente tanto tempo dall’ultima volta che si era accordata un simile lusso da aver temuto di non esserne più in grado, non come prima. La Nieve del passato, d’altro canto, non avrebbe mai aggredito in quel modo una compagna.
L’indice salì a raccogliere una lacrima sul limitare delle palpebre, dunque la Rigos scosse il capo e tornò a stringersi nelle spalle. Mentre rivedeva la proiezione di sé afferrare per il collo una coetanea al termine di uno sciocco diverbio e spingerla contro la parete della Sala Comune, si persuase della scorrettezza della propria condotta: la disonorava quasi quanto l’azione di cui si era resa responsabile il fatto che, a posteriori, fosse così propensa a prenderla alla leggera. Se ne rammaricò.
«Non è niente» le venne incontro la voce di Kurt. Nei pochi istanti che Nieve aveva impiegato a giudicarsi impietosamente, il ragazzo le si era fatto vicino per quel che il bancone consentiva. Adesso, le stava di fronte. «Non è successo niente di irreparabile. Tutti abbiamo fatto delle cazzate! Io ne faccio di continuo.»
Con gli occhi fissi sulle venature del legno consumato dal succedersi degli avventori, la Rigos ripercorse ancora una volta le fasi dell’aggressione e quelle che erano seguite: aveva trascorso la notte in lacrime, chiusa nel bagno del dormitorio, con l’impressione di essere divenuta ciò che si era ripromessa di non impersonare mai — il carnefice nella storia di qualcun altro.
«Pare che, di recente, io ne faccia più degli altri» bisbigliò mestamente. I sussurri sul suo conto, negli ultimi tempi, si erano fatti insistenti con la visibilità dovuta al torneo: le maniere, la perdita di peso, le storielle clandestine… Diede una scrollata di spalle, simulando una noncuranza che non le apparteneva. «A voler essere onesti, è sempre stato così. Nieve Rigos: ilmosssrodisastro ambulante.»
Il sorriso che le salì alla labbra mutuò le sfumature dell’amarezza e le usò per ingioiellarsi.
«C’è qualcosa che posso fare per tirarti su il morale? Se Madama Rosmerta ti vede con quel faccino triste, penserà che io sia un garzone terribile e mi licenzierà» le disse, ammiccando scanzonatamente.
Nieve si concesse un lungo, profondo sospiro.
«Preparami un drink!»

Is it cool that I said all that?
Is it chill that you’re in my head?
‘Cause I know that it’s delicate
Is it cool that I said all that?
Is it too soon to do this yet?
‘Cause I know that it’s delicate
Isn’t it? Isn’t it? Isn’t it? Isn’t it?
Isn’t it? Isn’t it? Isn’t it? Isn’t it?
Delicate


Solo allora erano diventati amici, Nieve e Kurt, oltre il perimetro del castello che li voleva giust’appena compagni. Era stato proprio tra le mura della fortezza, però, che l’amicizia aveva assunto contorni differenti, procedendo col passo felpato di un ladruncolo qualsiasi. La realizzazione, d’altro canto, aveva richiesto qualche sforzo in più in ossequio alla cocciutaggine da citrulla che contraddistingueva la Rigos.
Era iniziato tutto con un fastidio sottile all’altezza del diaframma: tutte le volte che una ragazza s’intratteneva con Kurt più del dovuto, le montava addosso una sensazione di acredine tale da far concorrenza per intensità solo alla stizza che provava in presenza del Midnight. Così, le capitava di arrabbiarsi d’improvviso senza capirne il motivo — arrabbiarsi con lui, ovviamente. Attinta dal pungiglione della gelosia, esibiva l’espressione più accigliata del suo repertorio, borbottava una giustificazione qualsiasi sulla necessità di filarsela e spariva a passo di marcia nella direzione che l’avrebbe portata a miglia di distanza dall’odiosa creatura che inveleniva il suo centro delle emozioni.
Non lo avrebbe mai più rivisto.
Non gli avrebbe mai più rivolto la parola.
E non si sarebbe neppure mai più azzardata a salutarlo, nossignora.
Dei perché e dei percome di tutta quella rabbia, le importava assai poco.
Il sospetto l’aveva pungolata un giorno che, seduta a un tavolino della Sala Comune in compagnia dell’amico, così vicina al vetro della finestra a ogiva da poter osservare il proprio respiro farsi condensa, aveva appreso di essere arrivata troppo tardi. Capo chino e naso rivolto verso una pergamena, Kurt aveva pronunciato una frase sconnessa sulla necessità di programmare una vacanza estiva a casa della fidanzata, salvo poi lanciarsi in un unico flusso di coscienza che illustrava il suo odio per le presentazioni ufficiali.
Il cuore di Nieve aveva subìto un improvviso arresto — freeze!
La Rigos aveva strabuzzato gli occhi, che in quel momento teneva fissi sulle variazioni aeree di una civetta, e trattenuto il respiro. Dunque, era seguita una rapida impennata dei battiti cardiaci. Un attimo più tardi, era scappata oltre il ritratto della Signora Grassa e si era gettata a precipizio giù per le scale.

Nella quiete statica del salottino dei Grifondoro, Nieve sollevò lo sguardo dal libro che aveva finto di leggere nell’ultima mezz’ora e lo posò su Kurt. Immerso nella beatitudine dei sogni, se ne stava stravaccato sul divano con la cravatta allentata attorno al collo e i primi bottoni della camicia slegati. Distanziandosi dalla poltrona che aveva occupato per non disturbarlo, la Rigos raggiunse il punto in cui l’altro sonnecchiava e si chinò sulle ginocchia, rivolgendogli un sorriso inconsapevole.
Infine, non soltanto si era concessa il lusso di ammettere a voce alta — Thalia ne era testimone — quali fossero i suoi veri sentimenti, ma era perfino scesa a patti col fatto che Kurt avesse un’altra. Risoluta a evitare l’argomento il più possibile, gestiva la sua cotta nel solo modo che le risultasse possibile: vivendola così come veniva, giorno dopo giorno, e dandosi alle fantasticherie per godere del privilegio di non doverlo condividere con nessuna.
Non gli aveva domandato delle vacanze, né aveva mai indagato sull’identità dell’altra, e non per una forma di disinteresse. Si trattava, piuttosto, di uno sforzo di preservazione: ogniqualvolta una menzione alla faccenda sbocciava tra le pieghe del discorso o intuiva di un incontro tra i due, le accadeva di sperimentare una sensazione di tale malumore da renderle impossibile la capacità di pensiero. Così, volutamente ignara, Nieve si cullava nell’illusione che la fidanzata di Kurt non esistesse senza aver ancora trovato il coraggio di concedersi un’ammissione che peccava di innocenza in ogni sua egoistica manifestazione: desiderava vedere la misteriosa contendente sparire dalla scena, meglio prima che dopo. In compenso, si diceva nei giorni in cui era particolarmente ottimista, aveva dimenticato il Channing!
«Mi piaci così tanto» si ritrovò a sfiatare sulla scia di un sospiro, le dita che carezzavano il ciuffo dell’amico con tenerezza. Poi… «PORCO FIORDO!»
Kurt aveva aperto gli occhi con una rapidità che le aveva quasi provocato una sincope. Quella le era venuta comunque, pochi secondi più tardi, quando aveva realizzato il significato del risveglio e del suo tempismo.
Nieve scattò in piedi come una molla, paonazza in volto, e si lanciò in direzione delle scale che conducevano al dormitorio femminile con tutta l’intenzione di restarci e morirci. Dando riprova dei propri riflessi, riuscì a schivare la presa dell’altro prima che le agguantasse una mano.
«NIEVE!» La nota sconosciuta che ne aveva imbrattato la voce ebbe il potere di paralizzarla che aveva asceso appena tre gradini. Si voltò verso di lui, appellandosi a un coraggio che non avrebbe mai pensato di avere — il rossore sugli zigomi faceva risaltare la tonalità smeraldina delle iridi —, e smise di respirare. «È che sto con un’altra…»
Tum-tum-tum-tum-tum-tum!
«Lo so...»

Sometimes I wonder when you sleep
Are you ever dreaming of me?
Sometimes when I look into your eyes
I pretend you’re mine, all the damn time
‘Cause I like you


«Mi stai evitando, Rigos!»
La frase riecheggiò nel corridoio semivuoto del terzo piano, decretando il fallimento del piano di Nieve. Quando aveva intravisto Kurt venirle incontro per le scale, l’istinto le aveva suggerito di affidarsi a uno strategico dietrofront e scappare come avesse avuto il demonio alle calcagna. Poi, la mente — stordita dalla vergogna, dall’innamoramento e dal concerto che stava avendo luogo nel suo petto — aveva optato per la più brillante trovata degli ultimi mesi: svoltare l’angolo senza prestare attenzione a dove metteva i piedi.
In buona sostanza, il risultato aveva visto Nieve schiantarsi di faccia contro un’armatura e mandarla letteralmente in pezzi.
«Cofa te lo fa penfare?» bofonchiò, mentre tentava di estrarre il braccio sinistro dall’elmo in cui l’aveva erroneamente ficcato. La risatina di Kurt le strappò un grugnito. «Che cavolo ti ridi? Au!»
«Fatti aiutare, va» ribatté quello, allungandosi per porgerle una mano.
Nieve, per tutta risposta, ignorò la profferta d’aiuto e sedette sui talloni. Si massaggiava la fronte con circospezione, piazzando qui e lì una lamentela accennata quando il contatto le provocava una fitta di dolore. Era sicura di essersi appena guadagnata un bernoccolo di tutto rispetto, oltre a una figuraccia di quelle che avrebbero fatto sbellicare la Moran.
«Perché scappavi?» le domandò Kurt, imperterrito, munito del suo rinomatissimo ghigno.
Nieve gli scoccò un’occhiata in tralice, che acuì la portata del suo mal di testa.
«Non stavo scappando» mentì. «Mi sono ricordata di un impegno e non volevo mancare, tutto qui!»
La smorfia sulle labbra del Grifondoro cedette terreno alla tenerezza.
«Mmm! Quindi, non ha nulla a che vedere con quello che è successo ieri sera, vero?»
Fosse stato soltanto per la sensazione di calore che l'aveva spinta da subito a invocare la morte con un’intensità che non aveva sperimentato neppure nella Foresta Proibita, la sera dell’incontro col Thestral, Nieve si sarebbe detta sicura di poter reggere la recita al meglio delle sue possibilità. Invece, al tepore che salì a colorarle gli zigomi, fece presto seguito l’arcinoto pizzicore al cuoio capelluto. Era fregata!
«Non so di cosa tu stia parlando» ribatté, senza avere ancora trovato il coraggio di incrociarne lo sguardo. Arricciò il naso, si chinò a raccogliere l’elmo di cui si era disfatta e, baciata dal sole di Settembre che penetrava attraverso l’apertura nella parete alla sua destra, considerò di indossarlo per aiutarsi nella pantomima. L’idea le strappò un sorriso; il divertimento le restituì una parte di coraggio. Volse il viso nella direzione dell’amico. «La botta deve avermi scemunita» gli disse, rigirandosi la testa di latta tra le mani finché quella non ebbe fronteggiato Kurt. «Credo di essermi guadagnata un bel corno» continuò con l’intenzione di far virare il discorso altrove dall’argomento che meno avrebbe voluto affrontare.
«Be’, a Grifondoro mancava un bell’unicorno da esibire durante le occasioni mondane» la assecondò Kurt — l’illusione di un momento. «Non devi evitarmi per ieri. Non hai detto niente che non va.» Delicatamente, il ragazzo afferrò tra le dita una ciocca dei capelli di Nieve: li aveva, adesso, di una delicata tonalità di rosa che ben si sposava con la sfumatura purpurea delle guance. «Non mi hai mica preso per il collo!»
Nieve sobbalzò, colta di sorpresa dal richiamo alla vicenda che li aveva uniti, dunque lo spinse indietro con entrambe le mani e rise. «Sei un cafone!»
«E tu una sfasciafamiglie!» Il rossore sul volto della Rigos ebbe ad accentuarsi, quando il riferimento fece girare un gruppetto di matricole di passaggio alle spalle dell’altro. Perché diavolo le sue vicende sentimentali finivano sempre per assumere proporzioni bibliche, vere o meno che fossero? Kurt, cogliendo il momento di debolezza di Nieve, l’agguantò per il polso e la tirò a sé per avvolgerla in un abbraccio. «Ma ti voglio bene lo stesso!»
Tum-tum-tum-tum-tum-tum!
«Te ne voglio anch’io!»

'Cause I know That It's Delicate




Ehi. ♥


Edited by ~ Nieve Rigos - 18/12/2019, 22:25
 
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