Sabotage

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~ Nieve Rigos
view post Posted on 7/7/2019, 14:35 by: ~ Nieve Rigos
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entropia.

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Grifondoro
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Nieve Rigos
Campione Grifondoro
Seconda ProvaPozioni
16 Anni
Mese di Giugno, III anno.
Segue: Serrature





Nieve Rigos non è una persona metodica. Ha, come affermerebbero molti in situazioni della stessa specie, un modo tutto suo di fare le cose. E, invero, non potrei che essere d'accordo.
A guardarla mentre affronta la seconda prova di un torneo al quale era certa di non poter partecipare, si direbbe però che, stavolta, non abbia nessuna idea circa il come fronteggiare la sfida che le è stata sottoposta. Si sarebbe tentati di concludere, in soldoni, che le sue capacità di improvvisazione si siano date alla macchia e l’abbiano lasciata in balìa di sé stessa.
Se ne sta appollaiata su uno sgabello con il mento appuntato al palmo della mano e l'espressione lievemente corrucciata. Io, che la conosco meglio di chiunque altro, posso farvi una confessione riguardo il suo stato d’animo: le girano proprio a tremila. Avrebbe pensato che l'esperienza estemporanea con Ermione, in una foresta dimenticata da Dio, fosse il peggio che le potesse capitare: ha superato la prova senza rendersene realmente conto e, a tratti, non le riesce ancora di capacitarsi del posizionamento in vetta alla classifica — sbrigativamente, com’è tipico di chi non crede troppo in sé stesso, ha decretato che la questione sia da ricondurre non tanto ai propri meriti, bensì ai demeriti degli altri.
Adesso che se ne sta in Sala Grande, però, nei pressi di una postazione preparata per l’occorrenza con tutto ciò che un appassionato di pozioni potrebbe desiderare, per paradossale che sia si trova a rimpiangere il riverbero della voce di D'Annunzio e il tocco della pioggia sulla pelle. Ora che sa esattamente cosa si aspettano che faccia, infatti, è lei a non sapere da dove diavolo partire.
Non è tanto una questione di ingredienti, badate bene. Nieve e Thalia hanno sfiorato il litigio in più di un’occasione per i ritmi serrati di studio — la Moran l'aveva letteralmente sfinita.

«Il Barnabus nasce come una competizione eccezionale, che richiede sforzi eccezionali, fatta per gente eccezionale. Non sarà come andare a lezione da White. Lì, le pozioni e gli ingredienti sono non solo dosati, ma calcolati e valutati in base alle capacità del mago. Nessuno vuole che tu faccia più di quello che ci si aspetta da uno studente del tuo anno. Qui, è esattamente il contrario. Dovrai strafare. Come hai intenzione di affrontare la prova senza conoscere adeguatamente le basi e, per basi, intendo gli ingredienti?»
«Assaggerò.»
Ma è chiaro a tutti che l'obiezione di Nieve fosse sciocca e blanda ab origine; un disperato tentativo di vincere un confronto verbale che l'aveva già per sconfitta.

Mentre controlla per l’ennesima volta ciò che ha a disposizione e si lascia scappare un sospiro, è evidente che si stia appuntando mentalmente di ringraziare l'amica a tempo debito. Solo che... nel presente non importa che conosca nomi, effetti e proprietà delle sostanze che le hanno fornito; non se non ha la benché minima idea della forma da attribuirgli. E sono già trascorsi dieci lunghissimi minuti da quando le porte del salone sono state chiuse alle loro spalle e i giudici hanno decretato l’inizio della seconda fase del torneo.
Un gracidio gutturale ne cattura l’attenzione, strappandole un sorriso: i suoi occhi incrociano la sagoma bitorzoluta e tutto fuorché aggraziata che ha trovato il modo di imbucarsi e sbirciare gli sforzi dei campioni di Grifondoro, Corvonero e Serpeverde. Si domanda se non sia la bestiola di Hook, la matricola pasticciona che, mesi prima, ha urlato di disperazione in Sala Comune nella convinzione di aver arrostito il proprio rospo. Nieve gli fa ciao ciao con la mano libera, prima di tornare a soffermarsi sulla figura di Black.
La padronanza con cui si muove le fa capire immediatamente quanto l’altro sia nel suo elemento e tanto basta a che una morsa le prenda lo stomaco e glielo stritoli. Lo detesta in questo preciso momento; le urta il sistema nervoso. La gestualità sicura, il piglio concentrato, la posa perfetta, perfino i capelli serici glielo rendono odioso come mai fino ad ora. Inarcando un sopracciglio, conviene naturalmente di trovarlo molto simile al Midnight e, incurante di perdere altro preziosissimo tempo, esegue un confronto mentale tra i due. Come ha fatto a non pensarci prima? Certo che William è il suo campione, il suo pupillo. D'un tratto, l'interazione nell'Ufficio Vuoto acquista sfumature tutte nuove e Nieve rimane attonita di fronte a un quesito oltraggioso nella sua essenza. Poggia entrambe le mani sul bancone, si fa di poco indietro sullo sgabello e si concede un’espressione sconvolta: davvero ha flirtato con una copia in miniatura di Dorian? Perfino i cognomi, a ben rifletterci, si determinano per una certa armonia combinatoria… Black e Midnight.
La bocca si inclina naturalmente verso il basso e gli occhi si spalancano. È sgomenta, attonita, impietrita e non è neppure il momento più propizio per esserlo. Lasciando saettare lo sguardo da una pietra all'altra del pavimento, prova ad analizzare la situazione da ogni angolazione possibile per smentire la conclusione che ha appena tratto, ma il turbamento le impedisce di mettere ordine tra i pensieri. Non ha neppure il coraggio di levare gli occhi sul quartetto di giudici che sta al tavolo dei docenti: avere la conferma di quanto i due si somiglino potrebbe strapparle un urlo e un lancio acrobatico giù da una delle torri del castello. Adocchia i funghi di Psilocibina e considera la possibilità di ficcarsene uno intero in bocca perché l'allucinazione la salvi. Ed è un bene che si trattenga dal procedere perché è proprio in quel momento che l'illuminazione — o epifania, o rivelazione, che dir si voglia — la raggiunge.
Sono trascorsi 15 minuti dall'istante in cui lo scatto della serratura li ha isolati dal resto della scolaresca.

Scoprirete presto che il ragionamento di Nieve ha una sua sorprendente linearità, se si compie lo sforzo di penetrare il meccanismo razionale di casa Rigos.
Nel frattempo che le considerazioni al sapore di rimbrotto si rincorrono furiosamente nel suo cervello, un’esigenza di fondo emerge dal basso e la induce a forzarsi per arrivare all’eureka. Ha bisogno di alzare lo sguardo e farlo correre da William a Dorian per capire se la sua deduzione abbia senso. E, pur controvoglia, infine procede. Scopre, così, non solo di trovare una certa corrispondenza fisica tra i due, ma di poter perfino assimilare i modi dell’uno a quelli dell’altro. Strabuzza gli occhi una volta di più — perché non è mai abbastanza quando si diventa la vittima infelice degli scherzi del Destino — ed ogni incastro ha così maledettamente senso che non sa se sentirsi più nauseata o grata. Spedisce in una zona d'ombra della sua psiche le valutazioni eminentemente personali che etichettano come censurabile la condotta tenuta settimane addietro e si allaccia stretta al solo elemento che abbia rilevanza.
Dorian e William sono due bulli e, per giunta, della peggior specie. E se esistesse un modo per contrastarli? O, meglio, se fosse lei a inventarlo?

La sua elasticità mentale le fa il dono della pace. L’agitazione prende ad affiochirsi di fronte alla certezza di aver trovato una soluzione al suo problema col Barnabus — ancora una volta, la pratica ha le meglio sulla teoria, il reale sull’iperuranio delle congetture. E un sorriso monello le tira su gli angoli della bocca.
Piuma e pergamena alla mano, Nieve redige una manciata di appunti affinché non sia il caos a dominare i suoi gesti. Non ha idea di come se la stiano passando gli altri, ma sa con assoluta certezza che il rischio di commettere un errore sia altissimo per lei, che ha in dotazione due sostanze variamente psicotrope come la Tacca Chantrieri e la Psilocibina. E l’obiettivo che si è appena prefissa è, insieme, meno grossolano e più ambizioso del solito. Non che Nieve possa stare troppo lì a perdersi in quisquilie. Sarebbe perfetto, considerata la sopraffina arte che muove alla base della materia oggetto della prova in corso. Ma lei assume un atteggiamento sui generis quando si tratta di pozionistica — e non solo, mi verrebbe da dire — e negli anni è riuscita a dare un senso a un modus operandi che, per molti, non ne avrebbe alcuno.
Aggiungerei per completezza che questo fantomatico modus operandi sia dato da una buona miscela di istinto e capacità di adattamento. In buona sostanza, la Rigos possiede quella capacità innata di muoversi secondo una logica tutta sua e di dominarla abbastanza da rendere intelligibile il risultato agli altri: un po’ come quei geni provetti che seguono le regole canoniche quanto basta a tracciare il sentiero e che poi, lungo la via, decidono di fare un po’ il Troll che gli pare. Il fatto che il loro approccio strabordi dagli schemi soliti non è sufficiente in sé stesso a metterne in discussione la validità, insomma. O, almeno, è quello che ci auguriamo in questa fase del torneo.
Ora, per rimanere su questa scia, tracciata l’ultima di una rapida serie di annotazioni, i più sentirebbero il bisogno di mettersi immediatamente all’opera. Sono trascorsi altri cinque minuti, in fondo, e la postazione rimane ancora pressappoco immacolata. Però, è mio dovere sottolinearvi che è sempre di Nieve Rigos che stiamo parlando. Per questo, invece che allungarsi verso lo strumentario a sua disposizione, potete invece osservarla trafficare con la gonna ed estrarne un oggettucolo dalla forma stramba: a guardarlo, è praticamente impossibile capirne la destinazione d’uso. Per venirvi incontro, faccio un po’ la spia e vi dico di cosa si tratta. È un regalo che nonno Gaspare ha consegnato a Nieve il giorno dopo la comunicazione dei risultati della prima prova del Barnabus ed è letteralmente unico nel suo genere, frutto delle capacità inventive dell’uomo. È sufficiente poggiare un polpastrello al centro della piccola conca centrale ed esprimere un chiaro comando vocale perché la musica cominci a fluire ad esclusivo beneficio del proprietario.

«Celestina Warbeck. Album “Cover babbane”. Traccia numero 1. Riproduzione automatica,» sussurra Nieve, china sull’aggeggio che ha deposto in un angolo remoto del bancone. Due sfere d’aria, levandosi dallo strumento, raggiungono le orecchie della Grifondoro e ne favoriscono l’isolamento.
È tempo di entrare nella bolla.
È tempo di fare sul serio.

Un istante più tardi, Nieve ha posizionato un calderone auto-rimestante sul fornello sopraelevato e provveduto ad accendere il fuoco.
La scelta della base da cui partire è scontata; è la prima cosa che ha appuntato sul foglio di pergamena e non ha mai dubitato di dover tornare sulla propria decisione.
Dunque, Nieve lascia scorrere l'alcol etilico in un misurino, dopodiché ne versa un litro e mezzo esatto nel contenitore che ha messo a scaldare. Ricorda a sé stessa l'importanza di intimare alla pentolaccia cosa fare e come farlo, così estrae la bacchetta, dà un paio di colpi al paiolo per attivarne la magia e gli impone un movimento rotatorio in senso orario che proceda — almeno per il momento — lemme lemme.
Getta un’occhiata al liquido, incapace di trattenersi dal fare oscillare la testa a ritmo di musica com’è incapace di lasciarsi fiaccare troppo a lungo dalle aspettative della competizione. Non le importa quale arcana diavoleria stia elaborando Black — le provoca un brivido di disgusto, adesso, pensare a lui — né quale precisissimo intruglio abbia in mente Megan. Per paradosso, il suo pensiero vola a Horus com’è già accaduto decine di volte da quando ne ha appreso l’eliminazione. Avrebbe puntato sul suo arrivo in finale almeno quanto avrebbe scommesso sul proprio stralcio al primo turno e invece…
Rinfodera la bacchetta e scuote il capo per concentrarsi.
Tagliere, coltellaccio e radici di liquirizia.
Nieve inclina il capo, rapita da una valutazione di tipo quantitativo. Ripassa mentalmente ciò che intende fare e che ha appuntato alla bell’e meglio sul foglio alla sua sinistra; vi dà una scorsa per sicurezza e annuisce in segno di conferma. Mentre sminuzza con accuratezza due radici sull’apposito supporto in legno, assume un’espressione concentrata: le lascerà in infusione non meno di dieci minuti con l’obiettivo di trasmetterne le proprietà all’alcol; questo, si dice risoluta, faciliterà la risposta dell’organismo all’assorbimento della pozione e ridurrà i tempi di azione.
Il modo in cui ne ha inteso l’utilizzo, del resto, richiede prontezza per eliminare la minaccia.
Arriccia il naso, intenta com’è ad assicurarsi che la Glycyrrhiza venga triturata a dovere. L’odore pungente che si leva dal calderone suggerisce che il calore stia facendo il suo dovere. Nieve controlla il cipollotto, deposto sugli appunti con lo sportellino aperto: è l’insostituibile compagno delle sue sperimentazioni nell’aula dei sotterranei, quello che più di tutti ha seguito i suoi miglioramenti negli ultimi tre anni. Manca ancora qualche minuto al raggiungimento del punto di ebollizione e si compiace della propria scelta quasi con incredulità. Ricorrere all’alcol non soltanto preserva la purezza del composto e assicura che si mantenga di passaggio in passaggio, ma ha anche il pregio di accorciare i tempi perfino in questa primissima fase. L’acqua avrebbe richiesto almeno cinque minuti di più per bollire.
Nell’attesa che la base cominci a gorgogliare, vi faccio notare come Nieve sia un essere umano davvero curioso. Nel non credere nelle proprie abilità, non si lascia mai cogliere dal dubbio di aver commesso un errore di valutazione; e non c’è nessuna falsa modestia nel modo in cui si giudica e sminuisce. Ed è curioso, appunto, che si ostini a farlo anche di fronte a una smentita. Il suo percorso accademico in Pozioni, per dire, è costellato di successi e ha trovato il culmine proprio durante l’anno in corso di svolgimento con le ultime valutazioni del professor White. E, pur tuttavia, non le riesce proprio di non sentirsi in grado rispetto agli altri, o diversa, o addirittura di non stupirsi di fronte a un ragionamento azzeccato, a un’intuizione brillante.
Trattiene a stento uno starnuto, infastidita dalle esalazioni dell’alcol, e si affretta a raccogliere il tagliere con la sinistra e ad accostarlo al paiolo. Estrae il catalizzatore per imporre temporaneamente la stasi al calderone, poi lo incastra tra i denti per avere libere entrambe le mani. Si serve della lama del coltello per far scivolare i minuzzoli di liquirizia giù fino alla pancia del caldaio. Ha un’espressione concentratissima sui lineamenti pronunciati, tant’è che per un attimo smette di sentire la musica che si espande per i suoi timpani. Depositati gli arnesi da lavoro, dà un altro paio di ordini con la bacchetta al pentolone perché riprenda il moto di poco prima — sempre in senso orario, sempre lentamente.
Si china sulla postazione con una certa urgenza a questo punto, recupera la piuma e segna sul margine in basso a sinistra della pergamena l’orario esatto. È trascorsa mezz’ora dall’inizio della prova. Passeranno altri dieci minuti per consentire alle radici di Glycyrrhiza di sprigionare le proprietà di cui sono imbevute, si dice.
L’attenzione di Nieve vira automaticamente in direzione delle cinque bacche nere che occhieggiano in sua direzione con fare ammiccante. Le scappa una risata bassa: una volta, nella foresta ai margini di Borgarbyggð, la fame l’ha indotta ad avventarsi su un cespuglio ricolmo di piccoli frutti di un rosso scarlatto, facendola tornare a casa da Ỳma con i polpastrelli e le labbra del medesimo colore e con la lingua gonfia. Piccola ingorda, si ammonisce per scacciare l’impulso di assaggiarne una. Più saggiamente, acciuffa un paio di spessi guanti e li indossa — le calzano un po’ grandi, ma servono comunque allo scopo.
Rovista tra gli utensili alla ricerca di un mortaio e ne trova addirittura due; nella scelta tra il marmo e il granito, opta senza tentennamenti per il primo in memoria delle indicazioni della Pompadour. Lo posiziona davanti a sé — gli occhi sviano brevemente dal percorso per controllare le lancette dell’orologio — e si ferma. Sa che la Tacca Chantrieri interviene sul sistema nervoso e ne provoca la sovrastimolazione. L’ha sentita menzionare per la prima volta durante la spiegazione dell’Elisir dell’Euforia, l’anno antecedente, in riferimento proprio alla Psilocibina e alla categoria di sostanze che inficiano il funzionamento cerebrale. Sa, quindi, che vanno usate con parsimonia. E la preoccupa l’obbligo di combinarla proprio ai funghi allucinogeni.
*È tutta una questione di dosaggio. Ma cos’è che voglio ottenere?*»
Torna alla pergamena e scorre le annotazioni, ma non è abbastanza. Così, poggiati i gomiti al bancone, si costringe a trarre una profonda inspirazione e a chiudere gli occhi.
La pozione che si propone di realizzare mira a contrastare un fenomeno abietto, dolorosamente diffuso proprio tra le pareti del castello in cui vive. La forza dei bulli sta nella capacità che hanno di imporsi sugli altri, sfruttandone le debolezze. Giocano con un senso di superiorità che finisce per prevaricare — più psicologicamente che non fisicamente — le vittime al punto da impedir loro di approntare una risposta qualsiasi. E lei sa bene cosa si provi a vestire i panni di chi soccombe.
Ripescare gli episodi della sua infanzia le costa una fitta di dolore stranamente lancinante, che fa muovere rapidamente le pupille sotto le palpebre e la induce a serrare le labbra, a trattenere il respiro perfino. Mentre si costringe a guardare la carrellata di episodi che l’hanno avuta per vittima di violenza, non si accorge neppure di aver stretto le mani in due pugni; ed è un bene che indossi i guanti, altrimenti le unghie avrebbero impresso la loro forma sulla carne dei palmi in una serie profonda di mezzelune.
Quando torna al presente, una sfumatura arcigna ne domina il viso e Nieve scatta in posizione eretta. Adesso, sa perfettamente cosa vuole causare al nemico, quale che siano le sue sembianze. Recupera due bacche di Tacca, come da appunti, e le posiziona al centro del mortaio. Si costringe a schiacciare con cautela per impedire che la rabbia si trasformi in violenza e che la violenza alteri le proprietà dei frutti.
Se era il delirio di onnipotenza che cercavano i bulli, il delirio di onnipotenza gli avrebbe dato.
Si arresta solo quando è soddisfatta dell’amalgama che è venuta fuori e le scappa una smorfia che sa di rivalsa. Il cipollotto, ticchettando, le ricorda che mancano solo due minuti al termine del tempo di infusione della liquirizia e Nieve annuisce come se l’orologio potesse comprenderla.
Un passo a sinistra ed è di nuovo di fronte al tagliere, ma stavolta sono tre funghi di Psilocibina ad attendere che gli dia il benservito. Si sistema i guanti, afferra un coltello pulito e procede allo sminuzzamento. È contenta di non averli mangiati all’inizio della prova in preda alla disperazione, adesso che le preme giocare sui contrasti della distorsione. Eppure…
… eppure la coglie di nuovo il timore di esagerare, di perdere il controllo sulla sua creazione. Inserire entrambi gli ingredienti nell’alcol imbevuto di liquirizia rischia di accentuare esponenzialmente gli effetti delle sostanze psicotrope e di generare mattìa attraverso l’allucinazione. Ha bisogno di mitigare le conseguenze date dal mescolamento. L’orologio le comunica che i dieci minuti sono già passati e Nieve si rivolge rapida al calderone. È certa che le quantità siano corrette al netto dell’alcol etilico rimasto da quando l’ha messo sul fuoco — due bacche e tre funghi per 1l e 350ml circa di base liquida.
Il problema potrebbe essere dato dalla… consistenza?
Lo sguardo della Grifondoro saetta rapidamente al solo ingrediente cui non abbia prestato la dovuta attenzione fin quasi a scordarsene. Le scappa quasi da piangere per il sollievo quando agguanta delicatamente la bottiglia col succo di Horklump e trova la soluzione al suo dilemma. Ad occhio e croce, calcola, è sufficiente utilizzarne un bicchiere perché il composto attuale assuma il giusto grado di corposità: non vuole ottenere una sbobba che richieda giorni per imbeversi delle proprietà della Tacca e della Psilocibina, ma neppure correre il rischio che sia troppo liquida e che il processo si realizzi troppo in fretta.
Ancora una volta, tolti i guanti, impone al calderone di cessare il movimento rotatorio e, stavolta, ha anche cura di ridurre l’intensità della fiamma perché la cottura avvenga più dolcemente. Dopodiché, versa un bicchiere di succo di Horklump nella mistura di alcol e Glycyrrhiza e attende impaziente che l’aggiunta dia i suoi frutti. Intanto, picchietta sul bordo della pentola per assicurarsi che la mescolatura riprenda — aumenta appena il ritmo della rotazione per evitare che l’intruglio, ora viscoso, si attacchi al fondo del calderone. Solo quando il livello di densità la soddisfa — ha aggiunto 10ml di succo in più, in tal senso — versa il pestato di bacche e i funghi sminuzzati.
Arriccia il naso di nuovo e, stavolta, per due motivi. Per un verso, l’odore che promana dal composto comincia a farsi pungente, così pungente da sollecitarne la prudenza: Nieve raggiunge la zona degli utensili, si munisce di una mascherina in tessuto e se la posiziona sul viso; prende perfino un paio di occhialetti protettivi, più per assecondare il suo spirito giocoso che non nell’effettivo timore delle esalazioni. Per un altro, a voler essere onesti, quello che c’è nella pentolaccia è una poltiglia dall’aspetto disgustoso. L’aggiunta degli ultimi due ingredienti ne sta anche trasformando il colore: dal marroncino, si sta passando progressivamente al grigio.
Ha cura di segnare le tempistiche anche in questo caso, dopo aver sbarrato la linea d’attesa sovrastante. Considera quindici minuti come tempo di infusione minimo e, finalmente, si concede un attimo di pausa. Ha bisogno di riflettere e tutto quell’incalzare la sta mandando al manicomio.
Se solo si fosse messa a lavoro prima!
Così, senza rimuovere occhiali e mascherina, fa un passo indietro e si guarda intorno. Mentre torna al presente e finisce a occhieggiare involontariamente le spalle di Black, le strappa un sorriso il tempismo che sa mostrare la vita. La musica che suona nelle sue orecchie non potrebbe essere più azzeccata e, insieme, esplicativa.

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{Instrumental}


La Sala Grande attorno a lei è immersa nel silenzio. Solo pochi rumori spezzano l’apparente sacralità del momento.
Non che Nieve ne abbia contezza alcuna. La voce di Celestina le impedisce di sentirsi davvero parte dell’ambiente circostante e il bisogno di evadere la spinge a rifuggire la ricerca di una conferma negli altri. Per questa ragione, quando individua un batuffolo di pelo chiarissimo oltre il vetro di una finestra, prende la decisione di incamminarsi senza porsi il problema di attirare l’attenzione, men che meno quello di poter essere osservata.

Nieve avanza in direzione di Ania col capo che muove da destra a sinistra, segnando il ritmo della canzone, e si lascia scappare un “Fuck you” cantato a voce decisamente troppo alta. Noncurante, procede a passo di danza — qui e lì un saltello sul posto e uno sculettare nemmeno troppo accennato per segnare il tempo quando lo richiede l’occorrenza. Non ha molta scelta, vi direbbe se doveste chiederglielo. Il ritornello è così irresistibilmente ballabile!
Raggiunge il davanzale della finestra sotto gli occhi blu della sua micia e le sorride oltre il tessuto che le copre naso e bocca. Ania inclina la testolina, incuriosita. Nieve prende a battere i polpastrelli sulla superficie di vetro per attirarne l’attenzione, poi sposta la mano per disegnare una traiettoria veloce che va da una parte all’altra della vetrata. Lo sguardo della bestiola segue i movimenti frenetici delle dita della Grifondoro e le membra si piegano appena in risposta all’istinto. Nel modo in cui le pupille di Ania si dilatano poco alla volta, la Rigos coglie l’avviso di un agguato imminente. Poco dopo, il corpo del felino è praticamente spalmato contro la finestra. Nel vedere le fauci impegnate nel tentativo di mordere le dita attraverso la barriera trasparente, Nieve non riesce a trattenere una risata. Se potesse, lo sa bene, Ania le assesterebbe una zampata per punirla dell’affronto di essersi presa gioco di lei.

«Ti piacerebbe la canzone che sto ascoltando,» le dice come se potesse udirla o capirla — un altro “Fuck you” canticchiato e un dondolio della testa. La luce del mattino la inonda dall’alto, inducendola a chiudere gli occhi. E, per un istante, Nieve percepisce la tensione che l’ha avviluppata nell’ultima mezz’ora allentarsi. Spalanca gli occhi che Ania è già andata via, indignatissima!, e si lega stretta all’ennesima rivelazione inattesa. Sorride, soddisfatta. «Oh-Oh! So come chiamarti — si riferisce alla pozione — e anche come servirti.»

C’è un certo grado di fierezza nel modo in cui ritorna al suo posto ed effettua un sondaggio tra gli elementi rimasti. Mancano ancora diversi minuti perché l’infusione possa dirsi completata. Così, vittima di quell’ultima intuizione capricciosa, Nieve salta subito alla conclusione del procedimento.
Accigliata, torna a perlustrare con lo sguardo la Sala Grande ed è evidente che stia cercando qualcosa nello specifico. Il sorriso che si apre sulla sua bocca è smagliante, quando individua il rospo degli inizi e comincia a correre in sua direzione. Da come agisce, si ha l’impressione che non sia del tutto consapevole di condividere lo spazio con quattro giudici del calibro dei suoi insegnanti e di un Ispettore Auror e con altri due concorrenti di tutto rispetto; né che si renda conto della difficoltà della prova. L’animale compie un paio di saltelli frettolosi in avanti, intimorito dall’irruenza di Nieve.

«Aspetta, aspetta! Sii buono,» lo supplica, inginocchiandosi sul pavimento ruvido in prossimità della parete di destra. A sua volta, è costretta a compiere un balzo per impedirgli di scappare. «Peste e corna, come sei grassoccio e viscidello!» Fatica a tenerlo fermo, ma riflette che non ha motivo di temere uno spruzzo velenoso, bardata com’è con maschera e occhialetti. «Ti giuro che non sentirai niente. Ma mi servi tantissimo!» Prova a deporlo in terra, ma il rospo tenta di sfuggirle. Si rende presto conto che l’unica alternativa a disposizione — eccezion fatta per un incantesimo di Pastoia — sia metterlo all’angolino. Si accerta che il tempo scorra ancora in suo favore, dunque recupera la posizione eretta e comincia a spingerlo col piede per facilitare l’arrivo a destinazione. «Ecco, ora non muoverti per un secondo solo.» Estrae la bacchetta e distende il braccio; descrive un movimento circolare in senso antiorario col polso, poi indirizza la punta verso il corpo della bestia. «Fèravèrto!»
Il tintinnio del vetro contro la pietra le cagiona un altro sorriso, che resiste perfino quando Nieve deposita il calice trasparente sul bancone. Anche questa è fatta e con largo anticipo sulla tabella di marcia!

Le esalazioni del calderone, pur attraverso la mascherina, riescono a strapparle uno starnuto e la pozione torna a primeggiare tra i suoi pensieri. Aumenta il ritmo della mescolatura giusto per precauzione, ma la mente sta già vagliando le mosse successive. Ha bisogno di alleviare gli effetti delle sostanze psicotrope per non rendere l’intruglio pericoloso, ma le è rimasto un solo ingrediente tra quelli assegnati per la prova e decisamente non svolge quella funzione; lo sta conservando per altro.
Per fare mente locale, decide di assicurarsi di aver seguito le indicazioni date a inizio della prova: utilizzare tutte e cinque le sostanze fornite attraverso l’estrazione a sorte. Dovrebbe esserci.
Alcol etilico, Glycyrrhiza Glabra, Tacca Chantrieri, Psilocibina, succo di Horklump e Bundin… Aspetta, ma così sono sei! Le tocca riprovare. Alcol etilico, Glycyrrhiza Glabra, Tacca Chantrieri, Psilocibina, succo di Horklum e Bundinum. Sempre sei. Qualcosa non torna!
La colpisce con un minuto di ritardo la consapevolezza degli ingredienti bonus, tra i quali ha reperito proprio l’alcol etilico. Ed è sempre tra quelli che trova ciò che cerca. Le mani procedono con sicurezza: Nieve prende alcuni frammenti di corteccia di tiglio e li dispone sulla bilancia, convenendo che 200gr siano più che sufficienti, specie se combinati con due fiori di Uncaria Tomentosa — è una fortuna che abbia studiato la Pozione Rigenerante Uncarica proprio quell’anno, sogghigna. Lega tutto insieme con uno spago sottile, eseguendo un nodo per ciascuna delle due estremità.
Ha appena terminato, quando le indicazioni contenute negli appunti e l’orologio le intimano di agire in fretta. Valuta col misurino la giusta quantità di Bundinum — 350ml per assicurarsi che la pozione torni liquida — e versa la secrezione all’interno del paiolo. Attende che l’ultimo ingrediente sciolga la viscosità del composto. A questo punto spegne il fuoco, ma non arresta la funzione rimestante del calderone per eccesso di zelo. Quando si convince finalmente di non correre alcun rischio di attaccamento, solleva in parte la pentola dal suo compito e le concede il riposo che sa di non potersi ancora permettere a sua volta.
La vista del filtro le suggerisce di affrettarsi ancora: deve eliminare i residui solidi sia per favorire la purezza della pozione, sia per impedire un ulteriore rilascio che incasini gli equilibri creati finora. Tentando un raccordo tra mente e corpo, adesso che il tempo trascorso e le energie spese cominciano a pesarle sulla gobba, Nieve fa un rapido calcolo e, tanto per cominciare, torna a indossare i guanti protettivi al fine di non scottarsi: rimuove il calderone in peltro dal fornello e lo sostituisce col compagno in argento, avendo cura di accendere il fuoco sotto per intiepidirlo; nel frammezzo, recupera un mestolo dello stesso materiale, si munisce di filtro e procede al travaso. Si muove meticolosamente per favorire il passaggio della pozione dal paiolo in peltro a quello in argento, liberando di tanto in tanto il filtro dai residui solidi per impedire che rallentino l’operazione; s’interrompe eccezionalmente solo un paio di minuti dopo aver cominciato al fine di spegnere la fiamma alla base del caldaio in argento, dopodiché riprende da dove ha iniziato. Impiega, in totale, circa cinque minuti per completare la trasfusione.
È allora che aggiunge il legaccio di tiglio e uncaria, nonché la radice di liquirizia rimasta intera.
All’ennesimo confronto con l’orologio, Nieve valuta di lasciare in infusione gli ultimi ingredienti per un arco di tempo sufficiente a estrarne le proprietà. Velocizzare appena quest’ultimo passaggio ed impedire che la freddezza del nuovo calderone smorzasse il calore della pozione è il motivo per cui ha pensato di sottoporlo brevemente all’attività del fuoco. Inoltre, si è detta, l’argento si presta a favorire l’esaltazione delle proprietà terapeutiche del tiglio e dell’uncaria, che lei ha usato con un doppio proposito: aiutare l’organismo a resistere all’effetto della pozione, controbilanciando la funzione della liquirizia; e temperare le proprietà allucinogene date al composto dalla Tacca e dalla Psilocibina.
Venti minuti fanno al caso suo.
E anche un bel sospiro.

Nieve rimuove finalmente guanti, occhialetti e mascherina — rigorosamente in quest’ordine — e spegne l’aggeggio che le ha regalato il nonno. La stupisce il ritorno a un presente così silenzioso e si sente quasi a disagio nel prendere d’un tratto consapevolezza del luogo in cui si trova e del perché. Non che l’assalga l’ansia, è chiaro. Sono davvero rare le circostanze che la spingono in quella direzione e, solitamente, hanno a che vedere con le lezioni del Midnight. In questo momento, però, è talmente spossata da renderle impossibile percepire qualsiasi cosa esuli dal perimetro della sua postazione.
Per buona misura, conoscendo i propri limiti, decide di segnare il nome della pozione sul foglio.
Infine, a poco a poco, si dedica al carrello che ha intenzione di usare per presentare il risultato dei suoi sforzi ai giudici. Un sorriso le sale alle labbra, ma la stanchezza ne smorza i toni. Ed è costretta ad arrestarsi del tutto, nel mezzo delle faccende che le preme realizzare, quando la coglie una rivelazione.
Il suo sguardo si intristisce.
L’idea relativa alla fase finale — quella che conta di mettere in atto di fronte alla giuria — le è parsa da subito originale, ma è solo col senno di poi che individua la maternità della sua intuizione. E a chi altri potrebbe essere imputata se non ad Astaroth?
Si costringe a tornare al carrello per darsi un certo tono. La stanchezza ha sempre avuto il potere di acuirne la fragilità, un po’ come il pensiero della sua mentore conserva la capacità di risucchiarle ogni stilla di benessere. Deposita il calice trasfigurato sul portavivande.
Si siede sullo sgabello col cipollotto che ticchetta in grembo. Per tirarsi su di morale, immagina di utilizzare la pozione contro il docente di Difesa e, in un certo senso, lo stratagemma funziona anche. Nella sua mente, l’immagine del Midnight terrorizzato è spassosissima — se lo figura a urlare come una donnetta isterica.
Ride piano.
Sarebbe difficile, però, pensare di convincerlo a bere un drink, riflette, come lo sarebbe spingere un bullo qualsiasi a mettere in pausa le violenze per concedersi un goccetto. Perché dovrebbero farlo? E, soprattutto, sarebbe davvero saggio muoversi in questa direzione e correre il pericolo di un sovradosaggio? Le sinapsi di Nieve tornano ad affannarsi e le sovviene in mente un’obiezione fatta molto tempo prima: le pozioni sono fenomenali, ma usarle contro un nemico in caso di bisogno è complesso senza ricorrere a qualche raggiro e, in alcuni casi, senza la dovuta parsimonia. Eppure ricorda di aver fatto buon uso della Mors Aparentis a Gerusalemme, di averla spruzzata alla proiezione del Midnight che… Ma certo! La sua pozione va spruzzata!
Ripone in tasca l’orologio e si fionda con un saltello in direzione del bancone. Tra le miriadi di fiale che le hanno messo a disposizione, deve per forza essercene una con l’estremità a stantuffo. E, in effetti, è proprio così! La posiziona accanto al fornello per non correre il rischio di dimenticarla e afferra un imbuto di piccole dimensioni. Torna a sedere solo quando si ritiene effettivamente soddisfatta.
Cinque minuti più tardi, controlla la temperatura della pozione e si compiace di trovarla tiepida.
Dieci minuti dopo, versa un mestolo di pozione nel calice, filtrandola, e lo riporta sul carrello.
Rimuove anche lo spiedino di tiglio e uncaria, nonché il bastoncino di liquirizia.
Torna al cospetto del calderone.
Munita di bacchetta, mira alla superficie del liquido nel paiolo. Esegue un movimento fluido e preciso, pronuncia una formula: lingue di fuoco blu si levano oltre i bordi del caldaio e si estinguono dopo pochi secondi. Nieve riempie la fiala di pozione — ancora una volta, attinge al filtro per assicurarsi di eliminare ogni residuo di impurità — e la sigilla accuratamente; la depone sul carrello. Ha perfino cura di prendere la radice di liquirizia intera e di riporla dentro una scodella, prima di aggiungerla agli elementi presenti sul portavivande.
Traendo un lungo respiro, si dirige verso il tavolo dei giudici col carrello a farle da apripista.
Si rende conto solo quando li ha raggiunti di quanto forte le batta il cuore.

«Ho finito,» esordisce scioccamente. «Cioè, quasi.» In effetti, il procedimento non può ancora dirsi del tutto ultimato. «Vi presento il Bully (is) Old Fashioned o, più evocativamente, Pozione Chi-La-Fa-L'Aspetti.» La sfacciataggine contrasta il turbamento, avendo la meglio. I lineamenti di Nieve si tingono di irriverenza e, finalmente, sorride all’indirizzo della giuria. «È un cocktail… cioè, un rimedio che ho elaborato pensando a una situazione specifica, che ha molto a che fare con la vita a scuola; ma, in effetti, può essere utilizzata anche più ad ampio spettro. L’idea in soldoni è questa: eliminare la minaccia di un bullo quando si ha la sventura di incontrarne uno.» Lo sguardo, che fino a quel momento è rimasto puntato sul Preside, raggiunge evocativamente Dorian per un lasso di tempo brevissimo. Poi, afferra la pergamena su cui ha segnato i dosaggi per aiutarsi nell’esposizione. «Sono arrivata a questa conclusione a partire dagli ingredienti a mia disposizione e ho provato a combinarli per evitare effetti collaterali spiacevoli, visto che avevo la Tacca Chantrieri e la Psilocibina che, ciascuna a modo proprio, incidono sul sistema nervoso.» Una pausa. Si schiarisce la voce. «Andando per gradi, ho utilizzato l’alcol etilico per avvantaggiarmi coi tempi, visto che raggiunge il punto di ebollizione prima dell’acqua, e perché ha il pregio di preservare la purezza delle sostanze di fase in fase. Al bollore, ho aggiunto due radici di Glycyrrhiza Glabra sminuzzate con l’obiettivo di rendere più rapido l’assorbimento della pozione attraverso l’aumento della pressione sanguigna; l’ultima radice, invece, l’ho usata intera e alla fine per rendere più gradevole il sapore della pozione.» Nieve indica con un gesto della mano il bicchiere. «Dal momento dell’aggiunta, ho lasciato trascorrere dieci minuti per assicurarmi che l’alcol prendesse le proprietà della liquirizia. È allo scoccare dei dieci minuti che ho sentito la necessità di servirmi del succo di Horklump: avendo non una ma ben due sostanze psicotrope, mi sono posta il problema di dosare l’intensità degli effetti una volta che le avessi amalgamate con la soluzione di alcol e liquirizia. Come potevo essere certa che non fosse troppo? Siccome non mi sentivo sicura nell’andare alla cieca, mi sono detta che addensare il composto con l’Horklump potesse rallentare il processo di assorbimento delle proprietà delle sostanze psicotrope. Quindi, ho aspettato che la pozione diventasse più viscosa e solo allora ho aggiunto il pestato di due bacche di Tacca Chantrieri e tre funghi sminuzzati di Psilobicina. Ho deciso di inserirli insieme per una ragione ben precisa e, cioè, combinarne gli effetti. L’obiettivo che voglio raggiungere con la pozione è quello di esasperare il delirio di onnipotenza dei bulli, in un primo momento, e trovo che la Tacca sia indicata visto che stimola il lavorio della mente e induce l’incubo; pressoché nell’immediato voglio che si crei un ribaltamento di ruoli. Il bullo deve percepirsi non più come il carnefice ma come la vittima e ho immaginato che l’effetto allucinogeno della Psilobicina possa arrivare a distorcere la visione delle cose di chi subisce la pozione, rafforzando l’incubo. Non sono sicura di essere riuscita praticamente a farlo, ma…» Serra un attimo le labbra, indecisa su come proseguire. Il ricordo del giorno in cui ha litigato con Astaroth le viene paradossalmente incontro, strappandole un sospiro. Leva di nuovo lo sguardo sui giudici. «Ecco, mi sono detta di voler giocare sul passaggio drastico da una sensazione all’altra. Se già è terribile di per sé sperimentare una sensazione negativa, penso che sia dieci volte peggio provarla dopo un’emozione positiva e avere l’impressione che sfugga al nostro controllo. È come cadere: se scivoli giù dal primo piano del castello, sicuramente non te la passi bene; ma se cadi dalla Torre di Divinazione…» Evita di esprimere a voce alta l’epilogo, stranamente mossa a distanza di sicurezza dall’inopportunità che le è di solito più congeniale. «Quindici minuti di infusione e ho aggiunto la secrezione diluita di Bundinum, perché onestamente il risultato dato dal succo di Horklump era una pappetta orribile. Ne ho aggiunto circa — cerca conferma nella pergamena — 350ml per far tornare la pozione quasi perfettamente liquida. Dico quasi perché…» Sbircia il contenuto del calice, sovrappensiero. Depone il foglio. <b>«[color=#A40000]Ha la consistenza del vino, appena appena corposa. Fatto questo, dopo aver filtrato la pozione per eliminare i residui e averla travasata in un calderone d’argento pre-riscaldato che mi aiutasse a estrapolare le proprietà curative degli ingredienti successivi, ho aggiunto uno spiedino composto da 200 grammi corteccia di tiglio essiccata e 2 fiori di uncaria tomentosa. Grazie per averli inseriti come bonus, a proposito, altrimenti avrei fatto una pozione di sola andata per il reparto di psichiatria! Mi sono serviti, infatti, a fornire un certo sostegno all’organismo per favorire la resistenza alla pozione e per contrastare le proprietà di Tacca e Psilocibina, che, come tutte le sostanze psicotrope, usate insieme rischiano di far danno. Ho aggiunto anche la radice di liquirizia rimasta, ma l’ho lasciata intera, come vi dicevo, solo per conferire un sapore più gradevole alla pozione. A questo punto, tolti lo spiedino e la radice di liquirizia, viene la fase più divertente.»

Gli occhi di Nieve sfiorano i bordi del bicchiere, nel cui ventre fa sfoggio la pozione: possiede un colorito tendente al nero sul fondo e sfuma in un’atipica tonalità di grigio a mano a mano che ci si avvicina alla superficie. La Rigos estrae la bacchetta, disegna una S rovesciata in posizione orizzontale con un movimento fluido e continuato e schiude le labbra.

«Lacarnum Inflamare!» Com’è già accaduto per la restante parte della pozione, il contatto tra magia e alcol genera un piccolo fuoco sulla sommità del bicchiere. Nieve sorride, imponendosi di relegare il pensiero di Astaroth lontano da sé, e stringe più forte l’elsa della bacchetta. Se l’appunta alla cintola, prima di rivolgersi nuovamente alla giuria. «In ogni caso, mi sono resa conto che pensare di somministrare la pozione a un bullo come se fosse un drink potrebbe non essere la trovata più brillante della mia carriera accademica: il rischio è di mandarlo fuori di testa se si sbaglia col dosaggio; ed è una pozione molto forte, quindi le possibilità di commettere un errore sono veramente alte. Per questo, per maggiore praticità, ho elaborato una soluzione più saggia e controllabile.» Prende la fialetta tra indice e pollice della sinistra e la mostra a chi le sta di fronte. «È una fiala con stantuffo, che permette di spruzzare la pozione invece di improvvisarsi barman. Ed è già flambata, chiaramente. Uno spruzzo sarà più che sufficiente col consiglio di agitare prima dell’uso. Ah sì! E anche di filtrarla un’ultima volta dopo la flambatura e prima di metterla nella fiala. Per il resto…» Posata la fiala, Nieve afferra la radice di liquirizia rimasta integra. Ora che l’alcol è evaporato e il fuoco si è estinto, può usarla per mescolare la pozione presente nel calice. Infine, la lascia al suo interno come si farebbe con un’oliva in un buon Martini. «… chi vuole provare?»

Nieve Rigos non è una persona metodica, ma ha chiaramente un discreto senso dell’umorismo.


Il Bully (is) Old Fashioned (o Pozione Chi-La-Fa-L’Aspetti), come ha sapientemente spiegato Nieve ai giudici, nasce dallo sforzo di contrastare un fenomeno più psicologico che non fisico: lo stato di annichilamento che si sperimenta di fronte a una persona che si impone su di noi e ci impedisce di reagire.
Il percorso logico che fa Nieve è ovviamente legato a William e Dorian e a tutto l’ambaradàn che ha messo su contro quest’ultimo. Tuttavia, trovo azzeccato immaginare che sia il contesto scolastico a favorire la strutturazione dell’idea: a scuola, più che in moltissimi altri luoghi, il bullismo trova terreno fertile per prosperare. Ed è stato naturale immaginare gli episodi che possono costellare la vita al castello e di cui non sempre i docenti hanno contezza.
Gli effetti della pozione, in particolare, giocano sulla rapidità e sul ribaltamento di ruoli: si vuole che agisca immediatamente una volta somministrata — da qui, anche l’idea dell’uso della fiala a spruzzo — e si vuole che il passaggio dall’onnipotenza del carnefice alla condizione di vittima sia così drastico e repentino da annientare la minaccia. Come diceva Nieve, infatti, il punto cardine della pozione sta proprio nello sfruttare il passaggio da una fase psicologica all’altra, esacerbando il contrasto e acuendo la sensazione di impotenza di chi, fino a un minuto prima, si riteneva invulnerabile.
Va utilizzata con estrema parsimonia — da qui l’indicazione del dosaggio in un solo spruzzo — per la presenza di sostanze che rischiano di mettere a repentaglio il funzionamento del sistema nervoso.
 
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