Hall Of Fame, Concorso a Tema: Agosto 2018

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view post Posted on 21/8/2018, 21:42
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entropia.

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«Noi andiamo. Ci vediamo dopo!»

Un rumore secco annunciò la chiusura della porta di casa. Nieve scese i cinque gradini antistanti l'ingresso dell'appartamento di Grimilde – quello sito nella Londra perbene ma non troppo da ostentare la propria condizione – e si beò del caos moderato sui marciapiedi. Quindi, sorrise a Lavender e le fece cenno di seguirla, avviandosi verso destra.
Mai come in quell'estate, le coincidenze sembravano aver deposto a favore di tutti. Disattesa l’aspettativa di un trasferimento nell’abitazione di Julian per l’intero mese di Agosto, come accadeva di solito, Nieve aveva dovuto prendere atto dell’inversione di tendenza: quell'anno, senza alcuna apparente ragione, Grimilde e il marito avevano concordato di rimanere in città. Questo aveva consentito a Nieve di beneficiare delle distrazioni offerte dalla frenesia metropolitana, mentre si prendeva il tempo per leccarsi le ferite; e, soprattutto, di soccorrere Lavender in un periodo particolarmente complesso della sua esistenza.
Grimilde e Julian non avevano battuto ciglio, né sollevato obiezioni quando Nieve aveva chiesto se potessero offrire un appoggio all'amica. Nella confusa dimensione che era la sua intimità, sebbene incapace di esprimerlo, la sedicenne si era sentita – e lo era ancora! – profondamente grata a entrambi.

«Non sono mai stata in questo posto, sai? Cioè, ci sono passata davanti un paio di volte per curiosità, ma non ho mai avuto il coraggio di entrare. Forse, per paura di fare un danno dei miei! Cosa che, in effetti, sto facendo oggi, ma non soffermiamoci troppo sui dettagli, ecco.» Sistemò la giacca a fantasia militare che aveva indossato quel giorno e gli occhiali da sole con le lenti tonde e la montatura sottile. «Però, mi scuso in anticipo per averti coinvolta e per le reazioni che potresti vedere a casa. Non preoccuparti, in ogni caso! Avrai ancora un bel letto morbido nella mia cameretta quando avremo finito, Lovy

Le rivolse un'occhiata di sbieco oltre le spesse lenti scure e un sorriso impertinente. Nella settimana seguita al loro fortuito incontro, Nieve aveva avuto modo di apprendere quali vicende ne avessero causato la caduta in disgrazia. A lungo, le era stato impossibile determinare se fosse più arrabbiata o dispiaciuta per la sorte di Lavender. Infine, una notte in cui l'insonnia era tornata a battere alla sua porta, aveva capito: era triste e fuori di sé in egual misura. Forte della realizzazione, l'indomani, seduta al tavolo della colazione con l'odore di uvetta e cannella che sprigionava dalla tazza di porridge, le aveva comunicato di non essere disposta a chiamarla Lily. "Il nome è tuo, Lovy. Loro te l'avranno anche dato, ma appartiene a te. Non è giusto che tu gli permetta di portartelo via. È la tua identita come persona!". A quel punto, per spronarla, le aveva imposto una condizione: avrebbero trascorso l'estate insieme – ed era indubbio che la presenza di Lavender fosse di conforto a Nieve ben più di quanto lasciasse trapelare, stante la situazione che si era venuta a creare con Astaroth la notte prima della partenza da Hogwarts – purché le avesse concesso di chiamarla ancora col nome con cui l'aveva conosciuta l'anno prima. Avevano sancito l'accordo con una stretta di mano simbolica e un giro di Sorelle Stravagarie, prima di uscire per raggiungere la casa dei genitori di Grimilde e godersi la frescura e l'aroma forte del tè della nonna, sotto il pergolato, nel cortile interno.

«Però, nulla ti vieta di darmi dei consigli...» L'espressione da canaglia sul suo volto suggeriva la portata della carognata che si accingeva a partorire. «Se dovessero sbattermi fuori di casa, qualche suggerimento su come cavarmela da barbona per le prime 24 ore mi sarebbe utile. E tu sei la più esperta in materia tra le mie conoscenze!»

Fece presto a scansarsi, in via del tutto precauzionale, per non beccarsi una manata. A parti invertite, lei avrebbe fatto presto ad assestare un colpo ai danni di un interlocutore tanto linguacciuto.

* * *


Si concesse un istante di riflessione, il primo da che aveva preso la decisione di recarsi al Barcelona's. Aveva lo sguardo fisso sull'insegna magica e il cuore stranamente placido, eccezion fatta per la virulenza di ciascun battito: le pareva che, di contrazione in contrazione, il muscolo nel petto si scagliasse con più forza contro le ossa della gabbia toracica – non così tanto da far male ma abbastanza perché l'urto rimbombasse nelle orecchie e facesse pulsare i polpastrelli. *Come sei drammatico!*
Sospirò, posizionò gli occhiali da sole sulla sommità del capo e si armò del suo miglior sorriso. Infine, aprì la porta e si immise nel locale, seguita da Lavender.

«Wow!»

L'ambiente che l'accolse oltre la soglia si rivelò straordinariamente accattivante e... magico. Zone d'ombra e arredate di colori scuri si alternavano a comparti variopinti e dal mobilio eccentrico. Nieve notò come il modo di disporsi della clientela sembrasse orientato a una scelta che teneva conto talora dello stato d'animo, talaltra delle tendenze in fatto di moda. Sorrise a un giovane dall'aspetto emaciato e dall'espressione triste che la scrutava con apatica curiosità, seduto su una poltrona di pelle color cuoio, in penombra. Lo osservò muovere il labbro superiore, accennando un saluto, prima di reclinare il capo all'indietro e tornare a fissare il soffitto incantato: riproduceva un vortice oscuro, puntellato di piccole creature danzanti dalle strane sembianze. Doveva essere ipnotico, rifletté.

«Dove siamo, Nieve?» le chiese Lavender, prendendola per mano e avvicinandosi perché la domanda si esprimesse in un sussurro. Nieve sobbalzò, ma rinvenne dallo stato di meravigliato stupore nel quale era caduta. «Cos'è questo posto?»

«Ma guarda un po' chi si vede! La Rigos!»

La bocca di Nieve rimase schiusa, mentre una voce d'uomo dallo spiccato accento latino riverberava nell'intero locale, attirando l'attenzione dei presenti. Stava all'altro capo del negozio, in fondo al corridoio di luce bianca che attraversava perpendicolarmente l'arrendamento a zone, creando un accattivante effetto-griglia.

«Lo vedrai,» rispose all'indirizzo dell'amica, stringendo appena la presa sulle dita di lei per infonderle tranquillità. Poco dopo, sciolto l’intreccio delle loro mani, la invitò a seguirla con un cenno del capo. «Nando! Sono o non sono di parola?»

Accolse l'invito dell'altro, che aveva spalancato le braccia nel vederla avanzare, e si spinse sulle punte per stringersi a lui. Era un uomo di statura media, particolarmente esile nonostante gli allenamenti ne avessero favorito il tono muscolare, e aveva un incarnato olivastro che ben si attagliava alle origini ispaniche.
Si erano conosciuti in circostanze solo vagamente particolari. Nieve, incaricata di una consegna che lo aveva per destinatario, si era sostituita eccezionalmente al proprietario di Safarà e lo aveva raggiunto con l’unica aspettativa di incassare un bel gruzzolo. Il luogo dell'incontro era stato fissato da Nando in un locale del quartiere magico di Londra: era pressoché interamente ricoperto di legno e si distingueva per l'aria semplice e le linee basilari. A renderlo sopra le righe, del resto, erano gli assidui frequentatori. Seduti a un tavolo al centro della sala, Nando le aveva offerto una coppa di sangria e, anziché chiedere che gli venisse dato conto delle caratteristiche dell’articolo, si era dilungato in chiacchiere. Stupendola, era riuscito a indovinare la sua appartenenza ai Grifondoro, l’abilità di Metamorfomagus e le sfumature più acerbe del suo carattere. Infine, incapace di filtri benché avesse il doppio dell’età di Nieve, le aveva rivelato di averla presa in simpatia per la sua feroce schiettezza. Il passaggio successivo era stato pressoché obbligato: doveva fare un salto al Barcelona’s e permettergli di offrirle uno dei suoi servizi. Che detta così…

«Non ne ho mai dubitato, señorita,» le rispose da sopra la spalla, accarezzandole la schiena. «Ma lasciati guardare un po',» aggiunse, facendosi indietro per studiarla con curiosità fraterna. «Mi piace questo look un po' underground.» Nieve rise della pronuncia risicata dello spagnolo, che le restituì un'espressione dubbiosa. «Un'islandese che prende per il culo un ispanico per il suo inglese. Questa è bella!»

«Prima cosa: la frase che hai appena pronunciato sembra uno scioglilingua, o l’inizio di una barzelletta. Seconda cosa: io non ho detto proprio nulla. Terza cosa: tu sei libero di prendermi in giro quanto ti pare. Qualcuno te l’ha mai vietato?!» Solo in quel momento Nieve parve ricordarsi della sua accompagnatrice. Compì un passetto indietro per aiutarsi nell’introdurre i due. «Oh, lei è Lavender, una mia amica e concasata! Puoi chiamarla anche Lily.» Le strizzò un occhio e attese che le presentazioni avessero luogo. Nando strinse la mano di Lavender, prima di avvicinarla alle labbra: la bocca non toccò mai le nocche della giovane, come si conveniva. «Non ci mettere il pensiero. È più piccola di me!»

Nando le diede uno spintone affettuoso, dopo aver liberato Lavender dall’ingombro della sua presa.

«Allora, Rigos, cosa posso fare per te? Un tatuaggio? Quanto grande lo vuoi e dove? Hai la pelle così chiara che possiamo sbizzarrirci. Anche i colori pastello verranno fuori benissimo.»

«Fermo, fermo, fermo!» Nieve rise, poi si guardò intorno e fu assalita dal dubbio. «Non c'è un turno da rispettare?» Si riferiva alle decine di persone distribuite tra le zone d'ombra e quelle di luce del locale. «Non vorrei scavalcare nessuno!»

«Certo che c'è. Ma il privilegio di essere il proprietario è poter decidere deliberatamente come gestire i clienti.» Le fece l'occhiolino e Nieve scosse il capo. Non era abituata a lavorare in quel modo, quindi non le piacque. La precisione e la correttezza, contrariamente alle voci che circolavano su Safarà, erano i capisaldi del suo impiego come garzona. «Venite nel mio ufficio, forza!»

Nieve sollevò un sopracciglio. Faticava a credere che Nando possedesse uno studio al pari di molti ministeriali; a un tempo, non poteva chiaramente dire di conoscerlo dopo un solo incontro. Facendo spallucce, si limitò a seguirlo. Non poté impedirsi di ridacchiare quando, attraversata che ebbero una barriera magica, raggiunsero la meta. L'ufficio, se così lo si poteva chiamare, non era altro che la parte finale del corridoio di luce che si svolgeva a partire dall'ingresso. C'erano un paio di sedie dedicate al lavoro, lo strumentario che galleggiava in un angolo, avvolto in una bolla, e una decina di specchi di dimensioni variabili sospesi in aria. All'interno, l’atmosfera era come ovattata.

«Qua è tutto sterile, per la cronaca. Ora, dimmi quello che c'è da sapere! Cosa facciamo? E perché?»

L'ultima domanda le fece morire le parole in gola. Ebbe la certezza – se non altro per la spiccata sensibilità dimostrata dall'uomo in passato – che Nando avesse quantomeno percepito la portata del tormento che si agitava dentro di lei e quale ruolo avesse giocato nella spinta che l’aveva condotta presso di lui. Il suo era un modo gentile, non meno che sottile, per chiederle cosa non stesse andando nella sua vita e per darle tempo e modo di tornare sui propri passi, laddove l'avesse voluto.
La mente di Nieve corse agli eventi del giorno prima della partenza da scuola, sicché una strana secchezza alla bocca la costrinse a umettarsi le labbra, a disagio. Ricordava distintamente come si era sentita quando Elijah le aveva detto del pettegolezzo circa il loro bacio, nonché il modo in cui le si era spezzato il cuore al pensiero che Astaroth l'avesse venduta al suo peggior nemico. Ancor più distintamente, ricordava l'eco delle proprie urla riempire l'ufficio a due piani di quella che aveva considerato la sua mentore; e i singhiozzi ai quali si era abbandonata nell'ufficio vuoto dove aveva sede il quartier generale dell'Esercito del Mezzogiorno, poco dopo. Aveva pianto così a lungo, con le gambe strette al petto e la fronte poggiata alle ginocchia, che aveva finito per addormentarsi sul pavimento. In un parallelismo che si era prestato all’insorgere di un’ulteriore ondata di sconforto, era stata Thalia a trovarla ore dopo, rannicchiata, come Ỳma aveva fatto quella volta che i bambini di Borgarbyggð le avevano tirato un brutto scherzo e l'avevano rinchiusa in una casa che andava a pezzi. Come un animale ferito, dapprima si era ritirata. Poi, il dolore aveva preso il sopravvento e si era lasciata stringere da Thalia senza trovare la forza di spiegarle cosa fosse accaduto.
Chinò lo sguardo per un istante. Infine, prese posto sulla sedia reclinabile che, almeno così immaginava, Nando usava per imprimere di colori e significato l'epidermide dei suoi clienti.

«Non voglio un tatuaggio, in verità,» spiegò, muovendo le gambe penzoloni in modo ritmico. «Volevo farmi un septum.»

«Sul serio?» Nando la guardò con espressione sorridente, sorpreso. «È una mossa audace,» aggiunse. «A differenza di un tatuaggio, non hai modo di nasconderlo e... Be', direi che è anche difficile da non notare, considerata la posizione.» Era un modo blando per renderle note le conseguenze delle proprie azioni e l'impatto visivo che quella scelta avrebbe avuto su di lei. «Ma mi piace e credo possa starti bene!»

Nieve tirò un sospiro di sollievo, cercando con lo sguardo Lavender. Le aveva chiesto di farle da complice, ma aveva evitato di rivelarle il progetto nella sua interezza. Non era sicura che sapesse cosa fosse un septum – del resto, lei l'aveva scoperto per caso, sfogliando una rivista babbana trovata in un angolo piuttosto fatiscente di Londra. Pertanto, portò la mano destra al volto e toccò il naso in un gesto esplicativo.

«Ci saranno reclami?»

Nieve tornò a guardare Nando e annuì con vigore. «Moltissimi! Uscirà fuori una tragedia di proporzioni cos-mi-che! Potrei addirittura essere sbattuta fuori di casa, anche se credo che la carta dell'orfanella potrebbe tornarmi utile.» Aveva riflettuto a voce alta, rivelando un tassello del proprio passato che le provocava un certo disagio. Astaroth l'aveva abbracciata nell’apprendere le tribolazioni cui era stata costretta in Islanda, e Nieve ne aveva ricambiato la stretta con... Scosse il capo per scacciare il pensiero. «Questo, ovviamente, a meno che tu non conosca un modo per impedire che Grimilde lo veda. E Julian, e i nonni, e i figli di Julian, e i vicini...» Si rese subito conto della portata utopica della richiesta e comprese di non avere alternative. Doveva affrontare la tragedia, ammesso che fosse veramente convinta. Diede una scrollata di spalle. «Vabbè, poco importa. Voglio farlo comunque! Quando iniziamo?»

«Anche subito! Ci metterò non più di qualche minuto.»
«Farà male?»
«Un po'...»
«Grazie per la sincerità! Lovy, te la senti di rimanere o preferisci aspettare in una delle salette?» Nieve aveva da poco preso posto sulla poltrona, perfettamente a suo agio, e consegnato all’amica gli occhiali da sole, sfilandoli da sopra la testa. «Non sentirti obbligata, davvero. In un paio di minuti, sarò il toro che ho sempre voluto essere e ti troverò col potere delle mie corna.»
Nando rise a tutta voce e Nieve gli fece eco. «Ah, i tuoi modi! Quasi mi mancavano...
»
«Allora, dovresti fare un salto da Safarà più spesso. Tanto, i soldi non ti mancano mica con tutti quelli che spilli a questi poveri cretini.»

Appunto. Risero ancora. E Lavender rimase. Nieve non seppe dire se avesse deciso così per senso di gratitudine nei suoi confronti, o se desiderasse realmente affiancarla in quel particolare momento della sua vita. Quale che fossero le motivazioni, in ogni caso, Nieve ne fu felice.

* * *


«Au... Au... Au...»
«Fa tanto male?»
«Un po'! Au!»
«Se smettessi di toccarlo, magari, farebbe meno male,» l'ammonì Nando, guardandola di sottecchi.

Con espressione concentrata e affiancata dall'amica, Nieve osservò il proprio riflesso nello specchio nel tentativo di determinare se il risultato fosse di suo gradimento o meno. Allo stato attuale delle cose, oscillava tra l'idea di somigliare a tutti gli effetti a un toro da monta – lusinghiera! – e la convinzione che il piercing le donasse particolarmente. Le piaceva l'aria da bulla che le conferiva. Faceva un male cane, ma le piaceva! Ridacchiò, pensando alla reazione di Thalia quando l'avesse vista. Le avrebbe inviato una foto via gufo, se non avesse implicato perdersi l'espressione di sgomento prendere forma sui lineamenti dell'amica.

«Mi aspettavo che fossi più bravo, sai? Che bello c'è ad essere maghi, se non puoi eliminare il dolore da un'operazione così semplice?» lo stuzzicò, le sopracciglia inarcate e le labbra pure a formare un'espressione irriverente. Colse, attraverso la superficie dello specchio, l'occhiata arcigna di Nando. Girò su sé stessa e, spalancando le braccia, proruppe nel verdetto finale: «Mi piace!»

«Ti sta bene,» le fece eco Nando, osservandola con cipiglio intento. «Chissà se la penseranno così anche a casa...»

Nieve gli scoccò un'occhiata significativa e deglutì. «Non credo proprio! Si prevedono duelli in quel di Londra, signore e signori.» Contro ogni forma di negazione, era agitata. Detestava i litigi, almeno quanto la tensione e gli impedimenti comunicativi che seguivano. Il pensiero dello scontro con Astaroth tornò a farle visita in modo brutale, sicché al dolore fisico finì per aggiungersi quello emotivo. Nieve divenne inqueta. «Quanto ti devo?» domandò con aria turbata, estraendo dalla giacca a fantasia mimetica un sacchetto di galeoni.

Nando incrociò le braccia al petto.

«Ragazzina, ti ho già detto che il primo giro al Barcelona's te l'avrei offerto. Sei di memoria corta?» I loro sguardi s'incrociarono a metà strada. Nieve titubava, vittima di un'inquietudine che, ne era sicuro, aveva un'origine altra. L'aveva conosciuta sfacciata ed era certo che non le appartenesse l'insistente rigore di quella richiesta smaniosa. Tentò di ricordare come fosse avere 16 anni e dover fare i conti con problemi apparentemente insormontabili. Poteva distrarla? «Però, in effetti, una cosa potresti farla come forma di pagamento atipica.» Si beccò un'occhiata poco convinta. «Non è niente di losco, malfidata!»

Nieve rise, riponendo il denaro in tasca. Infine, sospirò.
«Di che si tratta?»
«Vieni un po' qua!»

La invitò a seguirlo, oltrepassando la barriera magica che li aveva isolati nel tempo impiegato per il piercing. Quindi, la guidò nei pressi di un pannello scuro. Nieve aggrottò la fronte, incuriosita. Non l'aveva notato nel procedere in quella direzione, benché distasse non meno di qualche passo dalla sala operatoria di Nando. Non che fosse così strano, in fondo! Il locale era talmente pieno di elementi – e di giochi di luci e ombre – da confondere occhi e mente.

«Una Hall of Fame...» disse a voce bassa, passando in rassegna le polaroid in successione. Ghignò, vagamente disgustata, nel posare lo sguardo su un uomo dalla nuda mascolinità trapunta di piercing: muoveva il bacino dando vita a un effetto rotatorio a suo modo impressionante. «Quello sì che fa malissimo. Però, è bravo!» Alzò il braccio per indicare a Nando e Lavender la foto che aveva attirato la sua attenzione. «Ti è piaciuto farglieli?»

Nando le diede una manata sul braccio, incapace di determinare se fosse lieto o meno di quel ritorno in pompa magna della Nieve sfacciata.

«Muoviti!» La prese per le spalle, conducendola al di là del pannello e invitando Lavender a fare altrettanto. Quando furono arrivati, accennò con un gesto della mano al set improvvisato sul retro della Hall of Fame: si componeva di uno sfondo al neon e di una macchina fotografica vecchio stile. «Mettiti in posa! Non lo chiedo a tutti, guarda. Solo a quelli che possono farmi fare bella figura e convincere i papabili clienti ad affidarsi alle mie mani esperte.»

«Sai che affare! Ho il naso in fiamme. Au! O, forse, dovrei dire MUUUUU.» Sfiorando un'ultima volta il septum, Nieve si dispose nel punto indicato dall'uomo. Nando la rimproverò ancora, intimandole di lasciar stare il piercing per evitare che l'infiammazione si trasformasse in rigetto. «Aspetta un attimo e ci sono...» fece, portando le mani alla cintola e liberando il bottone del jeans dalla costrizione dell'asola.

Nando alzò lo sguardo oltre la macchina fotografica, confuso.
«Ma che diavolo stai facendo?»

«Ah, non mi volevi come quello là?» Dal modo in cui sorrise e mosse le anche, Nando comprese il riferimento. La ammonì con il silenzio. «Pensavo ti piacesse a prescindere quel tipo di posa. Ma è anche vero che a me manca qualcosa in grado di rendermi altrettanto credibile. E scenografica.»
«Sii seria, dai! Ma non letteralmente, cretina!»
«Sarà anche un mio diritto scegliere come voglio mettermi? L'elicottero no, l'espressione seria no. Dammi tregua. Mi stai stressando!»
«Merlino, mi ero scordato quanto foste melodrammatici voi adolescenti! E irritanti. Soprattutto irritanti. Dimmi quando sei pronta, così scatto. Ma fai con calma e prenditi tutto il tempo che vuoi, señorita Rigos. Non ho mica un'attività da mandare avanti e decine di clienti in attesa. Con comodo!»
«Non trovi che sia particolarmente noioso per essere un latino, Lovy? Te li immagineresti tutti simpatici e frizzantini, e invece...» Era una domanda che non richiedeva risposta. Infatti, Nieve proseguì poco dopo: «Vai! Ci sono!»

Si piazzò sulla faccia il migliore dei sorrisi e portò le mani ai fianchi. Era una posa impudente che avrebbe reso giustizia al suo modo d'essere, quando fosse stata immortalata e trasformata in polaroid.
Aveva una manciata di secondi per fare quello che le pareva, prima che il movimento venisse impresso nella memoria della macchina fotografica e la stampa magica sputasse il prodotto finale. Nando le diede il segnale. A quel punto, Nieve roteò su se stessa, decisa a concludere il tutto con una smorfia da brigante. Mentre volteggiava, tuttavia, emerse il ricordo di una serata trascorsa nell'ufficio di Astaroth, che riportò in auge la sensazione di malessere con la quale aveva imparato a convivere di recente: in preda all'ebrezza, aveva danzato con l'amica finché non era collassata sulla poltrona, sfinita; Astaroth era riuscita a svegliarla appena in tempo, l'indomani mattina, per evitare che la beccassero. Le mancava terribilmente, almeno quanto si sentiva ferita e tradita. Così, quando tornò frontalmente alla macchina fotografica, quella mancanza si tradusse in espressione. Non si accorse del fatto che il sorriso si fosse pian piano spento sulle sue labbra.

«Vuoi che la rifacciamo?» le chiese Nando, porgendole infine la polaroid con fare fintamente neutrale.

Nieve la prese tra le mani e la osservò, agganciando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Un sospiro le sfuggì dal punto in cui i denti erano intervenuti a martoriare il labbro inferiore, mentre accarezzava con lo sguardo i contorni del proprio viso impressi su carta. Quando Lavender le si fece vicina, Nieve si sentì in qualche modo rincuorata. Non l'abbandonò, tuttavia, l'istinto di protezione che l'aveva legata ad Astaroth: la prima reazione si tradusse in un gesto volto a nascondere la polaroid. *La proteggi come lei ha protetto te? Stupida!* Una fitta al petto la spinse a muoversi in senso opposto, mostrando la foto a Lavender.

«No, va bene così. Puoi appenderla!» Senza attendere che Nando facesse strada, percorse lo spazio che l'avrebbe condotta al cospetto della Hall Of Fame. Si concesse un sorriso sghembo. «Sono una star

Osservò Nando posizionare la polaroid con un colpo di bacchetta. Non poteva sapere che la lusinga nascosta in quel gesto fosse esclusivamente volta a risollevarle l'umore. Innocentemente, si compiacque della posizione centralissima che ebbe a riservarle.

«Dirò questo a Grimilde,» proseguì. «"Sai, è vero che somiglio a un toro, ma, ehi, sono il meglio del meglio della Hall Of Fame dei tori. Significherà pure qualcosa, no?"»

«Credi che coglierà l'ironia e ci riderà su?» le chiese Lavender, esponendo a voce un pensiero che aveva attraversato anche la mente di Nando.

Nieve scosse il capo. «Credo che, alla fine, il vero toro sarà lei. E a me toccherà correre!»


Ho fatto il giro largo e l’ho toccato piano, il tema di questo contest. Ma volevo cogliere l’occasione per sfoggiare il nuovo pivvì, divertirmi a tratteggiare gli esordi della crisi adolescenziale di Nieve e non avere più problemi a usare le foto della Owens dovendo scrivere ‘non ha l’orecchino, immaginatela senza’. Mamasita, sono tutta tua!

Preciso che, nel post, accenno a una serie di eventi (quelli che coinvolgono Nieve e Astaroth), che non sono ancora stati esplorati in GDR, ma che lo saranno a suo tempo. Il sunto è, come si sarà evinto dal testo, che le bimbe litigano di brutto il giorno dopo il ballo (che nella mia testa non è mai il giorno prima della partenza ma quello prima-prima) e Nieve ne esce malissimo.
Quanto a Lavender, i riferimenti richiamano l'entry sulla clonazione con cui ha preso parte al contest del mese. Dopo una serie di vicissitudini che dovrete leggere per sapere (#nospoiler :bello: ), trova accoglienza a casa Rigos. Questo mio post si colloca dopo le vicende cui accennavo.

RINGRAZIAMENTI:
-A Ziskone caro, che ha ascoltato e realizzato la mia richiesta. Credo ancora che tu l’abbia fatto per una questione personale contro Paint (mia delizia!) ma va bene. E ti ri-ringrazio anche per aver risolto i miei problemi da capretta con l’html. Stavo impazzendo! :fix: E sei precious! :flower:
-A Lovy my e a Taliuzza del mio cuor per avermi consentito di usare i loro piggì ai fini del post. Siete molto morbidine!
-A Lilli, che mi sta mozzegando e sconigliando il braccio, rendendo impossibile la correzione del post. :meh:
-A Serenellina, che ha trovato IL pivvì e mette a tacere sempresempre le mie insicurezze.
-All'omino di chat roulette che, anni fa, ci deliziò col suo elicottero. Sei sempre nei nostri pensieri! :flower:

Buona lettura!


Edited by ~ Nieve Rigos - 27/8/2018, 21:43
 
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