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| Cappi? Jolene sgranò gli occhi con fare teatrale, come a dire: accidenti, allora meglio squagliarcela prima di lasciarci le penne. I nodi scorsoi erano solo una metafora, naturalmente(?), ma una metafora piuttosto azzeccata. Di sicuro sarebbe stato rischioso tentare la loro stellina fortunata ancora a lungo. Si sbrigò a raccogliere le proprie cose e, con l'aiuto del suo complice, l'operazione non richiese molto tempo. Desiderosa di cancellare qualsiasi traccia del fatto che loro due fossero anche solo mai stati in quella biblioteca, Jolene lasciò la sala quasi in punta di piedi, con un fare furtivo piuttosto comico. Una volta usciti, però, si sentì più leggera e assunse un'andatura normale. «Oh, non hai di che scusarti. Una lettura che ti lascia distrarre così in fretta probabilmente non merita nemmeno lo sforzo.» Si strinse nelle spalle minute, riferendosi tanto ai propri libri quanto a quelli che aveva tentato di consultare lui. «Anzi, è un piacere conoscervi. Sai, tu e Maurizia. Sembrate dei tipi simpatici.» Aggiunse con una mezza risata. Quando Maurizio le offrì una sigaretta, Jolene alzò appena il palmo della mano, in un gesto di cortese rifiuto. «No, grazie. Non fumo.» Aveva passato l'intera vita ad osservare le macchie giallognole sui polpastrelli della madre farsi più marcate, la sua tosse più insistente: le aveva fatto passare qualsiasi desiderio di toccare del tabacco. All'esterno, il sole le riscaldava piacevolmente le braccia scoperte: simile a una mano amica, le accarezzava i capelli e il volto, e Jolene si abbandonò a quel tocco come un gatto beato. Socchiuse gli occhi per qualche momento, prima di riaprirli sul proprio interlocutore. «Hai origini italiane.» Non era una domanda, ma un'affermazione. Aveva raccolto abbastanza indizi per essere certa di ciò che diceva. «Da dove, se posso? Conosco un po' la penisola, da piccola ci ho trascorso parecchie vacanze. Fino a qualche mese fa, a dire il vero, ero la ”signorina Giollina Bianchi, l'inglese”.» Citò con il suo migliore accento toscano che, pure, restava palesemente inquinato dalle sue origini. «Ho fatto un tirocinio in un ospedale magico vicino a Livorno.» Spiegò infine, facendo seguire un passo a un altro con il suo solito fare leggero, indolente, tanto che pareva si limitasse a farsi sospingere da una brezza tiepida. Il capo era impercettibilmente voltato verso Maurizio, a spiare il suo modo di appropriarsi dello spazio.
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