Jolene scoppiò a ridere di fronte alla reazione perplessa del ragazzo riguardo alle sua scarpe. Non era la prima volta che riceveva commenti simili, e non erano del tutto infondati. Anzi, il giovane si sarebbe reso conto di quanta verità ci fosse nelle sue parole, se solo avesse mai indossato un paio di tacchi alti. Di fronte alla sua scelta, gli uomini si mostravano quasi sempre sorpresi e vagamente divertiti; la reazione delle donne, invece, conteneva anche una traccia di compassione e di solidarietà per un comune nemico. Jolene poteva rimanere a discutere della Maledizione dei Tacchi Alti all'infinito, ma la verità era che, nelle giornate normali, non si trattava poi di una grande tragedia. Abbiamo già spiegato, però, come quella volta fosse un'eccezione.
«Una signora non dovrebbe ammetterlo mai, ma lascia che ti dica una cosa.» Fece una pausa di un istante, al fine di catturare la sua attenzione. «Sto soffrendo atrocemente.» Lasciò che un sorriso sghembo incanalasse sulla strada dello scherzo la sua battuta, pur non togliendole tutta la veridicità. Merlino sapeva se non avrebbe voluto sbarazzarsi di quei trampoli e lanciarli dall'altra parte di Diagon Alley, ma avrebbe sopportato di tutto per amore dell'Eleganza, colei che la rendeva fiera della propria figura e le faceva scorgere – o immaginare – ammirazione e benevolenza negli sguardi degli altri. Andava a braccetto con la Vanità, e insieme le permettevano di reggere le occhiate senza vergogna e, anzi, con una sorta di impertinenza; la stessa che le fece sollevare un sopracciglio di fronte alla smorfia sul volto dell'altro, come a chiedere: Beh? Che c'è?
Fu contenta di vedere accettato il proprio invito: era addirittura raggiante mentre prendeva posto, senza dare a vedere di aver notato il gesto di educazione del giovane. Pensò che dovesse essere cresciuto in una famiglia in cui le formalità conservavano una certa importanza, probabilmente un'antica discendenza Purosangue. Conservava, in ogni caso, una spontaneità spoglia, priva di affettazione, come dedusse dalla laconica presentazione.
«Io sono Jolene. Mi fa piacere che vi uniate a noi, Elijah.» Si accigliò leggermente, spostando le pupille sul felino. «Elijah e…?»
Ora che le veniva ricordato, non aveva deciso un nome per il suo, di gatto. Scorse velocemente la lista mentale che stava snocciolando prima di essere interrotta e, come folgorata, esclamò: «Emerald.» La penombra del locale non rendeva giustizia agli occhi del felino ma, alla luce del giorno, la Rossa era rimasta affascinata dall'intensità luminosa del loro colore: sembravano proprio due smeraldi sotto ai raggi del sole.
Tuttavia, sentiva che il nome era ancora incompleto. Necessitava di un coronamento, di una degna conclusione per un degno felino. E, ancora una volta, seppe esattamente cosa dire. «Butler. Emerald Butler.» L'anziana Strega sarebbe andata in visibilio quando l'avrebbe sentito, pensò mentre accarezzava distrattamente il pelo di Mr Butler. Il quale, dal canto suo, avrebbe potuto benissimo trovarsi da solo con il gatto di Elijah, per l'interesse - o, meglio, il non interesse – che mostrava verso il resto.
«Ho paura che scappi.» Confessò di fronte al suggerimento di Elijah, un sorrisetto allusivo in direzione del gatto nero. «L'ho preso al Serraglio solo oggi, non ci conosciamo ancora abbastanza bene da fidarci uno dell'altra e viceversa.»
Guardando il ragazzo sfogliare il menù con grande zelo, la Rossa si rese conto di essere a sua volta piuttosto affamata. Si concentrò sulle pietanze, riemergendo dall'ardua scelta prima dell'altro, e avendo così tempo di osservarlo di sottecchi. Quali segreti movimenti si celavano sotto a quel viso scolpito? Quali passioni, quali storie sarebbe riuscita ad intuire, nel tentativo di soddisfare la propria fame di vita? Vi prego di non fraintendere: le intenzioni di Jolene erano del tutto innocenti, era incapace di perseguire qualsivoglia interesse personale. La sua era una genuina curiosità, la stessa che la spingeva nelle sue letture alla scoperta delle mille sfaccettature del gioiello della realtà.
Ormai era chiaro che Elijah possedeva le maniere di un perfetto gentiluomo, se non la sua loquacità, per cui non si stupì quando propose di offrire il pasto.
«Ti ringrazio, ma non ha fatto niente, davvero.» Si riferiva al gatto, naturalmente. «Troverò a mia volta il modo di restituirti la gentilezza. Io prendo del pesce affumicato con insalata e una Burrobirra. Ora sarà meglio che chiami un cameriere prima che la fame prenda il sopravvento...Mi scusi!» Avrebbe fatto un cenno al primo membro del personale che avesse incrociato il suo sguardo, aspettando poi il suo arrivo.