§ Blúirí de Anam, an imeacht Ama §, ..:: quando Passato e Presente si Intrecciano ::..

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view post Posted on 27/4/2018, 03:04
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"Blúirí de Anam, an imeacht Ama" in Irlandese significa "Frammenti di Anima, nello scorrere del Tempo"

Raccoglierò qui i "Frammenti" della Storia di Mìreen che spero vi permetteranno di vedere lati della sua Anima/Personalità (pensieri, sentimenti, emozioni), che spesso in una normale role possono non venire fuori o non si ha l'occasione di approfondire.
Intreccerò il Passato del mio PG con eventi del Presente, chi ha letto il mio Background forse riuscirà a cogliere i riferimenti e i "messaggi nascosti" che inserirò nel testo e che in altri post ho già inserito, soprattutto in quelli dove racconto dei suoi genitori.
Spero che ciò che scrivo in questa sezione (e in futuro nella sezione "Diari") riuscirà a farvi sussultare, incuriosire, innamorare e spaventare, spero che leggendomi, riuscirò a far mancare almeno un battito del vostro cuore...
Com'è successo a me quando ho scritto questi pezzi che compongono la storia e la psiche del mio personaggio, sapendo cos'ho scritto nel suo BG e cos'ho ancora in mente per lei e per la sua "evoluzione/sviluppo" in futuro.
Io non sono nessuno per giudicare se quello che scrivo è degno o no di attenzione, ma quello che scrivo lo faccio con impegno e continua ricerca nel migliorarmi, spero un giorno di poter esser soddisfatta di quello che scrivo e poter dire "Ok, ce l'ho fatta, sono riuscita a far ridere/sorridere/piangere qualcuno che non sia io". :cry2:



Appena posso preparo una bella immagine da inserire col testo così da rendere l' "Anteprima dei Frammenti" più carina e scenica! :fru:

Chiedo se qualcuno dello staff puoi modificare il titolo con questo colore: #b725db
Mettendo in grassetto "Anam" e "Ama" se non è di disturbo... :*-*:
Lo farei io, ma non mi ricordo più come si fa'... sigh... :^^:
 
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view post Posted on 27/4/2018, 14:43
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Scheda PG Contest APRILE 2018 _ GERMOGLIO ♦

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Un Germoglio… il simbolo di una nuova vita.
Prima solo un seme, ma anche se piccolo, abbastanza forte da resistere alle intemperie, nascosto sotto terra, si nutre, respira… VIVE... E piano piano troverà le energie per crescere, finchè, al momento giusto, bucherà il suo guscio, uscirà fuori dalla terra, all’aria aperta, sotto forma di un verde Germoglio.
Prima un seme, poi un Germoglio.
Come quando si guarda l’ecografia di un bambino nella pancia della futura madre, una nuova vita che piano piano cresce e al momento opportuno verrà alla luce.

Tutta la famiglia Fiachran era in trepidante attesa per l’arrivo del futuro nascituro, non avevano voluto sapere il sesso del bambino perché volevano fosse una sorpresa, per questo avevano stilato una lista dei possibili nomi da dare alla piccola creatura che a breve sarebbe nata, tutti nomi legati alla simbologia celtica naturalmente e alle storie che dalla notte dei tempi venivano tramandate nelle loro Terre.
La futura nonna non aveva gradito la scelta di non sapere se sarebbe stato un nipotino o una nipotina a nascere, ma alla fine si era adattata e verso la fine della gravidanza, aveva di colpo smesso di insistere per saperlo.
Ryan era stato tanto paziente e accondiscendente da accettare buona parte delle sue richieste, o meglio, delle sue pretese, quasi tutte… tranne quella di farla partorire nel bel mezzo della foresta, su quello era stato categorico: suo figlio o figlia non sarebbe nato in mezzo alla natura come un animale, tradizione o No.
Per lui era stato più difficile accettare le stranezze della nuova famiglia che lo aveva accolto, inizialmente la madre della sua amata era contraria al loro unione, per la figlia aveva in mente qualche altro pretendente di origine irlandese di una qualche famiglia rinomata del posto, ma quando Sheryda si era opposta, rivelandogli quale segreto nascondessero i Fiachran, e lui c’era passato sopra pur di stare con lei, la madre non aveva potuto far altro che accettarlo e col tempo lo aveva quasi preso in simpatia, non glielo aveva mai detto apertamente, ma i suoi sforzi nel farlo sentire uno di famiglia erano la prova concreta che ci teneva.
Lei stessa aveva celebrato il loro matrimonio e a forza di stare con quella stramba famiglia, anche lui aveva iniziato ad apprezzare le loro tradizioni, non poteva essere diversamente, era sempre stato affascinato dall’Irlanda e dalla loro storia e mitologia, per quello aveva chiesto anni prima che gli fosse affidata la missione sull’assassinio avvenuto in un villaggio dell’Irlanda del Nord ad opera di un mago oscuro inglese scappato lì da Londra.
Ancora ringraziava il fato o il destino o gli Dei, chiunque gli avesse presentato quell’opportunità, perché grazie a quel caso, aveva conosciuto Sheryda, l’unica donna che potesse mai amare, e ora stavano per avere il loro primo figlio! O figlia!
I due coniugi erano perennemente circondati da un’aurea di gioia e amore che con la scoperta che la donna era in cinta, era aumentata a dismisura, chi stava loro vicino, non poteva che sentire una sensazione di felicità sbocciare nel cuore, forse era il loro modo di parlare e di fare, così carico di speranza e spensieratezza, forse era il pensiero di un parto imminente, ma la loro sola vista metteva allegria a chiunque, anche all’uomo più burbero e scontroso, o alla vecchietta mezza pazza del villaggio.
I due coniugi adoravano accoccolarsi nel divano, davanti il camino della tenuta, che fosse acceso o spento, lui con una fresca Guinness in una mano e il braccio intorno alle spalle della moglie, lei con un infuso caldo tra le mani, e abbracciati parlavano per ore e ore su come sarebbe stata la loro vita insieme, sulla casa da comprare che purtroppo erano costretti a prendere a Londra perché a Ryan non avevano ancora concesso il trasferimento lì in Irlanda, sull’emozione di diventare genitori.
Con l’aumentare della pancia, crescevano le prime angosce del diventare genitori...


<< Sarò una brava madre? >>

<< Sarò un bravo padre? >>

Ma poi interveniva prima l’uno, poi l’altro e i dubbi scemavano, sostituiti dalla speranza di un futuro radioso… Immaginavano i loro bambini davanti a quel caminetto, poi tanti nipotini giocare in quello stesso salotto, con loro due ormai vecchi che insieme ridevano e raccontavano loro le storie dei miti e delle leggende con cui erano a loro volta cresciuti.
Accarezzavano e parlavano spesso al pancione, avevano letto che il feto poteva sentire il loro calore e il suono delle loro voci da lì dentro, e addirittura tranquillizzarsi e memorizzarli; Kathleen, la madre di Sheryda, non ci credeva...
<< Tutta roba scritta sui giornaletti o su inutili libri, per attirare le neo-madri. >> eppure più volte Ryan l’aveva vista o sentita parlare di nascosto al pancione mentre la moglie dormiva in salotto.
Una delle ultime volte che l’aveva beccata, quando iniziava già ad essere parecchio voluminoso, le aveva visto appoggiarci delicatamente la mano sopra, di colpo la testa le si era inclinata verso l’alto, gli occhi le erano diventati bianchi come in preda ad una delle sue visioni e le uniche parole che aveva pronunciato, con quella voce distorta che altre volte le aveva sentito, erano state:

<< E così è questo il tuo sesso. Ti aspettano grandi cose… tanto dolore, ma anche tanto amore, mia piccola creatura. >>

Quando poi le aveva chiesto cos’avesse visto, la sua unica risposta era stata << Niente >> ma non sapeva se non lo ricordasse o perché non glielo volesse dire.

Nell’intero villaggio c’era aria di festa, non solo a casa Fiachran, la più antica e importante famiglia di tutta l’Irlanda del Nord stava nascendo “il futuro erede” della cultura celtica druidica, colui o colei che, dopo la nonna e in seguito dopo la madre, avrebbe portato avanti le loro tradizioni, studiando e celebrando i riti dei giorni a loro più sacri, ma si avvicinava l’equinozio di Primavera.
Molti ritenevano non fosse una coincidenza il fatto che il bambino o bambina stava per nascere proprio durante la celebrazione di Ostara, la dea celtica della rinascita e del rinnovamento, la versione della Pasqua per i Cristiani, con le uova simbolo di nascita e ghirlande di rametti prossimi a germogliare, come decorazioni da appendere fuori e dentro casa.
La famiglia dei Fiachran era conosciuta soprattutto per esser discendente diretta dei druidi, per il loro legame con le divinità pagane, di cui si faceva portavoce e ad ogni data importante del calendario celtico organizzava cerimonie e riti per tutti i fedeli e per i visitatori e turisti che si presentavano appositamente per vederle.
Ma anche altre storie venivano raccontate al villaggio su quella “particolare famiglia”, racconti su una maledizione, un sangue infetto, corrotto da una creatura della mitologia nordica di cui si sapeva poco, pochi l’avevano incontrata, ancora meno erano sopravvissuti per farlo ed erano persone che “credevano” di averla vista da lontano, di sfuggita, una presenza sparita subito dopo…
Tutti si auguravano di non incontrarla mai perché portatrice di sventura, la leggenda diceva che chiunque la vedesse era prossimo alla morte.
Per questo l’arrivo del nascituro era motivo di gioia generale, ma sotto sotto i più vecchi nascondevano la paura per cosa avrebbe portato quella nuova vita se fosse stata Femmina.
La matriarca della famiglia sapeva bene cosa significasse quella nascita in caso fosse stata una bambina, conosceva bene il segreto che nascondeva la sua famiglia da lunghe generazioni e quale enorme fardello rischiava di portare la possibile nascitura, ma preferì mettere da parte le leggende e di non ascoltare le dicerie dei popolani, quello doveva essere prima di tutto un evento felice per tutti loro, stava per diventare nonna e dopo la nascita di sua figlia, era il dono più bello che gli Spiriti le potessero fare, qualsiasi strada avrebbe preso la nascitura in futuro non avrebbe cambiato l’amore che le avrebbero dato, maschio o femmina, maledetta o no.
Non aveva badato a spese, com’era successo per il matrimonio della sua Sheryda con Ryan, addobbi di ogni tipo, ghirlande e fiocchi fatti con nastri, gemme e fiori appena sbocciati, erano stati appesi per tutto il terreno della tenuta, nella zona pianeggiante tra il lago e la foresta dove si sarebbe svolta la festa per la nascita. Anche la stanza da letto dove avrebbe partorito era stata preparata all’evento, benchè un parto in ospedale rimanesse la scelta che la coppia avrebbe di gran lunga preferito, la madre era stata chiara e irremovibile: se non poteva farlo in mezzo alla foresta vicino al lago com’era tradizione, almeno avrebbe partorito in casa e lei stessa l’avrebbe aiutata, l’aveva già fatto con altre donne che avevano chiesto il parto in casa, non era una cosa strana lì al villaggio, e con l’aiuto della sua unica e fedele amica di vecchia data, nonché esperta assistente durante le cerimonie, tutto sarebbe andato alla perfezione.
C’era chi in paese, come buon auspicio, aveva appeso qualcosa all’ingresso delle loro case e/o negozi, non sapendo il sesso, ogni colore dell’arcobaleno era accetto, fiori, fiocchi e nastri, di un solo colore o in coppia, o in mazzolini dalle sfumature più belle e dai toni più vari.
Sheryda, per distrarsi dall'ansia del parto sempre più vicino, aveva aiutato i bambini del paese a creare addobbi che avrebbero usato non solo per quell'occasione, ma anche per l’equinozio di Ostara, per la festa di Beltane e per tutte le occasione gioiose in cui quelle piccole decorazioni fatte a mano sarebbero potute servire.
Questo pensava ogni volta che guardava quel pancione tanto bello quanto ormai ingombrante.
Ryan non la lasciava sola un solo minuto temendo potesse farsi male lei e il figlio/a, e quando era a lavoro, sapeva di poter contare sulla suocera, che era addirittura peggio di lui, controllava ogni cosa facesse, anche andare in bagno da sola era diventato impossibile, e la gatta di famiglia, di una razza indefinita, completamente rossa con ampie macchie nere per tutto il corpo, la pedinava ovunque andasse, la osservava da lontano, sembrava quasi che si dessero il cambio lei e la madre.
Una nuova vita nasceva dentro di lei, la futura mamma non faceva che ripeterselo ogni volta che si guardava allo specchio e vedeva il suo bel pancione, una piccola creatura stava per venire alla luce, da un piccolo seme, piano piano era diventato un germoglio, pronto a uscire per vedere il mondo.


<< Conoscerai i tuoi genitori, la tua famiglia, ti farai degli amici, conoscerai le nostre tradizioni e diventeranno parte di te… Troverai il tuo posto nell’universo, combatterai e difenderai ciò in cui crederai, e quando sarà il momento, troverai l’amore, un amore così bello, da legarti per l’eternità e decidere di mettere al mondo il frutto di quell’amore...
Come ho fatto io con tuo padre. >>

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I giorni passavano, le settimane si allungavano con l’arrivo dell’equinozio e Sheryda aveva le doglie sempre più frequenti e durature.

Erano al lago, seduti su una morbida coperta, baciati dai primi caldi raggi del sole, quando successe.

La settimana prima c’era stato un brutto temporale che aveva rovinato un po’ di decorazioni, ma con pazienza erano state sostituite o rimesse a posto, temevano non se ne andasse più, ma con stupore i tutti, il cielo si era di nuovo aperto e il sole era uscito più splendente che mai, un cielo così azzurro da sembrare estate e una leggera brezza soffiavano muovendo i rami in fiore e facendo cadere i delicati petali.
Ryan guardava la moglie con gli occhi di chi vedeva il miracolo più bello che un uomo potesse mai desiderare: la propria amata, con in grembo l’unione del loro amore, che chiacchierava spensierata con lui e intanto intrecciava un cesto di rametti, alcuni con ancora le gemme, altri già germogliati, da offrire a Ostera, la Dea Madre, com’era usanza celtica e che, a fine cerimonia, avrebbe usato per decorare la camera del neonato.
All’improvviso la giovane donna si bloccò, presa da una fitta dolorante si chinò, le mani corsero a stringersi il pancione, eppure la doglia non finì come si aspettavano, anzi diventò più forte, seguita da un’altra ancora più dolorosa.
Urla lancinanti uscivano dalla bocca contorta di Sheryda, subito Ryan le strinse la mano e bastò lo sguardo supplichevole della moglie per capire, si smaterializzò con lei a casa, nella stanza riservata al parto, le alte grida che risuonarono per tutta casa avvertirono subito Kathleen della situazione, la quale si presentò poco dopo con tutto il necessario. Tempo di far levitare la giovane donna sul letto, che Ryan era già tornato con la vecchia e fedele amica della suocera, l’anziana signora si teneva pronta già da giorni con l’avvicinarsi del parto, quindi l’uomo non si era stupito nel vederla uscire dopo soli pochi minuti vestita e “armata” pronta ad esser smaterializzata in casa Fiachran che aveva momentaneamente abbassato le difese e sospeso gli incantesimi di protezione.
Mentre sua moglie dava la luce suo/a figlio/a, Ryan era rimasto vigile e attento fuori dalla stanza, scelta senza finestre, completamente interna alla casa, al 1° piano di quel casolare a 2 piani + soffitta, proprio per evitare che qualcuno o qualcosa potesse attentare alla vita dell’amata e/o del piccolo in un momento così fragile, sapeva delle voci che giravano in Paese e non tutti si erano mostrati felici della possibilità che potesse essere una femmina il nuovo membro della casata Fiachran, un altro dei motivi per cui avevano deciso di non sapere il sesso.
Anche se ancora giovane, era un Auror con abbastanza esperienza da sapere che la paura può portare a gesti stupidi e disperati e se a qualche paesano era venuta la malsana idea di interrompere quella nascita, avrebbe lottato fino alla morte per difenderla, era abituato a combattere contro maghi oscuri e purtroppo gli erano già capitati anche dei Mangiamorte, uno sprovveduto contadino troppo superstizioso non sarebbe stato un problema.
In piedi, nel corridoio davanti la porta della “sala parto casalinga” sentiva le urla dell’amata in travaglio rompere il silenzio che regnava in casa… e, stranamente, anche fuori non volava una mosca, il vento si era di colpo fermato, il sole era coperto da una grigia nuvola passeggera, lasciando la zona in una penombra fin troppo scura.
Con la bacchetta ben stretta in pugno, si mosse verso l’unica grande finestra del corridoio che dava direttamente verso la foresta per dare una controllata fuori…
E la vide.

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Una figura, completamente avvolta in un mantello lungo, stracciato e nero, incappucciata, nascosta tra il fogliame della foresta.
Guardava fisso verso quella stessa finestra, ma per un qualche motivo l’uomo non riusciva a vedere il suo viso, forse era troppo nell’ombra, forse aveva abbassato bene il cappuccio per nascondersi alla perfezione… o forse era ad opera di un incantesimo? Il buio portato dalla nuvola non lo aiutava a capire chi o cosa fosse, ma gli sembrava di scorgere le fattezze di una fisionomia vagamente femminile in quell’essere, ma non sapeva assolutamente dire se umano o altro.


[ Che motivo ha di stare lì? Così nascosta per di più? Cosa vuole da noi e perché non fa niente? Sembra in attesa… continua a fissare la finestra, completamente immobile…
No, non può essere...
Sta veramente ascoltando le urla?! No, mi starò sbagliando, non può essere qui per il parto! ]


Aveva mosso l’unico passo che gli mancava per arrivare a toccare la finestra, la mano era appoggiata alla maniglia per aprirla, non avrebbe aspettato che la creatura agisse per prima, avrebbe fatto lui la prima mossa.
Ma un ultimo, lacerante e lungo grido spezzò la sua concentrazione e i suoi intenti, si girò di scatto verso la porta col cuore a mille, teso e forse un po’ spaventato da quell’urlo così improvviso, quando la voce di Kathleen scoppiò con un tono gioioso e potente:


<< E’ nata! E’ una bellissima bambina! >>

Un’infinità di emozioni e pensieri percorsero il corpo e la mente di Ryan nel momento in cui la realtà era diventata concreta e lui era ufficialmente diventato padre… ma prima di poter veramente rallegrarsi e gettarsi in quella stanza, doveva occuparsi della presenza lì di fuori.
Si rigirò verso la finestra pronto ad aprirla, ma si bloccò nuovamente.
Non c’era più nessuno.
Si smaterializzò dove prima era la creatura, bacchetta e incantesimo pronti, ma ne tra il fogliame, ne nei paraggi della casa scorgeva alcuna figura incappucciata, impronte fresche indicavano che qualcuno c’era stato, ma se n’era andato abbastanza di fretta per non vederlo già più.
Al suo posto c’era però il vaso dove Sheryda, appena scoperto di essere incinta, aveva piantato il seme raccolto nella foresta, com’era tradizione della sua famiglia: la nuova gestante, appena saputo di essere incinta, doveva percorrere la foresta alla ricerca di un seme, una ghianda, una bacca, qualcosa che la “ispirasse”, che attirasse la sua attenzione, che dopo un rito propiziatorio agli Dei, avrebbe piantato in un vaso e, appena nato il figlio o figlia, l’avrebbe travasato nel terreno fertile della tenuta, la pianta o l’albero simboleggiavano il legame con la Natura, i suoi elementi e gli stessi Spiriti, e sarebbe stato il principale luogo “di preghiera” del nuovo arrivato in famiglia.
In mezzo alla terra, era comparso un piccolo Germoglio verde brillante, come era appena nata la sua bambina dal grembo della sua amata, anche quella piccola vita era venuta alla luce del seme che lei stessa aveva raccolto e accudito.
Ma cosa ci faceva lì? Quando quell’essere l’aveva preso? Ma soprattutto, perché lo aveva lasciato il quel punto? Sembrava averlo fatto apposta, come che volesse che lui lo trovasse… Si aspettava che sarebbe uscito ad affrontarla?
Lo riguardò con attenzione, la nuvola scura era ormai passata e il sole era tornato a splendere, qualcosa brillò colpito dalla luce, spuntava dalla terra vicino al germoglio, una specie di pietra preziosa attaccata a qualcosa di un metallo a lui sconosciuto.
Con attenzione, in modo da non danneggiare per sbaglio il bocciolo, estrasse quello che sembrava un pendente, grande come il palmo della sua mano, un Triquetra intrecciato con incastonate delle pietre preziose, brillava benchè lo stato evidente di usura, doveva essere antico, dalle decorazioni e incisioni pure lui capiva che era stato creato seguendo la simbologia celtica, ma a quando risalisse non poteva minimamente dirlo.
Lo osservò concentrato, una veloce e vaga immagine, un ricordo, gli apparve nella mente, lo aveva già visto… ma dove? Forse in uno dei quadri della famiglia Fiachran?

Un forte pianto di neonato lo ridestò dai suoi pensieri, ora che la possibile minaccia era sparita, poteva rilassarsi e andare a dare il “Benvenuto” alla sua bambina, si portò dietro sia il vaso col germoglio, sia il gioiello trovato, così da farlo vedere alla suocera che di certo ne sapeva più di lui, ma appena smaterializzato davanti alla porta, li lasciò sul mobile lì fuori, non gli andava di rovinare quel momento con quel nuovo mistero, avrebbe raccontato tutto dopo.
Entrato nella stanza vide la moglie nel letto stremata, arrossata e sudata, i capelli le ricadevano scompigliati sul viso, ma un enorme sorriso le illuminava il volto, con la piccola creatura stretta al petto; quando la donna lo vide, i suoi occhi erano tanto carichi d’amore che non sembravano del loro solito freddo nero onice, era come che l’esser diventata madre glieli avesse scaldati.
Gli fece cenno di avvicinarsi, completamente rapito da quella visione, l’uomo si mosse verso quel meraviglioso miracolo, prese con enorme delicatezza il fagottino con la paura di romperlo, e ascoltò la voce flebile e stanca della compagna cercare di fare le dovute presentazioni:


<< Sir Ryan Niamh, le presento sua figlia. Ma sappi che per me sarà sempre Muìrïn>>

Ryan si sedette lentamente vicino alla moglie, mentre la nonna e la sua amica uscivano in silenzio dalla stanza per lasciar loro un po’ di intimità, nello sguardo di Kathleen aveva scorto gioia, ma anche una preoccupazione che avrebbero dovuto affrontare… ma dopo, adesso tutto il suo mondo era racchiuso lì dentro, in quella camera, e l’unica cosa che voleva provare in quel momento era il suo cuore che esplodeva di felicità e amore, non c’era posto per paura e dubbio.
Non sapeva cosa dire, l’emozione di stringere per la prima volta sua figlia era troppa per esser descritta o anche solo per parlare, il tempo si era fermato nell’attimo che aveva varcato quella porta e aveva visto sua moglie, ora diventata madre, stretta a sua figlia, le sue due “cose” più importanti al mondo, le sue due uniche ragioni di vita.

famiglia_con_bimbo



Riuscì solo a sorridere come un ebete a colei che aveva realizzato uno dei suoi più grandi desideri, con un dito toccò delicatamente una rosea guanciotta, la piccola creatura in risposta alzò un braccino e gli prese il dito con quella sua minuscola manina…
Tra i due innamorati, appena diventati genitori, una risata spensierata risuonò nella stanza e per tutta casa.


<< Benvenuta, piccola Mìreen Kathleen Fiachran Niamh >>

baby




I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it


Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 01:03
 
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view post Posted on 31/5/2018, 21:30
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Scheda PG Contest MAGGIO 2018 _ SOSPIRO ♦

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I Sospiri sono manifestazioni delle nostre emozioni.
I Sospiri sono i respiri del Cuore, scrigno dei sentimenti più profondi,
dai più luminosi come l’amore, ai più oscuri come il dolore e l’odio.
Possiamo sospirare per stupore e sorpresa,
per delusione, rabbia o frustrazione…
...ma i Sospiri più profondi sono quelli che nascono dal Cuore.
Quelli nati da sentimenti forti e tanto intensi da arrivare fin dentro l’anima e farla sospirare.


Mìreen prese il sapone di una leggera colorazione rosata e ne fece colare un po’ nella vasca, poi prese una manciata di Sali profumati e sparse anch’essi a caso, accese l’acqua e la regolò per averla calda, poi si spogliò e gettò i vestiti in una cesta posta in un angolo del bagno, rabbrividendo per il freddo.
Ne aveva bisogno, dopo tutti quei giorni passati all’aperto, a camminare di qua e di là sotto la pioggia, per finire i preparativi per il giorno di Ostara e del suo compleanno ormai imminente... quella sera poi il freddo era tornato più prepotente che mai a bussare alle porte di Londra, fregandosene che fosse ormai primavera.
Era tesa da quando aveva concluso il colloquio con Rhaegar e da quel momento non c’era stato un solo momento che lo avesse passato ferma, immersa nei propri pensieri. Probabilmente la causa era da attribuirsi alla madre che temendo una nuova “ricaduta” l’assillava e riempiva di impegni per tenerla occupata, e di questo le era stata tanto grata, ma ora aveva bisogno di quella solitudine che dopo la morte del padre aveva imparato ad apprezzare e non più a temere.
Dopo il lungo viaggio di ritorno a Londra per occuparsi dei moduli di assunzione al Ministero, a breve sarebbe nuovamente partita per tornare al suo villaggio per i festeggiamenti, se voleva un po’ di pace e tranquillità doveva approfittare di quei pochi giorni.
Si sedette sul fondo della vasca dove aveva messo un morbido asciugamano ripiegato per stare più comoda, cercò di allungare le gambe, ma purtroppo non aveva abbastanza spazio, oppure era lei troppo alta, dovette così tenerle un poco piegate. Non era un problema, da quando aveva scoperto che in quell’appartamento c’era una vasca da bagno come quella a casa sua, invece della solita doccia, aveva continuamente desiderato trovare l’occasione per godersela, riempirla fino all’orlo e farsi un bel bagno rilassante, come quelli che si vedevano nei film, con la schiuma, i sali profumati e le luci soffuse.
Appoggiò la schiena alla parete della vasca, e ascoltando il rumore dell’acqua che lentamente riempiva la bianca vasca, si mise a pensare a tutto quello che le era successo da quando era a Londra e che l’avevano segnata profondamente.
Si era trasferita prima di Natale e ora era già al suo compleanno; quanto avrebbe voluto festeggiare con le persone che aveva conosciuto, soprattutto le mancava la sua amica Lia, avrebbe tanto voluto invitarla al suo compleanno, ma era andata in Belgio e purtroppo si erano potute giusto sentire per cellulare, quello strano congegno babbano che però si era rivelato alquanto utile.
Non vedeva ora di abbracciarla e farla conoscere alla sua famiglia, era stata la prima persona che le aveva dato subito un senso di fiducia che non credeva di trovare in una città come quella.
Quando si erano incontrate e parlate, tra loro si era subito creato un legame,
unite da un filo invisibile a cui si erano entrambe aggrappate, quasi disperate nella speranza che l’una capisse l’altra,
unite da un passato doloroso e dal bisogno di tornare a vivere, a provare emozioni e affetto reciproco.
Pensare all’amica, bella come una dea, ma così impacciata verso alcune sue manifestazioni di amicizia come assaltarla all’improvviso o imboccarla con un pasticcino ad una festa, non poterono che farla sorridere a quel ricordo.
Il senso e bisogno di proteggerla, che riservava di solito solo alla sua famiglia, si era esteso anche a lei e avrebbe lottato contro il mondo intero perché quella purezza, quell’innocenza non venisse più macchiata, sporcata dalle brutture del mondo.
Certo, l’ultima cose che si poteva dire era che Lia O’Connor fosse debole, le aveva raccontato del suo gesto e del suo problema con un coraggio così grande che era solo da ammirare, per non parlare dell’arpia che custodiva dentro di sé e che sperò di non far mai arrabbiare.
Sospirò. L’acqua le era arrivata al polpaccio.
Avrebbe voluto essere coraggiosa e forte come lei, invece dopo aver concluso il colloquio con Rhaegar, decretando così che ufficialmente non era entrata tra gli Auror ma doveva accontentarsi della Polizia Antimago, tornata a casa aveva pianto come una bambina, e quando era comparsa sua madre, non era riuscita a trattenere un altro pianto a dirotto.
Si sentiva ancora così delusa, così sconfitta, si era rialzata ed era andata avanti benchè il “cambio di rotta”, ma non poteva mentire a se stessa, ancora ne soffriva.
Cosa avrebbe pensato e detto suo padre se fosse stato ancora vivo?
Suo padre…
Un profondo triste respiro le sfuggì dal petto.
Guardò verso l’alto, il bianco soffitto era illuminato solo dalle candele profumate che aveva acceso e appoggiato sul muretto ai piedi della vasca e sul mobile poco distante dal lato opposto, la debole luce tremolava lenta e irregolare, le fiammelle danzavano come volessero accompagnare i suoi pensieri e ombre indefinite venivano proiettate su quel muro immacolato.
Avrebbe mai superato completamente l’accaduto? Avrebbe mai parlato o pensato a lui senza quei sospiri carichi di dolore e tristezza?
Perché dopo tutto quel tempo ancora sentiva la fitta al petto?
Forse non aveva ancora accettato la sua morte? Eppure erano passati anni…
Una lacrima salata traditrice, scivolò sul suo viso rigandole le guance per poi perdersi nell’acqua dolce della vasca.
Lo aveva deluso non entrando negli Auror?
Come avrebbe fatto a trovare e catturare l’assassino di suo padre senza esser un auror?
Rhaegar le aveva detto che il caso non era stato archiviato, che lui stesso voleva “vendicare” il brav’uomo che era stato suo padre… Eppure erano passati anni dall’assassinio, perché non lo avevano ancora preso??

Le sue mani andarono a stringersi a pugno sotto la superficie dell'acqua, si conficcò le unghie nei palmi fin quasi a farli sanguinare dalla rabbia di non poter partecipare attivamente all’arresto.
NO.
Non si sarebbe fatta da parte! Se credevano di poterlo scovare senza di lei col cavolo che lo avrebbe accettato! Anche a costo di mettere a rischio il suo distintivo.
Fece dei respiri profondi e regolari per calmarsi.
A sua madre non piaceva che si parlasse di quella sera, Mìreen ancora ricorda come la madre giorni prima dell'accaduto fosse agitata e inquieta, non riusciva a dormire e continuava a controllare il marito come che gli dovesse succedere qualcosa da un momento all’altro, con una paura negli occhi che la si poteva vedere a km di distanza.
Come poteva anche solo immaginare che potesse accadere nel momento esatto che era corsa al supermercato per comprare due cose veloci?

Aveva deluso suo padre?
Continuava a chiederselo e ogni volta si rispondeva di No, ma forse non era poi così tanto convinta se continuava a porsi la domanda. Anche sua madre glielo aveva assicurato… “Avrebbe accettato il cambio di rotta con un sorriso, dicendoti di non rattristarti perché ogni cosa avviene per un motivo”
Com’era stato per l’incontro tra lui e Sheryda, sua madre.
Sua madre…
Aveva perso quella luce negli occhi, quell’energia e vita pulsante che aveva prima della tragedia, certe notti, ancora la sentiva piangere, cercare di soffocare i singhiozzi contro il cuscino per non farli sentire a loro, ma era inutile e a tradirla erano gli occhi gonfi e rossi il mattino dopo per la mancanza di sonno e il pianto notturno.
Quando suo fratello era piccolo, gli avevano raccontato che suo padre era diventato una stella, la più bella e luminosa, che dall’alto li osservava e vegliava su di loro dal mondo degli Spiriti… e quella visione ai loro occhi era tanto bella da rimanere impressa nella mente anche adesso che erano cresciuti.
Se aveva bisogno di parlare con lui, non aveva bisogno per forza di andare sulla sua tomba, ma aspettava la stellata, alzava gli occhi al cielo e cercava la stella più luminosa.
Ora che era a Londra, era così difficile parlargli… a malapena si vedevano le stelle, figuriamoci trovare la più luminosa.
Altre lacrime seguirono la prima, ma non voleva piangere, aveva pianto abbastanza, sia per l’esito del colloquio, sia e soprattutto per suo padre… ma con un amaro sorriso dovette accettare di non aver ancora superato la sua morte.
Chissà poi se l’avrebbe mai superata… Sicuro non da sola.
Come si superava la morte di un genitore?
Come si superava la morte di un marito?
Mìreen consolava sua madre come poteva, ma alla fine era una figlia che aveva perso il padre, non sapeva come ci si sentiva ad essere una moglie che perde il marito, l’uomo a cui aveva giurato eterno amore e con cui aveva legato la propria anima per sempre, anche dopo la morte.
Come ci si affidava tanto ad una persona, da perdersi completamente quando questa per un qualche motivo non c’era più?
Sospirò rassegnata.
Alla fine, non avrebbe saputo la risposta alle sue domande finchè non sarebbe successo anche a lei.

L’acqua le era ormai arrivata a sopra la pancia, piano piano isolotti di schiuma rosata si creavano con l’aumentare dell’acqua, il profumo floreale che si sollevava grazie al vapore era meraviglioso.
Un volto comparve nella sua mente, lo aveva relegato volutamente tra i ricordi che voleva nascondere al proprio cuore.
Effettivamente le era successo di credere di poter provare quello che i suoi genitori avevano provato l’un per l’altro… la notte che aveva incontrato quel ragazzo dai capelli rossi e gli occhi azzurri come il mare.
Portò le ginocchia al petto per stringerle, il viso nascosto, appoggiato alle lunghe gambe.
Si era trovata così tanto bene in sua compagnia, sembrava un ragazzo carino e semplice, si era comportato da cavaliere e l’aveva aiutata a liberarsi di un pervertito, e mentre parlavano, si era rivelato avere anche molte cose in comune, come l’origine irlandese, l’amore per i miti e leggende celtiche, e purtroppo il dolore per la perdita del padre.
Quando le aveva raccontato quel piccolo fatto tanto personale, aveva letto nei suoi occhi una tristezza e sofferenza che le avevano ricordato sé stessa, l’aveva fatta sentire ancora più vicino e non aveva resistito dal sfiorarlo, come un magnete attirato da un altro, l’impulso di volerlo consolare era stato così forte che senza accorgersene gli aveva tracciato col dito, sul suo braccio nudo, il simbolo della sua famiglia.
Un simbolo che si tracciavano in caso di bisogno, per tranquillizzarsi, e come gesto di amore profondo.
Al ricordo del contatto con la pelle di lui, il suo cuore prese a battere più veloce e il calore che sentì non proveniva solo dall’acqua calda che l’aveva quasi completamente avvolta, ma dai sentimenti che quel giovane aveva suscitato in lei dopo tanto tempo che il suo animo era rimasto freddo e immobile.
Il suo cuore aveva preso la rincorsa nel rivedere con gli occhi della mente, quel viso maschile ben delineato, la leggera barba, rossa come i capelli, il fisico ne asciutto ne troppo muscoloso, il giusto da smorzare il fiato ad una ragazza.
Il corpo di lui aveva aderito a quello di lei, anche solo per un attimo, un piccolo istante… quando si era buttata disperata tra le sue braccia per baciarlo.
Spense l’acqua con la mente persa in quelle sensazioni passate.
Si strinse le braccia al corpo, non aveva freddo, il vapore caldo aveva ormai saturato il bagno fino ad appannare completamente lo specchio, ma forse cercava la sensazione di quel contatto intimo che avevano avuto anche se breve.
Perchè non poteva fermare il tempo? Si era sentita così protetta, così al sicuro…
Una sensazione che non provava da quando era piccola e correva da suo padre dopo un brutto sogno o per uno spavento; dopo essersi trasferita a Londra, tanto lontana da casa, tutta sola, un rifugio era ciò di cui aveva più sentito il bisogno, ma era finito troppo presto.
E quando lo aveva baciato?
Sovrappensiero sorrise e si portò un dito alle labbra, come volesse cercare una traccia di quel contatto, una traccia che ormai non c’era più, scomparsa col tempo.
Avrebbe voluto durasse in eterno, invece era stato così veloce e impacciato…
Lei non baciava così, ma con lui si era sentita come fosse alla sua prima volta, forse perché stava facendo una cosa stupida che se non fosse stata ubriaca non avrebbe mai fatto? Forse temeva il suo rifiuto e l’aveva fatto prima che lui potesse reagire?
Un lento e caldo respiro uscì dalla sua bocca su cui poggiava ancora il dito, si mordicchio le labbra persa in quel delizioso ricordo.
Quelle labbra… morbide… quel calore provato appena le aveva toccate con le proprie…
Scrollò la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli raccolti sulla testa in modo disordinato, tanto che numerose ciocche si erano già sciolte e ricadendo di erano bagnate.

bagno



Cercò disperata di calmare di nuovo quella corsa impazzita e dove i pensieri la stavano portando.
Non doveva farsi illusioni. Doveva smettere di pensare a lui.
Lo aveva rivisto alla festa di Natale con una ragazza e si vedeva chiaramente che stavano insieme o che comunque tra loro c’era del tenero reciproco, e se avesse potuto avere ancora qualche dubbio e speranza, era bastato il bacio che si erano scambiati per confermarlo.
Una leggera fitta le attraversò il petto quando rivide la scena di loro due, e lei che da lontano li osservava incapace di distogliere lo sguardo.

[ Povera piccola Mìreen… Finalmente trovi un ragazzo capace di smuoverti i sentimenti, e lui è già di un’altra.]

Fece una smorfia a se stessa.
Ma alla fine, chi era lei per affermare di essersi innamorata dopo una sola serata?
No, quello non poteva essere amore. Amore era altro.
L’amore era quello che aveva unito i suoi genitori e che anche dopo la morte, impediva a sua madre di andare avanti e farsi una nuova vita, ma non perché costretta, ma per sua libera scelta.
Una volta le aveva detto, con un semplice sincero sorriso:
"Ho avuto tutto nella vita.
Una casa piena di affetto, l’amore della mia vita, e dei figli meravigliosi. E anche se il mio “muirn beatha dan” mi è stato portato via troppo presto, voglio vivere pensando solo alla nostra famiglia, alla felicità della nonna, tua e di tuo fratello… Perché ciò che voglio è stare con voi e solo con voi, finchè gli Spiriti non mi chiameranno a sé e potrò ritrovare vostro padre... So che mi sta aspettando, e quando sarà il momento, lo raggiungerò... per stare insieme, e sta volta sarà veramente per sempre."


= Anima gemella, compagno della vita


E nei suoi occhi, Mìreen aveva visto puro amore, un amore che superava la barriera della morte, neanche l’ombra di un dubbio, non c’era incertezza nella sua voce.
Era quello l’amore che lei sognava e tanto agoniava, non una scappatella da una botta e via, non un fugace desiderio, l’emozione di lasciarsi andare per una notte.
Si era “conservata” pura e inviolata solo per l’uomo che sarebbe stato il suo “muirn beatha dan”… ma non lo aveva ancora trovato. Era arrivata a 25 anni con fin troppa conoscenza del genere maschile, da poter dire che la sua anima gemella se la stava prendendo comoda a farsi vedere o riconoscere.
Magari sarebbe potuto diventarlo quel ragazzo del pub, infondo non aveva mai sentito il suo corpo reagire come aveva fatto in sua presenza, ma lui non aveva mostrato interessato in lei.
Non doveva essere una reazione uguale per entrambi? Non dovevano provare la stessa cosa nel momento in cui le due persone destinate a stare insieme si incrociavano?
Invece lui si era addirittura innamorato di un’altra, figuriamoci se poteva essere l’uomo del suo destino.
O non erano ancora pronti "a riconoscersi"?
Sbuffò pensierosa. Forse era pentita per non essersi comportata diversamente con lui…
Sarebbe servito lasciargli un recapito per contattarla? Ma credeva fosse un babbano e lei non aveva ancora il cellulare!
Gli poteva dare il suo indirizzo, ma per tutta la serata non si era mostrato minimamente attratto da lei, probabilmente il suo foglietto sarebbe finito buttato nel primo cestino a portata di mano e lei sarebbe stata ad aspettare che comparisse alla sua porta come una stupida deficiente.
No, alla fine aveva fatto bene, certo si poteva risparmiare un po’ di agonia se avesse evitato di baciarlo, almeno i ricordi di quell’incontro sarebbero stati meno dolorosi-fastidiosi e sicuramente meno imbarazzanti, soprattutto dopo aver scoperto che probabilmente stava con un’altra, ma alla fine era andata così perché così doveva andare.
Il fato stava giocando coi suoi sentimenti, e si stava pure divertendo parecchio.

Tornò a guardare i giochi di luci e ombre che le candele stavano facendo, distolte dai vapori che si sollevano dalla vasca piena d’acqua calda.
Un’ombra proiettata sul muro opposto le ricordò qualcuno di famigliare… Ma chi?
Appena le venne in mente, un sorriso le comparve sul volto; come avesse fatto la sua testa a collegare quella figura indistinta, proprio a lui non aveva senso… Che razza di immaginazione aveva??
Era da mesi che non vedeva più quel ragazzo.
L’uomo del mistero. Avvolto completamente nel suo mantello nero, col cappuccio che gli celava il volto.
Lo aveva incontrato al Regent’s Park una notte che aveva avuto una delle sue “crisi notturne” e aveva cercato conforto nello scorrere dell’acqua della fontana del parco, a quell’ora chiuso.
Il loro era stato sicuramente un incontro “insolito” decisamente poco “normale”, fin da subito le aveva puntato la bacchetta contro e si era mostrato nei suoi confronti alquanto teso, guardingo, distaccato.
Aveva avuto sicuramente un comportamento sospettoso e inusuale per una persona “innocua”, un alone di mistero e pericolo lo avevano accompagnato per tutta la loro conversazione, ma stranamente lei era finita per non spaventarsi, ma addirittura ad incuriosirsi di lui, delle sue parole, della storia che nascondeva, tanto da trovare piacevole la sua compagnia.
Dopo che l’aveva ascoltata dire frasi senza senso e consolata, l’aveva portata in cima ad una collina a guardare quello spettacolo che mai avrebbe pensato che la capitale inglese nascondesse, da quel momento non l’aveva più odiata, certo non l’amava, ma il fatto che potesse avere il suo fascino, benchè lo smog, il tempo del cavolo e la confusione, gliel’aveva fatta apprezzare di più.
L’aveva consolata e mostrato ciò che aveva bisogno per apprezzare un poco quella città tanto diversa da casa sua.
Come poteva non desiderare la sua vicinanza dopo lo spettacolo delle luci di Londra che lui aveva condiviso con lei?
Così aveva messo via la bacchetta e aveva dato sfogo al proprio desiderio di farsi un’idea dell’uomo che aveva incontrato: con estrema attenzione e lentezza, gli aveva toccato il petto e il braccio da sopra il mantello e, ad occhi chiusi, aveva seguito i lineamenti del suo volto. Un viso giovane, i cui colori erano a lei sconosciuti a parte la pelle chiara, stupita aveva sentito una benda nascondergli l’occhio destro e una cicatrice sopra il sinistro.
Chissà cos’era successo… Come si era ferito?
Chiuse gli occhi, come aveva fatto quella notte, e a quel ricordo il suo cuore perse un battito.
Avrebbe giurato di aver sentito il suo respiro avvicinarsi sempre di più al proprio viso, lo aveva sentito a 1-2 cm dalla propria bocca, le labbra di lui avevano sfiorato le sue, un bacio che non era effettivamente un bacio, ma una via di mezzo tra desiderio e negazione.
Se lo era forse immaginato? Desiderava che lui la baciasse, ricambiasse il contatto umano, tanto da credere che l’avesse quasi baciata?
Aveva ancora gli occhi chiusi, ma in quella serata fredda non avrebbe mai confuso il suo caldo respiro, inoltre aveva ancora una mano appoggiata alla sua spalla e una sul suo viso quando lo aveva chiaramente sentito avvicinarsi… aveva addirittura trattenuto il respiro in attesa di scoprire cosa volesse fare, incapace di muoversi temendo che lui potesse ripensarci.
Ma alla fine non l’aveva baciata ed era sparito nel silenzio della notte.
Cosa lo aveva bloccato dall’approfittare e prendersi ciò che lei senza neanche accorgersene gli aveva offerto?
Dalla loro conversazione, gli era sembrata un’anima tormentata dai fantasmi del passato, forse centravano dei traumi, degli errori, delle promesse, fatti e azioni che gli avevano segnato la vita, qualcosa era successo per portarlo ad odiare gli Auror… ma almeno non si era schierato coi Mangiamorte. Era rimasto in una via di mezzo tra il senso di giustizia per salvare ciò che ancora c’era di buono nel mondo, e il reputare necessari interventi violenti perché i soli veramente utili e capaci di fare la differenza.
Quanto avrebbe voluto tranquilizzarlo e rassicurarlo…
Si sarebbe sfogato e liberato di qualche fardello che portava sulla coscienza se glielo avesse permesso? Le aveva offerto di portare qualcuno dei suoi demoni, ma se fosse lei quella che voleva alleviargli un poco quel peso che portava sull’anima?
Dargli un po’ della sua speranza avrebbe aiutato a lenire le sue pene?
Temeva che potesse commettere azioni pazze e sconsiderate gettandolo sempre di più nel vortice distruttivo che lui stesso probabilmente si era creato e da cui non riusciva a tirarsi fuori…
Che fosse troppo tardi?
Certo che nel giro di poche settimane aveva incontrato due ragazzi completamente diversi, eppure entrambi sembravano portare sulle spalle un passato doloroso e che qualcosa desse loro ancora la caccia, il tormento, sofferenza.

La schiuma creatasi nascondeva in parte il suo corpo nudo sotto quella superficie trasparente e tiepida, dove l’acqua del rubinetto cadeva a goccia, creava piccoli cerchi perfetti che mano a mano si allargavano finchè non arrivavano a toccare la sua pelle, lei era lo scoglio contro il quale si scontravano distruggendo la perfezione di quei cerchi.
Sollevò il braccio destro, portandolo fuori dall’acqua, teso in alto sopra la sua testa, leggermente inclinato. Osservò le goccioline scendere lentamente dalla punta delle sue unghie, dalle sue dita, fino al gomito, dove alcune cadevano mentre altre continuavano la loro discesa fino a ritrovare l’acqua poco prima della spalla.
Con l’altra mano raccolse una nuvoletta di schiuma che passava ignara poco distante dal suo seno e fece lo stesso.
L’unica schiuma che scendeva, era quella che era rimasta aderente al braccio e che grazie all’acqua scivolava sulla sua liscia pelle chiara.
Chi era lei? Chi voleva essere?
La gocciolina che coraggiosa scendeva il braccio incurante dei possibili pericoli lungo la strada, perseguendo l’obiettivo di tornare all’acqua da cui era stata separata?
O la schiuma che immobile sul palmo della sua mano, si accontentava di stare dov’era benchè tanto lontana “da casa”?
Ci pensò un momento.
Poi avvicinò al viso la mano sinistra su cui teneva la schiuma e soffiandoci sopra, distrusse quella soffice e rosata nuvoletta.
Sorrise divertita, come quando da bambina giocava a far esplodere le bolle di sapone, portò la testa indietro fino ad essere a pelo dell’acqua, prese il respiro e spinse anche il viso sott’acqua aiutandosi con le mani.

bagno-2



La pace regnava sovrana sotto quell’acqua pulita, avrebbe anche aperto gli occhi come faceva quando si immergeva nel suo lago, ma temeva che il sapone le potesse bruciare negli occhi, così restò nel buio di quel mondo ovattato, dove anche i suoi pensieri si zittivano, dove sentiva solo il battito del suo cuore rallentare per risparmiare ossigeno. Era brava a stare in apnea, adorava quasi stare più in acqua che sulla terra.
Con le mani fuori, picchiettò le unghie sulla ceramica (o qualsiasi materiale fosse la vasca) e ne ascoltò il suono distorto dall’acqua, poteva quasi immaginarsi l’onda sonora attraversare l’aria e scontrarsi contro quel “muro” fatto di molecole tutte unite, tutte legate l’una all’altra da deboli legami, così deboli da esser attraversati, eppure abbastanza forti da modificare e rendere più difficoltoso l’avanzare di quel piccolo, semplice ticchettare delle sue dita.
Suo padre era ancora orgoglioso di lei?
Avrebbe mai rivisto il ragazzo rosso del pub?
Chi era il ragazzo avvolto nel mantello incontrato al parco?
Avrebbe mai incontrato il suo “muirn beatha dan”? O lo aveva già fatto ma non lo aveva riconosciuto?
E altre domande le vorticavano nella mente… tante domande… troppe domande…
La facevano solo preoccupare, la distraevano da ciò che invece poteva veramente realizzare e se voleva iniziare finalmente una nuova vita a Londra, doveva ripartire da 0 senza aspettative passate, senza paragoni e senza troppi castelli in aria.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, il tempo sott’acqua lo percepiva trascorrere diversamente rispetto a fuori, poteva sembrare fosse passata un’ora, quando invece erano trascorsi solo pochi minuti o addirittura secondi.
Tornò fuori con la testa, solo quando sentì le continue e numerose domande nella sua testa calmarsi, sparire… c’erano ancora, ma erano state chiuse in un cassetto e la chiave messa in una bottiglia e lasciata alla deriva di quel mare che era solo nella sua mente, e che ad ogni onda portava idee e speranze, nuovi obiettivi da perseguire, nuovi sogni da realizzare.
Certo prima o poi quella chiave sarebbe tornata alla spiaggia dei ricordi, dei dubbi e dell’incertezza, ma per un po’ non voleva pensarci, non ci avrebbe pensato.
Che senso aveva porsi quelle domande, se non aveva modo di darsi una risposta?

doccia



Era ora di concludere quel bel bagno rilassante e rigenerante, per rituffarsi nella vita caotica che si era scelta.
Con un sospiro, tolse il tappo dalla vasca, si alzò e accese lo spruzzino per farsi una doccia veloce, intanto che lentamente l’acqua spariva dalla vasca insieme alle sue paure e incertezze.
Quando ebbe finito, si sbrigò ad avvolgersi nel suo morbido accappatoio color lavanda per poi passare davanti allo specchio… era ancora appannato dal vapore che si era creato in bagno.
Mìreen osservò il suo riflesso sfuocato, poi sorrise e come faceva da piccola, con l’indice scrisse un messaggio che le sarebbe riapparso solo al suo prossimo bagno:

“ Breathe le d'Intinn,
Sighs sé as an Croí “


= Respira con la mente, Sospira col cuore.



I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it


Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 04:39
 
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Il sole era alto nel cielo, intervallato da nuvole grigie… uno strano tempo: ne sereno, ne nuvoloso.
Mìreen camminava verso il suo amato lago, non sapeva perché, ma qualcosa le diceva di andarci, che era importante. Così aveva abbandonato ciò che stava facendo e si era incamminata in mezzo al bosco, seguendo quella sensazione che la portava sempre più lontana da casa, nel cuore della foresta.
Mentre camminava udì un suono provenire non troppo distante, più si avvicinava al lago, più il suono si faceva nitido, finché non riuscì a riconoscere un pianto che rompeva il silenzio della natura, preoccupata affrettò il passo e decise di dirigersi nella direzione da cui le sembrava provenisse, finendo per sbucare nel morbido prato pianeggiante che precedeva il grande specchio d’acqua.
Si guardò intorno, alla ricerca della fonte di quel lamento addolorato e vide così una piccola figura… era una bambina dai capelli lunghi e bianchi come la neve, una pelle chiara come la porcellana, inginocchiata sotto l’ombra di un salice piangente.
Lentamente si avvicinò, quasi attirata da quella “apparizione”, curiosa di sapere chi fosse e di scoprire perché piangesse.


<< Ciao piccola. Cos’è successo? Perchè piangi?>>

La bambina era girata di schiena, ma si capiva che aveva la testa china su qualcosa, i lunghi capelli ne nascondevano il viso ma piccole lacrime si vedevano rigare le guance e cadere su quello che, avvicinandosi ulteriormente e sporgendosi un poco oltre le piccole spalle, capì essere un uccellino, racchiuso tra le sue mani. Sembrava aver pianto già da un po’ a giudicare dalla voce rotta e rauca con cui le rispose:

<< Sta morendo.
L’ho trovato questa mattina vicino a casa e ho provato ad accudirlo, ma non posso guarirlo…
Sta morendo.
Non senti la sua vita scorrere via? Andarsene lentamente.>>



La vide tentare di trattenere un singhiozzo, col dito accarezzava con infinita attenzione e dolcezza la piccola creatura che effettivamente sembrava respirare con difficoltà, il becco aperto come per tentare disperatamente di raccogliere più aria possibile nei piccoli e ormai deboli polmoni.
Pur considerando insolite quelle parole, Mìreen ugualmente si abbassò per appoggiare una mano sulla spalla della bimba e darle un po’ di conforto in un momento così triste.
L’inaspettato contatto con la sua mano, fece sussultare la bambina, ma almeno l’aiutò un poco: era ancora abbattuta, però lentamente i singhiozzi si attenuarono come pure le lacrime.


<< La natura lo richiama a sé… presto se lo prenderà.
Non devo essere triste, ma sta soffrendo il poverino…
è così difficile sentirlo pigolare mentre se ne và.
Ma in fondo dovrei essere sollevata... di lui resterà un guscio vuoto,
la sua anima raggiungerà i suoi simili… e sarà felice per sempre.>>



La sua voce si abbassò e si addolcì ancora di più, avvicinò il viso alla creatura e gli disse, lentamente, come che potesse veramente comprendere le sue parole:

<< Piccolo mio, resisti… sta per finire tutto il tuo dolore.
Chiudi gli occhietti e dormi sereno,
perché ti aspetta un lungo viaggio verso la pace e la vita eterna.
Lascia che la tua anima voli via.>>



Come che la creaturina l’avesse ascoltata, come che avesse capito e accettato la propria sorte, sembrò di colpo tranquillizzarsi, chiuse il becco, il respiro si fece più regolare, e tra una delicata carezza e le dolci parole della bambina, piano piano i suoi occhi si chiusero e il suo piccolo petto si fermò completamente. Il suo corpo non si mosse più.

Mìreen era stupita, quasi spaventata.
Come faceva una bambina così piccola, avrà avuto 6-7 anni, a fare simili discorsi su un argomento tanto serio e delicato come la morte? Era triste e addolorata per l’uccellino, eppure come aveva fatto a rimanere così controllata con in grembo quella creatura morente?
Come che alla sua giovane età già comprendesse il significato della morte… e poi aveva detto “SENTI”, aveva forse sbagliato parola?
Osservò la bambina dare un bacino al corpo senza vita e adagiarlo con grazia sopra un piccolo fazzoletto di cotone con cucito un triquetra e affianco, in corsivo, le iniziali “K.O’N. F.


<<come ti chiami piccola? Dove sono i tuoi genitori?
Non è sicuro stare qui tutta da sola…>>


La bambina stava ancora accarezzando l’uccellino morto, ma si fermò appena sentì quelle domande, con voce incerta le rispose:

<< Noi veniamo sempre qui, non te lo ricordi?
Perché chiedi il mio nome? E di mamma e papà?
Dovresti saperlo chi sono…
Non ti hanno detto niente? Mamma… o la nonna…? >>



A quelle parole troppo strane, la giovane donna si mise in guardia e allontanò la mano dalla spalla.
La bambina, molto lentamente, si girò verso di lei, scostandosi dietro all’orecchio i lunghi capelli che fino a quel momento le avevano nascosto il viso.

Mìreen fece un improvviso balzo veloce all’indietro a quella vista, perse l’equilibrio e cadde seduta sul terreno con gli occhi sgranati e la bocca aperta, un’espressione di puro sgomento, con una buona dose di terrore.
La bambina che aveva davanti era UGUALE a lei!
Era lei, proprio lei! Solo che era la sua versione da piccola.
Aveva visto parecchie foto, sia magiche in movimento sia fisse scattate con una macchina fotografica babbana, e in tutte era UGUALE alla ragazzina che aveva davanti, l’unica differenza erano i capelli bianchi, non neri come il suo colore naturale… E gli occhi, occhi di un colore così chiaro da sembrare grigi… No non proprio grigi, forse era più un violetto?

baby_Muirin



Una nuvola grigia aveva oscurato il sole, gettando la zona nell’ombra, un’ombra più buia di quanto sarebbe dovuta essere, l’acqua del lago era diventata scura, minacciosa, e la bambina, avvolta in un vestitino chiaro, con quella poca luce, con quel colore così insolito di capelli e occhi, unito al rosso causato dalle lacrime versate poco prima per l’uccellino, le davano un aspetto quasi innaturale e a dir poco inquietante.
Mìreen indietreggiò, cercando di mettere più distanza possibile, mantenendo lo sguardo fisso su di lei, la sua mano corse alla tasca dove di solito teneva la bacchetta, ma non la trovò…
Com’era possibile? Non la dimenticava mai!


<< Chi sei TE?? Perché assomigli tanto a me quand’ero piccola?? Cosa sta succedendo?!>>

La bambina piegò la testa leggermente di lato, come che non comprendesse le sue parole, tristezza sul volto pallido… Che fosse data ancora dalla morte dell’uccellino di poco prima, o dal constatare che effettivamente la persona che aveva davanti non la riconosceva?

<< Allora non sai veramente chi sono…
RICORDA! >>



L’ultima parola l’aveva urlata, quella che sembrava un’aura oscura si era allargata intorno a lei come a volerla circondare, un misto di rabbia e delusione in quella voce di bambina divenuta acuta e agghiacciante, il viso imbronciato, arrabbiato.ù

In risposta al suo ordine, nella testa di Mìreen comparve l’immagine della madre, la notte della tragedia, quando aveva spalancato la porta del retro, aveva visto l’orrore successo, e con le mani nei capelli stava urlando, gli occhi sgranati… Eppure c’era un particolare che aveva sempre ricordato diversamente: l’iride non era nera com’era sempre stata e come credeva fosse anche quella sera… era grigia, puro metallo fuso in due occhi rossi e sconvolti dal terrore e dolore.
La bocca era aperta in un urlo che doveva esser stato disumano da come le aveva deformato i bei lineamenti del viso… ma lei non lo aveva sentito.
La giovane maga in quel momento stava morendo soffocata dal fumo, e a breve sarebbe finita anche bruciata dal fuoco… suo fratello ancora stretto tra le sue braccia, l’avrebbe seguita poco dopo, se non fossero stati poi salvati dalla madre che aveva già perso l’uomo della sua vita, non poteva perdere anche i frutti del loro amore.
Non sarebbe sopravvissuta a tanto dolore.
Le immagini le bruciarono il cervello, il caldo di quella notte avvampò circondandole il corpo come fosse veramente avvolta dal fuoco, la cicatrice le bruciò ancora una volta la carne e la sua gola si chiuse impedendole di respirare com’era successo anche quella volta, quando ormai la casa era satura di fumo e l’ossigeno era stato completamente consumato dalle fiamme.
Non era la prima volta che le succedeva, anche se gli episodi erano andati sempre più a diminuire nel tempo, ma raramente le sensazioni che provocavano erano così intense… quasi reali.
Prima che il panico la bloccasse, corse al lago, si buttò inginocchiata sui sassi e immerse la testa sotto l’acqua fredda nel punto più profondo della riva, dove l'acqua era più cupa.
Il bruciore e calore si attenuarono, riemerse prendendo avide boccate d’aria finalmente pura, gli occhi puntati al suo riflesso nel lago, goccioline di acqua le cadevano dalla chioma completamente bagnata...
Si immobilizzò.
Il suo corpo divenne teso e rigido, non solo perché aveva appena notato che i suoi capelli non erano del colore dell’ultima tinta fatta, ma Neri, completamente del suo colore naturale... ma ciò che la pietrificò veramente, fu la persona al suo fianco: una donna, giovane, capelli bianchi, gli occhi grigio-lilla, indossava lo stesso vestito leggero della bambina che si era lasciata alle sue spalle, ma ora era lungo fino ai piedi.
Guardò la donna attraverso il riflesso dell’acqua scura, ciò che vide, fu la sua esatta immagine: i suoi stessi lineamenti, le sue curve, il suo volto, aveva TUTTO di lei, tranne quel bianco candido nei capelli, quegli occhi di un colore indistinto e il pallore della pelle.
Nel riflesso del lago erano quasi l’una affianco all’altra, lei leggermente dietro, come che l’avesse seguita, eppure non l’aveva sentita arrivare, eppure si era lasciata indietro solo una bambina, ma quella che ora le stava vicina era una donna adulta.
Sembravano Gemelle, era l’esatta copia di Mìreen, ma una versione più “chiara” e... “pericolosa"?
Due gemelle perfette, tranne per quei colori.

Mireen_Muirin



Piano piano la sua copia si avvicinò di più a Mìreen, la quale era incapace di muoversi, come un topolino ipnotizzato, quasi affascinato dallo sguardo e dai movimenti del serpente.
Non era da lei, non era da lei restare così paralizzata, indifesa, eppure la sua testa era annebbiata e quel legame tanto strano quanto profondo che sentiva con quella creatura dall’aspetto tanto simile al suo, la faceva sentire Sì confusa e un poco spaventata, ma anche curiosa e stranamente tranquilla.
Si fidava di chi aveva davanti?
Qualcosa sotto la sua pelle, qualcosa nelle sue vene, la teneva immobile dov’era...
Una catena? No era più simile ad un filo, poteva quasi vederlo: rosso sangue, indistruttibile, univa lei e la donna che, lentamente, era entrata nell’acqua del lago, si era spostata in quella parte di riva più profonda, la lunga veste ormai dall'orlo bagnato, fino ad essere perfettamente di fronte a Mìreen.
Prendendole le mani, l’aveva fatta alzare, adesso entrambe erano in piedi, i piedi nudi di Mìreen erano sulla terra asciutta, intervallata da sassi arrotondati dall'azione erosiva delle onde nel tempo, mentre quelli dell’altra erano immersi nell’acqua fino al polpaccio…
Le bastava un passo per raggiungerla.
Eppure una vocina nella sua testa, ridotta a quasi un sussurro, come che qualcosa cercasse di soffocarla, le diceva di scappare, di lottare, di non guardarla, di non ascoltarla, di non seguirla.
Niente aveva senso.
Sulle labbra scarlatte della giovane sconosciuta, un sorriso comparve, lo conosceva bene perché era il suo, di quando voleva provocare, quando era la guerriera, “la predatrice”, quando incurante del pericolo stava per sfidare o affrontare qualcuno o qualcosa.
Si allungò e le sussurrò all'orecchio, come fosse un segreto tra amiche del cuore... tra Sorelle:


<< Ancora non mi conosci. Ancora non sai chi sono...
Ma lo scoprirai presto…
Aspettami. Ti sto aspettando da 25 anni,
ma aspetterò ancora… e ancora...
Perché so già che presto torneremo insieme,
come lo siamo sempre state.
Come avremmo dovuto già essere. >>



La donna dai capelli color neve le prese il viso con la mano destra e delicatamente lo volse verso il proprio, in modo da costringerla a guardarla negli occhi.
Mìreen ebbe un brivido nel sentire il contatto con quella pelle, perfettamente liscia, ma congelata… non solo era pallida, ma era anche fredda come la morte... eppure rimase dov’era, il suo corpo non aveva intenzione di muoversi e il suo sguardo si perse in quegli occhi sia grigi, sia violetti, un colore bello quanto misterioso...
Le sembrava di avere davanti uno specchio, aveva davanti il suo riflesso completo e quasi perfetto, non solo nell’aspetto, ma i movimenti erano gli stessi, le espressioni del viso, i gesti, anche se tutto aveva l'aura, un velo di tristezza, di oscurità, di pericolo.
La mano appoggiata alla sua guancia non si spostò, rimase dov’era, anzi la sua “gemella” si avvicinò ancora fin quasi a poterla sfiorare col viso, sentiva il suo respiro sul proprio collo, ma nessun calore proveniva da quel corpo.
Un’espressione vagamente preoccupata si dipinse su quel bel volto chiaro, poche parole seguirono, dette a fior di labbra, la voce tanto bassa da esser a malapena udibile, un tono confidenziale ma le parve ci fosse una nota nascosta di disperazione, come che la giovane sconosciuta nutrisse una qulche paura.


<< Il risveglio è vicino.
Aspettami… Ti troverò.
Cercami… Io sono te.
Io sono Muìrin.>>



E rapida, prima che il cervello di Mìreen potesse elaborare e riconoscere quel nome appena pronunciato, le labbra di lei si appoggiarono su quelle della mora, in un bacio che non nascondeva nessun secondo fine, nessun desiderio nascosto, nessun doppio senso...
Solo la suggellazione di una promessa: quella di tornare insieme, unite in un unico essere.

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Nel momento in cui la sua copia le disse il proprio nome, per poi baciarla, Mìreen si svegliò di colpo.
Era stesa sul suo letto, sudata e accaldata, la vista ancora annebbiata e un bruciore al petto dov’era la cicatrice.
Solo quando la vista tornò normale, si rassicurò nel rivedere i mobili della propria stanza, dall’enorme finestra nella parete opposta provenivano i rumori del temporale che fuori fischiava e tuonava, oltre al ticchettare della pioggia sul vetro.
Ora ricordava, era la notte prima del suo compleanno, era tornata al casolare in Irlanda della nonna per festeggiarlo con tutta la famiglia e aveva tanto sperato che l’indomani fosse bel tempo così da stare all’aperto.
Guardò l’orologio luminescente, la mezzanotte era già bella che passata.

Stava per rimettersi a dormire quando, con la cosa dell’occhio, una serie di lampi illuminarono l’esterno della finestra... E dalla porta a vetro che conduceva al balcone, vide il profilo di qualcuno.

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Una lunga veste nera stracciata avvolgeva la figura, lineamenti vagamente femminili, un cappuccio abbassato sul volto, tanto da nasconderlo completamente, solo una mano bianca, appoggiata al vetro, poco distante dalla maniglia della porta, era scoperta, tutto il corpo restava celato.
Sembrava quasi indecisa sull’entrare o No, limitandosi ad osservare la stanza al di là del vetro…
No, non la stanza.
Mìreen avrebbe potuto giurare che stesse fissando proprio lei.
Subito la sua mano scattò alla bacchetta sotto il cuscino e allungò l’altra verso l’interruttore della luce vicino alla spalliera del letto, ma nel momento in cui la luce si accese, chiunque fosse, scomparve.
Subito si alzò e corse scalza e in pigiama alla portafinestra del balcone, la trovò stranamente aperta... ma com’era impossibile? La chiudeva sempre prima di coricarsi.
Ci avrebbe pensato dopo, l’aprì ed uscì sotto alla furia del temporale, come aveva immaginato, non vide niente, nessuna figura inquietante, ne fuori dal balcone, ne in giardino o nei paraggi della casa.
Stava per tornare dentro quando il suo piede nudo e bagnato di pioggia pestò qualcosa, si chinò per raccoglierlo e alla luce proveniente da dentro la stanza, notò essere un braccialetto con un ciondolo.

Pochi secondi dopo entrarono come furie la madre e la nonna, spaventate, tremanti, il respiro corto di chi aveva corso rampe di scale poiché la camera di Mìreen era all’ultimo piano, la più isolata della casa.
Si agitarono ancora di più quando non la videro nel letto, iniziando a chiamarla e a guardare ogni angolo della la stanza, lei subito rispose da fuori, per non far venirle preoccupare più di quanto già fossero:


<< Máthair! Seanmháthair! Sono quaaaa!!!>>
Máthair = Madre
Seanmháthair = Nonna


<< Oddio cosa ci fai li fuori?! Cos’è successo?? Stai bene?
Ho sentito…….. rumori.>>


<< Vieni dentro prima che ti prendi un malanno con questo tempaccio.>>

La madre si mise a brontolare e continuò ad ispezionare la stanza, cercando chissà cosa, mentre la nonna restava immobile davanti alla porta, fissando l’esatto punto dove era comparsa la figura incappucciata.
Mìreen mise il bracciale nella tasca del pigiama, qualcosa le diceva che per adesso non era il caso di metterle al corrente del sogno e dell’accaduto, anche perché poteva sbagliarsi su quello che aveva visto, magari era solo l’ombra dell’albero deformata dal temporale, magari era il sogno ancora troppo vivido nella sua testa, che le aveva giocato un brutto scherzo…
Ma allora cosa ci faceva quel braccialetto per terra?
Entrò dentro e la madre prese a tastarla e assalirla di domande preoccupata, per poi esser fermata dalla stessa figlia che non capiva tutta quella agitazione così all’improvviso.


<< Sto bene! Che vi prende all’improvviso a tutte e due?!
Ho fatto un brutto sogno… e sono uscita a prendere un po’ d’aria fresca benchè il tempo…>>


Probabilmente era una scusa penosa, ma era l’unica che le era venuta in mente e doveva fare il possibile per apparire sicura, controllata, e agitata il giusto per un “brutto sogno” e non per “brutto sogno, più oscura presenza fuori dalla sua finestra che la fissava e forse voleva entrare.”

<< Mi vado a fare una tisana rilassante, voi tornate a dormire...
Vi state agitando senza motivo.>>


Mentre scendeva le scale, si chiese come fosse riuscita a pronunciare quelle parole con una tale tranquillità e fermezza, alle due donne che più la conoscevano, non le piaceva mentir loro, ma per non farle preoccupare era meglio così. Quando se la sarebbe sentita, avrebbe raccontato loro del sogno e della figura, infondo sua nonna era esperta nella Divinazione e la madre aveva una specie di "sesto senso" per ciò che riguardava entità e presenze.

[ Mi sa che sta notte me la faccio in bianco... E chi dorme tra il sogno e l'apparizioni fuori nel balcone...??]

Intanto che Mìreen si faceva una tisana, non faceva che pensare alla donna dai capelli bianchi apparsa nel suo sogno… Era perfettamente uguale a lei, solo capelli e occhi, oltre al pallore erano diversi, ma ogni cosa, dall’aspetto, ai movimenti, alla voce e addirittura le espressioni del viso erano le stesse sue.
Sembrava così dispiaciuta, delusa, arrabbiata, quasi offesa che lei non sapesse chi fosse, aveva dato la colpa alla madre e a sua nonna, che le stessero nascondendo qualcosa?
Qualcosa che aveva a che fare con lei perché quella ragazza aveva il suo aspetto, quindi in base a quello che sapeva sui sogni, una cosa del genere indicava un segreto che le riguardava direttamente…
Eppure sembrava così reale la donna, come che potesse toccarla.
Le venne in mente il bacio, la suggellazione di una promessa con un bacio o col sangue era qualcosa di serio, ma cosa voleva dire che sarebbero tornate insieme? Era comparsa nel suo sogno, No?


[ Ha parlato di aspettarla… di cercarla…
E perché ha detto di chiamarsi Muìrin? Quello è il mio soprannome… e lo conoscono solo i miei familiari e alcune persone a noi strette qui in Irlanda, non l’ho detto a nessuno a Londra, tranne a quel bel ragazzo tenebroso incontrato una notte al parco e che non ho più rivisto.
E questo braccialetto da dove proviene? Sono sicura non ci fosse ieri sera quando sono andata a chiudere la portafinestra... che ho trovato addirittura aperta...]


Tirò fuori il braccialetto e lo osservò dubbiosa, sembrava fatto a mano, una corda nera intrecciata univa le estremità, intervallate da perle, invece al centro vi era un ciondolo particolare: rappresentava una specie di albero della vita, con i rami intrecciati a formare quello che poteva esser il simbolo della sua famiglia.
Doveva ammettere che era molto bello, semplice ma significativo, come piacevano a lei.

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<< Deve esser stato per forza solo un sogno… E quella presenza sarà stata frutto della mia immaginazione.
Non può essere diversamente.>>


Guardò ancora il bracciale, rigirandoselo tra le mani.
Per sino lei non credeva alle sue stesse parole, non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva sognato, al possibile significato, e ciò che aveva visto quando si era svegliata...
Niente aveva senso.


<< ...Tanti Auguri a me... >>

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Madre e figlia osservarono la giovane maga andarsene dalla stanza.
Non avevano creduto ad una singola parola della ragazza, ma se aveva deciso di non raccontare ancora niente alle due donne, non era il caso di insistere.
Erano state svegliate nel pieno della notte, Kathleen da un'inquietante sogno rivelatosi divinatore: una figura incappucciata alla finestra della nipote che la osservava con l'intenzione di entrare; mentre Sheryda aveva percepito un'improvvisa e forte sensazione di pericolo legata alla figlia, le era poi bastato toccare il punto della portafinestra indicatole dalla madre, per vedere anche lei l'accaduto.
Appena Mìreen si era allontanata, le due erano corse fuori casa, sotto al temporale che infuriava, per mettersi subito all’opera nel circondare la casa con incantesimi di protezione e rinnovare quelli già esistenti.
Forse nel tempo, erano diventati troppo deboli per tenere lontano CHI… o COSA… si nascondeva oltre la foresta, al di là del lago.

La stessa figura che, sotto la pioggia, in piedi sopra un alto masso in pietra al lato opposto del nero e agitato lago, osservava da lontano la cima dell'antico casolare, leggermente visibile da sopra le cupe chiome della foresta attraversata.
Un lampo illuminò l'ombra di un sorriso sinistro, su un volto pallido, solo il vento che soffiava e fischiava incessante potè sentire le parole che quella bocca pronunciò... Una promessa? Una visione?


<< Non possono proteggerti per sempre... Il tuo destino è quello, che lo accettino.
Presto. Manca poco, mia giovane ragazza. >>




I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it


Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 04:44
 
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Scheda PG Contest AGOSTO 2018 _ STELLE
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Mìreen sedeva appoggiata al ramo più grosso della quercia che cresceva nella pianura a lato del suo lago.
Era tornata a casa per occuparsi della celebrazione di Lùgnasad, la precedente festa di Beltane era andata così bene che sua nonna e la madre avevano deciso di affidarle anche quelle successive; il 1° Agosto si avvicinava e lei aveva ancora parecchio da fare, ma quella sera se l’era presa per sé.
Era notte fonda, una notte decisamente troppo calda per il solito clima Irlandese, benchè fosse la stagione giusta, si era arrampicata lassù per ammirare la stellata, una delle più belle e luminose che avesse mai visto quell’anno, appena l’aveva scorta dalla finestra della sua stanza, aveva deciso di abbandonare i libri che stava consultando e di nascosto era sgattaiolata fuori casa per andarsene nel luogo dove avrebbe potuto ammirare meglio quello spettacolo: sulla riva del suo amato lago.

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Era dovuta andarci di nascosto perché, dopo i fatti successi la notte prima del suo compleanno, le era stato proibito di allontanarsi da casa di notte, in teoria anche di giorno, ma dopo una lunga litigata avevano patteggiato per concederle il giorno… che poi lei in segreto ci andasse anche la notte era un’altra cosa.
Appena arrivata si era stesa sotto quella stessa quercia su cui ora stava arrampicata; si stendevano sempre lì sotto lei e suo padre nelle notti belle come quella.
Quando sentì l’erba fresca a contatto col suo corpo, coperto solo da un leggero vestito, preso a caso dall’armadio, il ricordo di lui che le indicava le costellazioni, o che gli raccontava la sua ultima missione, o una delle tante storie e leggende che conosceva sulle creature che abitavano quella foresta e il lago, si fece largo nella sua mente e un velo di tristezza l’avvolse, il cuore fattasi più pesante e doloroso.
Nel buio della notte, solo il suono del vento che soffiava leggero e degli animali notturni come le cicale e le civette, rompevano il silenzio.

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Così stesa, sotto la volta di stelle, le sembrava di aver ancora suo padre affianco a sé, se si girava sul fianco destro, con gli occhi della mente, poteva ancora vederlo, mentre guardava il cielo e un sorriso sulla bocca intanto che parlava con la figlia… poteva ancora sentire la sua voce, una voce piena di allegria, di speranza, la luce di una fiamma che bruciava e illuminava chi e qualunque cosa intorno a lui.
Rideva con la bocca, ma anche con gli occhi, sempre spalancati meravigliati dal mondo, quella meraviglia tipica dei bambini che guardano quello spettacolo di stelle per la prima volta, e provano a contarle per poi stupirsi di non riuscirci…
Lui aveva sempre avuto quello sguardo, per quante volte avesse visto le stellate limpide e luminose nei cieli irlandesi, steso su quel prato, ogni volta le guardava come fosse la prima volta, ogni volta gioiva nel vedere una stella cadente e subito gliela indicava perché fosse lei ad esprimere un desiderio.
Dopo la sua morte, ogni volta che si era fermata ad osservare le stelle e ne aveva vista una cadente, aveva espresso sempre lo stesso desiderio… un desiderio impossibile, eppure aveva continuato a chiederlo, con ogni cellula del proprio corpo, con tutta la forza di volontà, ma purtroppo non si era mai realizzato… Forse chiedeva troppo, forse chiedeva un miracolo.
Alla fine, crescendo, aveva smesso di pregare le stelle, si limitava a stendersi su quella grande e antica quercia, le guardava da sola, e parlava, come che lui fosse veramente lì con lei.

Quando le prime lacrime erano cadute rigandole il viso, aveva deciso di alzarsi e di arrampicarsi sulla quercia, la stessa sulla quale aveva imparato, quell’albero dai robusti e resistenti rami, l’avevano vista tante volte cadere, scorticarsi e graffiarsi, con il padre che più matto di lei la seguiva sempre più in alto, e la madre che rideva e fermava le sue prime cadute con un “Arresto momentum” o l’afferrava al volo se l’altezza del ramo lo consentiva.
Era tornata a guardare la stellata, meno comoda di prima, ma almeno poteva gestire i suoi pensieri senza che andassero per conto loro, perdendosi nei ricordi e nel passato.
Appena vide una stella cadente, non seppe capire il perché, ma la sua mente corse subito al desiderio che per anni e anni aveva espresso... così chiuse gli occhi e pregò, come faceva un tempo, quando la ferita ancora sanguinava e si rifiutava di credere in quello che era successo e che non avrebbe più visto, quello che all’ora e ancora adesso era l’uomo più importante della sua vita.


[Chissà dov’è mio padre…
La sua anima è veramente nel mondo degli Spiriti? Ci sta veramente guardando da lassù o sono solo io a crederlo perché ho bisogno di sapere che in verità non è scomparso?
Athair… Dove sei?]

Athair = padre, papà

Pensieri… Domande…
Continuava a chiedersi quale fosse la verità e quale solo una bella illusione o menzogna, mille interrogativi le stavano assaltando la testa…
Aveva letto su vecchi libri ipotesi sulla vita dopo la morte, teorie su dove finisse l’anima quando il corpo smetteva di vivere. Quale era vera? Quale invece era stata inventata solo per sopperire alla paura di cosa ci sia dopo la morte?
Un leggero mal di testa stava iniziando a farsi sentire, ma ciò che la turbò e agitò non poco, fu quando il ricordo del sogno fatto la notte prima del suo compleanno le comparve nella testa con violenza improvvisa... L’immagine di quel piccolo uccellino moribondo, le parole della bambina che lo tranquilizzavano e lo accompagnava tra le dolci braccia della morte, e tutti quei discorsi sull’andare in un posto migliore, l’anima libera dal suo guscio… Quegli occhi grigio-lilla e i capelli bianchi… Prima una bambina, poi di colpo un'adulta, non una “normale donna”, ma la sua copia esatta, con quei colori strani, inusuali…
Basta. Era arrivata al limite.
Il caldo le stava davvero dando alla testa, aveva bisogno di riportare ordine nei pensieri e non lo avrebbe fatto da in cima quell’albero, ma dove meglio le era sempre venuto.
Scese dalla quercia, si tolse il vestito e si diresse alla riva del lago, con solo una canottiera dalle spalline sottili e le culottes di un blu scuro coordinate.
Con la punta del piede sentì l’acqua, non era neanche poi così fredda come temeva… fece qualche altro passo, il livello dell’acqua che piano piano si faceva sempre più alto bagnandole le lunghe gambe.
Così al buio, con solo la luna piena ad illuminare di un argento innaturale il paesaggio, non aveva niente che le dicesse fino a che punto poteva spingersi in avanti, prima di ritrovarsi sul bordo dello “strapiombo” dove sapeva che il fondo del lago di colpo scendeva di un paio di metri, un alto “scalino”, seguito da un altro ancora più profondo.
Un leggero brivido la percorse mano a mano che avanzava, bagnandosi gradualmente sempre più pelle scoperta, finchè non le arrivò al basso ventre... sapeva che da quel punto, mancavano pochi metri e il suo piede avrebbe trovato il vuoto al posto dell’appoggio.
Si fermò, non più concentrata su dove camminare, e si guardò intorno.
Un sorriso si fece largo sul suo volto meravigliato: era circondata di stelle, le stesse stelle che guardava su in cielo, lo specchio nero come la notte del lago, le rifletteva quasi alla perfezione, certo non brillavano con la stessa intensità, ma era ugualmente uno spettacolo che le tolse il fiato.

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La luna era quasi al centro del lago, le stelle la circondavano come brillantini sul disegno di un bambino… o polvere di stelle sparsa a caso sull’opera di un pittore.
Portò le mani a coppa, lasciandole poco sotto il pelo dell’acqua e osservò le stelle racchiuse in quel piccolo ovale da lei creato, poteva quasi dire di aver catturato delle stelle!
Rise e le lanciò sopra la propria testa, per poi ricaderle addosso e bagnarle la canottiera e i lunghi capelli sciolti.
Uno spettacolo così bello… ed era sola a guardarlo…
Emozioni così forti… ma era sola a viverle.
Il sorriso si spense, il volto si fece scuro.
Quanto dolore nascondeva dentro di sé? Le persone la vedevano fare la scema, ridere e scherzare, eppure nessuno aveva aperto gli occhi a visto cosa il suo cuore nascondeva.
Solo Signor Issho, il suo collega al Ministero, non sapeva come, ma in un qualche modo era riuscito a vedere oltre quella maschera che ogni giorno portava a lavoro, oltre la corazza ben costruita su cui solo di recente si era formata qualche crepa, ma niente di significativo...
Quanta solitudine, quanto dolore e rammarico, delusione e vergogna, quanta incertezza e timore un corpo, un cuore, una mente… un’anima... riuscivano a sopportare prima di spezzarsi? Prima che altre ferite si formassero?


[Si dice che sono le cadute della vita a far crescere.
Che un vaso rotto, quando si riattaccano i pezzi, acquisisce più valore perché sono le venature delle crepe creatasi a renderlo più bello e prezioso…
Ma chi vorrebbe un cuore rotto e rattoppato come il mio? Chi mai vorrebbe legarsi ad una ragazza che a distanza di anni e anni dalla morte del padre, è ancora troppo debole dall’impedire che gli incubi ancora le facciano visita la notte quando si sente più stanca e debole del solito?
Chi mai vorrebbe l’ombra di una donna che ancora non ha trovato il suo posto nel mondo?]


Abbassò lo sguardo sconsolata, le mani lasciate flosce lungo i fianchi, le forze che lentamente l’abbandonavano.
Si abbandonò stesa sull’acqua, non le importava di bagnare completamente la canottiera, i capelli si mossero intorno a lei, come avessero vita propria, lasciò che il suo corpo galleggiasse placido in quel mare di stelle, le onde dolcemente la cullavano, come per calmare il suo animo turbolento, gli occhi tornarono a guardare il cielo notturno, provando a cercare le costellazioni col metodo che suo padre le aveva insegnato.
Era stanca di lottare, di portare maschere, di essere la “Guerriera” che tutti volevano vedere… ogni tanto, avrebbe voluto essere la Principessa da salvare… ma senza un Principe, cosa le sarebbe successo? Chi mai l’avrebbe salvata?

Il silenzio che l’acqua creava intorno a lei, nel momento stesso che si privava dell’udito immergendo le orecchie, l’aveva sempre rilassata… la sensazione di leggerezza mentre galleggiava a pelo dell’acqua, le toglieva ogni peso dal cuore, dall’anima.
Come le stelle, che per una legge dell’astrofisica stavano sospese nello spazio, invece di precipitare nel vuoto, lei ora era sospesa in quel lago stellato... Molecole d’acqua unite insieme da legami a idrogeno, così deboli che un oggetto solido, con la giusta forza, poteva rompere e attraversare, ma abbastanza resistenti da sostenere un peso maggiore se non ci si opponeva, se si lasciava che fosse l’acqua a decidere dove portarla.
Proprio come stava facendo ora: le onde lentamente la allontanavano dalla sicurezza della riva, dove i suoi piedi ancora toccavano senza che sprofondasse sott’acqua.
Ora era anche lei sospesa sopra il vuoto, chissà quanti metri di acqua la tenevano sollevata sopra un fondale chissà quanto distante.
Dove l'avrebbero portata se si fosse affidata completamente a loro?
Come le stelle, anche lei lasciava che fossero forze esterne a sospingerla in una qualche direzione, ma il suo era un moto casuale, deciso dai capricci delle correnti marine che da sotto di lei, creavano spinte prima da una parte poi dall’altra…
Invece per gli astri era diverso, loro sapevano già da che parte sarebbero passati, in un viaggio continuo, sempre uguale, lungo secoli e secoli.
Quando guardava una stella cadente, si chiedeva da quanto tempo non era più apparsa sulla Terra, quanti altri pianeti aveva visto… il saluto di un secondo, e poi di nuovo ad esplorare lo spazio.

La sua mano si allungò verso quella che le sembrava la Stella più luminosa.
Due gocce d’acqua le caddero sul volto, dalla mano bagnata con cui aveva cercato di afferrarla…

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Chiuse gli occhi.
Ascoltò il regolare battito del proprio cuore, risuonare nel silenzio dell’acqua.

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<< Mìreen… Mìreen… >>



L’eco di una voce, lontana e soffusa, arrivò al suo orecchio, attirando la sua attenzione.
Sembrava provenire da chissà dove, da chissà quale tempo e luogo…
Si concentrò, gli occhi ancora chiusi per eliminare le distrazioni dagli altri sensi come la vista… si mise ad ascoltare, cercando di captare ogni suono, ogni traccia di quella voce apparsa all’improvviso.


<< Muìrin… >>



Spalancò la bocca, riconoscendo la voce che le era arrivata finalmente chiara all’orecchio.
Dagli occhi rimasti chiusi, per paura di scoprire se era un sogno o stava veramente succedendo, presero a scendere lacrime salate che andarono a mescolarsi con quelle dolci del lago.


<< Mi senti…? >>



<< Athair… Sei veramente te? >>

<< Sì, mo 'níon… Sono io. >>


mo 'níon = figlia mia

Le lacrime presero a scendere più veloci, le parole bloccate dai singhiozzi.
Dopo un momento di confusione e emozione, tanto forti da farle provare una stretta al petto che le impediva di respirare, Mìreen fece un profondo respiro, poi un altro e un altro ancora, cercando di calmare almeno i tremori e i singhiozzi, poichè le lacrime non accennavano a smettere.


<< Athair! Dove sei? Perché sento solo la tua voce?
Vieni da me… o almeno, lascia che venga io da te... Ti prego come posso raggiungerti?>>


<< Non posso venire da te. Lo vorrei tanto, ma non posso.
E te non puoi venire da me… per adesso…
Puoi solo sentire la mia voce… l’acqua unisce i nostri mondi, porta l’Eco della mia voce da te.>>



<< Sto sognando? >>

<< Forse. Diciamo che per adesso è solo un sogno, in futuro potrebbe diventare qualcosa di più, se si realizzerà la visione di tua nonna e imparerai come fare.
Sarebbe bello rivederti come con Sheryda... anche se vorrei avessi una vita normale, come quella di qualsiasi altra strega…>>



<< Cosa significa quello che mi stai dicendo? Rivedere me e mamma? Di quale visione stai parlando?
La seanmháthair ha avuto una visione su di me e non mi ha detto niente??>>

Seanmháthair = nonna

<< Non posso dirtelo Mìreen, riguarda la tua famiglia e il sangue da cui discendi. Nessuno può parlare della vostra “maledizione” a meno ché non si diventi parte di essa.>>



[Una maledizione? Una visione su di me? Rivederci? Una vita normale?
Non sto capendo più niente… Cosa sta succedendo? Perché tutto questo mistero??]


<< Mìreen... l’acqua porta con sé anche le emozioni di chi vi è immerso, so che sei confusa e forse un po’ spaventata, ma non temere… Il tempo ti darà tutte le risposte che cerchi.
Ma stai attenta, perché nei "sogni" non puoi nascondere niente.
E’ stata la tua preghiera, urlata così forte nella tua testa, da invitarmi, e in un momento di debolezza come quando si dorme, è stato possibile per me raggiungerti, ma io sono pur sempre tuo padre, non ti farei mai del male…
diventa un grosso rischio e pericolo se ha raggiungerti è qualcuno con cattive intenzioni.
Impara a chiuderla, impara a far entrare solo chi vuoi te nella tua testa. Proteggiti... proteggili.>>



Aveva ascoltato gli avvertimenti del padre con attenzione, e non poteva che dargli ragione, doveva fare qualcosa per impedire che le persone le entrassero liberamente nella mente, non si era mai posta il problema, cos’avrebbero trovato nella sua testa di interessante? Niente, ma ora che era entrata negli Antimago ciò che scopriva in missione poteva diventare un’arma a doppia lama se non imparava a chiudere la mente e tenere al sicuro le informazioni, personali e non.
Inoltre non credeva che nei sogni fosse impossibile mentire, ma infondo non le era mai successo di avere “conversazioni importanti” mentre dormiva.
Aveva appena espresso quel pensiero quando l’immagine della donna uguale a lei, tranne per i capelli e gli occhi, vista in sogno mesi prima, le apparve nella mente… Cercò di scacciarla, ma fu troppo lenta, il padre doveva averla vista perché un tono preoccupato le arrivò all’orecchio:


<< Attenta Mìreen, ci sono cose che ancora non sai e che devi scoprire a tempo debito. Non cercare di affrettare le cose, rischi solo di far confusione e di non capire più cosa è reale e cosa è frutto della tua immaginazione… o di “altro”.
Ci sono segreti, verità nascoste, che ti saranno svelati quando sarai pronta per comprenderli.>>



Le parve quasi di sentire una carezza sulla guancia... che fosse stata solo la corrente? Una piccola onda scambiata per un gesto d'affetto che il padre era solito farle quando la vedeva abbattuta, o sconsolata, o intimorita?

<< Grazie papà… Ancora ti preoccupi per me… >>

Un’altra lacrima tornò a rigarle il viso, il petto che si alzava e abbassava un po’ irregolare…
Era l’emozione di risentire la sua voce, anche se leggermente distorta dall’acqua, o la tristezza di tutti quegli anni di dolore e di pianti che veniva finalmente liberata dal lato più nascosto e oscuro del suo cuore?


<< Mi manchi, ci manchi a tutti… Non riusciamo ad andare avanti senza di te, la máthair non riesce…
E Lyam inizia a non ricordare più il tuo volto… il suono della tua voce… Se non ci fossero foto e video avrebbe dimenticato tanto, troppo di te…>>

Máthair = madre, mamma

<< Siete forti, lo siete stati in passato e lo sarete in futuro.
Te sei forte, credi più in te stessa, perché non è la caduta a renderci forti, ma come riusciamo a rialzarci… e te l’hai fatto, più e più volte.
Sei stata forte per tutta la famiglia in questi anni, ogni tanto concediti la libertà di esser debole e sfoga tutta la tua rabbia, la frustrazione, la tristezza…
Non farti corrodere dal dolore, nessuno pretende ne deve pretendere niente da te, sii sempre te stessa.
Lascia che la tua famiglia ti consoli e incoraggi, non allontanarli, non chiuderti a guscio, non voler essere forte quando non ce la fai...
Grazie a tua madre ho imparato che lottare insieme a chi si ama, è meglio e più facile, che lottare da soli.
Anche se non ci sono fisicamente, posso ugualmente far parte della vostra vita.

Ricordi il nostro scoglio? Quello da cui ci tuffavamo? >>



Prima di continuare, il padre attese che la ragazza facesse un cenno di assenso con la testa, mentre questa ascoltava mordicchiandosi il labbro nell’inutile tentativo di sopprimere la lacrime…

<< Mi stendo li sopra e vi osservo…
Osservo la mia famiglia e veglio su di voi.
Vi sgrido quando fate qualcosa di sbagliato, tipo lasciar bere tuo fratello…

- un leggero rossore comparve sul viso della figlia maggiore colpevole, l’angolo della bocca piegato in un timido sorriso, ciò che il padre aveva volutamente cercato di ottenere con una delle sue solite battute -

…e vi mando il bacio della buona notte ogni sera, anche se ormai sarete troppo grandi per quello.>>



Altre lacrime scesero, ma almeno questa volta il viso era più rilassato, non più contorto dalla tristezza e dal dolore di prima... le parole del padre la calmarono, la incoraggiarono.
Ora che aveva risentito la sua voce non riusciva più ad accontentarsi, aveva bisogno di qualcosa di più, desiderava così tanto rivedere e abbracciare di nuovo il padre che quei sentimenti di puro affetto e nostalgia avrebbero raggiunto il padre anche se si fosse trovato su un’altra galassia.


<< Mi mancate anche voi.
Non sai quanto, mo beag Muìrin… anzi, non potrei più darti della piccola, ora sei una duine fásta.
Sei bella come tua madre, sembri lei da giovane, ma in te vedo i miei occhi… la mia determinazione… e quella luce di speranza e senso di giustizia che non ti hanno mai abbandonata, anche dopo che me ne sono andato.
Anche se siamo solo in un sogno, è stato bellissimo risentire la tua voce e parlarti di nuovo.>>


Mo beag Muìrin = Mia piccola Muìrin
duine fásta = donna adulta

Avrebbe passato ore, giorni a parlare con lui, adesso che finalmente poteva chiedere e non più supporre... ma qualcosa le diceva che il loro tempo era limitato, e la paura che stesse per finire iniziò a farsi avanti in lei.

<< Athair, quando potrò rivederti?
Dovrò aspettare di… morire… per farlo?>>


<< No, non servirà “morire”.
Il momento della verità è vicino, forse è per questo che sei riuscita a sentire la mia voce in sogno…
Promettimi solo che starai attenta e non farai pazzie, come tuo solito.>>



Mìreen non rispose, si morse il labbro inferiore nervosa, e consapevole che ciò che il padre diceva era la verità… a preoccuparla, non era tanto che sapeva delle sue pazzie (tipo tingersi i capelli ogni volta di un colore diverso, o buttarsi in situazioni pericolose senza riflettere), ma che la stava mettendo in guardia su una minaccia vicina e che avrebbe cambiato completamente la sua vita.


<< Non posso prometterti niente per le pazzie, solo per lo stare attenta.
Ti voglio bene athair ! Te lo vogliamo tutti!
Sei sempre nei nostri cuori…>>


Un leggero sorriso comparve sul suo volto, immaginando che in quel momento anche il padre stesse facendo lo stesso…
Cercava in tutti i modi di nascondere la preoccupazione con dell’umorismo, quello l’aveva imparato proprio da lui e lui lo sapeva bene, per questo non volle smascherarla.
Con voce dolce e carica di amore le rispose:


<< Lo so, vi voglio un mondo di bene anch’io...
Siete e sarete sempre la mia vita!>>



La voce lentamente si fece più lontana, come che si stesse allontanando a lei… da quel mondo...

<< Continua a raccontare a Lyam le storie che raccontavo a te e dai un bacio alla mamma, dille che l’aspetto dove ci siamo incontrati la prima volta.
Non mi hai deluso, non mi deluderai mai, mo tuar ceatha lómhara, perché so che quello che dici e che fai, lo fai col cuore, come ti abbiamo insegnato.
Forse un giorno, non troppo lontano, ci incontreremo, ma se anche non fosse, ricordati che non vi ho mai lasciati…
Sarò sempre qui ad aspettarvi, aspetterò di tornare tutti insieme, per l’eternità!
Modestamente, sono la Stella più luminosa!>>


mo tuar ceatha lómhara = mio prezioso arcobaleno

La sua voce era ormai ridotta ad un sussurro…

<<…e ora, SVEGLIATI Mìreen.>>



Dopo quell’ultima frase, la voce si spense…
…e Mìreen aprì gli occhi.

intervallo_testo_2


Era stesa che galleggiava, esattamente dove aveva chiuso gli occhi, forse qualche metro più in là.
Osservò la stellata, alta e luminosa nel cielo, il lago era calmo e rifletteva le stelle, il viso bagnato di lacrime…
Si era trattato di un sogno? Eppure le era sembrato così vivido, come quello avuto la notte prima del suo compleanno…
Ma cosa poteva spiegare quello che era successo?
Ad ogni stella cadente aveva chiesto di rivedere il padre, aveva smesso anni prima, ma quella notte il bisogno di chiederlo un’ultima volta si era fatto così forte che non aveva resistito…
Forse il suo desiderio si era realizzato ma in un modo “diverso”, sotto forma di sogno.
Ma la conversazione che avevano avuto come avrebbe potuto immaginarsela completamente?
Una “maledizione” legata alla sua famiglia, la visione di sua nonna che la riguardava, il padre aveva parlato della moglie in modo strano… come che l’avesse già rivista… addirittura avevano un “posto fisso” dove incontrarsi… O si riferiva a quando anche lei sarebbe morta?
No, si stava sbagliando.
Stava confondendo realtà e sogno come le era successo dopo l' "altro sogno" e dopo aver visto la presenza fuori dalla sua finestra.
Mìreen nuotò fino a riva, salì sullo scoglio dove lei e il padre si tuffavano, e si stese.
Tornò ad osservare il cielo stellato, ogni stella brillava di una luce diversa, erano lì da prima che lei nascesse e li sarebbero rimaste anche dopo che se ne sarebbe andata da quel mondo… Forse alcune si erano già spente secoli prima, ma la cui luce, tutto ciò che di loro rimaneva, ancora arrivava fino alla Terra e chissà per quanto sarebbe arrivata, fino al momento in cui si sarebbe esaurita spegnendosi per sempre.
Si perse in quei pensieri, a metà tra ciò che credeva reale e ciò che invece poteva esser stato frutto della sua immaginazione.

Un brillio più intenso degli altri sembrò volerla distrarre da quei confusi pensieri, l’aveva visto con la coda dell’occhio e quasi la “costrinse” a girarsi verso lo specchio del lago...
Era come che cercasse di attirare la sua attenzione e strapparle un sorriso…
Ci riuscì.
Quando Mìreen guardò nella direzione di quel piccolo riflesso “dispettoso”, non potè che sorridere…

…alla Stella più luminosa del cielo.



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Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 01:02
 
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<< Mìreen… Mìreen… dove sei? Muìrin? Ah ma sei lì!>>

La voce della madre appena entrata nella sua camera si fece sempre più chiara mano a mano che si avvicinava al balcone della sua camera.
Era ormai notte fonda, Mìreen seduta sul grosso ramo della quercia raggiungibile dal suo balcone, osservava il cielo. Seguiva con lo sguardo il lento allontanarsi delle nuvole temporalesche che dalla mattina fino al tardo pomeriggio avevano riversato sulla contea la loro pioggia autunnale.


<< Mìreen vieni dentro, non senti il vento freddo che soffia? L’inverno è ormai alle porte e sembra volercelo ricordare ad ogni occasione… Stavo per fare una tisana per conciliare il sonno, ne vuoi una tazza anche te?>>

La ragazza non rispondeva, non prestava la minima attenzione alla madre, in parte per distrazione, in parte perché volutamente non le interessava conversare con lei.

<< Mìreen per favore… anche se non mi guardi lo so che hai pianto anche questa sera. Ti ho sentita… e lo vedo anche da quei tuoi occhi rossi e lucidi.>>

vedo anche da quei tuoi occhi rossi e lucidi.>>

Era vero. Aveva ancora pianto, come lo aveva fatto il giorno prima e ancora quello prima.
O piangeva, o guardava il cielo con lo sguardo perso…
Era persa nei suoi pensieri? No, anzi, cercava di non pensare.
Cercava di spegnere il cervello e soprattutto tentava ogni volta di restare sveglia… non poteva, non doveva addormentarsi, perché la notte portava con sé i ricordi, e coi ricordi si creavano gli incubi..
Di quel giorno… di quella sera… quando la loro famiglia, la loro vita, era per sempre cambiata, e il dolore era diventato un fardello a cui ormai si era abituata, un compagno che non la lasciava mai un attimo.
Avrebbe dovuto conviverci per sempre?
La sua intera esistenza sarebbe stata per sempre così?
Di giorno i pensieri che l’assalivano, la notte gli incubi? A meno ché non usasse i sonniferi che le avevano prescritto all’ospedale dove si era svegliata dopo la tragedia, quelli la facevano cadere in un sonno profondo, uno di quelli completamente neri, senza sogni… ma almeno non c’erano neanche gli incubi…
Incubi che la svegliavano nel pieno della notte, madida di sudore, tremante, spaventata e accaldata, tanto da dover correre sotto l’acqua gelida per riportare il battito e il respiro regolari, la cicatrice di quel giorno che sembrava bruciare come avesse ancora il metallo rovente attaccato alla pelle, le sue mani inconsciamente correvano a graffiare la zona nel disperato tentativo di togliere l’oggetto che la ustionava, per trovare solo la propria pelle.
Spesso si mordeva le labbra fino a farle addirittura sanguinare, dal nervoso e paura di cosa rivedeva continuamente.
Se non fosse per le cure della guaritrice del villaggio e gli incantesimi della madre, tutti quei tagli e segni le avrebbero deturpato viso e petto per sempre.

Sheryda si avvicinò ancora di più alla figlia, stretta nel suo plaid fatto a mano, si sedette sul cornicione del balcone e con lo sguardo triste cercò di consolarla, come tante altre volte aveva provato, purtroppo spesso senza grandi risultati.


<< Muìrin, stiamo tutti ancora male per la morte di daidí… Non isolarti, resta con noi, resta vicino a tuo fratello, ha poco più di 6 anni e anche se è ancora piccolo, capisce che è successo qualcosa di grave e di triste al suo daidí. Lo sai che…>>

Daidí = papà


Mìreen lasciò che un suono simile ad uno sbuffo o un soffio irritato, trattenuto da quando la madre si era presentata, ma più profondo e brusco, infastidito, quasi prepotente, le uscisse dalla bocca zittendo la madre.

<< “Lyam sta male ed è molto giù”… “Lyam cerca il babbo”… “Cosa devo dire a Lyam?”
Lyam ha 6 anni! Non sa cosa significa MORIRE, non capisce cos’è successo ár n-athair!
E non ha visto quello che ho visto io.
IO ho visto quella orribile scena tra le fiamme! IO l’ho visto MORTO riverso sul suo box, col corpo martoriato, pesto, insanguinato e bianco! SENZA VITA! IO ho lasciato che il suo corpo bruciasse insieme alla casa, e sempre IO mi sono avvicinata al suo corpo senza vita per salvare Lyam…
Te hai visto TUTTO, lo sai già com’è andata, sai gli incubi che mi svegliano la notte.
Tra pochi anni neanche più se lo ricorderà…
Come fai ad esser così tranquilla?! Come fai a neanche 1 anno dall’accaduto riuscire a dormire la notte?!>>


ár n-athair = nostro padre


Aveva parlato con una voce quasi minacciosa, da arrabbiata, frustrata, sofferente, aveva scelto le parole più taglienti, più crudeli che il suo cuore, annerito dal fumo di quell’incendio, e la sua mente, stanca dalle ormai incalcolabili notti passate sveglia a tremare sotto l’acqua gelida con ancora il ricordo vivido nella testa, erano riuscite a partorire.
La madre, a quelle parole mostrò prima stupore, poi dolore come che la figlia non solo avesse riaperto una ferita ancora sanguinante, ma vi aveva addirittura gettato sopra manciate di sale.
Si alzò di scatto, scura in molto, il controllo a malapena mantenuto, la voce ridotta ad un sibilo basso e freddo, chiaramente faceva il possibile per trattenersi, per restare calma e dominare urli ed emozioni che rischiavano di esplodere da un momento all’altro e che solo la consapevolezza che quella non era sua figlia, ma la sua copia incazzata col mondo, che non dormiva e perennemente flagellata dagli incubi, tenevano a freno.


<< E’ stato un momento ORRIBILE, DEVASTANTE per TUTTI.
Ti ho detto che ho visto TUTTO, che il rimorso di non esser intervenuta in tempo mi tormenterà per tutta quella vita che ancora mi resta senza d'athair, senza la mo Maité Soul, senza metà del mio cuore, della mia anima!
Ma DEVO andare avanti! Per VOI, per la nonna, perché tuo padre ci ha insegnato a lottare SEMPRE.
Sai quanto stiamo soffrendo TUTTI, TUTTA la famiglia è DISTRUTTA… IO lo sono, TE lo sei, do sheanmháthair si sente inutile perché non sa come aiutarci e anche lei sta male per l’accaduto!
E a differenza di quello che credi, anche do dheartháir sta soffrendo perché non ha più suo padre!
Sai cosa invece sogna lui?? La voce di tuo padre che parla con qualcuno… urla… oggetti che volano in aria… rumore di qualcosa che si frantuma… flash di luci da ogni direzione… l’urlo di tuo padre che di colpo se lo trova davanti… e infine un lampo verde.>>


d'athair = vostro padre
do sheanmháthair = tua nonna
do dheartháir = tuo fratello


Le ultime parole le aveva dette con un tremore al labbro, e un singhiozzo smorzato all’ultimo, gli occhi lucidi, ma non una sola lacrima si era concessa, aveva già pianto davanti alla figlia, trascinandosela dietro in quel dolore interminabili, non voleva, non doveva rifarlo.
Si concentrò sulla rabbia che le ribolliva dentro per mantenere il controllo.


<< Anche lui vede il fuoco, anche lui sente ancora l’odore di fumo che gli graffia la gola.
Ma ricorda anche il corpo caldo di sua sorella che lo stringe al petto, coprendogli il viso per non fargli respirare l’aria nera… e il tuo cuore che batte frenetico mentre lo trasporti via dalle fiamme.
Non sei l’unica a soffrire! NON sei sola in questo dolore!
…Ma non riesci a capirlo…>>


Si alzò e fece per andarsene, le aveva già dato la schiena, quando si fermò davanti la vetrata della portafinestra per aggiungere, la voce bassa e triste, stanca:

<< Te hai avuto 17 anni per crearti meravigliosi ricordi con tuo padre, tuo fratello solo 5… e quando sarà grande, neanche se lo ricorderà più a parte forse una figura e una voce indistinta.
So che questa NON sei TU. Non sei mia figlia, la sua Mìreen, la mia Muìrin, il frutto dell’amore mio e di Ryan.
Quando ti deciderai a tornare ad essere quella ragazza… quando si deciderà a tornare da me, da noi, sappi che l’accoglierò come sempre a braccia aperte.>>


Se ne andò. Lasciando Mìreen nuovamente da sola.
Vergogna e delusione si agitavano nel petto della giovane.
Strinse forte la corteccia del ramo su cui era appesa fino a lasciarsi un profondo segno sulla mano e abbassò lo sguardo verso il vuoto ai suoi piedi.
Lei non era così, non trattava così la famiglia, non rispondeva così alla madre che tanto amava e al fratellino che adorava, non reagiva in quel modo a quei gesti d’affetto…
Da giorni stava cercando di smettere le pillole del sonno, non le erano mai piaciuti i farmaci e odiava che fossero l’unico mezzo per poter dormire, ma da quando si rifiutava di prenderle, ogni singola notte la stessa scena si ripeteva nella sua testa, impedendole di dormire e di riposare.
Era perennemente tesa, frustrata, avvilita, stanca… scattava con poco, o eccessi di ira, o lunghi pianti disperati, in un tormento che le sembrava non aver mai fine.


[ Finirà. Prima o poi tutti finirà…
DEVE finire. NON può continuare a lungo.
O finisce il tormento… o finirò prima io.]




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Mìreen era seduta sul prato vicino al lago dove era solita passare i pomeriggi.
Guardava gli alberi riflettersi nello specchio del lago, creando una cornice di colori autunnali che spaziavano dal giallo al rosso fino al marrone di quelli ormai spogli, intervallato ogni tanto dal verde di un sempreverde… Non c’era stagione più bella per quel lago, solo d’autunno lo vedeva così colorato da sembrare un meraviglioso dipinto ad olio su una tela perennemente increspata da onde che rendevano tutto più dinamico e vivo.


panorama_lago_autunno



Era ormai da una settimana che non parlava con la madre e la ragazza, stretta nel suo enorme maglione, si chiedeva se non era il caso che facesse lei la prima mossa per un riavvicinamento.

[ Ho sbagliato. So di aver sbagliato…
Sono stata ingiusta e cattiva a dire quelle brutte parole ieri… Non dovevo.
Ma lei ha detto di tornare solo quando sarò di nuovo quella di prima… Io so di non esserlo ancora…
Mi rivorrà lo stesso?]


Si alzò, sbattendosi i pantaloni con le mani per togliere possibili foglie e terra, fece per incamminarsi per tornarsene al casolare della nonna, ormai era diventato troppo freddo quel pomeriggio per restare ferma sul terreno umido a pensare…

Una figura in lontananza, proveniente dal lato opposto del lago, la fermò sul posto.
Inizialmente credette di conoscerla, ma più la persona si avvicinava, più capiva di essersi sbagliata, quando fu abbastanza vicina vide che si trattava di una donna, ancora abbastanza giovane, avrà avuto l’età di sua madre, dai capelli rossi, il colore tipico irlandese.


prozia_giovane



Sembrava passeggiare tranquilla, lo sguardo perso nella contemplazione del lago, finchè non notò la presenza della giovane ragazza che ancora la stava fissando stupita.
Si fermò a pochi passi da lei e gentile le chiese:


<< Ciao. Anche te sei qui per ammirare il panorama del lago in Autunno? >>

Mìreen si era distratta nel capire chi le avesse ricordato da lontano, ma decise di lasciar perdere e rispose a sua volta educata:

<< Ehm… Sì, diciamo di Sì.
Vengo spesso qui al lago, ma devo confessare di non averla mai vista.
E’ una turista? Resterà per la festa di Samhain del villaggio? Le assicuro che non ne rimarrà delusa.>>


La donna a quel punto fece un sorriso quasi divertito e rispose, sempre in tono dolce e cordiale:

<< No non sono una turista, sono di questo villaggio, ma ho viaggiato parecchio all’estero, ma iniziavo a sentire la mancanza della mia patria, così mi sono decisa a tornare ed affrontare i problemi che ho lasciato qui quando tempo fa’ ho deciso di partire.>>

<< Ah, mi dispiace… Spero che riesca a risolvere.>>

Lo sguardo della donna si fece di colpo basso e triste, quasi nostalgico, come che la sua mente fosse tornata indietro a chissà quale ricordo lontano.

<< Spero anch’io… purtroppo non dipende solo da me.
C’è stata una brutta litigata con persone di famiglia, sono volate brutte parole e minacce da entrambe le parti, si è creata una profonda frattura, oltre ad una ferita nel cuore di chi le ha dette e chi le ha ricevute.
Ma ora che mi sono finalmente decisa a tornare, voglio riparare a tutto, chiarire e riunirmi alle persone che ancora considero la mia famiglia e che non ho mai veramente abbandonato.>>


La ragazza ascoltò con curiosità e interesse le sue parole, si sentì sinceramente dispiaciuta e sperò che la persona davanti a lei riuscisse a risolvere… ne sapeva qualcosa di drammi familiari e poteva immaginare come si stesse sentendo.

<< Spero solo che la famiglia Fiachran sia disposta ad ascoltarmi…>>

A quel pensiero Mìreen si fece più attenta, cosa centrava la sua famiglia con quella donna?

<< Mi scusi, ha nominato la famiglia Fiachran… Per caso la conosce? Che rapporto aveva con loro?>>

<< Sì, diciamo che lì conosco abbastanza bene, tanto da considerarmi parte della famiglia… o almeno una volta…
Ah, ti chiedo scusa, non mi sono neanche presentata… Mi chiamo Kaithly, Kaithly Narchiaf.>>


E allungò una mano nella sua direzione in attesa che gliela stringesse, cosa che la ragazza educatamente fece subito per poi presentarsi a sua volta:

<< Piacere di conoscerla, io mi chiamo Mìreen, Mìreen Fiachran.
Sono la figlia di Sheryda Fiachran e nipote di Kathleen Fiachran. Per questo le ho chiesto se li conoscesse…>>


Appena le disse chi fosse, lo sguardo della donna si fece stupito e una gioia a malapena trattenuta le illuminò il volto sorridente:

<< Oh come sono felice di conoscerti! Quindi saresti te la nipote di Kathleen? Sapevo che aveva avuto una figlia e che questa si era sposata dando alla luce una bambina a sua volta, ma non sapevo abitaste qui in Irlanda! Mi era giunta voce che vi eravate trasferiti in Inghilterra, mi pare a Londra, per seguire il marito di lei.>>

Le braccia della rossa si protesero verso la giovane per abbracciarla senza chiederle il permesso, eppure Mìreen dovette ammettere che non le dispiacque quel gesto sì improvviso, ma anche caloroso, anzi il calore che le provocò fu come una morbida e calda coperta in quel freddo pomeriggio.

<< Confesso che ci speravo tanto di incontrare prima o poi la nipote di Kathleen, nonché figlia di Sheryda!
Eravamo tanto legate, ma tra noi ci fu una brutta litigata molto tempo fa’ e non sapendo come fare per risolvere il casino creatasi, preferii andarmene.
Se potessi tornare indietro non scapperei, ma affronterei tutto, pur di non perdere quella che era diventata la mia famiglia!>>


Mìreen era dubbiosa sulle parole della persona che aveva davanti perché non le sembrava così vecchia da avere legami con la nonna, si era piuttosto aspettata ce li avesse con la madre.
Le avevano raccontato che capitava a volte che alle lezioni di magia svolte in casa dalla nonna, si unissero altre giovani streghe del loro villaggio o di quello vicino (in contee così piccole come le loro erano pochi i dotati di magia innata vera e propria), eppure la maggior parte andavano ad Hogwarts, la scuola di magia più vicina…
Perché a sua madre le venne negato non le era stato mai detto, ma quella che aveva davanti poteva esser stata una “discepola” della nonna e amica di sua madre… ciò dava un senso alle sue parole.
Essere abbracciata all’improvviso da una sconosciuta non le piaceva, ma si era rivelata così gentile e felice di conoscerla, che non potè non ricambiare e stringerla a sua volta.


<< Ma dimmi cara, non eravate a Londra? Siete qui in vacanza? Vai a scuola di magia o studi a casa com’è stato per noi?>>

Le sue domande, per quanto giustificate, riaprirono la ferita che in quei giorni si era tanto impegnata a tenere chiusa, le lacrime tornarono ad appannarle la vista prima ancora che potesse accorgersene ed evitarlo…
Cercò di ritrovare la voce, in modo da poterle rispondere, ma quel gesto d’affetto incondizionato, dopo che la litigata con la madre non ne aveva più ricevuti, aveva abbattuto la corazza che stava tanto faticando a costruirsi.
Non ricevendo risposta, Kaithly intuì che probabilmente era successo qualcosa di brutto, e gli improvvisi tremori e singhiozzi della ragazza che stava abbracciando, gliene diedero prova; così si staccò leggermente per poterla guardare negli occhi e le appoggiò le mani sulle spalle per stringergliele e darle un po’ di coraggio.


<< Suvvia Mìreen, dimmi cosa turba un così bel giovane visino. Cos’è successo da provocarti questa reazione?>>

La stretta della vecchia amica della sua famiglia, aiutò la ragazza a trovare la forza per parlare e anche se la voce era ancora un po’ irregolare e bassa, riuscì ugualmente a spiegarle cos’era successo e perché erano tornati in Irlanda.
Alla fine del racconto, la rossa aveva un’espressione strana da decifrare, sicuramente c’era dispiacere e preoccupazione, ma qualcos’altro si nascondeva dietro quello sguardo affranto, l’ombra di un sentimento che la giovane strega non colse perché troppo distratta dalla bizzarra situazione.


<< Mi dispiace per quello che è successo a te e alla tua famiglia.
Un così orrore non dovrebbe mai esser vissuto e visto da occhi innocenti come te e il tuo fratellino!
Stai così male per la scomparsa di tuo padre che fai addirittura fatica a parlarne, ma purtroppo è plausibile, infondo è passato così poco tempo che sei ancora debole, stravolta, soggetta alle emozioni… >>


Fece una piccola pausa, sembrava riflettere su qualcosa, per poi tornare a guardare Mìreen e prendendola a braccetto la dirottò verso il lato del lago come che volesse iniziare una camminata insieme e con un chiaro tentativo di risollevarle l’umore disse:

<< Dai, cambiamo argomento…
Raccontami cos’è cambiato in questi lunghi anni che sono stata assente!
Le cerimonie organizzate dalle donne Fiachran sono come le ricordo o avete cambiato qualcosa?
Sai, all’epoca studiavo parecchio per diventare aiuto-sacerdotessa, sognavo di prendere il posto di tua nonna come sacerdotessa e celebrare io le festività della nostra religione…
Spero che, se riusciremo a chiarire, mi concederanno di dare una mano e partecipare tra le cerimonianti!>>


Mìreen dubitava nella realizzazione del suo sogno… per secoli i riti e cerimonie ufficiali, sia private sia pubbliche erano celebrate dalla famiglia Fiachran, ma se si accontentava di aiutare ed essere una delle partecipanti, allora nonna glielo avrebbe sicuramente permesso.
Diventare la futura sacerdotessa era un onore-dovere che spettava a lei, ma non aveva ancora deciso se ritenersi lusingata o sfortunata.
Quel cambio discorso però l’aveva aiutata veramente a distrarsi, parlava e raccontava a Kaithly degli eventi e cambiamenti successi nella contea, delle loro cerimonie e di magia, come stesse parlando con un’amica, le riusciva così semplice stare in sua compagnia che i sentimenti di dolore e tristezza per la tragedia sembravano momentaneamente spariti.
Forse aveva sbagliato ad isolarsi, doveva farsi coraggio e tornare ad uscire con le sue amiche del villaggio, distrarsi era una delle cose migliori che potesse fare per rilassare la mente e tenere lontani pensieri e ricordi brutti.
Prima di salutarsi, la rossa le chiese, un po’ incerta e imbarazzata:


<< Potresti non far parola del mio ritorno a tua nonna e tua madre?>>

<< Non vuoi venire da me per rivederle e chiarire? Sono sicura che dopo tanto tempo, ti riaccetterebbero a casa a braccia aperte, sorvolando su qualsiasi sia stata la causa del vostro litigio passato!>>

Kaithly allungò la mano per accarezzare la guancia della ragazza e le disse, con voce pentita e triste:

<< Ci sono azioni e parole che richiedono più del tempo, per poter esser perdonate.
Ci sono litigi profondi e ferite per le quali non basta il tempo a guarirle, purtroppo non tutto può esser considerato “passato”.
Resterò nella mia proprietà al di là del lago, in mezzo alla foresta che circonda la contea, ma prometto che sfrutterò Samhain per chiarire tutto!
Per favore, promettimi di non dire niente, ho bisogno di più tempo e del momento più propizio per riavvicinarmi alla famiglia.>>


Dopo il segno di assenso di Mìreen, si abbracciarono e si salutarono, dandosi appuntamento per il giorno dopo.
Tornata a casa non le venne chiesto dov’era stata perché sapevano andava al lago a pensare e nessuno voleva disturbare quel suo momento di privacy, lei mantenne la parola e non fece parola a nessuno di Kaithly.

Dopo quell’incontro, ce ne furono altri, ogni pomeriggio si incontravano al lago per chiacchierare e stare insieme, la donna le raccontava com’erano sua nonna o sua madre anni prima, quando erano più giovani, le mostrava cos’aveva imparato dalle lezioni private in casa Fiachran e dai suoi lunghi viaggi.
Mìreen ascoltava sempre curiosa e interessata, le parlava della famiglia come la conosceva adesso, di com’era la sua vita a Londra, rispose a molte domande e curiosità anche su Hogwarts e sugli studi di magia in una vera scuola.
Aveva finalmente ripreso a dormire un poco la notte, passando le giornate con Kaithly si distraeva il necessario per tornare a casa sorridente e stanca il giusto per cadere in un sonno profondo senza incubi.


intervallo_testo_2



Samhain si stava avvicinando.
A casa erano tutti occupati coi preparativi come pure al villaggio, quel pomeriggio la sua “nuova amica” tardò ad arrivare; Mìreen l’aspettava come sempre su uno scoglio in riva al lago, ma quando la vide finalmente avvicinarsi, la sua espressione era diversa dal solito… sembrava seria e preoccupata.
Dopo un breve silenzio tra le due, fu proprio Kaithly a girarsi di colpo e a parlarle per prima, un’improvvisa determinazione nella voce, lo sguardo fisso su di lei:

<< Ciò pensato parecchio, e ho deciso che voglio aiutarti!
Come ti ho detto più volte in questi giorni, ho studiato parecchio le cerimonie e la magia in generale, ogni tipo di arte e pratica magica, da quella bianca…
- attese prima di continuare, incerta, ma poi non perse lo slancio e continuò senza preoccuparsi o prestare attenzione alle possibili reazioni di Mìreen - e quella nera…
Ci sarebbe un rituale che, se svolto nel modo giusto, permette di richiamare uno spirito dall’oltretomba e poterci parlare, addirittura lo si può vedere!>>


A quelle parole, la giovane maga spalancò occhi e bocca, non ne sapeva niente, nessuna delle due streghe adulte in famiglia, praticanti di magia avanzata, le aveva mai anche solo accennato ad una tale possibilità!
Ma perché? Perché avrebbero dovuto tenere segreto un rituale simile??
Parlò con voce incerta, ma nel suo petto una speranza iniziava a nascere come un fiore che dopo l’inverno buca lo spesso mantello di neve appena sente i primi caldi raggi del sole.


<< Com’è possibile? Mia nonna o mia madre non mi hanno mai detto niente di questa possibilità… Perché avrebbero dovuto tenermela nascosta??>>

Lo sguardo della rossa signora si fece scuro, e con un tono serio e fermo le spiegò il probabile motivo:

<< Non mi stupisco che te lo abbiano voluto tener segreto: si tratta di magia oscura.
Non è un rituale semplice, va oltre le leggi della vita stessa… Con questo non dico che sia malvagio, ma richiamare lo spirito dei morti non è considerata un’azione buona in molti testi antichi…
Una cosa è parlargli tramiti strumenti tipo il pendolo o la tavola Ouija, un’altra è richiamarlo per davvero dall’altromondo.
Specifico subito che non servono sacrifici umani o animali o altre cavolate “sataniste” che si vedono nei film.
Ma lo definiscono uno “stravolgimento della natura”, si andrebbe a “disturbare” l’anima di un morto che riposa in pace nel regno degli Spiriti, la si richiama nel mondo dei vivi aiutandola, quasi spingendola a superare la barriera di confine tra i nostri mondi.
Ma è l’unico modo per poter reincontrare tuo padre. Non ci sono altri metodi.>>


Mìreen aveva ascoltato ogni singola parola e spiegazione con una concentrazione tale da avere quasi mal di testa, non solo perché era da sempre interessata a tutto ciò che era legato alla magia e ai possibili rituali che ne implicavano l’utilizzo, ma si trattava della possibilità di poter rivedere e parlare col padre!
Si mordicchiò il labbro nervosa, la donna era stata chiara, si trattava di magia oscura, non richiedeva componenti malvagi o sacrifici, ma era un’azione che andava contro la normale natura, la divisione dei due mondo era tale e così doveva rimanere…
Eppure si trattava solo di richiamare lo spirito del padre per un breve momento, poi lo avrebbero lasciato tornare dov’era adesso.
Vedendo l’incertezza e quasi timore sul suo volto, Kaithly addolcì i lineamenti del viso e la guardò con un sorriso tenero e comprensivo:


<< Se non te la senti, non posso che capirlo. Si tratta di qualcosa di molto oltre le normali pratiche a cui sei abituata e che vedi alle cerimonie o a scuola. >>

La decisione che aveva davanti la giovane non era facile: da una parte aveva gli insegnamenti della sua famiglia che l’avevano sempre messa in guardia dalla magia nera, considerata portatrice solo di male e dolore, suo padre era un Auror, combatteva e catturava i maghi oscuri, come poteva arrivare tanto in basso da usarla lei stessa??
Ma dal lato opposto c’era la speranza di poterlo rivedere… potergli parlare… dirgli addio e quanto lo amavano e che era sempre nei loro cuori, ovunque fosse…


<< Ci vuole tanto coraggio per sfidare le leggi della natura e accettare di compiere un’azione definita da tutti “malvagia” per ottenere un risultato “buono”.
La decisione alla fine è solo e soltanto tua, io non ti obbligherò a far niente.>>


Vedendo la ragazzina ancora molto indecisa e combattuta tra le due scelte, le sorrise e le disse:

<< Se rifiuterai non te ne farò una colpa, ma se accetterai, sappi che proprio perché non tutti la pensano come noi, dovrà rimanere un segreto.
La cerimonia di Samhain è l’occasione perfetta per il rituale perché è il momento dell’anno in cui la barriera tra i due mondi è più sottile e attraversabile… quindi devi decidere alla svelta perché abbiamo poco tempo per prepararci.
Facciamo così: te ora torna a casa e pensaci per bene; domani pomeriggio ti aspetterò sempre qui al lago e mi darai la tua risposta.>>


<< Perché sei disposta a darmi un simile aiuto? Infondo non ci conosciamo e con la mia famiglia non sei ancora riuscita a chiarire… E’ un gesto tanto altruistico quanto… sciocco, perché la magia oscura è vietata, rischieresti di metterti nei guai con un rituale che potrebbe addirittura fallire…>>

A quel dubbio Kaithly rispose con un sorriso, lo sguardo perso lontano, oltre il lago:

<< Sei una brava ragazza, gentile che ha sofferto tanto e ingiustamente… sei più speciale di quanto tu creda e io voglio aiutarti come posso nel cammino che ti porterà ad essere una fantastica donna adulta.
Siamo nati con una missione, la mia è diventata questa e farò di TUTTO per aiutarti a compiere il tuo destino soprattutto se in futuro potrai essere te ad aiutare me a realizzare un sogno a cui tanto tengo.
La mia proposta di aiutarti in questo difficile compito nasce anche come gesto per redimermi e come “offerta di pace” verso la tua famiglia… la possibilità di riparlare con tuo padre sarà il mio primo passo per riavvicinarmi ai Fiachran. Sperando l’accettino. >>


Mìreen non potè che sorridere a quel grande e altruistico segno di redenzione e come prova che ci teneva a ristabilire i legami con la sua famiglia.
Per tutto il tragitto e il resto della giornata pensò alla proposta che le aveva fatto.
Cosa doveva fare? Credere in quella vaga speranza? Era un sogno irrealizzabile o poteva veramente rivedere il padre?
Poteva il male esser usato per scopi buoni?
Di questo la ragazza continuava ad interrogarsi, indecisa su ciò che era giusto o sbagliato, su cosa credere e cosa era solo una bella illusione.


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Il giorno dopo si presentò al lago nel primo pomeriggio come da accordo, credette di esser ancora la prima, ma una chioma di capelli rossi palesarono la presenza della strega adulta, intenta a guardare il lago seduta sul solito scoglio, lo sguardo perso come la prima volta che l’aveva vista camminare nella sua direzione.
La raggiunse e si sedette vicino a lei, quella notte Mìreen non aveva dormito, troppo presa dalla decisione che doveva prendere.
Con la madre vi era ancora un ostinato silenzio da entrambe le parti, ma comunque lei e la nonna erano troppo occupate coi preparativi per accorgersi che la figlia in quei giorni aveva cambiato umore e l’alone di depressione e tristezza si era rischiarato per lasciar posto ad una piccola luce.
Stanca, appoggiò la testa contro il fianco della donna, la quale in risposta allungo il braccio per circondarle le spalle con affetto e trasmetterle il calore di quel semi-abbraccio.
Entrambe guardavano il lago, agitato dal vento freddo e cupo per le grigie nuvole che coprivano il cielo quel giorno.


<< Voglio farlo. Ho deciso che rischierò.>>

Un sorriso soddisfatto e orgoglioso comparve sul volto della rossa, per poi stringerla ancora di più col braccio appoggiato intorno alle sue spalle.

<< Lo sapevo. Il coraggio non manca nella vostra famiglia, come la predisposizione a infrangere le regole per seguire un sogno… o l’amore…>>

Quell’ultima parola non era ben chiara, ma non ci diede peso, piuttosto iniziò curiosa e chiedere informazioni su cosa implicasse il rituale e cosa si dovevano procurare.

<< Alla fine servono poche cose, proprio perché di per sé non ha niente di “malvagio” è l’intento a considerarlo “proibito”: Incenso di salvia o lavanda, candele viola e verdi, una spirituale, e una campanella… e la cosa più importante: un oggetto importante appartenuto a tuo padre o una sua foto.
Posso occuparmi di tutto e scrivere la preghiera agli dei e agli Spiriti per richiamare l’anima, ma l’oggetto o la foto me li dovrai procurare te.
Ah, mi serve anche un’altra cosa molto importante…
- attese un attimo prima di continuare, non sapendo che reazione avrebbe avuto la ragazza, ma alla fine doveva dirglielo per forza quindi tanto valeva farlo subito senza tanti rigiri… - mi serve il tuo sangue e quello di tuo fratello.
Nelle normali “sedute spiritiche” per parlare coi morti non serve, ma per questa “versione avanzata” è necessario per forza… il sangue dei diretti discendenti è il mezzo più forte con cui si può richiamare lo spirito.>>


Quando vide lo sguardo preoccupato della ragazza, aggiunse in tutta fretta:

<< Non ti preoccupare! Servono poche gocce! Non ho mica intenzione di dissanguare te o il tuo fratellino.
Lo faremo la sera del 31 Ottobre, intanto che Sheryda e Kathleen saranno occupate con la celebrazione ufficiale, noi faremo il nostro rituale personale e se funzionerà, le andremo a chiamare così anche tua madre avrà l’occasione di parlare con tuo padre.
Dalla parte opposta del lago c’è uno scoglio a pelo dell’acqua, è abbastanza orizzontale e liscio per poterlo usare come altare, non è la prima volta che lo facciamo, anche in passato è stato usato per questo scopo.>>


Il volto di Mìreen tornò un po’ più rilassato quando la tranquillizzò e la chiarì sul ruolo del fratellino, non completamente perché quello che stava per fare non le piaceva molto, ma se effettivamente darà loro la possibilità di parlare di nuovo al padre, doveva essere coraggiosa e correre il rischio.

<< Va bene. Ho capito tutto. Facciamolo.>>



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Era tutto pronto.
Aveva accompagnato madre e nonna alla cerimonia, le aveva salutate nel momento in cui si erano posizionate per iniziare, per infilarsi in mezzo alla folla venuta ad assistere, poté così sgattaiolare al lago col fratellino in braccio, mezzo addormentato per via dell’orario ormai vicino alla mezzanotte...
“l’Ora delle Streghe”
Gli aveva detto che andavano ad assistere ad un rituale molto più divertente e a cui avrebbero partecipato, ma il bambino era così stanco dopo che per tutto il giorno aveva aiutato le tre donne coi preparativi, che si era già riaddormentato tra le braccia della sorella.
Arrivò al lago seguendo il sentiero che conosceva quasi a memoria, illuminandosi la strada con la luce della propria bacchetta, appena arrivata al lago, vide dalla parte opposta un bagliore che stava a indicare il luogo preciso dell’incontro, così si rimise in cammino, fermandosi di tanto in tanto per riprendere fiato, per quanto il fratello avesse solo 6 anni, portarlo per tutto il tragitto in braccio era pur sempre stancante e aveva da poco passato l’esame per la smaterializzazione, non se la sentiva di rischiare con una congiunta con lui.
Giunse finalmente al lato opposto, Mìreen si guardò intorno curiosa, vide subito l’altare improvvisato con sopra il pentacolo disegnato, ai 4 punti cardinali i 4 elementi e le candele viola e verde di cui aveva parlato, quella spirituale al centro, invece a lato vi erano una campanella e della salvia fresca stava già bruciando in un contenitore al lato apposto.
Essendo anche Samhain, Mìreen riconobbe la tela sopra la pietra color nero, le candele arancioni e nere che sopra a dei sostegni in legno conficcati nella terra a intervalli regolari, formavano un meraviglioso cerchio di luce intorno a loro e all’altare, decorazioni autunnali di mele rosse, melagrane e crisantemi abbellivano l’altare com’era tradizione per Samhain.
Nell’aria c’era un altro odore che non riconobbe, qualcosa che sembrava indurre il rilassamento della mente e dei nervi, quell’aggiunta inaspettata era forse positiva visto quanto era tesa…
Non avendo ancora un athame, usò la propria bacchetta per aprirsi nella terra l’“ingresso” del cerchio rigorosamente a Ovest e adagiò il fratellino sul grande tappeto cerimoniale arancione scuro posto per terra, ai piedi dell’altare.
Il bambino aprì lentamente gli occhi risvegliato da quell’improvvisa debole luce e dal leggero sobbalzo nell’esser appoggiato a terra, si guardò intorno, stringendosi nel giubbottino…


<< Deirfiúr… Sicura che sarà più divertente? Qui è tutto buio e io ho paura… Torniamo dalla mamma>>

Deirfiúr = sorellona


Mìreen si sedette vicino a lui, incrociando le gambe per poi allungare le braccia nella sua direzione, il bimbo capì subito cosa volesse la sorella e si sedette nello spazio creatasi, lo strinse al proprio petto, più per infondere coraggio a sé stessa che a lui, esser circondata da tutte quelle fiammelle, anche se si trattavano di candele, non la esaltava molto, poi gli parlò con voce il più possibile convincente e rassicurante.

<< Non ti preoccupare, siamo solo in anticipo, adesso riposati così dopo sarai pronto al tuo ruolo e se il rituale funziona, ci sarà una bellissima sorpresa per te e la mamma!>>

Non dovette attendere molto, Kaithly si presentò con una lunga veste cerimoniale completamente nera, portava nelle mani un contenitore circolare fatto in pietra con dei decori celtici molto belli, sembrava antico, in alcuni punti rovinato dal tempo e dagli usi, ma ancora brillava di una lucentezza come fosse stato appena levigato.
Appena vide che la ragazza dentro il cerchio, l’apertura ad Ovest, sorrise soddisfatta…


<< Bene bene, noto che gli insegnamenti stanno dando i loro frutti.
Per fortuna stanno portando avanti bene il compito mistico della famiglia Fiachran, certo su altre cose sono state un po’ deludenti, ma almeno su questo sembrano aver fatto un buon lavoro con te.
Hai portato l’oggetto o la foto?>>


Entrò nel cerchio, lo richiuse con quello che alla ragazza sembrò un athame parecchio affilato dal manico completamente bianco, si avvicinò ai due seduti a terra e con un dolce sorriso si chinò sopra il bambino tra le braccia di Mìreen la quale estrasse dalla tasca la foto del padre e gliela porse…

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<< Grazie. E così questo è Lyam? Che bel bambino, assomiglia molto al padre da quello che posso notare.>>

<< Saaalve. Te chi sei? Assomigli alla nonna, ma più giovane.>>

<< Davvero assomiglio alla tua nonna? – ridacchiò, divertita da quella affermazione fatta così all’improvviso da un bambino mezzo appisolato - Chissà, magari abbiamo qualche antenato in comune… sarebbe bellissimo far parte dei Fiachran, anche se alla lontana.
Hai sonno piccolino? Resisti un altro po’ che facciamo alla svelta, così dopo potrai riposare beato.>>


Presa la foto, si mosse verso l’altare, accese le candele intonando una preghiera.
Intanto Mìreen fece sedere il fratellino affianco a sé, ma la sua mano destra restò stretta alla sua; era pensierosa sulle parole sentite poco prima, non avevano molto senso, in cosa erano state deludenti le donne della sua famiglia? Cosa significava?
La guardò con attenzione… Forse era un gioco di luci e ombre, ma possibile che sul volto della donna fossero comparse rughe che prima non c’erano?
Sembrava diversa, non solo nell’aspetto, ma anche nell’atteggiamento che nel modo di parlare…
Era forse nervosa come lei per il rituale? Era semplice preoccupazione o timore di sbagliare?
Kaithly posizionò il contenitore in pietra sull’altare, prese la campanella e la fece suonare, il suono che ne uscì fu più lugubre di quanto si aspettasse, non credeva che una campana potesse farle venire i brividi… poi vi mise dentro la foto di Ryan, estrasse nuovamente il proprio athame e passò la lama sopra la fiamma della candela spirituale.
Si girò verso la ragazza e disse serie e concentrata:


<< Allunga la mano, mi serve prima il tuo sangue.>>

La ragazza tergiversò un attimo ma poi ubbidì, sciolse la stretta da quella del fratello e allungò la mano destra verso di lei, la quale veloce e con mano ferma le procurò un taglio che prese subito a sanguinare, spostò in tempo la mano sopra contenitore prima di sporcare il telo cerimoniale ai propri piedi.
La mano bruciava per il taglio, che si stupì esser stato eseguito con una tale destrezza, fece di tutto per non mostrare dolore sul proprio volto, così da non spaventare il fratellino, ringraziò di essersi fatta promettere che con lui ci sarebbe andata più delicata, magari gli avrebbe fatto un tagliettino sul dito, giusto per avere quelle poche gocce di sangue necessarie.
Lo sguardò le cadde sul contenitore, dentro vi era qualcos’altro che prima non aveva notato, era qualcosa di scuro ma con quella flebile luce non vedeva niente.
La sua attenzione venne attirata dal sangue rosso, appena caduto sulla foto, lentamente le gocce scivolavano verso il basso, vinte dalla forza di gravità e da una superficie liscia e inclinata…
Ciò che però vide la ragazzina le fece crollare tutta la sua determinazione in quella impresa ardua e proibita: lacrime scarlatte rigavano il volto del padre come che stesse piangendo il suo stesso sangue.
Un groppo al cuore le comparve all’improvviso nel petto a quella macabra immagine, i dubbi tornarono ad assalirla oltre alla paura che ciò che stava facendo potesse andare contro i desideri dello spirito del padre.
Stava facendo una cavolata? Una voce urlò nella testa…
Che fosse solo la paura? O La coscienza che gridava alla ragione?
Il suono della campanella le mandò il cuore in defibrillazione, si girò verso Lyam che guardava la donna avvicinarsi con quella lama stretta in mano… era pallido, ma voleva essere coraggioso come la sorella, così lo vide chiudere gli occhi e allungare il braccino prima ancora che glielo venisse chiesto.

Fu un momento, un attimo, un battito di ciglia.
Vide un inquietante scintillio nello sguardo della donna, i lineamento nel volto erano diventati di colpo spaventosi, grotteschi… un ghigno sulla bocca come che pregustasse ciò che stava per fare.
La lama, invece di avvicinarsi lentamente alla manina che volutamente era stata allungata del piccolo, l’aveva invece superata e fu in quel momento che Mìreen capì e in risposta si buttò di lato, frapponendosi tra il fratello e l’arma, la quale aveva chiaramente puntato al collo del bambino, ma i riflessi della sorella furono abbastanza veloci da impedirglielo e sul suo percorso incontrò solo il braccio sinistro della ragazza.
La mossa spinse Lyam a terra, facendogli sbattere la testa, aveva gli occhi chiusi quindi non si era accorto del pericolo appena sfiorato.
Il taglio appena inferto percorreva buona parte dell’avambraccio, era così profondo da sanguinare già copioso, qualcosa le bruciava la ferita più di quella che le aveva procurato poco fa per il rituale, c’era una sostanza intorno ai lembi di pelle, simile a quella che aveva intravisto infondo al contenitore, ma vi soffermò molto, c’era di peggio di cui occuparsi… l’adrenalina mista a paura aveva risvegliato l’istinto di sopravvivenza e con un rapido gesto, approfittando del momento di confusione della donna che non si aspettava quella sua reazione, estrasse la bacchetta che dalla morte del padre teneva sempre a portata di mano, e la puntò contro Kaithly.


<< Cosa cazzo credevi di fare?! Volevi uccidere mio fratello?!
Lyam, resta giù, tua sorella non gli permetterà di farti del male!>>


Il bambino capì dal tono di voce che qualcosa stava andando male, iniziò a tremare come una foglia, spaventato, ma ubbidì e non pronunciò neanche una parola, rannicchiandosi ancora di più dietro la sorella.
Intanto la rossa era indietreggiata di qualche passo, ma il sorriso crudele dal volto non era scomparso, si era solo aggiunta una punta di fastidio per quel contrattempo:


<< Suvvia piccola Mìreen, è un prezzo da pagare per diventare ciò per cui sei nata!
Cosa vuoi che sia la morte di tuo fratello se ciò ti permetterà di risvegliare la creatura nascosta dentro di te? Unisciti a me e insieme faremo tornare grande e famosa la famiglia Fiachran e la sua stirpe di Banshee!>>


Non capiva minimante il significato di quelle parole, soprattutto cosa centrava la creatura mitologica della banshee con lei e la sua famiglia, ma considerato lo sguardo da pazza che le era comparso sul viso non ci diede molto peso, inoltre doveva trovare un modo per mettere in salvo il fratello.
Rapida afferrò la bacchetta lasciata a terra e lanciò un << Depulso >> contro la donna davanti a lei, la quale non aspettandoselo, venne spinta indietro perdendo così l’equilibrio.
Doveva assolutamente approfittare dell’occasione, si alzò trascinandosi dietro il fratello stretto alla mano ferita, aveva quasi superato il cerchio quando un << Proiecto >> irruppe alle loro spalle; riconoscendolo (lo aveva imparato a lezioni di incantesimi del 4° anno), spinse con più forza possibile il fratello davanti a sé, tornando così a fargli da scudo, il bambini cadde a terra poco distante per lo slancio della spinta, ma almeno l’incanto aveva afferrato lei e non lui.
Venne rispinta a terra, come tirata da una corda invisibile, la botta le spezzò il respiro per un attimo, cercò di rialzarsi dolorante, dal profondo taglio all’avambraccio il sangue sembrava continuare a uscire più del normale…


<< Ancora a difendere innocenti Mìreen? Perché non lasci che lo sacrifico per farti rinascere come banshee?
E’ per un bene superiore! Ho dovuto farlo anche per trasformare tua madre, ma alla fine guarda che bella e forte donna è diventata grazie al mio gesto.>>


<< Lyam SCAPPA! SUBITO!!! >>

Il bambino anche sta volta ubbidì subito all’ordine, graffiato dalla caduta, sporco di terra, le lacrime agli occhi, tratteneva il pianto da coraggioso ometto.
Mìreen fissò poi la pazza schizzata, stava per risponderle a tono, la rabbia che montava dentro di lei, fregandosene altamente di non capire un cavolo delle sue parole, quando un lampo di luce improvviso arrivò al petto della donna facendola letteralmente volare all’indietro.
Finì contro l’altare improvvisato che riversò a terra tutto ciò che vi era appoggiato sopra, candele comprese, ma per fortuna finirono dalla parte dell’acqua, spegnendosi senza il rischio di incendi.
La ragazza stupita si girò verso il punto da cui aveva visto provenire lo schiantesimo e sgranò gli occhi nel vedere madre e nonna comparse poco distanti dal cerchio, la bacchetta della madre stretta in mano e puntava la donna ancora a terra contro l’altare.


<< Muìrin, allontanati da lei! >>

<< Máthair! Seanmháthair! State attente! E’ Kaithly, vuole uccidere Lyam>>

<< Non osare minacciare la nostra famiglia! Chiunque tu sia! >>

Sheryda approfittò del momento per correre dal figlio, sotto la protezione di Kathleen, lo fece rialzare e lo prese in braccio, mentre tornava veloce al fianco della madre, lo cullò dolcemente per tranquilizzarlo e con un incantesimo del sonno lo addormentò in modo che non vedesse ne sentisse altro di quello che stava succedendo, ma non se la sentiva di riportarlo a casa e di lasciarle combattere da sole, soprattutto con la figlia ferita e sanguinante, così si lanciò un << Protego >> e posizionò il bimbo tra le sue braccia in modo da fargli scudo in qualsiasi momento.

Una risata agghiacciante riportò l’attenzione di tutti sulla rossa che si era rialzata dopo la botta ricevuta, una bacchetta era comparsa nella sua mano, osservava minacciosa le due donne comparse, un perfetto contrasto col sorriso sinistro che invece esibiva stampato sulla faccia.


<< Kaithly? No… Non puoi essere te… Eppure… >>

Kathleen guardava la donna come avesse visto un fantasma, confusione e incertezza gliele si leggevano in faccia…
Sollevando la propria bacchetta, finora tenuta bassa, la puntò prima verso la sconosciuta pronunciando << Sanguinis >> poi la spostò su se stessa << Religo >> e infine la posizionò a metà strada tra loro due << Epifàthio >>.
Una luce dorata molto intensa brillò illuminando le due donne, per tutto l’incantesimo la rossa non aveva fatto niente, era rimasta volutamente in attesa, con un ghigno di sfida sulla bocca.
Lo sguardo della nonna si fece ancora più dubbioso, ma solo per un attimo, poiché poco dopo sgranò gli occhi, come avesse avuto un’improvvisa illuminazione, tornò seria, e alla confusione sembrò sostituirsi la rabbia.
Puntò nuovamente la bacchetta contro la donna nel cerchio, la quale ancora una volta non reagì, sembrava sapesse cosa volesse fare l’anziana donna, addirittura che lo aspettasse con una certa soddisfazione… Kathleen fece dei movimenti circolari, col braccio in una posizione che la ragazza non riuscì a riconoscere, e disse quasi sussurrando: << Veritas >>
L’incanto ebbe subito effetto e Mìreen vide con sommo stupore l’aspetto di Kaithly mutare: il corpo si incurvò leggermente e si fece meno formoso e pieno, la pelle divenne pallida, rovinata e cadente in alcuni punti del corpo, profonde rughe solcarono il viso prima liscio, e i capelli rossi lentamente si diradarono e accorciarono, ma soprattutto si schiarirono tanto da diventare quasi bianchi… I lineamenti erano gli stessi di prima, ma davanti a Mìreen la donna di prima, di bell’aspetto dell’età della madre era sparita, sostituita da una più anziana, della stessa età o forse poco più vecchia di sua nonna, si ravvivò i capelli divenuti quasi bianchi e parecchio più corti, guardava i presenti come una diva guarda il suo pubblico dopo una grande performance.


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<< Ed eccomi qui, mie care. Ecco a voi la vera Kaithly Fiachran in tutto il suo splendore… e con “qualche anno” in più rispetto a prima.>>

Stupore e confusione assalirono la ragazza che le sembrò di ricevere uno schiaffo in pieno viso…
Come poteva fare di cognome FIACHRAN come loro? Non era “Narchiaf”??
Poi una scossa le attraversò il cervello: F-I-A-C-H-R-A-N… N-A-R-C-H-I-A-F… le lettere erano le STESSE ma all’incontrario, solo I, C e H erano state spostate per rendere più credibile il cognome inventato.
Una Stupida ingenua che si era fatta prendere in giro, ecco come si sentì in quel momento.


<< Sei tornata.
Credevamo te ne fossi andata per sempre dopo quello che hai fatto… e che avessi finalmente deciso di lasciar stare la famiglia Fiachran e la tua insana promessa di riscattare il nome delle banshee discendenti da Aibhill.>>


<< Oh No, SORELLINA. Come potrei allontanarmi dalla mia famiglia? Dal sangue del mio sangue…
Dalla mia GEMELLA.
Sono tornata tempo fa’, quando ho scoperto che tua figlia era in cinta, da allora sono rimasta nascosta nella foresta al di là del lago che tanto amavamo da bambine… peccato che sono sempre stata più brava di te a nascondino.
Sai, ero presente alla tua nascita piccola Mìreen, o come ti chiamano spesso Muìrin, il pendolo che porti sempre al collo è un cimelio molto importante della nostra famiglia, lo avevo nascosto per tenermelo, ma alla fine ho cambiato idea e l’ho lasciato in bella mostra in modo che tuo padre lo trovasse in quel vaso col germoglio.
– appoggiò indice e medio sul mento e picchiettandoli si fece pensierosa - E’ stata una fortuna che alla fine non sei nata gemella com’era nella NOSTRA visione…
Di amuleti magici come quello che ti ho lasciato ne esistono pochi e nella nostra famiglia non ne abbiamo due… cosa avrei potuto regalare all’altra neonata se eravate in due?
Chissà poi perché non sei Gemella come me e Kathleen, di solito le nostre premonizioni non sbagliavano mai… eppure te sei stata l’unica nostra eccezione…>>


Mìreen aveva la testa che le scoppiava, troppe scoperte, troppe informazioni!
Tutte insieme, tutte gettatele addosso come una bomba esplosa intorno e soprattutto nella sua testa, nel suo petto… La mente correva alla rinfusa per analizzare ogni singola parola detta, ogni rivelazione, ma erano così tante, troppe! Il cuore le batteva veloce come dopo una maratona, iniziò a sudare freddo, lo sguardo correva da Kaithly, a Kathleen che continuava a tenere l’attenzione fissa sulla sorella come stesse tenendo d’occhio ogni suo respiro, a infine alla madre, che aveva abbassato lo sguardo, vergogna, dispiacere, rammarico che la figlia avesse scoperto buona parte dei loro segreti in quel modo…
Invece in Mìreen, era rabbia, delusione e una sensione di ferita che piano piano stavano montando nel suo petto… Nessuno le aveva detto quelle cose, neanche un misero accenno!
Era rimasta alla scuro di tutto: di discendere dalla banshee più famosa delle leggende irlandesi, di avere una prozia gemella di sua nonna, con una missione da psicopatica, e che doveva esser lei stessa una gemella secondo una doppia visione.
Le aveva dovute scoprire da un parente mezzo schizzato, comparso all’improvviso per ucciderle il fratello credendo di trasformala in cosa…? In una creatura mitologica!
La “nuova prozia” poco distante da lei, notò l’enorme confusione e rabbia sul volto della pronipote e si fece infastidita, quasi offesa…


<< Dal tuo sguardo comprendo chiaramente che non eri stata informata su niente di tutto questo…
Voi e la vostra stupida idea che è meglio vivere da “umane”, come che la nostra sia una maledizione invece che un dono.
Scommetto che non ti avevano detto neanche che avevi una prozia da qualche parte, eh?>>


<< E’ meglio vivere da persone “normali” che sentire voci, presenze di morte e pericoli ovunque cammini!
Lo hai ammazzato per trasformarmi, hai spezzato la nostra famiglia, ce lo hai portato via per la tua insensata motivazione… e cos’abbiamo ottenuto alla fine?!
Non sono riuscita neanche a salvare Ryan benchè tutti i maledetti poteri che mi hai dato!
Non solo hai versato sangue innocente di una persona che amavamo, ma lo hai fatto anche inutilmente!>>


<< Abbassa quel tono di voce quando parli con me signorina!
Anche se di pochi minuti sono più grande IO di Kathleen e ciò mi rende la vera matriarca dei Fiachran.
Quello che ho fatto era necessario e inoltre non era un innocente, ma un avversario! Un nemico del clan che le discendenti di Aibhill devono servire e proteggere.>>


<< Siamo nel 21° secolo! Non ci sono più oneri e doveri di famiglia o addirittura clan avversari.
Buona parte di loro neanche sanno di discendere da duca o addirittura da reali.
Sei un’assassina e pure completamente pazza! Lo hai ammazzato per una rivalità antica di secoli!>>


<< Chi ha ammazzato?! Ditemelo!!! BASTA SEGRETI!>>

Un silenzio improvviso cadde dopo l’urlo di Mìreen.

<< Bambina mia, vedo in te ancora più potenziale di quello che vedevo in tua madre, lascia che ti trasformo, sarò la tua mentore, e con me imparerai che i miti che tanto ami non stanno solo nei libri antichi di una biblioteca polverosa.>>

<< Mi hai già ingannata, non ci cascherò di nuovo! Stammi lontana.
Avevi detto che avrei potuto rivedere mio padre e parlargli un’ultima volta, invece era solo una trappola per mettere in pericolo Lyam!>>


<< Come hai potuto credere ad una cosa simile?! Prima di tutto è un’azione puramente malvagia e sbagliata oltre che crudele obbligare uno spirito ad attraversare il confine dei nostri mondi senza neanche preoccuparsi delle possibili conseguenze! Credi che la sua anima ne sarebbe rimasta illesa?! Coma hai potuto mettere a rischio la sua anima e cercare di richiamarlo con un rito oscuro invece di chiedere a noi e accontentarti della normale divinazione?!>>

Ognuna di quelle parole, dette dalla madre, con quel tono arrabbiato e spaventato, deluso per come la figlia aveva agito, l’avevano trafitta come l’athame della zia, ma erano state ancora più dolorose perché dette erano la cruda verità. Si era fatta illudere, aveva rincorso un sogno tanto pericoloso quanto impossibile, mettendo a rischio il fratello e lo spirito del padre.
Fu la nonna a zittire la madre, con una semplice alzata di mano, autoritaria che non ammetteva replice, proprio come era solita fermare le liti in famiglia.


<< Basta Sheryda.
E’ stata ingannata da Kaithly come lo sei stata te a suo tempo, e che a portato a ciò che alla fine è successo. Che abbia sbagliato è vero, ma ha perso da poco il padre, non avendolo ancora accettato, ha cercato un modo per rivederlo e parlarci un’ultima volta. Se non ci fossi stata io a controllarti, probabilmente tu avresti fatto lo stesso.
Ti è stata data la conferma poco fa’: Mìreen è il suo obiettivo già da tempo, ha solo trovato il momento in cui era più debole per avvicinarla e soggiogarla con le sue capacità innate di capire le debolezze altrui e usarle a suo favore. >>


Mìreen fece per rialzarsi, ma sentì i muscoli non risponderle, a malapena riuscì a mettersi in ginocchio.
C’era qualcosa che non andava, era paralizzata, soprattutto il lato sinistro del corpo non se lo sentiva più, a cominciare dall’avambraccio col profondo taglio che ancora sanguinava... le aveva imbrattato la veste cerimoniale il telo arancione col pentacolo da rituale era ormai macchiato con un’enorme chiazza rosso scuro. Ci mise un attimo a ricordarsi di quella strana sostanza scura intorno alla sua ferita.


<< Il mio composto paralizzante sta facendo effetto in ritardo, ma suppongo sia perché te sei più grande di un bambino di 6 anni… doveva evitare che tuo fratello scappasse mentre moriva dissanguato, ma hai voluto salvarlo… - sbuffò infastidita, ma non sembrò troppo preoccupata, come che si trattasse solo di un contrattempo - Troverò qualcun’altro da sacrificare per la tua trasformazione, per adesso vieni con me, non ti lascerò morire, ho il rimedio per ogni mio veleno.>>

Piuttosto che andarsene con lei, avrebbe preferito morire, ma così paralizzata non poteva neanche lottare e la perdita di sangue la stava rendendo sempre più debole, lentamente si stava accasciando al suolo, la vista che le si appannava.
La donna si mosse verso di lei, allungando una mano nella sua direzione, ma un nuovo lampo le volò a neanche un cm di distanza, all’ultimo lo schivò, per poi dirarsi adirata verso chi l’aveva lanciato.


<< TU MIA FIGLIA NON LA PORTI DA NESSUNA PARTE.>>

Glielo aveva detto con un tono di voce di un minaccioso come non lo aveva mai sentito, odio puro negli occhi, la bacchetta stretta nella mano fino a far diventare le noche bianche.
Come facesse a tenere il figlio e riuscire ugualmente a lanciare incantesimi era sorprendente, sembrava che la presenza del bambino da difendere non le fosse minimamente d’intralcio.


<< Attenta… le sue debolezze sono anche le sue, è banshee da molto più tempo di te.>>

<< Tieni pronta máthair… questa volta non ci sfuggirà.>>

Uno scambio di parole da essere tanto basse da essere poco più di un sussurro, ma sembrava che Kaithly avesse sentito lo stesso, oppure stava supponendo le intenzioni delle due, perché dopo una risatina disse a Mìreen:

<< Ti affido alle loro cure, sono più brave di me e sapranno cosa fare… Ci rivedremo. – era un’affermazione, sicura e chiara, una promessa non una minaccia - Le nostre premonizioni possono sbagliare una volta, ma stai certa che farò di tutto affinché quella della tua trasformazione si realizzi.>>

Infine si girò verso sorella e nipote e disse col tono di sfida:

<< Non potete fermare il destino, ormai è stato tutto scritto… E solo a lei toccherà la scelta di chi essere in futuro: Mìreen… oppure Muìrin?
Ci rivedremo, mie adorate consanguinee!>>


E prima che l’incantesimo “Trasferitio Revocando” della nonna e l’ “Incarceramus” della madre colpissero la fuggitiva, si era già smaterializzata chissà dove.
Le forze abbandonarono completamente la ragazza.
Cadde a terra con un tonfo, la vista sempre più appannata, il respiro lento…
Riuscì a intravedere le donne più importanti della sua vita correre da lei, urla lontane la incitavano a restare sveglia… Ma era così stanca, non muoveva più niente, i sensi l’abbandonavano, luci di ogni colore esplosero intorno a lei, si sentì sollevare da terra e galleggiare in aria.


<< Mi dispiace… >>

Riuscì a pronunciare con estrema fatica quelle due sole parole, usando le ultime energie, poi ogni cosa si spense e il suo mondo fu nero e silenzioso.



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Scheda PG Contest SETTEMBRE 2018 _ CHIMERA
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Sheryda aveva adagiato Lyam per terra accanto a loro, stringeva la mano della figlia, lacrime copiose le rigavano il viso.
Cercava di non farsi prendere dalla paura e dalla disperazione, doveva restare calma e controllata come sua madre, che con un << Vitae Relata >> aveva subito fermato l’avanzare del veleno che rischiava di raggiungere il cuore e le vie respiratorie di Mìreen paralizzandole.
Il panico era la cosa peggiore da cui farsi prendere in quel momento e il tempo non era dalla loro parte, pensò alla svelta agli incantesimi di guarigione che aveva studiato o che erano stati insegnati...
Appena lo trovò, puntò la bacchetta a pochi millimetri dalla ferita e roteando la bacchetta lentamente, iniziò a pronunciare << Vulnera Sanetur >> come fosse una cantilena… continuò finchè i lembi della pelle non si rimarginarono lasciando solo una lunga cicatrice lungo parte dell’avambraccio sinistro.


<< Portiamola subito dalla nostra guaritrice, non so per quanto l’incantesimo rallenterà il veleno.>>

Sheryda si morse il labbro nervosa e ancora preoccupata per le sorti della figlia, si alzò e riprese il figlio in braccio, per poi seguire la madre.

Solo quando l’anziana guaritrice, amica di sua madre, riuscì a curare completamente la figlia, solo quando la vide dormire profondamente nel suo letto, riuscì finalmente a tranquillizzarsi veramente e a distendere i nervi, rimasti in assoluta tensione dal momento in cui, durante la cerimonia aveva sentito il forte pericolo e visto i figli in quel cerchio al lago, l’athame affilato in manico d’osso che si avvicinava al suo bambino, per tagliargli la gola di netto.
Ancora una volta, la figlia lo aveva salvato da morte certa… era proprio figlia di suo padre.
Pensierosa, col volto cruciato, di una madre che non sa se prendere una decisione fin troppo difficile e importante, la guardò dormire, accarezzandole con un tocco delicato della mano, quella nuova cicatrice che l’avrebbe marchiata a vita, come era stato con la cicatrice della tragedia.
In una sola notte c’erano state troppe rivelazioni, troppi segreti della loro famiglia venuti alla luce.
Mìreen aveva sbagliato, si era fatta ingannare, ma era successo in un momento troppo doloroso, debole e insicura sul futuro senza il padre, non accettava la sua morte e avrebbe fatto di tutto per rivederlo e parlagli ancora… per dirgli “Addio”…
Non gliene faceva una colpa, ma temeva se la sarebbe data lei stessa; aveva messo in grave pericolo il fratello e se non fosse intervenuta proteggendolo col proprio corpo… No, non doveva pensarci, non poteva neanche immaginare di perdere i doni più belli che Ryan le potesse fare… e lasciare.
Doveva proteggere la figlia, non solo dalla prozia, lanciando incanti lungo tutto il perimetro della casa per tenere la donna lontana da loro, ma doveva salvarla anche da se stessa e da tutto quello che ne sarebbe seguito nel momento in cui si sarebbe svegliata e avrebbe ricordato cos’era successo e cos’era stato detto.
Niente sarebbe stato più lo stesso, nessuna vita normale, quella che a Sheryda le era stata negata proprio dalla zia… non era riuscita neanche a tornare ad Hogwarts perché all’inizio incapace di gestire la trasformazione.
Eppure non poteva lasciare che un nuovo trauma si aggiungesse alla sua vita, non poteva lasciarle quel peso sulla coscienza, non poteva permetterle di temere il proprio sangue e destino.
In futuro, quando sarebbe stata pronta, le avrebbe raccontato tutto, della loro maledizione, le avrebbe rivelato ogni cosa, la storia completa dall’inizio alla fine, ma non era quello il momento.
Di una cosa era d’accordo con la zia: anche se per lei non c’era distinzione tra Mìreen e Muìrin, solo la figlia poteva decidere chi essere in futuro.
Futuro… doveva ridarglielo. Voleva vederla sorridere al suo risveglio.

Prese la bacchetta, la mano le tremava per quello che stava per fare… sapeva che era sbagliato, non era onesto nei confronti della figlia, ma una madre farebbe di tutto per proteggere i propri figli, e lei lo avrebbe fatto anche conoscendone le conseguenze quando sarebbe arrivato il momento della verità.
Fece un profondo respiro per calmarsi, Kathleen aveva intuito cosa volesse fare Sheryda, non approvava e glielo aveva detto quando ne avevano discusso, ma non l’avrebbe fermata.
Puntò il lato sinistro della testa di Mìreen e disegnando un semicerchio verso il lato opposto, decisa della sua scelta pronunciò l’incantesimo << Oblivion >> concentrata sull’esatto periodo di tempo da cancellare.
Poco prima della decisione, si era concentrata e aveva ripensato a quegli ultimi giorni, a quando qualcosa era cambiato, era stata così occupata con la preparazione di Samhain che non aveva prestato molta attenzione a lei, soprattutto dopo la brutta litigata di quella sera… ma di colpo le era venuto in un mente un ricordo, un pensiero fatto in un determinato momento, la figlia un pomeriggio tardi era tornata a casa e sembrava per la prima volta, dopo tanto tempo, serena, un debole accenno di sorriso sul volto mentre le passava affianco, si era addirittura chiesta cosa le fosse successo al lago da renderla allegra.
Quello doveva esser stato il giorno dell’incontro con Kaithly, era da lì che doveva partire a cancellare, fino al suo svenimento.


<< Goditi la serenità e la speranza di una vita e di un futuro “normali”, perché se il destino deciderà di compiersi, la normalità sarà l’ultima cosa che dovrai aspettarti.>>

Sorrise alla figlia addormentata, accarezzandole la guancia, se alla fine verrà trasformata, lei stessa l’accompagnerà in quel lungo e difficile cammino.

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Mìreen si stiracchiò, era stata a disegnare sul suo letto in appartamento per tutto il pomeriggio.
Inizialmente erano bozze per la prossima festività: Mabon, l’equinozio d’Autunno, che si sarebbe stata il 21 Settembre, ma poi si era distratta e senza accorgersene, aveva iniziato a disegnare i lineamenti di una donna… capelli molto corti, quasi completamente bianchi, alcune rughe solcavano un volto i cui lineamenti, a guardarlo bene, ricordavano vagamente quelli di sua nonna, ma più rudi, meno delicati… un sorriso sul volto che assomigliava più ad un ghigno e gli occhi la guardavano fissa, come che cercassero qualcosa dentro di lei.


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<< Strano… Perché avrò disegnato questa donna? Che l’abbia vista da qualche parte? A un non-so-chè di famigliare…>>

Lo osservò con più attenzione, ma non le venne in mente niente, ne chi fosse, ne dove potesse averla vista.
Allungò il braccio sinistro, rimasto per troppo tempo piegato con la sua testa appoggiata sopra, ora era completamente indolenzito.
Distratta si grattò l’interno dell’avambraccio, ma non si stupì di non sentire il proprio tocco.
La madre le aveva raccontato che all’età di 16-17 anni era caduta da uno degli alberi più alti a lato del lago, nel tentativo di afferrare uno dei rami si era procurata un lungo taglio, e cadendo aveva battuto la testa tanto da non ricordarsi niente.
Per un buon tratto, una cicatrice lineare lo percorreva, la pelle leggermente violacea… e, un qualche motivo a lei sconosciuto, non sentiva niente in quella striscia di pelle, come che fosse perennemente anestetizzata.




I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it



DALLA PARTE 2. IN AVANTI NON E' STATO RILETTO BENE!
Mi sono informata sui vari significati di Chimera, sia a livello metaforico, sia dal punto di vista delle singole teste.
L’idea iniziale era di basarmi sul significato metaforico:
“Inseguire chimere” = Illusioni, Sogni irrealizzabili e pericolosi.
Ma andando avanti con lo scritto, mi sono resa conto di esser riuscita a sfruttare la Chimera anche analizzando le 3 teste nel loro singolo significato.
Delineando il personaggio di Kaithly che fin’ora era sempre stata una bozza tra i miei appunti e nella mia testa, mi sono accorta che le stesse 3 teste potevano, considerando l’interpretazione nell’antica Grecia come “simbolo di una somma di vizi”, essere interamente racchiuse in questo PNG: leone – violenza, perfidia e oscurità – serpente e lussuria – capra.
Invece nell’interpretazione Medievale la chimera è “simbolo del cambiamento” e in questo caso le teste si collegano a 3 importanti personaggi del mio Frammento:
Mìreen - coraggio e forza del leone (simbolo del sole, del calore e dell’estate)
Sheryda - via di mezzo dei due stadi nella capra (la transizione, il crepuscolo, l’autunno e la primavera)
Kaithly - la malvagità del serpente (la notte, la vecchiaia e l’inverno)

Mi scuso per la lunghezza del Contest, ma ho colto l’occasione per fare un po’ di Rivelazioni sul mio PG e sul suo Background, soprattutto l’ho sfruttato per introdurre un personaggio molto importante, dando così un chiaro spunto narrativo per chi ruolerà la mia Quest di Razza
Il titolo è stato a lungo pensato, si compone delle 3 parti in cui ho diviso il contest e ogni parte grammaticamente parlando ha la sua “persona singola”:
IlludiMI – IO - Mìreen
RivelaTI – TU - Kaithly
DimenticaLA – ESSA – la Chimera (l’illusione)
 
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view post Posted on 31/10/2018, 05:10
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Scheda PG Contest OTTOBRE 2018 _ MORTE
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<< Mìreen! Corro a comprare due cose per la cena di sta sera che tuo babbo ha voglia di “Irish Stew”, quando torno devi aver finito l’intero capitolo.>>

<< Sì… sì… >>

Un lontano suono di porta che si chiude, seguito dall’urletto divertito di un bambino piccolo e accompagnato da una risata maschile, echeggiarono per la casa mentre la ragazza, palesemente annoiata dal capitolo di Storia della Magia che aveva cercato di imparare tutto quel pomeriggio, lentamente si addormentava col libro aperto letteralmente sulla propria faccia.

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Lunghi capelli danzavano al vento… bianchi come la neve…
Una figura, avvolta in un lungo mantello nero, restava immobile poco lontana da lei.
Lo sguardo basso, il volto nascosto da un cappuccio nero e da un volteggiare di capelli, mossi da un vento che stranamente Mìreen non sentiva.
Il cielo era nero, neanche una timida stella sembrava voler brillare, eppure come faceva a vedere la lontana figura?
Come chiamata da quel suo pensiero, lentamente la luna sembrò uscire fuori da dietro un velo nero e spesso, come che vi fosse rimasta nascosta dietro, spaventata.
Quella grande luna gettò ombre scure e indefinite intorno loro, illuminando un lato della presenza che continuava ad aspettare, lontana, eppure allo stesso tempo vicina, poteva percepirla come fosse al suo fianco…
Sembrava in attesa di qualcosa, i suoi capelli, colpiti dai raggi lunari, ora erano diventati d’argento, fili preziosi le danzavano intorno al viso, scappati al nascondiglio del cappuccio, nascondendone i veri lineamenti.
Una pelle così pallida da sembrare porcellana, s’intravedeva da sotto quelle nere vesti.


“ Chi sei? “

Lo aveva detto o solo pensato?
Mìreen non lo sapeva, eppure la figura sembrò sentirla, alzò il viso quel tanto per guardarla, mostrandole una metà del volto, il volto di una giovane donna, forse più ragazza che donna…
Quella visione le suscitò un misto di paura e curiosità, paura perché il volto era rigato da lacrime nere, ma anche curiosità, quasi attrazione, verso quei due grandi occhi, di un colore tanto strano quanto bello: le ricordava l’ametista, la sua pietra preferita, ma non era un colore puro, sembrava mescolato ad un grigio-argento che rendeva il colore unico e singolare.


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La giovane donna iniziò ad avvicinarsi a lei, lentamente, con delle movenze sinuose, il vento che le muoveva i capelli e la veste come fosse sott’acqua, come che stesse camminando sul fondale marino… era una visione sia inquietante sia affascinante, con quello sguardo fisso.
Una mano, prima abbandonata a ciondolare lungo il fianco, di colpo si sollevò, come per volerla raggiungere prima, e il cuore di Mìreen prese a battere frenetico e spaventato: quella mano pallida, aveva lunghe unghie affilate come artigli!


pianto-nero



Si avvicinava tesa verso di lei, eppure non sembrava volerla attaccare, solo… toccare.
Uno strano rumore si sentì nel completo silenzio in cui erano rimaste immerse finora, una specie di crepitio… Ma se erano sott’acqua, come poteva sentirsi il crepitio del fuoco?


<< Mi dispiace… >>



Un sussurro le arrivò all’orecchio, una voce femminile indistinta e sinceramente dispiaciuta…
La luna da argentata si fece rossa, un rosso così intenso da ricordarle il sangue, tornò a guardare la figura che avanzava, e il suo sguardò si bloccò sconvolto: era ancora pallida, ma i lunghi capelli fluttuanti erano tornati bianchi, ma questa volta gli occhi erano rigati da lacrime di un rosso scuro e denso, e l’iride degli occhi, prima di quel grigio-viola tanto affascinante, erano ora scarlatte, rendendola la visione più spaventosa che avesse mai visto in vita sua.

occhi-rossi-e-labbra



L’oscura donna si fece sempre più vicina, piangeva lacrime di sangue e benchè il copricapo nero e i capelli davanti al volto, vi riusciva a leggere ugualmente puro dolore e una sconfinata tristezza.
Mìreen cercò di muovere il corpo, ma non ci riuscì, neanche un muscolo le rispondeva, non riusciva neppure a sollevare la testa per guardare meglio colei che si stava avvicinando.
Quando fu a pochi passi, tanto da poterne vedere solo le nere labbra perfette, quella mano artigliata si appoggiò con delicatezza sulla sua guancia, una sensazione di freddo glaciale le invase il corpo dal punto in cui la toccò… e con un tono basso, cupo, più simile ad un lamento, la figura le disse:


<< Non è ancora il momento…
Svegliati. >>



La guardò confusa da quelle strane parole appena dette, ma un improvviso boato, la costrinse ad ubbidire…
…e si svegliò.


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Mìreen si alzò di soprassalto, il libro che aveva sul volto cadde a terra con un tonfo.
Strani suoni provenivano dal piano di sotto, poi di colpo in un’enorme esplosione la fece sussultare impreparata, si propagò in ogni stanza della casa fino alla sua, così assordante che dovette coprirsi le orecchie con le mani.
Con le orecchie che fischiavano, potè percepire a malapena delle voci indistinte e suo fratello piangere.
Stava succedendo qualcosa di grave di sotto, sentiva oggetti che si frantumavano o venivano scaraventati da tutte le parti poi un nuovo grido echeggiò nella casa, l’urlo di suo padre… e fine più niente.
Scese dal letto e barcollante, ancora un po’ stordita alla bomba di poco prima, corse giù per le scale, quasi inciampò, ma reggendosi al corrimano evitò di capitolare a terra.
Arrivata alla fine della rampa avvertì subito l'odore di fumo e quell'inquietante silenzio venne sostituito dal crepitio del suo sogno… il fuoco aveva già invaso tutta la casa, troppa velocità e ferocia, poteva essere solo magico, appiccato volutamente per tutto il piano terra, bruciava inarrestabile i mobili, le pareti, il pavimento, arrivata in fondo alle scale, le sembrò di essere nell’inferno descritto dai Cristiani.


Fuoco-dentro-casa



Fece alcuni passi verso il salotto da cui era provenuto tutto quel chiasso, insieme al pianto del fratello e all’urlo del padre.
Se lo aspettava vuoto, non sentendo più nessun rumore, a parte il bruciare di quelle alte fiamme, ma avrebbe potuto immaginare la scena che invece le si presentò, la stessa scena che avrebbe visto e rivisto nei suoi più orribili incubi…
Il salotto era completamente distrutto, la grande vetrata che dava sul giardino infranta, una bomba avrebbe fatto meno danni… si guardò intorno disperata, finchè non li vide: il padre era accasciato davanti al box del fratellino, sanguinante, pesto, il fratellino era steso al suo interno, girato di schiena…
Entrambi erano silenziosi… immobili…
Mìreen prese a tremare, lacrime calde come lava presero a scendere dai suoi occhi rossi, le bruciavano ma non era solo per il fumo nero che si stava propagando per tutta la casa, nessun dolore poteva esser paragonato a quello che sentì in quel momento esatto.
Allungò una mano tremante, invasa dalla paura di scoprire la verità, ciò che la sua mente già aveva intuito, toccò il padre, il corpo era ancora caldo, forse per il fuoco o forse perché era tutto appena successo… o magari era ancora vivo!
Provò a chiamarlo, la voce rotta dai singhiozzi, provò a scuoterlo, appoggiandolo con la schiena a terra, ma niente.
Non parlò, non aprì gli occhi, non si mosse.
Appoggiò la mano sul suo petto… Nessun respiro, nessun battito.
Si allontanò di un passo, sconvolta dalla terribile realtà: davanti a sé, c’era un corpo senza vita, graffiato, martoriato, come che avesse lottato contro qualcuno o qualcosa, ora invece immobile, lo aveva trovato in una posizione che lasciava intendere che era scattato a proteggere il figlio… prima di esser colpito da qualcosa che lo aveva ucciso sul colpo.
Nessuna ferita mortale, ne una pugnalata, ne un foro di proiettile, e a parte i tagli e strappi dello scontro, gli abiti erano integri.
Poteva esser stato solo e soltanto un incantesimo… e non uno qualsiasi…
Un improvviso colpo di tosse la ridestò dallo shock, tolse l’attenzione dal genitore e si concentrò su chi aveva cercato di proteggere, un leggero movimento di quel corpicino la fece scattare di nuovo in avanti.
Era vivo, il fratellino era ancora vivo!
Non poteva permettersi distrazioni o inutili ragionamenti, non poteva neanche compiangere l’amato padre, perché doveva ancora mettere in salvo se stessa e il fratello.
Si avvicinò di nuovo al box, piangendo col cuore a pezzi, si inginocchiò affianco al padre e allungò la mano destra per toccargli la fronte, tracciò il simbolo della loro famiglia, per poi chinarsi e dargli un ultimo bacio, come faceva sempre lui la sera quando le dava la buona notte con un bacio sulla fronte…
Ma questa volta non ci sarebbe stata mattina per lui… e forse neanche per loro se no si fosse sbrigata.
In fretta si rialzò e prese in braccio il fratellino, se lo avvicinò al petto, un sospiro di sollievo le sfuggì appena costatò che era veramente ancora vivo, ma tutto quel fumo lo stavano uccidendo, per quello aveva smesso di piangere...
Stava uccidendo entrambi, e se non scappavano alla svelta, avrebbero fatto la stessa fine del padre.
Si allontanò dal genitore morto, gli sussurrò un tremante << Beannacht daidí >> e col fratellino di 5 anni in braccio, appoggiato al petto in modo da farlo respirare come meglio poteva aria pulita, si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga da quella casa pericolosa e completamente avvolta dalle fiamme.


Beannacht daidí = Addio papà


Suo fratello era ancora vivo.
Lei era ancora viva.
E sapeva che sua madre sarebbe arrivata a salvarli se non ci fosse riuscita da sola.
Non potevano morire, dovevano vivere!
As a n-athair as a mháthair agus iad féin.


As a n-athair as a mháthair agus iad féin = Per il loro padre, per la loro madre e per loro stessi


Quell’unico pensiero, era ciò che le dava la determinazione e la forza di avanzare in quell’inferno di fuoco, finchè aveva ancora ossigeno ed energia in corpo, non avrebbe mollato.
Ovunque si girasse c’era un ostacolo che le ostruiva il passaggio o un qualche mobilio in fiamme a cui non poteva avvicinarsi senza bruciarsi, tutto quel calore era soffocante, sembrava di stare in un forno, il metallo della sua collana si stata surriscaldando ed essendo aderente alla pelle del petto, il ferro rovente la stava bruciando, ma non poteva toglierselo, aveva le braccia occupate a sorreggere il fratello e per nulla al mondo lo avrebbe lasciato, il peso che trasportava non aiutava a spostarsi nelle stanze, ma le importava.
Anche respirare era difficoltoso, il fumo aveva ormai saturato l'aria, gli occhi e i polmoni bruciavano, la vista le si stava appannando e i respiri erano sempre più corti e inutili perché di ossigeno ne entrava poco…
Eppure non avrebbe mai abbandonato Lyam per salvarsi condannandolo, piuttosto sarebbe morta anche lei, piuttosto avrebbe raggiunto il padre nell'aldilà!
Il petto le bruciava, non sapeva dire se era più per il fumo che le grattava la gola, o per il medaglione rovente che le stava ustionando la pelle.

Nel momento in cui pensava di non farcela, nel momento in cui l’ultima energia la stava lasciando e nel suo corpo ormai era ai minimi critici l’assenza di ossigeno, vide la porta d'ingresso, che stava cercando disperatamente di raggiungere, spalancarsi e la madre irrompere nella stanza.

Era pallida, sconvolta, le lacrime agli occhi avevano iniziato a scendere già da quando, ancora al supermercato, aveva percepito il pericolo, era caduta a terra in ginocchio, in mezzo alla corsia, completamente in trance aveva visto con gli occhi della mente il marito combattere contro un Mangiamorte, per poi scattare in difesa del figlio minacciato… lo aveva visto colpito alle spalle da un fascio di luce verde… e accasciarsi al suolo.
Anche senza quelle due orribili e oscure parole, qualsiasi mago avrebbe riconosciuto l’Anatema che Uccide.
Aveva mollato tutto e con già gli occhi rossi e il dolore nel petto, si era precipitata nel primo vicolo buio che aveva trovato per smaterializzarsi, con la spaventosa consapevolezza della morte addosso.
Appena arrivata nel giardino dietro di casa, l’aveva trovata avvolta dalle fiamme, il corpo di suo marito e i suoi figli ancora lì dentro.


Casa-infiamme



Gli ultimi terribili ricordi che Mìreen ha di quella sera, confusi perché ormai con la vita prosciugata, è la madre che si mette le mani nei lunghi capelli neri (ridotta com’era, non poteva certo notare che si stavano schiarendo, all’improvviso, la nera chioma della madre, era diventata di un cupo argento), i lineamenti delicati che conosceva bene, era diventato una grottesca maschera di puro dolore e orrore.
Mentre Mìreen cade a terra, vede sua madre aprire la bocca, in un muto grido disperato... muto, perchè anche l'udito come le forze l’avevano abbandonata, la vista appannata.
Stringendo a sè il fratello, come fosse un tesoro prezioso da proteggere, la consapevolezza che stava morendo, il suo unico pensiero fu di cadere sulla schiena, in modo da non finire sopra il fratellino, così sarebbe stato più facile per la madre portarlo in salvo.
Nel momento in cui sentì l’impatto col pavimento, il suo mondo divenne completamente nero.


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Tutto era nero.
Tutto era silenzio.
Si svegliò qualche giorno dopo in un letto d’ospedale, attaccata ad un polmone artificiale che le aveva liberato i polmoni da tutto il fumo respirato, sul petto le era rimasta una cicatrice a forma di Triquetra: il metallo del ciondolo che portava sempre addosso si era surriscaldato in quell’inferno di fuoco e aveva letteralmente bruciato la pelle su cui toccava.
Il dottore le disse che era una fortuna fosse già svenuta quando l’avevano intubata e anestetizzata perché non avrebbe retto il dolore dello staccare quel metallo dalla pelle del petto, era così fuso con la carne che avevano dovuto ricucire i lembi dove era venuta via.
Con la magia, la nonna era riuscita a ripulirlo completamente, ma certo non si aspettava che la nipote lo rivolesse indietro per poterlo ancora indossare.
Appena sveglia, Mìreen aveva chiesto subito di suo fratello, per fortuna anche lui si era salvato, ma tutto grazie alla madre che, benchè l’indicibile dolore che provava in quel momento, aveva mantenuto i nervi saldi e pur di salvare i figli, era corsa tra le fiamme per afferrarli e smaterializzarsi all’esterno, nel retro della casa.


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Mìreen sedeva su uno dei rami dell’enorme quercia a lato del lago.
Al di là della foresta, vi era il grande casolare di sua nonna, dove la sua famiglia adorava passare le vacanze…
“Famiglia” da giorni le sembrava di vivere la vita di qualcun altro, non riusciva ad accettare ciò che era successo, tutto le sembrava estraneo, una vita che non era la sua, un mondo parallelo in cui lei era stata catapultata senza neanche rendersene conto.
Quando lei e il fratello si erano ripresi di salute, con la madre avevano raccattato ciò che si era salvato dall’incendio (molto poco benchè il rapido intervento degli Spezzaincantesimi e Obliviatori) e si erano trasferiti a casa della nonna in Irlanda.
Sheryda aveva detto a tutti che il motivo era perché Londra non era casa sua, e ora che non c’era più suo marito, lo era ancora meno, inoltre c’erano troppi ricordi dolorosi… Ma Mìreen non era completamente convinta della scusa.
Il giorno che erano arrivati al casolare, aveva origliato un’accesa discussione tra la madre e la nonna, non aveva capito molto perché, per non farsi scoprire, era dovuta rimanere nascosta in cima alle scale che davano sul salotto dov’erano le due donne, ma aveva colto alcune parole qua e là come “Pactum Foedus” e “urlo della bensh…”.
La notte non riusciva a dormire, troppi incubi le impedivano di riposare, così ogni volta si ritrovava in cucina a farsi l’ennesima tisana rilassante nella speranza che fosse l’ultima prima del nero oblio, ma alla fine era costretta a prendere quelle maledette pillole del sonno che le avevano somministrato in ospedale.
Se lei si sentiva prigioniera in una vita estranea a lei, più arrabbiata con sé stessa perché incapace di reagire, sua madre era ridotta peggio.
Aveva raccontato cos’aveva “visto” quella sera, ma essendo stato un Mangiamorte, il volto era coperto dalle loro orribili maschere, quindi non aveva molti elementi per un riconoscimento.
La guerriera tenace e bellissima, che in quei 17 anni aveva conosciuto, ora le sembrava la creatura più fragile e sciupata che avesse mai visto, debole per la mancanza di fame, la voglia di vivere era ridotta ad una fiammella, tenuta accesa solo dalla presenza dei figli, che erano ciò che rimaneva dell’uomo della sua vita.
Una volta Mìreen aveva letto che perdere la propria “soulmate” era come morire, come che un pezzo del cuore venisse strappato dal petto per poi esser stretto in un a morsa mortale.
La sentiva continuamente piangere la notte, così sgattaiolava nel suo lettone, e lei, appena la sentiva, subito si stringeva alla figlia e lasciava dar sfogo al dolore, cisa che di giorno cercava di evitare per non far preoccupare il resto della famiglia.


Soulmate = anima gemella


Eppure Mìreen, a parte quella tragica notte, non aveva più pianto.
Perché? Perché non riusciva a piangere come gli altri?
C’era qualcosa di sbagliato in lei?
No. Semplicemente, non aveva ancora accettato che suo padre fosse veramente morto.
Ogni volta che sentiva una porta aprirsi, si girava aspettandoselo davanti…
Ogni volta che andava al lago, credeva di vederlo sul loro scoglio preferito, steso a guardare il cielo…
Per poi stupirsi e incupirsi quando lo trovava vuoto e capiva che era solo frutto della sua immaginazione.


Pochi giorni dopo il loro arrivo in Irlanda, ci fu il funerale del padre.
Era stato deciso di svolgere una cerimonia tipicamente celta, la stessa religione a cui Ryan si era “convertito” dopo aver conosciuto Sheryda.
Era sempre stato amante della cultura e delle leggende irlandesi, innamorarsi e sposare la figlia di una sacerdotessa che ancora praticava i riti di quell’antica religione pagana, era stato per lui un ritrovare la sua vecchia passione e un conseguente rinnovo spirituale.
Avevano però modificato alcuni ruoli ed elementi della cerimonia che, a loro giudizio, dovevano restare compiti dei familiari e non lasciati a persone “esterne”, come il “Caoineadh” o “lament”, detto “keen” in inglese, in antichità era svolto da donne chiamate appositamente allo scopo, si trattava di piangere il defunto al posto della famiglia, intonano l’ “Irish cry” un canto/pianto greco, in lingua gaelica, dai toni simili ad un lamento.
Sapevano che era una parte essenziale e ben definita nei testi, con radici antichissime, importante per accompagnare il defunto nel suo viaggio verso l’Aldilà in modo sicuro e protetto, ma Sheryda si oppose con fermezza, non voleva chiamare sconosciute per piangere quello che per loro era “uno visto ogni tanto per il villagio”. Suo marito, il padre dei suoi figli, sarebbe stato pianto e accompagnato dalla sua famiglia, amici e colleghi e Kathleen stranamente non aveva neanche protestato per quella enorme modifica alla tradizione.
Essendo il corpo del padre bruciato nell’incendio, la guaritrice del villaggio, amica di Kathleen, non rivestì l’effettivo ruolo di “An béan bhàn”, “donna bianca” colei che, esterna alla famiglia ma ad essa vicina, prepara il corpo del morto lavandolo e vestendolo, ma si limitò a benedire ciò che ne restava (conservato magicamente), avvolgendolo poi in candide bende.
Come avesse fatto a rimanere impassibile quell’anziana donna durante il rituale, Mìreen se lo chiese più volte, essendo una curatrice tanto vecchia, doveva averne viste di malattie e di orrori nella sua lunga vita.
Forse era un bene che ai familiari era vietato vedere il corpo morto del loro caro, ma doveva esser per forza un’altra persona ad occuparsene, lei sicuramente non ce l’avrebbe mai fatta, come pure la madre.


<< Perché sono le donne a rivestire tutti quei ruoli importanti? >> aveva chiesto una volta alla nonna mentre cercava di imparare il canto in quei pochi giorni.

<< Perché nella nostra cultura, durante celebrazioni e rituali così importanti come un funerale, deve rivestire il ruolo della “Grande Dea Madre”, colei che dà la vita… e dà la morte.
La nostra cultura è matriarcale, l’uomo ha il suo ruolo ben preciso e importante, ma siamo noi ad occuparci di tutto. >>


“ Colei che dà la vita e dà la morte “
Vita e morte, due facce della stessa medaglia… Tanto diverse quanto unite, non può esserci l’una senza l’altra.

<< La morte come la pensano le altre religioni, tipo il Cristianesimo non esiste; per noi druidi è solo il centro di una lunga vita, un lungo viaggio verso il riposo eterno.
La nostra religione ci insegna la ciclicità della vita e l’immortalità dell’anima.
Non bisogna temerla e neanche piangerla, perché è un “evento naturale” della vita, un “rito di passaggio”, come lo è stata la tua maggiore età.>>


Così le aveva detto con dolcezza sua nonna, cercando di scacciare lo sguardo spaventato e sofferente che la ragazza a malapena riusciva a nascondere mentre aiutava col funerale…

<< Dopo la morte, la vita continua da un’altra parte e alla fine del lungo percorso, c’è la “Tir na nOg” Terra dell’Eterna Giovinezza, o “Tir Tairngiri” Terra Promessa, “Tir na mBèo” la Terra dei Viventi… decidi te come vuoi chiamarla.
Quando sarà il momento, torneremo ad essere parte della Natura e della Dea Madre che ci ha creati, per poi ritrovarci di nuovo tutti uniti insieme nel mondo degli Spiriti. >>


Cercava di consolarla, rassicurarla, di alleggerirle il peso sul cuore, voleva renderle “meno doloroso” il momento, ma le sue parole non avevano ottenuto i risultati sperati, ne nella nipote, ne tanto meno nella figlia stessa che, benchè fosse cresciuta completamente immersa in quel mondo tanto diverso, ugualmente non poteva che lasciarsi andare al dolore e alle emozioni che la morte del suo amato le provocava inevitabilmente.

Al funerale parteciparono numerosi ex-colleghi del padre, benchè avessero dovuto prendere l’aereo e affittare una camera nei pochi alberghi, strettamente turistici, del villaggio, amici e parenti che neanche sapevano di avere e che erano stati ospitati nel grande casolare Fiachran.
Addirittura alcuni popolani chiesero di poter partecipare per onorare e ricordare “lo straniero divenuto parte del villaggio”, col tempo e col suo carattere tanto gentile, altruista e socievole, Ryan era riuscito facilmente a farsi accettare e amare dal popolani che non lo vedevano più come uno straniero, ma come uno di loro.
L’amore che la coppia irradiava ovunque andasse metteva gioia a chi li vedeva anche solo passare e la notizia della sua uccisione aveva sconvolto parecchi.
Purtroppo vi erano anche le malelingue che affermavano trattarsi della Maledizione dei Fiachran:
“ I loro mariti muoiono, e le donne poi li piangono ”
Ogni volta che a Mìreen era capitato di sentire quella frase, optava sempre per l’indifferenza, eppure inevitabilmente era percorsa da brividi e timori, oltre al dolore di non poter aspirare all’amore, le speranze in un futuro compagno s’infrangevano contro la paura che la storia della maledizione per quanto stupida, fosse in qualche modo vera, condannando così a morte certa il suo possibile amato.

Il corteo funebre partì dal casolare della nonna nel tardo pomeriggio, la debole luce rosso-arancione del tramonto sbucava in mezzo a nuvole grigie che gettavano un velo tetro al paesaggio benchè il sole dietro esse.
Si inoltrarono nella foresta seguendo un sentiero che all’inizio a Mìreen sembrò di conoscere, ma dopo alcune svolte perse il senso dell’orientamento, finchè, con suo stupore, non sbucarono al suo amato lago, eppure non era la sponda dove era solita fermarsi sempre, era un altro lato che non aveva mai visto benchè le sue esplorazioni.
Sulla riva vi era già stata costruita una pira funebre, qui gli uomini che si erano proposti di portare il corpo, lo adagiarono con delicatezza sulla costruzione in legno per poi allontanarsi dopo un rapido saluto alla salma.


<< Mháthair, perché proprio il lago? >>

Mháthair = madre


Mìreen si girò, triste e pallida, ma anche un poco curiosa verso di lei, in attesa di una risposta… che però, non sembrò arrivare.
La madre era aggrappata al braccio della nonna col volto nascosto, mentre tentava di soffocare i singhiozzi.


<< Per i Druidi laghi, sorgenti, fonti d’acqua, sono porte per l’Altromondo.>>

Le rispose l’anziana donna, prima che il migliore amico di suo padre, nonché suo ex-partner Auror prese la parola in veste di “Seanchaì” cioè “narratore” dell’elogio funebre.
Anche lei alzò lo sguardo con l’intenzione di ascoltare il discorso, ma con la coda dell’occhio vide qualcosa cadere dalla mano della madre singhiozzante.
La raccolse, e quando la girò, si bloccò.
Il volto di suo padre la guardava sorridendo.
Era una semplice foto babbana, completamente immobile, eppure vederla le causò un groppo al cuore.
Ricordava quando e dov’era stata scattata quella foto… il suo viso si alzò verso la “riva giusta” del lago, dove un’enorme quercia, tanto da poterla scorgere anche da così lontana, sovrastava ogni altro albero a lato della foresta.

> § <



In uno dei tanti pomeriggi passati in famiglia al lago, Mìreen era piccola, e raccoglieva fiori da dare al fratellino di forse 1 anno, che poi li guardava curioso e sorridente come che gli stesse portando tanti piccoli regali.
Il caldo estivo rendeva la fresca erba più piacevole del solito, suo padre era steso sotto l’ombra della quercia e prendeva in giro la moglie che si era puntata con voler imparare a usare le macchine fotografiche babbane.


<< Sì che la so usare! E ora mettiti seduto che voglio farti una foto! >>

<< Ok, ma tanto non ti riuscirà, verrà mossa come gli altri 3000 tentativi. >>

E ridendo si sollevò come la moglie gli aveva chiesto/ordinato…

Click!

<< Visto?? Ce l’ho fatta! Guarda che bella…
Questo sorriso resterà per sempre impresso in questa foto!>>


> § <



<<…Per sempre…>>

Mìreen ripetè le parole che la madre disse quel giorno ad un marito sorridente e divertito.
Era tornata a guardare fissa la foto, stretta nella mano come temesse che potesse scapparle o sfuggirle.
Non avrebbe più rivisto quel sorriso, quegli occhi luminosi tanto simili ai suoi…
Non avrebbe più sentito la sua voce divertita mentre provocava sua madre, o mentre le diceva le paroline dolci innamorato…col suo volto sempre allegro e spensierato…
Non avrebbe più sentito il calore di un suo abbraccio, quando si sentiva triste… o il suo bacio della buona notte sulla fronte…
Non avrebbe più visto l’amore più bello e puro che potesse esistere, quello che esplodeva tra i suoi genitori quando erano insieme…
Non si era neanche accorta di chi avesse acceso la pira da quanto era concentrata sulla foto e su quel lontano ricordo, quando prese a bruciare, e una vampata innalzò le fiamme alte verso il cielo, la sua prima reazione fu di allungare le mani verso il fratello per proteggerlo, ma si fermò non appena il cervello le ricordò dov’era e cosa stessero facendo.
Il fuoco lentamente saliva lungo la struttura in legno, feroce e inarrestabile, alimentato dal leggero vento che si era alzato di colpo.
Ormai scesa la notte, come un enorme focolaio, la pira illuminava tutta la zona circostante, gettando ombre nere sull’acqua e sulla valle, si muovevano seguendo le fiamme, sembravano quasi ballare…
Forse in onore del defunto?
Il crepitio del fuoco restò l’unico rumore, l’intera foresta si era zittita, come volesse portar loro rispetto, lo stesso lago, ora divenuto completamente nero e cupo, era silenzioso e tranquillo, interrotto solo dalle leggere increspature delle onde create da quel timido vento… un vento il cui soffio era l’unico compagno di quelle voraci fiamme, in una notte senza stelle.


pire-funebri



Dopo un po’, lentamente, la gente iniziò a incamminarsi, seguendo sua nonna, verso il casolare, dove era stato preparato il ricevimento dal catering durante la loro cerimonia.
Mìreen continuava ad osservare la pira, distaccata dal gruppo, senza prestare la minima attenzione a chi le venisse a fare le condoglianze, solo una persona attirò la sua attenzione per un breve momento.
Era alta, magra, vestita di nero come lei e come quasi tutti i partecipanti, ma sembrava estremamente attenta a restare avvolta nel proprio soprabito, con tanto di cappuccio foderato di pelo, calato sul volto.
Sembrava avere una certa età, ma col viso così nascosto le era difficile dire chi fosse, quale parente o amico o conoscente fosse, addirittura se l’avesse mai vista, ma le sue parole le sembrarono così strane e insolite…
Si era avvicinata a lei, restandole leggermente alle spalle, e le aveva appoggiato una mano sulla spalla, per poi dirle con voce triste:


<< Mi dispiace per la tua perdita.
Ma sarà questo dolore a renderti più forte… A volte la morte è necessaria affinchè si compia il nostro destino.>>


Aveva elaborato quelle parole un attimo di troppo che appena si girò verso colei che le aveva dette era già sparita.
Si guardò intorno senza trovarla, notando che ormai quasi tutti se n’erano andati tranne lei, sua madre e, stretto a lei, il fratellino; così li raggiunse e mettendosi affianco a loro, tornò a guardare ciò che restava della pira funebre.


“ Grazie al fuoco, l’anima immortale si libera dal suo involucro corporeo e prosegue il viaggio nell’Altromondo.
Il fuoco è un elemento molto importante per il suo duplice potere di Distruggere e Rigenerare. “


Così aveva letto sul libro che sua nonna le aveva dato “da studiare per le vacanza” l’estate scorsa.
Osservavano tutti e tre il fuoco in silenzio, quando uno strano soffio di vento sembrò vorticare circondandoli e facendo danzare foglie e fili d’erba intorno a loro, per poi infilarsi nel loro abbraccio come volesse partecipare anch’esso a quel momento tanto intimo e toccante.
Scompigliò i capelli del piccolo Lyam che ridendo acchiappò una foglia che sembrava danzagli davanti al volto…
Soffiò sul volto di Sheryda e in qualche modo le sciolse la lunga treccia che la figlia le aveva fatto quella stessa mattina… sentì la madre sospirare, gli occhi chiusi, come concentrata su qualcosa, , le lacrime agli occhi, di colpo la sua mano corse a toccare il labbro inferiore, l’accenno di un triste sorriso comparve sul volto, per poi sussurrare il nome del proprio amato, come che lui fosse veramente lì con loro…
Stava per aprir bocca e chiederle spiegazioni, quando, quello strano vento, sembrò sfiorarle delicatamente la guancia… e in quel momento, potè giurare di aver sentito sulla propria fronte il bacio che il padre le riservava ogni notte prima di andare a dormire… lo stesso che aveva dato a lui prima di lasciare il suo corpo nella casa in fiamme.
Un ultimo volteggio.
Un ultimo saluto.
E il vento sembrò sollevarsi verso l’alto per poi sparire.
Nel momento in cui le foglie, che avevano rivelato la presenza dello Spirito di Ryan, toccarono di nuovo terra, il cuore di Mìreen perse un battito, un dolore incontenibile, un senso di perdita inconfondibile la sovrastarono, e copiose lacrime iniziarono a scendere e a rigarle il volto
Finalmente pianse… e ancora e ancora… come non aveva mai fatto nella sua vita.


intervallo



Tutto era nero.
Tutto era silenzio.
Una figura, avvolta in un lungo mantello nero, camminava verso di lei, il volto nascosto .
Una luna calante fendeva il cielo come la lama di una falce, brillava di una luce fredda, illuminando così un la figura che si stava avvicinando a lei.
Lunghi capelli danzavano al vento… fili argentati le volteggiavano intorno al viso nascondendolo allo sguardo di Mìreen, mossi da un vento che la ragazza anche sta volta non sentiva.
Una pelle così pallida da sembrare porcellana s’intravedeva da sotto quelle nere vesti.
Il viso si alzò quel tanto per guardarla, mostrandole i lineamenti di una giovane donna…


[ Questo sogno io l’ho già fatto…
Ricordo la figura nascosta dalle vesti nere e dai capelli mossi da un vento che io non sento…
Ricordo i suoi occhi… viola, poi rossi... le lacrime, prima nere come le labbra, e dopo diventate di sangue...]


Come avesse letto i pensieri di Mìreen, le labbra nere dell’oscura presenza si piegarono in quello che poteva sembrare un veloce accenno di sorriso, per poi sparire quasi subito, tanto da chiedersi se ciò che aveva visto non era solo brutto della sua immaginazione.
Chiunque fosse si fece ancora più vicina, ma questa volta non alzò nessuna mano artigliata, sembrava volerla solo osservare, con quegli occhi rossi e le lacrime nere… paura e angoscia continuavano ad agitarsi nel petto della ragazza che si ritrovava a pochi passi con quella inquietante donna e con ancora l’incubo precedente nella testa.
Come poteva dimenticarlo? Era successo esattamente la sera stessa della morte del padre.
All’improvviso una nuvola nera oscurò completamente la luna.
In quel buio più cupo potè vedere solo quegli occhi rossi che continuavano a fissarla…


occhi-nel-nero



Per poi sparire anch’essi, come che li avesse chiusi.
Mìreen restò in ascolto, concentrata nel cogliere qualsiasi movimento, o suono…
Ma l’unica cosa che sentiva, era il battito del proprio cuore, impaurito e terrorizzato da cosa quell’oscurità stesse nascondendo.
La nuvola che aveva oscurato la luna finalmente passò, ma se prima quegli occhi rossi, poi il completo buio le avevano messo paura, ciò che vide dopo le fece rimpiangere che fosse tornata la luce:
Colei che prima la stava osservando, continuava a farlo, ma non vi erano occhi, solo due solchi neri, la pelle sembrava sgretolarsi, rompersi come la porcellana di cui credeva fosse fatta dal ché era bianca…


halloween1-semiteschio



Dove la carne e pelle cadeva, ossa perfettamente pulite si intravedevano; fino a diventare un bianco scheletro, dal teschio lucido, con lunghe mani composte solo da ossicini.
Sembrava quasi innaturale, come fosse solo un’apparizione, non sapeva dire cosa tenesse unito ogni singolo osso dagli altri, eppure era lì, in piedi davanti a lei, avvolto in un mantello nero come l’oblio più oscuro.
Questa volta, con un gesto della mano scheletrica, sembrava invitarla ad avvinarsi, ma lei anche quella volta non riusciva a muoversi, e anche se avesse potuto, sicuro non sarebbe andata da quell’essere.


morte



“ Chi è? Che cos’è…? “

Anche questa volta aveva pensato o parlato? E come la volta precedente, chiunque o qualsiasi cosa avesse davanti, sembrò capire ciò che aveva solo sussurrato… o pensato.

“ Non fare domande a cui sai già la risposta.
Sai che cosa sono… o meglio, CHI sono. “



Una voce diversa dalla volta precedente le giunse nella testa… sibilante, un leggero sussurro, indefinita.

“ Io non ho età, sono sempre esistita.
Sono l’altra faccia della vita… Senza di me, lei non esiste, come io non esisto senza che ci sia lei.
Non ho ne razza, ne sesso.
Mi chiamano “Oscura Signora” “Tristo Mietitore”
Per i Greci ero Thanatos, per la Bibbia sono Azreal, l’ “Angelo della Morte”, per gli ebrei Midrash, in Giappone sono conosciuto come Enma.
E per te Mìreen… o Muìryn? Chi sono?
Sono semplicemente la Morte, o nella tua lingua “Bás”? ”



Attese un attimo, come aspettasse che lei disse qualcosa, ma dalla bocca della ragazza neanche un respirò fuoriuscì, non aveva il coraggio di parlare, neanche di pensare visto come era stato facile leggerla.
Brividi e tremori tornarono ad attraversarle il corpo quando la Cupa Mietitrice, continuando a fissarla, a pochi passi di distanza, con quelle cavità oculari vuote, la dentatura chiusa e perfetta, tornò a bisbigliarle nella mente.


“ No… per te sarò di più.
Presto, la tua natura si risveglierà e noi due saremo unite PER SEMPRE.
Mi nutrirò dei lamenti che sentirai, delle più profonde paure che scoverai in quel tuo mondo umano.
Ti proteggerò dai pericoli, viaggerai con me nel mondo degli Spiriti, oltre le acque di passaggio, ascolterai la voce dei defunti… e col tempo, sarai in grado di seguirmi sull’Isola dei Morti. “



Mìreen non capiva neanche la metà di quello che le stava dicendo, le sue parole non avevano senso e perché voleva proprio lei? Cos’aveva da attirare tanto l’attenzione della Morte stessa??
Sicuro non voleva averci niente a che fare, incubo o meno!


“ Oh…
Mia oscura e meravigliosa creatura, mia ancora inconsapevole seguace, portatrice di morte, mio spirito urlante…
Non odiarmi, non temermi.
Perché il fato ha già deciso il tuo destino e non potrai cambiarlo.
Perché tra non molto… sarò come una SORELLA per te...
Sarò... la tua MIGLIORA AMICA! “



teschio-spaventoso



Poteva giurare di averla “vista”, o forse era meglio dire “sentita” o “immaginata” sorridere, quasi ridere, a quell’ultima affermazione, come che la sola idea rendesse la Morte stessa contenta ed eccitata all’idea, come un bambino a cui è stato appena promesso un nuovo fantastico gioco o un animaletto da compagnia.
Di nuovo riprese ad avvicinarsi verso di lei, determinata sta volta a toccarla, sembrava quasi non potesse più resistere alla tentazione, ma sta volta Mìreen iniziò a lottare contro la paura, e ciò che la teneva bloccata dov’era.


“ No… No… Non voglio… Non mi toccare, ti prego… “

Raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo, ora era cresciuta, erano passati anni dalla morte del padre, non era più la ragazzina spaventata che aveva appena perso il padre.
Tirò fuori tutta la sua rabbia in unico e potente grido:


<< Nooooo! >>

intervallo-testo-piccolo



Si svegliò nel suo letto, madida di sudore, con ancora il ricordo della Morte che le parlava e la fissava, così smanioso di toccarla, di portarla con sé.
La vista della sua amata stanza, illuminata da una pallida luna, la tranquillizzò un poco.

Osservò il soffitto della propria stanza, anche se era ormai grande, adorava come lei e il padre l’avevano decorato: con quella vernice fluorescente comprata in un negozio babbano.
Un giorno di erano messi all’opera e l’avevano lanciata sul muro per ottenere delle minuscole gocce e macchie, quando c’era il completo buio, tutte insieme creavano una specie di universo sul soffitto della sua stanza.

soffitto-stellato



Quel giorno avevano schizzato ovunque, avevano fatto un macello, ma quando la madre li aveva scoperti, appena visto il risultato, non solo non li aveva sgridati, ma era messa con loro a dipingere e a colorare l’intera stanza nei modi più fantasiosi possibili.
I muri erano stati riverniciati poco dopo l’inizio della scuola di magia, aveva cambiato colore alle pareti e appeso ovunque stendardi dei Grifondoro, foto con gli amici, poster…ecc ma la volta stellata era rimasta, e ancora capitava si addormentasse guardandola.
Erano cambiate tante cose dalla morte del padre, finita Hogwarts lei stessa era cambiata, si era chiusa al mondo, evitando i contatti con gli altri e limitandosi a mantenere qualche amicizia lì al villaggio.
Ma ora che si era trasferita a Londra, sentiva di esser cambiata ancora, grazie agli incontri e alle nuove conoscenze fatte in quel lungo anno.
Si ristese nel letto, per sua fortuna, molti ricordi del padre e della sua vita prima della tragedia erano stati lasciati lì in Irlanda proprio perché era dove adoravano passare le vacanze, quindi non tutto era andato perso, ma sicuramente la sua vita dopo quella sera era cambiata.


[ Morti così importanti lasciano il segno.]

Soprattutto se avvenute non per cause naturali, ma per colpa di schifosi maledetti Mangiamorte.
Erano passati mesi da quando non aveva superato il colloquio per diventare Auror ed era stata costretta ad accontentarsi dell’Antimago, ancora non le era passato il senso di delusione e sconfitta...
Sicuro non aveva perso la determinazione e l’intenzione di scovare l’assassino del padre e consegnarlo ad Azkaban, anche se non era Auror, avrebbe raggiunto il suo scopo, con o senza l’auto del Ministero, e soprattutto, non avrebbe lasciato a nessuno, neanche agli Auror la soddisfazione di catturarlo, quello era SUO e solo SUO dovere e privilegio.

La mente ritornò al terribile sogno…
Questa volta la sua mente si era veramente impegnata per confonderla e spaventarla.
Ultimamente ne stava passando e sognando di tutti i colori:
il sogno con la ragazza identica a lei che dice di chiamarsi Muìryn, la voce del padre che le parla attraverso il lago… E ora il seguito di un sogno fatto la sera della tragedia, con la Morte che le sussurra che sarà la sua migliore amica.
La morte che la voleva? Ma soprattutto come sua seguace e non come defunta da accompagnare nel mondo degli Spiriti??
Perché dovrebbe sognare una cosa del genere?!
Non voleva ripensare al sogno, voleva solo cercare di riprendere sonno, ma la sua testa rigirava e rigirava quelle parole prive di senso e significato…

Solo una cosa le venne in mente.
Un ricordo lontano.
Si chiese dove avesse messo quel libro… Era uno dei suoi preferiti perché glielo aveva regalato proprio il padre ma non ricordava se era lì da sua nonna, o se era bruciato nella casa a Londra…
Il solo pensiero la intristì, ma si promise di cercarlo l’indomani.
Ricordava che era una delle storie che le raccontava proprio lui prima di andare a dormire…
Parlava di tre fratelli che avevano sfidato la Morte, ottenendo da essa, ognuno un dono speciale.
Alla fine la Morte vinse sui primi due, si porto via anche il 3°, ma solo perchè lui stesso aveva deciso di donare al figlio il dono che essa gli aveva fatto molto tempo prima, seguendola volontariamente come fosse una cara “Amica”.


morte-terzo-fratello




I'm gonna make this place your home
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Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 04:54
 
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Scheda PG Contest NOVEMBRE 2018 _ NEBBIA
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Uno. Due. Tre.
Un balzo.
Capelli neri come la notte legati in 2 lunghi codini, in netto contrasto con due grandi occhi di un azzurro chiaro e limpidi come il cielo d’estate, camminava lentamente, col suo vestitino bianco e la scarpine coordinate. Seguiva a distanza Hìriel, una gatta dal manto di mille colori, dall'arancione al nero, puntellato di bianco, il cui nome significava “Regina", ma che gatto non era, era una creatura dal nome difficile da pronunciare per una bambina di quasi 6 anni.

Kneazle



Una piccola Mìreen stava pedinando la gatta di casa che da giorni la vedeva inoltrarsi nella foresta per poi tornare a volte addirittura il giorno dopo.
I suoi genitori erano assenti, il padre investigava su un caso nella capitale e la madre l’aveva seguito come spesso succedeva per aiutarlo con “le sue capacità speciali”, erano tornati al casolare di famiglia ad Antrim per festeggiare Samhain, per poi lasciare la figlia alla nonna e partire subito.
La povera donna era così stanca dopo la cerebrazione svolta pochi giorni prima, con tanto di pioggia a complicare tutto, che si era addormentata sul divano nel salotto dove leggeva uno dei suoi enormi e antichi volumi, mentre la piccola giocava. Era stato un triste pomeriggio noioso, prima aveva ascoltato la nonna leggere di alcuni rimedi naturali contro vari tipi di dolori… decisamente interessante… intanto che giocava con la gatta, l’aveva vista farsi una tisana, ma dopo averne bevuto l’ultima goccia, l’anziana donna era crollata addormentata.
Di colpo l'animale si era bloccato, come fosse in ascolto, il pelo dritto sulla schiena, lo sguardo concentrato sulla porta finestra che conduceva all’esterno, nella parte dietro casa da cui si vedeva l’inizio della foresta… sembrava cercare, ascoltare oppure percepire qualcosa… o qualcuno.
Quando si era poi infilata nella sua porticina per scappare in giardino, Mìreen non ci aveva pensato due volte a seguirla e approfittando della situazione, molto silenziosa era uscita anche lei, finalmente libera di divertirsi con una “missione tutta sua”, come quelle che il padre le raccontava.
Più si addentrava nella foresta, più la luce scendeva, la gatta sembrava procedere come stesse seguendo una pista, la scia di un odore preciso…
La bambina le stava dietro un po’ a fatica, il felino era veloce benchè la strada irregolare, saltava e si infilava tra i cespugli senza quasi toccarli, perfettamente a suo agio in quel territorio tanto selvaggio, mentre per Mìreen era la prima volta che entrava nella foresta da sola, c’era sempre stato qualcuno ad aiutarla nel caso di una buca o una radice troppo cresciuta, invece lì era sola e non poteva distrarsi o rischiava di perdere di vista .
Fu proprio una di queste a farla inciampare, nascosta da quella bassa nebbiolina che faceva apparire tutto più sinistro oltre che a perdere l’orientamento.
Cadde nella terra umida, sporcandosi il vestitino e le mani, benchè avesse un leggero scortico, la bambina non volle piangere, doveva essere forte e coraggiosa come il papà, così ingoio le lacrime che le avevano reso già lucidi gli occhi, si rialzò e si guardò intorno.
Come temeva, la gatta era sparita e lei ora era veramente tutta sola in quella foresta dagli alti alberi, la luce che a malapena filtrava e una nebbiolina che sembrava volerla avvolgere in una morsa sempre più fitta e impenetrabile.


<< E ora cosa faccio? Mi sono persa e non so la strada per tornare a casa… >>

Il freddo si faceva sentire, aveva solo un vestito con calze si pesanti, ma da stare in casa, col bel calmino caldo accesso, non aveva certo pensato di prendere il cappottino e le temperatura dell’inverno ormai vicino la faceva tremare… O era la paura? La consapevolezza di essersi persa in un luogo sconosciuto, tanto tetro e pieno di strani rumori nel quale i suoi genitori non la facevano mai andare da sola, figuriamoci con un tempo come bello.
Gli occhi le si stavano di nuovo inumidendo quando una risata si sentì da lontano, per poi farsi sempre più nitida e vicina, era una voce giovane, cristallina, ma con qualcosa di strano, insolito.
Una figura avanzò verso di lei, per poi fermarsi a distanza, la nebbia ne inghiottiva ogni cosa, solo lineamenti confusi e scuri si intravedevano nel fitto di quel mare di basse nuvole… Sembrava una bambina, proprio come lei, aveva i codini come i suoi e un vestitino del suo stesso taglio, alte uguali, ma purtroppo era come aver davanti la propria ombra riflessa su u muro bianco, non riusciva a vedere altro, nessun colore di capelli o di occhi o di pelle, niente, solo quel contorno impreciso comparso nella nebbia.


figura-nella-nebbia



<< C..c…iao. Sono Mìreen, mi sono persa… Te chi sei?>>

<< Ti sei persa? In questa foresta pericolosa tutta sola…? Non hai paura? >>



<< Sì… ho paura… ma adesso ci sei te con me!>>

<< Io ci sono sempre stata con te, ma non posso raggiungerti… ancora… Non sei mai stata sola. Da che parte arrivi che torniamo indietro? >>



Mìreen inclinò la testa di lato come che stesse cercando di capire la parole della “bambina fumo” << Non sono mai stata sola?>> ripetè ciò che le aveva detto, come stesse analizzando quelle parole il cui senso non riusciva a comprendere subito, infondo era la prima volta che incontrava quella strana bimba.

<< Non lo so dov’è casa mia… non so in che direzione devo andare per ritrovare il sentiero…
E poi non so da quanto sono nella foresta… La nonna si starà preoccupando tanto… >>


Abbassò la testa sconsolata e avvilita, la voce verso la fine si era fatta tremolante, le lacrime pronte a scendere, ma subito quella che poteva essere un’altra bambina, con la voce tanto simile a quella di Mìreen, ma un tono più basso, più sibilante, quasi le stesse sussurrando, la fermò subito prima che cedesse al pianto.

<< Non piangere Mìreen! Ritroveremo casa tua insieme. Vieni, usciamo da questa nebbia, così poi ci vedremo bene e sapremo dove siamo.>>



La bimba sorrise a quella figura il cui aspetto era celato, ma che si era mostrata tanto gentile da aiutarla.

<< Grazie, ma te non devi tornare a casa? Anche i tuoi genitori si staranno preoccupando. >>

Questa volta fu l’altra bambina ad abbassare lo sguardo girando la testa come per nascondere un qualche sentimento… indifferenza o tristezza?

<< Io non sono di qui. Vengo da… un altro posto. So come tornare, non preoccuparti, pensiamo a te. >>



Con un saltello Mìreen si preparò a partire, di nuovo coraggiosa e pronta a ritrovare la strada di casa con la sua nuova amica.

<< Dove sei? Avvicinati! Se ci prendiamo per mano non rischiamo di separarci! E poi, non vorrei fare brutti incontri…>>

Era già da un po’ che si sentiva osservata, come che qualcosa o qualcuno la stesse seguendo, approfittando di quella fitta nebbia per nascondersi.

<< Non ti preoccupare, non ti perderò MAI di vista. Anche se non ci tocchiamo, se non ci vediamo, possiamo stare lo stesso vicine e ti proteggerò ad OGNI COSTO! >>



Non era ben chiaro il significato, da cosa voleva proteggerla? E come? Infondo era una bambina come lei… Mise da parte i dubbi e iniziarono a camminare cercando di restare nella parte meno fitta dove la luce ancora un poco penetrava il fogliame, erano abbastanza vicine da “vedersi” benchè quella fastidiosa nebbia.
Entrambe erano
Stavano camminato già da un po’, Mìreen provava a chiacchierare per distrarsi un po’ ma la compagna rispondeva in modo evasivo, finchè, poco distante, comparve una specie di montagnola dalla forma strana.
Eppure, più si avvicinavano, più capivano che doveva esser per forza qualcos’altro…
Lentamente, quello che sembrava un cumulo di terra, iniziò a prendere la forma di un animale, steso a terra su un fianco, restava immobile, completamente, neanche il movimento del respiro lo muoveva.
Arrivate vicine all’animale, Mìreen si fermò, indecisa sul da farsi…


<< Non devi aver paura, è un animale morto, forse un capriolo o un giovane cervo…
La morte è sempre vicina a noi, ovunque ci voltiamo, ma in fondo è normale, è il corso della vita e necessaria per il viaggio dell’anima.
Non devi temerla.>>



La ragazzina, con cautela, provò ad avvicinarsi, era dispiaciuta per l’animale, ne osservò la testa, riversa all’indietro, gli occhi vitrei senza più vita che guardavano il vuoto, la bocca leggermente aperta come avesse provato a gridare prima di morire.
Lo toccò, ma l’unica cosa che sentì, oltre al morbido e corto pelo, fu un freddo e rigido corpo morto.
Ritirò indietro la mano, ma la trovò sporca di qualcosa, qualcosa di vischioso, scuro… si gelò all’istante, sconvolta.
Era sangue, sangue scuro, ormai coagulato!
Il manto dell’animale era insanguinato dove lo aveva toccato, ma non lo aveva notato perché si era soffermata sul muso.
Tremando girò intorno alla povera bestiola e vide il motivo di tutto quel sangue: profondi solchi passavano da un punto all’altro del corpo, lasciati da artigli lunghi e affilati, il ventre era squarciato, come che un grosso animale lo avesse attaccato e morsato per strappargli la carne, alcune interiora erano fuoriuscite e giacevano davanti allo squarciò in una pozza enorme di sangue nero.
La paura l’attanagliò, lo shock della vista raccapricciante le fece uscire un urlo di puro terrore, di quelli che gelano il sangue quando li senti.
In modo frenetico si pulì la mano nel vestito macchiandolo, e si guardò intorno, alla ricerca della bambina che l’aveva accompagnata…
Ma era sparita.
Era tornata sola, in quel silenzio inquietante, con la possibilità di una feroce enorme bestia nei paraggi, il cuore prese a palpitare impazzito, stava per urlare di nuovo quando una voce, diversa dalla precedente la fermò.


<< Bambina mia, non urlare. Rischi di attirare qui l’animale che ha fatto questo.
Allontaniamoci.>>


Non sapeva chi fosse la donna che era comparsa all’improvviso, ma ciò che disse le sembrò sensato, così si ammutolì e con passo svelto la seguì lontana dall’animale morto e lacerato.
Quella donna era strana, alta e magra, più vecchia della sua mamma ma non sapeva dire quanti anni avesse, i capelli dovevano esser stati un tempo rossi, ora erano sbiaditi, alcune rughe di espressione davano al viso un’aria stanca, quasi preoccupata.

prozia-pi-giovane



Quando furono abbastanza distanti, si fermò, indecisa se continuare a seguirla o era meglio scappare da quella sconosciuta… la donna sembrò aver capito il motivo di quell’improvviso turbamento nella piccola, così le sorrise e si avvicinò chinandosi per accarezzarle la guancia.


<< Te non mi conosci e non mi hai mai vista, ma io so chi sei. Sei la piccola Mìreen Fiachran a giudicare dal colore dei capelli, figlia di Sheryda Fiachran e nipote di Kathleen Fiachran.
Sicuramente non ti hanno mai parlato di me, ma sono la vostra prozia, Kaithly Fiachran sorella della tua nonna, quindi non devi temere che possa farti del male, la famiglia per me è TUTTO.>>


Come prova di ciò che diceva era vero, tracciò con l’indice, sulla guancia della piccola, il simbolo della famiglia per poi sorridere rassicurante alla piccola.
La bambina sgranò gli occhi dallo stupore, solo i membri della famiglia conoscevano e si scambiavano quello “speciale gesto”… guardò con più attenzione la donna che aveva davanti e dovette ammettere che una certa somiglianza con sua nonna c’era, i lineamenti del viso, gli occhi erano quasi dello stesso colore benchè i suoi fossero di un grigio un po’ più scuro, persino i capelli anche se i suoi erano più sbiaditi e bianchi di quelli della nonna.


<< Assomigli alla nonna… >>

Disse senza pensarci, lasciando che quelle dolci carezze la tranquillizzassero e la facessero sentire protetta dalla foresta e da ciò che in essa si nascondeva.
Kaithly sorrise divertita da quell'affermazione, scompigliò i capelli alla bimba per poi rialzarsi e allungarle una mano sperando di averla convinta e che gliela afferrasse.



<< Lo prenderò come un complimento.
Piuttosto…
Dov’è la tua sorellina? E’ rimasta a casa e te sei venuta nel bosco da sola?>>


Mìreen le prese la mano e mentre ripartivano il cammino, alzò lo sguardo verso la zia, visibilmente confusa…

<< Io non ho sorelle… sono figlia unica.>>

La donna la osservò per capire se stesse mentendo o che le nascondesse qualcosa, ma vide che la piccola era sicura di ciò che diceva, eppure la visione sua e di Kathleen aveva previsto la nascita di due gemelle, non una bambina singola. Com’era possibile? Non si sbagliavano mai, ma anche leggendo nella testa della piccola, non aveva visto proprio niente su una seconda sorella.
Ripensò al momento della nascita di Mìreen, era al margine della foresta, aveva scelto quel punto perché su quel lato vi era la finestra da cui si vedeva la porta della stanza scelta per la nascita delle gemelle Fiachran.
Quel giorni aveva visto fare avanti e indietro Ryan, il marito di sua nipote, mentre agitato e preoccupato teneva d’occhio la situazione, l’aveva sicuramente notata, nascosta tra i fogliame, perché stava per aprire la finestra quando si sentì l’urlo di Sheryda, poi il pianto di un neonato e Kathleen che annunciava la nascita di una bambina.
A quel punto se n’era andata, lasciando il dono che ogni matriarca della famiglia deve lasciare ad ogni parto: un vaso con dentro due semi, uno aveva germogliato presto, l’altro aveva ipotizzato fosse solo tardivo, che rappresentavano le nuove vite, e lei vi aveva aggiunto il medaglione più antico della loro famiglia, così da restituirlo a loro in segno “di pace” e nella speranza di un riavvicinamento futuro.
In risposta al suo gesto, avevano innalzato difese più potenti intorno al casolare… come che potesse far del male alla loro famiglia… che stupide.
Ricordava però di aver visto la famigliola, pochi giorni dopo, chi triste, chi in lacrime, entrare nella foresta con un oggetto che da lontano non capiva di cosa si trattasse, li aveva seguiti sempre nascosta alla loro vista, la strada che avevano preso non poteva che portarli al grande salice piangente dove spesso lei e la gemella andavano a giocare da piccole, al lato opposto del lago, ma per quale motivo?
Li aveva seguiti meglio che poteva, ma arrivato al maestoso albero Ryan si era accorto della sua presenza, da bravo auror esperto e si era dovuta dileguare.
Non ci aveva più pensato non ritenendola una cosa importante.


<< Dove stiamo andando? E’ la strada per tornare a casa?>>

La voce della bimba la ridestò dai suoi pensieri, le rispose con voce dolce e sincera:

<< Sì, ti sto riportando a casa, non dovevi inoltrarti nella foresta da sola, sei ancora troppo piccola e sicuramente non con un tempo “da lupi” del genere… hai rischiato pure di congelare oltre ad attirare qualsiasi cosa abbia ucciso del capriolo.>>

La bambina aveva freddo da quando era entrata nella foresta quel tardo pomeriggio, ma non volle far preoccupare la zia, così resistette e si fece più vicina a lei.
Aveva sbagliato a voler seguire la loro gatta senza pensarci, probabilmente la creatura era abituata a girare in mezzo alla natura selvaggia con qualsiasi tempo e pericolo, lei no e sicuramente non da sola, anche se in verità, non lo era stata.


<< Non ero da sola, una bambina avvolta dalla nebbia mi ha tenuto compagnia dopo che ho perso di vista Hìriel e ha detto che ci sarà SEMPRE e che mi difenderà in OGNI momento!>>

Kaithly era curiosa di sapere di chi parlasse la bambina, conosceva Hìriel, era una gatta più simile ad uno Kneazle, ma si stupì fosse ancora viva considerato che era comparsa nella famiglia quando lei e Kathleen erano ancora piccole, quanto vivevano quegli animali? O in verità non era un kneazle ma una qualche altra creatura?
Chi le aveva detto che non l'avrebbe MAI lasciata sola??
Erano arrivate quasi al limitare della foresta, potevano vedere il casolare in lontananza, ma di colpo si sentì << Mìreeeeen!!!!!>> e una persona che entrambe conoscevano bene comparve davanti a loro.


<< Ciao, mia deirfiúr. Come stai? Ho riportato a casa la nostra UNICA nipote.>>

= gemella


Kathleen la guardava imbronciata e preoccupata, tesa e pronta a scattare in difesa della piccola, ma appena vide Mìreen stretta a lei, per poi sorriderle e correrle incontro, un po’ si rilassò.

<< Seanmháthair seanmháthair! Guarda chi ho incontrato nella foresta! E’ la mia pr… prozia, siete tanto simili!>>

= nonna


La nonna abbracciò forte la bambina, era così spaventata che le potesse succedere qualcosa nella foresta che non si era data pace e aveva iniziato a cercarla subito finchè non l’aveva vista arrivare mano nella mano con la sua “cara” gemella.
Le perquisì il corpo spaventata per quel sangue sul vestito, ma non aveva tagli, così la prese in braccio e le sorrise, felice di averla ritrovata, poi si girò di nuovo verso Kaithly, pronta a cacciarla di nuovo, ma non la vide, da nessuna parte.
Sospirò e stringendo a sé Mìreen la riportò in casa, mentre la piccola le raccontava cos’era successo nella foresta, la nonna l’ascoltava concentrata e più la piccola raccontava, più la sua preoccupazione aumentava, rendendosi conto che la bambina aveva corso parecchi pericoli, ma se la madre non era apparsa, significava che non era mai stata veramente in pericolo, neanche in compagnia della sua prozia.
Dovette ringraziare in silenzio la sorella per averla protetta e stranamente riportata da lei.


intervallo-testo-piccolo



Un enorme salice piangente si intravedeva tra le alte fronde degli alberi, era così grande che superava addirittura il banco di nebbia che avvolgeva l’intera foresta, l’unico altro albero tanto maestoso era la quercia dal lato opposto del lago, quello più vicino al casolare Fiachran.
Avvolto dalla cupa notte e dalla fitta nebbia, apparve decisamente più lugubre e tenebroso, di quanto ricordasse, il vento che soffiava tra quei lunghi e flessuosi rami, li faceva assomigliare ai capelli di una donna china a piangere, o a lunghi e sottili tentatoli di una qualche creatura dormiente, in attesa del passaggio di una preda innocente per poi animarsi e catturarla.

Era da così tanto che non lo vedeva che un sorriso amaro le comparve sul volto, ricordando i numerosi giochi fatti e le lunghe chiacchierate con la sorella.
Sotto i suoi rami lei era stata trasformata, tanto tempo prima, e aveva tentato di fare lo stesso con la sorella, colpendo però la figlia per un suo stupido errore.
Una sfera di luce la seguiva sopra la testa, illuminando un poco dove passava, si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che potesse indicare un cambiamento, il passaggio di qualcuno, finchè non trovò della terra smossa ormai ricoperta d’erba ai piedi dell’albero, una piccola croce sembrava esser stata messa di recente, pochi anni prima, poiché la natura non l’aveva ancora rivendicata completamente come sua col suo verde abbraccio.
La nebbia fitta non permetteva di vedere molto benchè la luce fatta dalla sfera, così sfilò la bacchetta dalla veste scura e facendola ondeggiare disse << Dilàberis >>, per incanto si dissolse come dispersa da un leggero soffio di vento… ora la piccola tomba era più visibile benchè la bassa luce, la croce celtica recava diversi simboli oltre a quello della famiglia.

celtic-cross-6



Una scritta vi era incisa, in bella calligrafia:


Muìryn
an bhroinn Twin


= la Gemella mai nata






I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it


Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 04:56
 
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Scheda PG Contest FEBBRAIO 2019 _ ACCHIAPPASOGNI


Corri… corri… corri!
Il suo unico pensiero era di correre.
Il suono del suo respiro rompeva il silenzio innaturale che la circondava, mentre cercava di immagazzinare ossigeno nei polmoni, ma troppo presto veniva mandata ai muscoli che fino all’estremo, si contraevano in quella pazza corsa.

Corri… corri… corri!
Un altro rumore accompagnava il crepitio dei suoi passi affrettati, non erano solo le foglie e i ramoscelli del sottobosco che rompeva calpestandoli in quella disperata corsa.
Non era sola… Non era minimamente sola.
Il suono di qualcosa l’aveva colta impreparata nel cuore della foresta, nel buio della notte, un debole luna cercava di illuminarle la strada, il tentativo di aiutarla, di guidarla verso l’uscita, ma con le fronde così rigogliose, il bosco così fitto, pochi raggi arrivavano sul sentiero, a malapena visibile.

Corri… Corri più forte, o ti prenderà! Qualsiasi cosa sia, ti prenderà e sarà la fine!
Nella sua testa non c’era solo la sua voce, ma anche un’altra, una che ultimamente aveva popolato il suo ricordi, i suoi pensieri e i suoi sogni.
Resisti. Ancora un po’ e sarai fuori.
Continuava a ripeterglielo, continuava a spronarla.
Quella voce che aveva un volto, una voce che aveva imparato a riconoscere e a chiamare per nome.
Non l’aveva mai sentita così agitata, così spaventata, come che sapesse...
Sapeva cosa la stava rincorrendo, ma non le aveva detto come combatterlo, solo di correre.
Cosa significava? Cosa la stava rincorrendo?
Non ce l’avrebbe fatta.
Il fiato stava diventando sempre più corto, era completamente sudata e la stanchezza iniziava a farsi sentire, l’aria che entrava nel petto quasi bruciava e se non si fosse mantenuta allenata con esercizi e corse mattutine, sarebbe già crollata.

Sei la sua preda. Scappa, vuole TE. Scappa!
Le ultime energie le venivano prosciugate, chiunque o qualsiasi cosa fosse al suo inseguimento era più vicino, poteva sentirne il respiro, molto più regolare del suo, i passi veloci le rimbombavano nella orecchie...
O era il suo cuore prossimo a scoppiare?
Non poteva esser umano, non poteva riuscire a starle dietro e non risentirne come lei di quella corsa.

Resisti. Ancora un po’ e sarai fuori.
Continuava a ripeterglielo, continuava a spronarla.
Quella voce, che solo da poco tempo aveva rivelato il proprio volto, una voce che aveva imparato a riconoscere e a chiamare per nome.

Stava per cedere, stava per crollare a terra, stava per arrendersi al proprio destino a ciò che le avrebbe fatto il suo inseguitore, quando in lontananza vide finalmente un’apertura.
Il fitto della foresta si apriva su uno spazio dove la luna brillava luminosa come un sole notturno.
Quella speranza le diede la forza di continuare, l’adrenalina tornò scorrerle nella vene in quel disperato ultimo scatto.
Perché per Mìreen quello spazio aperto, fuori dalla foresta, fosse la salvezza non lo sapeva, era una sensazione inspiegabile, ma si aggrappò con tutte le proprie forze a quella unica insensata possibilità.

Corri ancora… ci sei quasi… Ancora pochi metri!
Poteva vedere l’erba illuminata dall’argentea luna, le stelle alte nel cielo, la stavano chiamando, la incitavano a compiere quell’ultimo sforzo sovrumano.
Quasi… quasi…
Un’ombra nera come la notte, balzò o saltò, non seppe dirlo, a bloccarle la strada.
Il cielo e l’erba sparirono.
La luna si spense dietro quella spaventosa figura completamente nera, neanche un raggio la illuminava, neanche un solo indizio per capire cosa o chi avesse davanti.
Ma una cosa era certa: una paura mai provata le attanagliò il petto, l’istinto che urlava a gran voce “Pericolo” e “Morte”…
E un urlo disumano uscì dalla bocca della ragazza, impossibile da trattenere.
Un urlo non suo, che non aveva mai sentito un simile suono provenire dalla propria voce, non era normale, non era umano, non era un urlo… Era puro Dolore, Angoscia e Terrore.

Mìreen si svegliò di soprassalto.
Era in un bagno di sudore, tremava e aveva il fiato corto.
La cicatrice sul petto bruciava come quando aveva QUEL incubo, eppure non c’era fuoco, non c’era morte e distruzione questa volta.
Simili incubi, così vividi, così terrificanti da svegliarla con ancora le brutte sensazioni addosso, come non si fosse mai ridestata, non le capitavano da parecchio… dalla morte del padre, in cui rivedeva continuamente il suo corpo senza vita, l’incendio, il fumo, per non parlare dell’inquietante sogno con la morte che le parlava e la chiamava fatto prima e dopo.
Perché erano tornati gli incubi? Cosa significava? Era riuscita finalmente a smettere che la ossessionassero continuamente impedendole di dormire e riposare… e ora erano ricominciati?
Non solo aveva ricominciato a sognare la notte della tragedia, ma altri scenari le capitavano, come la corsa nella foresta, o trovarsi in mezzo al suo amato lago, che però era diverso, nero come l’inchiostro e un artiglio da sottacqua l’afferrava e la trascinava giù come la volesse affogare.
Quella presenza spaventosa, sembrava infilarsi in ogni suo incubo, nutrendosi d’esso, alimentandosi della sua paura, degli orrori che la sua mente debole dalle notti insonnie partoriva…
O era quell’essere ad approfittarsene e portava i suoi sogni ad diventare incubi?
Poteva esser causa sua se quello che era iniziato con una serena passeggiata in mezzo alla foresta, la luna alta nel cielo che creava giochi di luce e ombre con gli alberi, le lucciole che le illuminavano il sentiero, e i rumori della notte come una civetta curiosa di seguirla, era poi diventato una disperata corsa per salvare la propria vita?
Chi o cosa era? Perché nera come una notte senza stelle e senza luna? Quasi le venivano i brividi di terrore nel cercare di ricordarla.
Non poteva andare avanti ancora per molto in quella situazione, sarebbe crollata e ne avrebbe risentito il suo lavoro, i suoi impegni, la sua vita intera, proprio come tempo prima era successo.

La sera del giorno dopo, era rannicchiata sotto le coperte del proprio letto (in Irlanda) e cercava di non addormentarsi per paura di sognare, quando qualcuno bussò alla porta della sua camera chiusa.
Sua nonna entrò appena sentito l’ “Avanti” e si sedette sul bordo del letto affianco a lei.
Passarono alcuni minuti di silenzio, poi la donna la cui età era sempre stata un mistero, si girò verso la nipote e le parlò tranquilla.


<< Sono tornati gli incubi. >>

Non era una domanda, ma un’affermazione. Così non servì che Mìreen rispondesse, si limitò a sollevarsi dalla propria posizione fetale e a sedersi concentrando l’attenzione sull’anziana donna.

<< Tua madre mi ha detto tutto di come ti senti ultimamente, sappiamo che cerchi di nasconderlo, ma ormai ti è impossibile, hai due pesti sotto gli occhi dalla mancanza di sonno che neanche la magia riesce a nascondere… e poi è capitato sentirti urlare in piena notte.>>

La ragazza distolse lo sguardo piena di vergogna e rimorso.
Era tornata per la festa di Imbolc, e aveva fatto di tutto per nascondere alla famiglia cosa stava passando, ma era arrivata al proprio limite, ma tanto sapeva che sarebbe successo, con sua madre e sua nonna era impossibile: una era divinatrice esperta e le bastava poco scoprire ogni cosa della sua vita, di solito evitava per rispettare la sua privacy, ma quando si trattava della sua salute era irremovibile.
Invece sua madre aveva sempre uno speciale legame con lei, i figli, sua madre e ce lo aveva a suo tempo col marito, una sorta di sesto senso che l’avvisava quando qualcosa non andava… così era sempre stato, anche quella notte.


<< Lo sai Mìreen che con noi puoi parlare di tutto.
Cosa ti turba tanto da non farti dormire? Cosa disturba il tuo riposo?
Lascia che ti aiutiamo.>>


Una delle capacità di sua nonna come divinatrice era l’interpretazione dei sogni e non sbagliava mai.
Mìreen si mostrò pensosa, rifletteva se fosse il caso o meno di dirlo alla nonna della oscura presenza che ultimamente la spaventava e non solo lei, ma addirittura Muìryn era terrorizzata, tanto da urlarle nella testa disperata.
No, non voleva angosciarla o farla preoccupare, e non le avrebbe detto neanche detto della sua “gemella”, ma poteva ugualmente chiederle aiuto senza scendere nello specifico, magari in futuro gliene avrebbe parlato, ma non era quello il momento adatto, con pure la festività ormai vicina.
Così prese un profondo respiro e parlò, cercando veloce le parole giuste da usare per farle capire, ma non troppo:


<< Ultimamente faccio sogni che poi diventano incubi.
C’è sempre una presenza oscura, minacciosa, a volte non la vedo ma so che c’è, ma non so cosa o chi sia perché le volte che si manifesta è simile ad un’ombra scura… e mi sveglio spaventata, stanca e con la cicatrice che sembra bruciare, come quando facevo gli incubi dopo la morte di daidí…>>


Kathleen ascoltò la nipote in silenzio, quando ebbe finito, cercò di mantenere un perfetto controllo, ma dentro un sentimento di ansia e inquietudine crescente minacciava di farla scoprire.
Non sapeva cosa stesse spaventando Mìreen nei suoi sogni, avrebbe cercato nei suoi numerosi libri e contattato le sue conoscenze alla ricerca di una risposta, perché non sembrava neanche l’operato di sua sorella, Kaithly voleva trasformare la nipote, non terrorizzarla fino al collasso psico-fisico.


<< Quando tempo fa’ avevi tutti quegli incubi sull’incendio e la morte di Ryan, tua madre creò uno “strumento” per noi magico, che serviva a cacciare le energie negative, garantendo un sonno piacevole.
Si tratta dell’acchiappasogni lì appeso.>>


Fece una pausa per indicare l’oggetto appeso vicino al letto, lo sguardo di Mìreen si spostò prima per osservare ciò che le indicava, poi tornò sull’anziana donna:

<< A tutti capita di fare brutti sogni, ma quando succede per numerose notti di fila, quando ti svegli con ancora la paura e l’orrore addosso, possono esserci altri motivi, di “altra natura”.
Pensavamo che quello creato anni fa’ ti avrebbe protetto dagli incubi, ma col tempo deve aver perso d’efficacia e inoltre stai crescendo, vivi una vita sempre nel rischio e vedi cose che prima neanche immaginavi.
Può essere che serva non solo un nuovo acchiappasogni, ma uno creato da te, intrinseco della tua magia, uno personale potrà proteggerti decisamente meglio di uno creato da qualcun altro, benchè l’abbia impresso con tutto l’amore possibile.>>


Mìreen aveva ascoltato attenta e curiosa, la speranza di tornare a poter riposare in pace che si accendeva nel petto.
Aveva guardato l’acchiappasogni appeso nella sua camera con occhi nuovi, credeva fosse un semplice arredo e non uno strumento di protezione…
Però, ripensandoci, doveva ammettere che da quando la madre glielo aveva regalato, anni prima, aveva effettivamente iniziato a dormire più riposata, gli incubi sulla tragedia meno frequenti e cruenti.


<< Va bene, proviamoci! >>

Fece per spostare le lenzuola e alzarsi, ma la donna la fermò prendendole la mano con delicatezza e tenendola ferma al suo posto.

<< So che vorresti metterti subito all’opera, ma non abbiamo il materiale che ti serve pronto, e sicuro non hai tempo per andare nel bosco a raccogliere ciò che ti serve, soprattutto in una fredda e buia notte come quella di sta sera. Inoltre dovrai crearlo seguendo ciò che ti detta il tuo spirito, ogni elemento raccolto ringraziando la terra o il cielo o l’acqua che te l’ha donato, per poi legarli tra loro non solo fisicamente, ma anche magicamente, proprio come fosse uno dei nostri rituali.
Non avere fretta o non sarà efficace come ti serve.
So che sei stanca e hai sonno, per questo ora ti farai una bella dormita con la tua seanmháthair accanto che terrà lontana qualsiasi presenza negativa minacci il tuo sonno.>>


Si era stesa al suo fianco, accarezzando la testa della nipote come quando era piccola e non voleva andare a dormire o aveva fatto un brutto sogno.

<< Sai, anche da piccolina soffrivi di incubi.
Piangevi nella culla ininterrottamente e i tuoi genitori non sapevano cosa avessi… ti addormentavi serena succhiandoti il pollice, per poi svegliarti nel pieno della notte piangendo disperata.
Tua madre e tuo padre ne costruirono uno da appendere sul tuo lettino, come quelle decorazioni babbane, le “giostrine per culle”, ti divertivano così tanto le piumette e i nastri colorati che pendevano sulla tua testa e provavi ad afferrarle… per te era un giochino, invece per noi aveva anche un secondo utilizzo più spirituale.
Proprio in quell’occasione che mi venne in mente di una mia vecchia amica nativa del NordAmerica che mi aveva regato un libro sulle credenze delle tribù che prima vi abitavano.
E visto che funzionò veramente, sia quando eri piccola, sia la volta dopo, potremmo riprovare anche in questo caso.>>


Il tocco leggero e caldo della mano di Kathleen, lentamente stava rilassando mente e corpo della nipote, la quale ascoltava le sue parole felice, ricordando le storie che le raccontava prima di andare a dormire sui tanti viaggi che aveva fatto da giovane, prima di diventare sacerdotessa della loro Congrega e del villaggio.

<< Nel libro vi è un intero capitolo proprio di come nacque questo “magico talismano”, la simbologia ad esso legata e come crearne uno.
C’erano tante leggende, ma quella che più mi piacque riguardava la tribù Lakota: Iktomi, il dio dell’inganno e della prudenza un giorno comparve davanti ai capi spirituali sotto l’aspetto di un ragno.
Fece un buco in un salice e vi mise delle piume, pelo di cavallo e perline, per poi tessere la propria ragnatele.
Quando ebbe finito, disse loro: “Questa ragnatela è un cerchio perfetto con un buco al centro. Dovrà essere usata per aiutare la tua gente a raggiungere i propri obiettivi, facendo buon uso delle idee, dei sogni e delle visioni.” >>


<< Quindi…
Domani dovrò andare nella foresta alla ricerca di una ragnatela dalla vaga forma rotonda da appendere nella mia camera…?>>


Al solo pensiero un brivido le attraversò il corpo.
Le era tornato alla mente, il ricordo di quando, più di un anno prima, si era inoltrata nella foresta per schiarirsi le idee e riflettere sulla decisione di trasferirsi o no a Londra per seguire il suo sogno di diventare Auror; era così distratta dai propri pensieri, che era finita impigliata in una enorme ragnatela che copriva lo spazio tra alcuni alberi, creando una trappola perfetta per creature più piccole di lei.
Se non fosse riuscita a liberarsi alla svelta e a nascondersi dietro un cespuglio, sarebbe sicuramente diventata il pasto del gigantesco ragno nero e peloso comparso proprio poco dopo la sua fuga.
Ci pensò la nonna a rassicurarla, subito dopo una breve risata divertita.


<< No no, non serve una vera ragnatela!
Penso che né do mháthair, né tanto meno te abbiate voglia di una ragnatela in casa con la possibilità che diventi una invitante casetta per altri ragni…
Per quanto siano creature ingiustamente odiate e screditate, sono molto utili alla natura e a mantenere gli equilibrati, ma ugualmente non sono il massimo della bellezza come animaletti domestici se già non ti piacciono.
Utilizzeremo i “sostituti” che il dio-ragno diede ai capi tribù per poter replicare la sua ragnatela.
Ma te li spiegherò domani, adesso dormi.>>


Mìreen sorrise e si accoccolò contro il fianco della sua adorata seanmháthair, era troppo grande per starle in braccio come quando era bambina, ma anche così, riusciva a sentire il suo calore e affetto.
Lentamente la stanchezza si impossessò di lei e la rassicurante presenza della matrona della famiglia Fiachran, la aiutò ad addormentarsi senza il timore degli incubi.
Riuscì finalmente a dormire.
Un sonno completamente nero, o semplicemente non si ricordava cosa il suo inconscio le avesse mostrato, ma non le interessava, l’importante era esser riuscita a riposare il necessario per affrontare quella giornata “particolare”.


intervallo-testo-piccolo



La mattina dopo, il tempo non sembrava dei migliori.
Durante la colazione, sua nonna le spiegò ciò che doveva sapere per creare l’acchiappasogni e Mìreen l’ascoltò attenta:


<< Per prima cosa ti servirà un cerchio fatto con legno di salice, simboleggia il ciclo della vita, l’intricato intreccio andrebbe fatto con peli di cavallo o di cervo, ma un semplice filo penso andrà bene lo stesso, di pietre e cristalli ne abbiamo un sacco, già consacrati, scegli quelle che ti ispirano per forma, colore, dimensione e significato.
Se poi lo vorrai decorare puoi usare di tutto e di più, basta che gli elementi essenziali ci siano.
Nella foresta dovrai tutto il necessario, comprese le 7 lunghe piume da appenderci sotto, nella tradizione indiana servono ai bei sogni per volare, liberi di raggiungere le menti delle persone.
Il buco al centro serve a indirizzare le energie positive verso la direzione che si desidera, quindi verso di noi, se non c’è il buco è lo stesso, ugualmente troveranno il modo per arrivare da noi, invece la ragnatela fermerà spiriti maligni ed energie negative intrappolandole con l’aiuto delle pietre che vi legherai e spariranno all’alba, bruciati dai primi raggi di sole.>>


Aveva poi appoggiato sul tavolo, davanti la nipote, il vecchio libro di cui le aveva parlato la sera prima e che aveva cercato nella loro libreria.

<< Buona scelta e buona ricerca.
Lasciati condurre dal tuo istinto e da ciò che ti trasmettono gli oggetti che toccherai, concentrati e capisci la reazione che il tocco di una pietra ti trasmette rispetto ad un’altra, le sensazioni che provi.>>


Erano tutte cose che la ragazza già sapeva.
Non era la prima volta che andava nella foresta per raccogliere ingredienti ed elementi necessari per un rito o una pozione o per decorare il luogo cerimoniale.
Prese la sua borsa “da raccolta” e vi infilò dentro sacchettini e il libro da consultare se necessario.

Lungo il cammino nella foresta, aveva raccolto pietre, sassi, piume e ogni cosa le sembrasse carino e adatto per esser aggiunto al proprio acchiappasogni, ormai la borsa pesava quanto lei dal gran l’aveva riempita.
Trovare le piume non era stato neanche poi così difficile, bastava andare nella parte di foresta dove sapeva esserci una valle erbosa ricca non solo di fiori, ma anche cespugli di bacche e altre piante i cui semi e frutti poteva esser mangiati dagli animali.
Arrivata al lago, aveva raccolto dei ciottoli piccoli veramente carini che voleva aggiungere al talismano, per lei quello era un posto importante, non solo per i ricordi, ma anche per l’energia di cui era impregnato, i suoni, gli odori, l’acqua che tanto la rilassava…
Voleva che il legame che sentiva con la natura si trasferisse anche dell’oggetto che doveva proteggerla.
Invece per il legno di salice fu più difficile, si dovette spingere fin oltre i limiti a lei consentiti, non doveva superare il lago, ma sapeva esserci un salice crescere nell’altra sponda.
Così infranse la regola e andò oltre il lago.
Arrivata all’albero, fu tentata di esultare dalla gioia, ma per sicurezza rimase in silenzio, per un qualche motivo quella parte di foresta sembrava “più selvaggia”, minacciosa, come che tutte le creature pericolose fossero state cacciate in quel lato del lago liberando quello vicino casa di sua.
Inoltre, avvicinandosi alla maestosa pianta, che indubbiamente trasmetteva un senso di tristezza e solitudine, con quei rami a penzoloni simili ai capelli di una driade china piangente, le sembrava esserci qualcosa di strano lì intorno, qualcosa di “magico”… forse anche “oscuro e misterioso”.
Non era il caso di attardarsi in quel posto, in gran fretta raccolse ciò che le serviva per poi defilarsi prima che sua madre potesse scoprirla (perché non sapeva come ma ci riusciva sempre) o che, qualsiasi essere la stesse osservando, nascosto tra la vegetazione, decidesse di uscire alla scoperto.
Si era sentita lo sguardo di qualcosa, o qualcuno, perennemente addosso per tutto il tempo che aveva passato in quel posto, vigile e pronta ad estrarre la bacchetta, aveva continuato a raccogliere, ma niente e nessuno si era rivelato.
Stava camminando lungo il lato del lago, quando sentì uno strano suono, più simile ad un lamento che al verso di un animale, neanche lo scrosciare dell’acqua agitata per il vento lo aveva nascosto.
Si era fermata all’improvviso, in ascolto.
Quando lo risentì, basso e lugubre, un brivido la percorse lungo tutta la schiena, si strinse la tracolla al corpo turbata, con la bacchetta già alla mano, ma era troppo curiosa di scoprire quale animale potesse emettere un verso simile, forse era ferito, giustificava lo strana verso.
Non poteva abbandonarlo.
Così, armata di coraggio, ma soprattutto stupida curiosità, si diresse verso il punto da cui sembrava provenire il suono.
Arrivò ad una zona della foresta che non aveva mai visto, forse perché di solito quando infrangeva le regole e andava alla “sponda proibita” del lago, poi faceva le corse per tornare dalla parte giusta, non si era mai attardata per esplorare la parte di foresta a lato.
Lì gli alberi erano più bassi e fitti, c’erano cespugli spinosi e rovi da ogni parte, bloccando il passaggio, già per arrivare lì si era strappata i vestiti e graffiata in più punti, non era certo il caso di continuare, soprattutto col tempo che si stava mettendo sempre peggio, la luce era calata parecchio invece il freddo aumentato.
Si diede un’ultima occhiata in giro, tutto era immobile.
Nessun rumore, nessun movimento.
Sentendosi stupida, fece per andarsene, quando un lamento straziante, seguito da un forte fruscio di ali sbattute, la colse impreparata e la fece sobbalzare facendole cadere la borsa dalle mani.
Non era un animale ferito, ma qualcos’altro di più inquietante e alato.
Il cuore aveva preso a battere frenetico dalla paura di quel verso innaturale e la creatura che era appena volata via, il suono era provenuto da oltre la parete di rovi.
Ma Mìreen per quel giorno era a posto e non aveva la minima intenzione di avanzare, così si chinò per raccogliere la borsa, ma prima di risollevarsi, vide qualcosa di nero a terra poco distanti: 3 lunghe penne nere.
Si avvicinò lentamente.
Un istinto, un sussurro nell’orecchio, le disse di raccoglierle e metterle al sicuro nella borsa.
Non sapeva dire perché vi ubbidì, le raccolse, ammirando i riflessi verdi che prima non aveva notato, e le mise nella propria borsa.
Perché quel verso, invece di farla scappare, l’aveva attirata fino a quel posto inesplorato?
Una sensazione di legame, di appartenenza, come che qualcosa oltre i rovi la stesse aspettando, che stesse aspettando lei e solo lei, premeva nel petto.
Un tuono fragoroso la ridestò dai propri pensieri.
Veloce si mise in marcia verso casa, girandosi solo per “studiarsi” il punto da cui era entrata nella foresta e promettendo di tornarci.
Tornata a casa, il temporale era iniziato da poco e non si era inzuppata completamente solo perché le cime degli alberi l’avevano protetta dalla pioggia.
Dopo pranzo mostrò il suo “bottino” alla nonna e alla madre, fecero un’espressione strana da decifrare quando videro le particolari penne…
Sapevano bene a quale creatura appartenessero, e sapevano anche che la ragazza aveva superato il confine entro cui poteva spostarsi, sia per il legno di salice raccolto, sia perché, l’essere a cui appartenevano le penne nere e verdi, abitava solo in una zona specifica della foresta… ma non dissero niente.

Mìreen occupò tutto il pomeriggio a imparare come incrociare i fili, e a preparare le pietre e i sassi da aggiungere, ma alla fine il risultato la fece sorridere e saltellare soddisfatta.
Le bastava sfiorare l’oggetto per sentirsi bene, protetta e sicura, aveva impresso la sua energia e magia in quell’oggetto e ora lo sentiva una parte di sé, una sua creazione, soprattutto adorava le 3 piume nere e verdi.
Magari non era perfetto, ma infondo neanche lei lo era, aveva appena imparato e a detta della nonna e della madre andava benissimo e la rassicurarono che avrebbe anche funzionato.
L’Acchiappasogni ai suoi occhi era bellissimo, e ciò bastava.


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Quella notte, quando si addormentò, si ritrovò nel boschetto di rovi doveva aveva trovato le penne.
Confusa si guardò attorno, ma non vide niente.
Nessuna creatura dai versi strazianti né comparve né si sentì…
Il rumore improvviso di passi dietro di lei la fecero girare e davanti a se si trovò Muìryn che la guardava sorridendo.


<< Ce l’hai fatta! Se riuscita a creare un Acchiappasogni perfettamente funzionante e anche dall’aspetto niente male devo dire… potrebbe migliorare, ma ti faccio ugualmente i complimenti.>>

Mìreen fece due passi indietro per allontanarsi da lei, una sensazione di sconfitta e rabbia le montò nel petto, per poi risponderle scocciata e infastidita:

<< Invece No, non ha funzionato. Te sei ancora qui!>>

Muìryn non si mostrò per nulla offesa, anzi decisamente divertita.
Avanzò verso la parete di rovi e, allungando la mano destra, si punse l’indice con una spina.
Immediatamente Mìreen, che la stava osservando chiedendosi cos’avesse intenzione di fare, sentì dolore al dito della mano sinistra e veloce se lo guardò.
Non poté credere ai propri occhi: una ferita era comparsa sullo stesso dito di Muìryn, ma nella mano opposta, come che si fosse punta lei stessa.
Stesso dolore, stesso sangue rosso che usciva da quella piccola apertura nella carne del polpastrello.


<< Non sono scomparsa perché non sono un incubo. Come devo fartelo capire?
Io sono te, te sei me. Siamo la stessa persona, ma due anime diverse.
Perché ti è così così difficile ammetterlo e accettarlo?>>


<< Perché non ha senso! Non può essere… Cosa significa siamo la stessa persona?
Perché devi parlare sempre in modo così criptico??
Provo sensazioni contrastanti quando ci sei te, quando mi parli, e questo mi spaventa, e mi confonde…>>


Mìreen si portò il dito alla bocca per succhiarsi il sangue che usciva più abbondante di quanto pensasse, chiedendosi quanto cavolo in profondità aveva spinto quella spina e perché lei non stesse sanguinando, lo sguardo fisso sulla gemella dai capelli bianchi e gli occhi ametista.
Il viso di questa si addolcì.


<< Mi dispiace che le mie parole ti confondono, o che alcuni miei gesti ti spaventino… ma non sei ancora pronta a sapere tutto e soprattutto la verità.
Sei vicina alla “trasformazione”, presto subirai il cambiamento più importante della tua intera esistenza.
E’ inevitabile, nessuno potrà fermarlo perché il Destino, gli Spiriti, hanno deciso che così dovrà andare.
Non è qualcosa che máthair e seanmháthair o chiunque altro potrà cambiare, per quanto loro ci proveranno.>>


Lentamente si avvicinò a Mìreen e, come ogni volta, la ragazza non riuscì a muoversi, paralizzata, ipnotizzata dall’avanzare della “sorella”.
Perché ogni volta le faceva questo effetto? Intimorita, eppure incapace di allontanarsi quando la gemella l’arpionava con quello sguardo tra il pericoloso e l’accattivante.
Le prese la mano dove si stava succhiando il dito ferito, un brivido di freddo attraversò il corpo della ragazza al contatto con la pelle congelata della donna.
Osservò la ferita su cui una goccia di sangue si era già creata e aspettava, rossa e perfetta.
Muìryn fissò quella piccola gemma, in essa vi era la maledizione delle Fiachran, la stessa che le univa, che avrebbe cambiato non solo Mìreen, ma anche lei e il suo legame con la ragazza il cui cuore batteva, caldo e irregolare adesso che la stava toccando.
Senza esitazione, senza vergogna, curiosa di ciò che le era precluso, la donna dai capelli bianchi come la neve si chinò sul dito, e se lo mise in bocca, assaggiando quell’invitante liquido scarlatto.

Mìreen aveva osservato la scena incapace di reagire, ma la confusione del gesto inaspettato, venne sostituita dallo stupore quando il sapore del sangue comparve nella propria bocca, come che lei stessa si stesse succhiando il dito.





I'm gonna make this place your home
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Chiedo scusa ma non sono riuscita a modificare le 3 piume bianche nell'acchiappasogni e a farle nere e verdi come dovrebbero essere.

Purtroppo la musica non funziona, devo aver modificato male il codice... Sarebbe questa: Song - Problema risolto DOPO l'uscita dei Risultati del Contest


Edited by LadyShamy90 - 26/3/2019, 03:26
 
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Scheda PG Contest MARZO 2019 _ CIOCCOLATO
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Un libro dalla copertina logora poggiava sul basso tavolino di legno intagliato al centro del salotto, era stato abbandonato aperto, un po’ scomposto, in modo che mantenesse il segno sull’ultima pagina letta.
Era voluminoso, dall'aspetto antico, parecchio tempo era passato da quando era stato scritto, da un membro di quella stessa famiglia, ora custodito insieme ai numerosi tesori preziosi, con rispetto e reverenza.
Attendeva che colei che lo aveva scelto tra tanti nella vasta biblioteca, si girasse nuovamente verso di lui, sporgendosi fino a sfiorarlo, e le sarebbe poi bastato un semplice, ulteriore allungamento, per prenderlo, con la delicatezza dovuta, considerata la veneranda età che ormai poteva vantare.
Infine sarebbe tornato a raccontare le proprie meravigliose storie e i sinistri segreti che racchiudeva, legati ad un popolo ormai scomparso, alla giovane ragazza dai capelli mori.
Ma ciò non avvenne, e il libro restò dov’era.

Mìreen sedeva stesa sul divano del salotto della grande casa di sua nonna e guardava lo scoppiettare del fuoco nel camino in quel freddo pomeriggio d’inverno.
Aveva iniziato a leggere uno dei libri più vecchi e preziosi dell’enorme collezione di sua nonna nella speranza di distrarsi, ma non era riuscita a concentrarsi abbastanza e l’unica cosa che aveva ottenuto era un gran mal di testa.
Distratta prese a grattare la cicatrice sul braccio sinistro. Se l’era fatta poco tempo prima cadendo da un albero, il suo sguardo scattò alla zona di pelle quando non sentì il tocco della propria mano, non si era ancora abituata alla mancanza di sensibilità , anche se, secondo sua nonna e una sua amica guaritrice, era solo temporaneo.
Non ricordava niente dell’accaduto, sua madre diceva che era per via della brutta botta alla testa che aveva preso e che forse le aveva fatto dimenticare.
Non era strano per lei cadere da un albero, anche se era da parecchio che non le succedeva più, forse si era distratta e aveva perso l’equilibrio, sicuro non era dispiaciuta di non averne ricordo, ma la cosa che più la lasciava confusa era quel segno verticale che le percorreva parte dell’avanbraccio, di una leggera colorazione violacea.
Com’era possibile che la guaritrice non l’avesse curata magicamente facendola sparire?
Aveva già la cicatrice sul petto a deturparle il corpo, perché ora doveva tenersi pure quella?
Sfilò il cuscino che aveva sotto la testa, e sollevando la parte superiore del corpo, se lo premette sulla faccia, soffocando così un urlo di frustrazione, per poi ricadere sul divano, appoggiata al bracciolo imbottito, con ancora il cuscino sul viso.

Stava quasi per addormentarsi quando un improvviso, forte rumore, proveniente dalla cucina, la fece scattare dallo spavento.
Subito si precipitò a controllare cosa fosse stato, aprì la porta ma si bloccò letteralmente, confusa e sconvolta della scena che le si presentò davanti: il pavimento e alcuni punti dei mobili della cucina avevano cambiato completamente colore, da un bianco immacolato, erano diventati di un polveroso marrone.
Il suo primo pensiero fu che fosse terra, ma la nonna e la madre non erano ancora tornate a casa, come ci era finita della terra lì?
Per di più non avrebbero mai sporcato tanto, neanche se ci fosse stato il pantano nell’orto o nella foresta.
Appena entrò nella stanza dovette ricredersi, sentì subito un dolce odore che ben riconosceva, veloce ne raccolse un po’ dal ripiano in granito e se lo portò alla bocca…
Non c’erano dubbi, quello era cacao!
Guardandosi intorno vide una delle sedie che di solito stava intorno al tavolo appoggiata ad un mobile e, poco distante, la biscottiera in ceramica che stava su una mensola, era invece a terra con un lato rotto da cui erano usciti alcuni biscotti al cioccolato fatti l’altro giorno da sua madre.
La bottiglia del latte poggiava su una pozza bianca sul tavolo e il cacao era su ogni superficie possibile.
Si chiese chi potesse esser il responsabile di quel disastro, la gatta non poteva esser stata visto che l’aveva notata girare fuori in giardino, restava solo un altro possibile piccolo colpevole.
Non le ci volle molto a trovarlo, infondo se non si nascondeva dentro la dispensa o dove stavano gli utensili da cucina, escludendo sotto il tavolo, non restavano molti posti facilmente raggiungibili nel poco tempo tra la caduta del contenitore e lei che accorreva.
Camminò verso l’angolo opposto e si inginocchiò davanti il basso mobile dove tenevano i vasetti delle conserve tipo marmellate, sott’aceti, salamoie e verdure sott’olio.
Spostò lentamente la tendina che le nascondeva e, rannicchiato infondo, dietro e probabilmente sopra alcuni vasetti, vi trovò il suo fratellino di 6 anni Lyam, intento quasi a trattenere i respiro per non farsi scoprire.


<< Guarda un po’ cosa ho trovato tra le conserve...
Un carciofo sott’olio. >>


Il fratellino alzò lo sguardo consapevole di esser stato scoperto, la guardò sconsolato, per poi riabbassarlo imbarazzato.

<< Dai vieni fuori, così mi dici il motivo di questo disastro.>>

Allungò la mano e appena il piccolo gliela afferrò, lo aiutò a uscire da quell’angusto spazio... come fosse riuscito ad entrare senza rovesciare la metà dei barattoli non lo sapeva proprio.
Quando fu fuori, fece qualche passo lontano dalla sorella e tenendo lo sguardo basso, sembrò titubante nell’iniziare a parlare.


<< Dai, dimmi cos’avevi intenzione di fare.
Volevi prepararti la merenda? Lo sai che potevi chiedermelo, ero sul divano in salotto… Credevo stessi ancora dormendo in camera tua se no te l’avrei preparata io.>>


Il bimbo iniziò a rigirarsi tra le mani quello che riconobbe esser il suo bicchierino di plastica preferito, non lo aveva notato quando lo aveva aiutato ad uscire dal suo nascondiglio.
Dopo un po’ di attesa, parlò con voce bassa e intimorita:


<< Eri così triste…
Volevo farti la cioccolata, come la faceva daidí…
Daidí la faceva sempre e te sorridevi.>>


Mìreen restò a bocca aperta.
Diede un’occhiata alla cucina, collegando i vari elementi fuori posto: la sedia era appoggiata al mobile sopra il quale vi era la mensola dove prima stava il barattolo dei biscotti ora rotto per terra, mentre cacao e latte dovevano servire a fare la cioccolata nel bicchierino tra le mani del fratello.


<< E come pensavi di scaldarla? >>

Lo aveva chiesto di getto, senza pensarci, solo curiosa di cosa le avrebbe risposto.
Il bambino girò la testa verso il fuoco nel camino, davanti vi era un ripiano in mattoni abbastanza spazioso da potersi sedere, forse pensava di appoggiare il bicchiere lì vicino per scaldarlo...
Nella sua testa di bambino, bastava unire latte e cacao e scaldare il bicchiere per fare la cioccolata.

Un sorriso comparve sul volto di Mìreen, il primo sorriso sincero dopo tanto tempo che non le succedeva.
Non credeva che Lyam avesse notato quanto fosse ancora addolorata per la perdita del padre.
La rabbia e delusione che aveva provato per tanto tempo, mesi prima era andata scemando fino a tornare ad esser affettuosa col fratello e gentile con la madre; ma la tristezza non era sparita e, sapeva per certo, che non se ne sarebbe andata tanto facilmente... almeno, piano piano, aveva ristabilito dei legami con la famiglia.
Si inginocchiò di nuovo, e aprì le braccia verso di lui, lasciando intendere che voleva abbracciarlo.
Subito il piccolo le corse incontro e la strinse forte.
Gli occhi della ragazza erano diventati lucidi sapendo del bel gesto che il piccolo voleva farle, un gesto tanto semplice quanto pieno di significato e affetto.

Il padre adorava la cioccolata, tanto che la sua torta preferita era proprio la “Foresta nera”, e Lyam aveva preso da lui, ogni volta che gliela preparava, saltellava felice finchè non gli allungava una tazzona piena di tiepida cioccolata con 3 biscotti fatti in casa.
Ora che non c’era più, era sua madre a preparargliela, ma non era la stessa, non aveva lo stesso sapore… Ryan diceva sempre, con voce misteriosa, che ci metteva un ingrediente segreto, per renderla speciale e che prima o poi glielo avrebbe rivelato.
Purtroppo se n’era andato prima che lo facesse.
Dalla sua morte, Mìreen non aveva più voluto bere cioccolata calda, non l’aveva più toccata perché le faceva male ripensare a lui e ai ricordi che le avrebbe portato anche solo un sorso.
Una fitta di dolore al cuore le attraversò il petto, e d'istinto strinse più forte il fratellino.


<< Mi dispiace che ti sei preoccupato per me. Non credevo che il mio pessimo umore fosse così evidente…
Ma hai rischiato di farti male cercando di fare le cose da solo! Potevi cadere dalla sedia o tagliarti coi cocci rotti…>>


<< Volevo farti una sorpresa…>>

Gli occhi del piccolo iniziarono a diventare lucidi come quelli della sorella, ma per un motivo differente: temeva che lei lo volesse sgridare per la biscottiera rotta, ma subito Mìreen gli diede un bacio sulla fronte e lo rassicurò:

<< Hai avuto un’idea bellissima e dolcissima.
Mi hai fatto lo stesso una sorpresa e non sai quanto mi ha fatto piacere...
Però la prossima volta mi avvisi, che così la prepariamo insieme, va bene?>>


Lyam sorrise e fece segno di Sì con la testa.
Mìreen allora si alzò e prese in braccio il fratellino in modo che non rischiasse di pestare una qualche scheggia, lo adagiò su una delle sedie del tavolo e raccogliendo con attenzione il contenitore, gli allungò uno dei biscotti salvati.


<< Adesso resta fermo qui, io mi occupo della cucina prima che tornano máthair e seanmháthair, poi facciamo la cioccolata insieme.>>

La ragazza andò veloce in salotto a prendere la bacchetta, con un paio di incantesimi, sotto lo sguardo curioso del fratellino che si mangiucchiava il biscotto, riordinò la cucina e ripulì ogni angolo eliminando qualsiasi segno del piccolo chef.
Quando ebbe finalmente finito, iniziò a tirare fuori il necessario per fare la cioccolata calda: latte, zucchero, cacao e fecola di patate per averla cremosa, oltre ad un pentolino e un mestolo, e li appoggiò sulla tavola davanti al fratellino.


<< Ora che è tutto pulito e la biscottiera tornata integra e al suo posto, prepariamo la cioccolata, e te mi aiuterai.
Per prima cosa nel pentolino mettiamo questi...>>


Gli allungò cacao, zucchero e fecola, con qualche cucchiaio, e lo osservò all'opera... il bimbo divertito, immergeva il cucchiaio per poi rovesciare nel pentolino, sporcando di non poco il tavolo appena pulito, e le quantità erano fatte completamente a caso, ma poco le interessava, vedere il fratello così preso e sorridente faceva rallegrare e distrarre anche lei.
Si spostarono ai fornelli per mescolare con un po’ di latte il composto, Mìreen teneva per i fianchi il fratellino in piedi sulla sedia, voleva mescolare lui a tutti i costi, così si assicurava che ne cadesse ne si scottasse.
Dopo aver rovesciato il latte rimasto e aver mescolato ancora un po’, la cioccolata era pronta.
Prese due tazze e vi versò la cioccolata calda, in un piattino mise qualche biscotto e portò il tutto in salotto, li appoggiò sul tavolino vicino al libro che sta volta chiuse con attenzione, posizionando il cordoncino per segnare la pagina a cui era arrivata.
Infine si sedette sul divano vicino al fratello, che l’aveva preceduta portandosi una copertina di quelle spesse e calde, cucite dalla bisnonna.
Appena Mìreen si sedette, Lyam sgusciò tra le sue braccia, appoggiando la schiena al petto della sorella che lo accolse sorridente con le gambe incrociate, come per creare un comodo nido dove il piccolo poteva raggomitolarsi per stare al caldo con tanto di coperta.
La ragazza si allungò per prendere un biscotto che lasciò al fratellino, e una delle tazze fumanti, vi soffiò sopra per raffreddarla un po’ e quando le sembrò avesse smesso di scottare, gli diede anche quella.
Lei prese l’altra rimasta e dopo aver fatto una specie di “cin cin”, assaggiarono la cioccolata calda fatta da Lyam col suo aiuto.

Non aveva niente a che fare con quella perfetta di suo padre, il cui sapore conservava ancora nel cuore.
Era completamente sbagliata, il sapore era stranissimo, non avendo rispettato dei dosaggi precisi, era venuta stra-dolce, ancora liquida e grumosa…
Lyam si girò per guardare la sorella, e coi baffetti di cioccolata sotto il naso, le chiese << Ti piace?>> con una voce incerta della sua risposta, ma allo stesso tempo speranzosa.
Mìreen lo guardò, quella cioccolata aveva mille difetti, inoltre era semplice, nessuna aggiunta gustosa, nessun sapore “speciale”, o una qualche invitante decorazione come si vedevano al Wizcafè...
Eppure, in quel momento, le sembrò la più buona che avesse mai sentito.
Era a suo modo perfetta così com’era.
Un dolce sorriso si fece strada sul suo volto e sicura gli rispose:


<< E’ buonissima!>>

Contento, il bambino prese un altro sorsino di cioccolata calda, e lentamente, con delicatezza, cercò (non aveva ancora imparato) di tracciare il simbolo della loro famiglia sulla mano libera della sorella, sapendo che era il loro modo per tranquillizzarsi e infondersi coraggio.
Mìreen rimase toccata anche da quel suo goffo tentativo... veloce nascose una lacrima scappata al suo controllo, non voleva che la vedesse piangere, soprattutto dopo che gli aveva detto che la cioccolata le era piaciuta...
Non voleva rischiare che fraintendesse la sua reazione, ma a stento tratteneva l'emozione per quel gesto tanto altruistico e affettuoso, ricevuto dallo stesso bambino che come lei aveva perso lo stesso amato padre, e che fino a poco tempo prima aveva ingiustamente trattato male nella sua fase di stupido egoismo... quando invece era solo da amare e coccolare.
Benchè non capisse a pieno il significato della morte, anche suo fratello stava soffrendo, eppure quel giorno si era mostrato addirittura più forte della sua sorella maggiore.


<< Sai, la cioccolata può fare proprio miracoli.
Pensa che è la cura migliore contro una delle più pericolose e oscure creature che si può avere la sfortuna di incontrare… Capaci di terrorizzarti e risucchiarti tutta la felicità che hai in corpo… e il cui bacio, è fatale.>>


Un brivido di paura percorse il corpicino del fratello che si aggrappò alla sorella come che la creatura, che Mìreen sapeva trattarsi di un Dissennatore, potesse comparire all’improvviso nella stanza.
Non aveva intenzione di spaventarlo, così subito continuò per rassicurarlo:


<< Ci credi? Un essere tanto brutto e cattivo, sconfitto da un pezzetto di cioccolato!
Domani la prepariamo anche a máthair, la faremo tanto felice. >>


Spezzò il biscotto che aveva preso poco prima e diede il pezzo più grande al fratello…
I ricordi delle risate, delle storie raccontate insieme al genitore su quello stesso divano, davanti al fuoco, in una fredda giornata come quella, la inondarono di malinconia...
Ma non poteva abbandonarsi al pianto come aveva fatto fino a quel momento, doveva essere la roccia della famiglia, doveva essere lei la prima a sorridere di nuovo, a guardare avanti, per aiutare suo fratello e sua madre.
Aveva avuto il tempo per compiangere il padre, ora doveva reagire, anche se le sembrava di non farcela, doveva fare tutto il possibile per mostrarsi forte e determinata a ricominciare a vivere.
Il suo ricordo non doveva portare solo dolore e tristezza, non avrebbe mai voluto esser ricordato legato solo a quei sentimenti negativi, dovevano pensare a lui con amore, con affetto, dovevano esser felici quando ripensavano ai bei momenti passati insieme a lui...
E quando suo fratello non avrebbe più ricordato, perchè troppo piccolo quando era ancora in vita, glielo avrebbe raccontato lei, le memorie di Ryan con la sua famiglia non sarebbero mai state dimenticate, non solo tramite le foto, ma ad ogni singola occasione, lei sarebbe stata il suo pensatoio.
A cominciare da quel momento, da quella cioccolata, da quello stesso libro, le cui storie il padre le aveva lette a lei tantissimo tempo prima.


<< Ora, intanto che aspettiamo che tornino máthair e seanmháthair, ti leggerò una storia.
La storia di un popolo vissuto tanto tempo fa’… Un popolo fatato e magico, nascosto agli occhi umani, ma le cui leggende sono state tramandate fino ai giorni nostri, e sarà nostro compito continuare a raccontarle.>>


Fece cenno al libro sopra il tavolino, il bambino intuì cosa la sorella gli stesse chiedendo, così felice si allungò e con attenzione afferrò il vecchio volume con una discreta fatica per via del peso, per poi passarglielo.
Infine prese con due mani la tazza di cioccolata ancora calda, e con gli occhi fissi sulle immagini in bianco e nero della pagina appena aperta, molto prima di dov’era il cordino segnalibro, si mise ad ascoltare la voce rilassante di Mìreen.
La ragazza con gli occhi leggeva il testo scritto in lingua antica, mentalmente lo traduceva, per poi raccontarlo a voce alta al fratello, sorseggiando di tanto in tanto la propria bevanda dolce e calda.

Da quel freddo pomeriggio, Mìreen tornò a bere la cioccolata calda.
L’amore e l’impegno con cui suo fratello di soli 6 anni l’aveva fatta per lei, nella speranza di ridarle il sorriso, come faceva il padre quando la vedeva giù di morale, ne annullava ogni imperfezione, e gli dava il sapore più buono che si potesse desiderare: quello dell’affetto e dell'amore che solo un legame tanto forte poteva dare, come quello che univa una famiglia, nel bene e nel male.




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Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 05:00
 
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Scheda PG Contest APRILE 2019 _ FAMIGLIO
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FAMIGLIO: ll Famiglio, o Familiar, è il compagno di Streghe, Stregoni e Sciamani.
Il più comune che viene alla mente è il Familiar animale,
ma ci sono vari tipi, come piante, animali, elementali, divinità.
I Familiar sono usati per rafforzare il proprio lavoro magico, per avvertire del pericolo, per guidare nei viaggi sciamanici, per la guarigione e per aiutarci a capire la connessione tra umani, animali, piante e l’Altromondo.
Il Famiglio (fisico, astrale o elementale) può aiutarci a rafforzare il nostro potere magico.
Alcune creature fisiche fanno questo, semplicemente stando nella stanza in cui si pratica un rituale.
Essi possono migliorare la nostra vita avvertendoci di un pericolo o difendendoci quando se ne si presentano,
animali come cani e gatti possono avvertirci quando è presente un pericolo con un miagolio o un ringhio, od anche rifiutandosi di entrare in una stanza dove ci sia qualcuno che considerano dubbio o in un’area dov’è presente una presenza maligna.
Essi sveglieranno anche i loro “padroni” durante la notte per avvisarli di fuoco, intrusi od altri potenziali disastri.
Gli animali sono anche buoni guaritori.
Sembra che sappiano quando qualcuno a cui sono affezionati è malato.
Non importa se il malessere è emozionale o fisico, essi si avvicinano più che possono ed inviano confortanti vibrazioni guaritrici.
Quando c’è bisogno di rafforzare il potere magico durante un rituale od un incantesimo, non c’è niente di meglio che un Familiar.
Un buon Familiar può anche farci sapere attraverso la telepatia ed azioni sottili se non stiamo usando il tipo appropriato di procedura magica.
In questo caso alcune volte essi diventano turbati, finché non gli diamo ascolto.
[Fonte: https://antrodellamagia.forumfree.it/ ]



Mi chiamo Hìriel, in gaelico significa Regina.
Non è il mio vero nome, mi chiamavano in un altro modo… Ma non me lo ricordo più.
E’ passato così tanto tempo che ho perso numerosi ricordi della mia vita passata, da umana.
O forse non ero veramente umana?
Quale umano, ad una certa età, inizia a mutare in una forma che diventerà la sua unica per tutta la vita?
Non me lo sono cercata io, non ho chiesto io di esserlo.
Mi ci sono voluti anni, ma alla fine ero riuscita ad accettarlo, e sono andata avanti.
Eppure, più passava il tempo, più mi rendevo conto che era sempre più difficile tornare al mio aspetto originale.
Iniziai a far ricerche su questa mia “strana condizione”.
Cercai disperatamente una cura, o almeno, di capire cosa mi stesse succedendo, ma fu veramente poco quello che trovai, principalmente leggende…
Eppure in ogni descrizione dei sintomi, anche se misera e imprecisa, rivedevo i miei e la conclusione era sempre la stessa.
Quello sarebbe stato il mio destino. Non potevo lottare, non potevo cambiare niente.
Persi l’uomo della mia vita, perché presi la tanto sofferta decisione di non aver figli, per paura di trasmettere il mio orribile destino anche ai miei discendenti, nel caso fosse ereditaria.
Non ebbi mai il coraggio di dirlo a nessuno, cercai di godermi la vita da umana il più possibile, con la consapevolezza di ciò che mi aspettava.
Ogni volta che cambiavo, temevo sempre fosse l’ultima.
Finchè un giorno, un giorno lontano, a cui non so più dare una data precisa, la mia vita cambiò completamente, e persi tutto… o così pensai.
Non ricordo molto, è passato troppo tempo e ormai le immagini sono confuse e sfuocate.
Se ci penso, mi sembra di ricordare la foresta… ero all’ombra delle sue alte fronde, vicino al mio amato lago...
Ricordo di aver tanto urlato, urla di dolore, urla di disperazione… forse soffrivo? Era doloroso?
O era perchè temevo cosa stesse succedendo?
Le mie orecchie divennero a punta, il mio volto si allungò, e sul naso comparvero lunghi baffi.
Una ancora più lunga coda mi spuntò infondo alla schiena, poi il mio corpo si rimpicciolì e si incurvò… Infine, la mia pelle si ricoprì completamente da un morbido pelo rossastro.
Da quel giorno, lontano e impreciso, il mio corpo non cambiò più.
Non so dire con precisione cosa accadde, cosa provai, ricordo solo che quando guardai il mio riflesso sullo specchio del lago, sapevo già cosa vi avrei trovato: un muso felino, lo sguardo triste di chi aveva capito essersi compiuto il destino che tanto aveva temuto.
Probabilmente provai a ritornare umana, non riuscendoci.
Ricordo che, stanca e prosciugata da ogni energia e forza di volontà, mi abbandonai sulla fredda terra umida, e lì rimasi, lo sguardo fisso di chi non aveva più speranza.
Non so per quanto tempo restai così, so solo che se avessi potuto, avrei pianto, e pianto ancora, fino a finire le lacrime, ma questo nuovo corpo non me lo permise, così restai immobile dov’ero…
La preoccupazione che qualche bestia potesse passare e uccidermi per mangiarmi, non mi toccava minimamente.
Ricordo i morsi della fame, la sete, ma senza più la voglia di vivere, non me ne curavo, volevo solo aspettare che il mio dolore finisse e che la morte sopraggiungesse.
Dopo non so quanti giorni, sentii delle mani afferrarmi e stringermi donandomi un poco di calore, un calore che non sentivo da molto e che non credevo neanche più di meritare.
Con la vista appannata, guardai chi mi stesse tenendo tra le proprie braccia e riconobbi una delle figlie di mia sorella… era andata a passeggiare al lago e mi aveva trovata.
Mi raccolse e veloce mi portò a casa con sé per curarmi, in un enorme casolare, forse più simile ad un castello, dove si era trasferita da poco col resto della famiglia per stare vicina alla bisnonna ormai vecchia.
Ho dei vaghi ricordi di mia sorella, avevamo entrambe i capelli rossi, tipico tratto della famiglia, ma il nostro carattere era completamente diverso: io ligia al dovere, con la testa sulle spalle e legata alle tradizioni, lei uno spirito libero e spensierato, ma anche affettuoso e generoso.
Dopo che avevo sciolto il mio fidanzamento, per loro senza un valido motivo, i litigi erano aumentati, credevano avessi di colpo perso la testa e fossi diventata una scapestrata che non voleva adempiere ai propri doveri di sacerdotessa, mettere su famiglia, e che aveva lasciato il promesso sposo a pochi mesi dal matrimonio perché incapace di prendersi le proprie responsabilità.
Se solo avessero saputo la verità…
Se solo avessero saputo quali tormenti e dolori ho dovuto sopportare…
Quanti sogni e quante speranze infrante, una fitta di dolore ogni volta che nelle mie lunghe ricerche, trovavo sempre e solo la stessa conclusione, quella che poi anche per me è stata fatale e inevitabile.

Fui adottata dalla famiglia di mia sorella.
Era così strano vivere sotto il loro tetto, sapere chi fossero, ma loro non sapevano minimamente chi io fossi in verità.
Però mi trattavano bene, avevo cibo e un posto caldo dove dormire, mi accudivano e coccolavano, mi consideravano un membro della famiglia benchè ora fossi una specie di strano gatto.
C’era chi mi scambiava per un Kneazle o un incrocio, perché sembravo troppo intelligente per esser un normale animale domestico.
Se solo avessero saputo…
Col tempo ho imparato a ricostruire la mia vita, a ritrovare la forza per andare avanti.
Ho trovato anche un modo per esser utile.
Della famiglia ero sempre stata io l’esperta nelle pratiche magiche, erboristiche, pozioni, creazioni e rituali magici, nel momento in cui sparii, lasciai a mia sorella anche il ruolo di sacerdotessa della nostra comunità.
Così cercai di “istruirla” come meglio mi riusciva, recuperai i miei appunti e tutto il materiale su cui studiavo, prima che venisse o bruciato o abbandonato nella grande soffitta di casa come fosse “cianfrusaglia”, e glielo feci trovare “casualmente”.
Tutte le cose che avevo imparato da autodidatta e coi miei esperimenti, volevo insegnarlo a mia volta, perché non sapevo cosa sarebbe successo alla mia mente col tempo…
Sarebbe restata uguale o sarebbe regredita a quella della specie in cui mi ero trasformata?
Controllavo i santuari e i luoghi di culto dove fare i riti, che venissero tenuti in buono stato, che il materiale per le cerimonie non venisse contaminato o che non mancasse.
Certo non potevo andare al villaggio a far compere, ma conoscevo ogni parte della foresta e sapevo dove cresceva cosa, addirittura sono riuscita a strappare alcune piante e a portarle a casa perché le piantassero nel giardino-orto dietro casa.
Facevo quello che potevo per ringraziare quella famiglia che mi aveva accolto, e con cui avrei dovuto passare più tempo, approfittando di quello che mi restava da umana.
Avevo un caratterino difficile e autoritario, essendo stata anche la maggiore, spesso li avevo rimproverati, c’erano state discussioni animate, soprattutto nel periodo in cui io avevo scoperto la mia “fine” e avevo preso quelle che per loro erano decisioni insensate.
Eppure ogni giorno, dalla mia scomparsa, li avevo visti preoccupati, tristi, addolorati.
Quanto mi hanno cercata, e quanto mi hanno pianta quando hanno visto che non tornavo e ogni cosa lasciava intendere una mia “sparizione non voluta”.
E pensare che ero proprio davanti ai loro occhi...
Quando scoprii la “Maledizione” che pesava su tutta la mia famiglia da secoli, di cui eravamo sempre state all’oscuro, e di cui fu vittima la mia stessa sorella, promisi di diventare il loro supporto.
E lo sono da così tanto tempo che neanche più so contare gli anni.
Cerco di aiutare quelle povere donne a sopportare le orribili visioni e sensazioni che da trasformate le infestavano, in modo che imparino il prima possibile a convivere con le voci e la costante presenza del pericolo e della morte, per non impazzire…com’è purtroppo successo ad alcune della famiglia.
Non posso fare chissà quanto, ma col tempo ho accumulato esperienza e appreso modi per alleviare un minimo la tensione e l’ansia, infusi per conciliare il sonno, metodi per allontanare momentaneamente “morte e pericoli”.
Faccio trovare tutti gli ingredienti pronti nella dispensa, come che fosse stato qualcun altro a metterceli, e la notte veglio il loro sonno, affinchè gli spiriti maligni non approfittino della loro mente indebolita e stanca.
Infondo sono pur sempre la più anziana e sapiente.
E’ difficile per un gatto far tutto senza farsi scoprire, ma lo faccio con piacere per la mia unica e amata famiglia.



E’ trascorso tanto tempo.
Ho osservato per lunghe generazioni la discendenza di mia sorella crescere e vivere in questo stesso castello, vicino alla stessa foresta, con lo stesso lago.
Ho pianto la loro morte, ma sapevo che andavano nel mondo degli Spiriti, e che prima o poi, li avrei raggiunti, e lì avrei riavuto finalmente il mio vero aspetto.
Infondo non ho poi sentito così tanto la mancanza di non aver concepito figli miei, perché in tutto questo tempo, mi sono occupata dei pargoli nati e cresciuti in questa grande casa.
Quando piangevano, accorrevo per capire di cosa avessero bisogno e cercavo di farlo intendere alle madri, oppure controllavo che i bambini non si cacciassero nei guai quando finivano momentaneamente soli in una casa tanto grande quanto pericolosa.
Giocare poi con loro era la cosa più divertente e che più adoravo, a parte quando cercavano di acchiapparmi per la coda o di mettermi i vestitini stupidi delle bambole.
Ho provato la gioia che prova una madre, perché alla fine li consideravo tutti figli miei.


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Non so a che generazione siamo arrivati, eppure questa volta qualcosa è cambiato.
Nella nostra famiglia non è una novità la nascita di gemelli, anche le mie prime nipoti lo erano, ma questa volta hanno dei poteri divinatori sorprendenti, una connessione tra loro impareggiabile, eppure sono così diverse di carattere, come il giorno e la notte.
La “maggiore” se si può definire così, mi ricorda in parte me: severa, autoritaria e legata alle tradizioni, forse troppo… e si scontra parecchio con la sorella, invece più libertina e istintiva.
Non so come aiutarle, soprattutto adesso che una delle due è stata trasformata e ha scoperto ogni segreto della nostra famiglia, si è fissata sul riportare onore e gloria al nostro cognome, ma tremo al pensiero di come voglia farlo.
Cosa devo fare?
Come posso tenere tutto sotto controllo con questo misero corpo?


E’ successo.
Quando due caratteri così diversi si scontrano per un motivo legato a fattori di cuore, è inevitabile che esplodano scontri, ma mai mi sarei aspettata potesse finire così.
Tutto per un amore non accettato.
Ho così tanti anni sulla mia ossuta e pelosa schiena, che non trovo più sensate queste faide tra casate, soprattutto se sono degli innocenti a rimetterci.
Una famiglia ora divisa, una bambina rimasta orfana di padre e trasformata troppo giovane, e una donna che ha perso il suo unico amore.
Sarà dura, ma farò il possibile per aiutare questa mia lontana pronipote a farsi forza, perchè so cosa significa perdere l’amato, e non è stata neanche l’unica della famiglia a dover sopportare questo dolore.
Dovrò dare tutta la mia energia alla piccola, deve superare il trauma e la sua nuova condizione, prima che l’oscurità o la pazzia la reclamino.


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La ragazza dai capelli neri è cresciuta bella e sana, non si è lasciata corrodere dal dolore, ne l’oscurità ne la pazzia l’hanno sopraffatta, e ora ha addirittura trovato il suo soulmate!
Com’era bella al matrimonio, mai nella mia lunga vita ho visto una coppia più innamorata di loro due, si compensano alla perfezione.
La Dea Madre li ha creati e gli Spiriti li hanno fatti incontrare e legati per sempre.
Adesso è incinta e in attesa di due gemelle… che novità vero?
In questa casa c’è un’atmosfera di gioia e amore che mai avevo sentito prima, e anche la ragazza, ora diventata donna, non l’avevo mai vista così felice e spensierata.
Benchè la mia condizione, sono felice di esser vissuta tanto per assistere ad un momento così bello.
Le starò affianco e veglierò sulle nasciture, come poi ho fatto con ognuna delle donne gravide della famiglia.


Non capisco…
Tutto è andato in malora o quasi.
Dovevano nascere due gemelle, ma una non ce l’ha fatta…
La famiglia è divisa tra la gioia per la nuova arrivata e il dolore per quella che non è mai nata.
Com’è possibile?? Che sia stata la trasformazione in tenera età della madre a creare “problemi alla gravidanza”?
Eppure non c’era scritto niente negli antichi testi di un tale rischio.
E’ nata il 20 Marzo, il giorno dell’Equinozio di Primavera.
Ricordo qualcosa su questa data…
Una lontana storia che si raccontava al villaggio... e che con questa nascita, i popolani sono tornati a parlarne, quasi spaventati.

“Una bambina, dal sangue maledetto,
sarebbe nata il giorno in cui il giorno e la notte si equivalgono,
come il bene e il male in lei racchiuse.
Lei sola deciderà da che parte stare, e quale strade percorrere;
se la via della luce, o quella dell'oscurità...”



Che fosse una profezia?
Era in un testo scritto in celtico, una scrittura runica ormai morta e sepolta, non più utilizzata neanche nelle cerimonie… Ricordo la fatica nel tradurla…
Colei che fece la previsione, fu una delle più vecchie antenate di questa famiglia, se non addirittura LA prima capostipite dei Fiachran.
Si crede che non fosse neanche umana, ma che facesse parte, o meglio, che fosse l’unica figlia, di uno degli ultimi membri del Popolo Fatato, prima che fossero cacciati dalle loro terre.
Era forse Abigail il nome di sua madre?
Non ricordo.
La sua storia è una delle più incerte e misteriose su cui ruota la maledizione di questa famiglia, non vi sono certezze, solo miti e leggende.
Si raccontava che la figlia, avuta dal suo unico amore, ucciso davanti ai suoi occhi, fosse la Divinatrice più potente dell’intera isola e d’intorni, la benedetta dagli Dei, e proprio per questo suo grande “potere” venne eletta come prima Sacerdotessa, da cui poi nacque il compito della nostra famiglia di procreare femmine che ereditassero il sacro compito.
Era una storia raccontata ai bambini prima di andare a dormire, non credevo potesse avere un fondo di verità, infatti non mi ero mai curata di indagare.
La gente al villaggio ha paura, temono che la bambina possa portare sventura e dolore, ma io non credo più a queste superstizioni ormai da tempo.
Andrò al castello diroccato a indagare, li sono nascosti i nostri libri più antichi, alcuni ancora neanche mai tradotti.
E’ protetto da un incantesimo del sangue, ma si dia il caso che faccio ancora parte della famiglia, benchè la mia veneranda età e le fattezze feline.
Devo scoprirne il più possibile su questa “profezia”.
Le starò accanto, la accompagnerò nel suo lungo e difficile cammino, sperando che non smarrisca la via…
Ma poi, con due genitori così amorevoli e volti al bene, come potrebbe mai cadere nell’oscurità?



Cosa sta succedendo a questa famiglia?
Forse nascondiamo un’altra maledizione, o la si vuol chiamare solo sfortuna?
Perché gli uomini sono destinati o ad abbandonarci o a morire?
Sono così poche le donne ad aver vissuto una vita felice col proprio amato, quasi tutte hanno sofferto la sua perdita, e ora la storia si è ripetuta, è accaduto di nuovo: una povera donna col cuore a pezzi, e i figli senza un padre.
La stessa donna che aveva perso anni prima il padre a sua volta, ha perso anche la sua anima gemella e ora la figlia che ha sempre camminato nella luce, rischia di cadere nel buio.
Sono così stanca… ma non posso fermarmi.
Adoro questa ragazza dai capelli neri come la madre, mi ricorda la mia adorata sorella… e suo fratello, assomiglia tanto all’amato a cui ho dovuto rinunciare.
Voglio bene a questa famiglia, un bene durato forse secoli.
Non m’interessa quanto io possa esser stanca, continuerò a stare al loro fianco finchè le mie zampe mi sosterranno e finchè avrò ancora energia in questo piccolo e peloso corpo.

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Sta crescendo.
La ragazzina rimasta orfana di padre, dopo un periodo che ho temuto di perderla, che cadesse nell’oscurità, complice il ritorno della sua prozia e delle sue oscure tentazioni, ha finalmente reagito ed è tornata sulla giusta via.
Sta diventando una donna bella e indipendente, è tornata piena di vita, affettuosa e premurosa verso la famiglia, e sia la nonna, ma soprattutto la madre, sono tornate serene e speranzose.
Forse la storia della profezia era veramente un racconto “prima di andare a dormire”, forse ci siamo preoccupate inutilmente.
Che razza di dúr!
Vuole trasferirsi a Londra per intraprendere la carriera del padre.
Mi agita non averla vicino, come mi agitava non vederla quando andava a scuola, ma so che niente potrà mai scalfire la forte corazza che si è creata e che l’aiuterà a non soffrire più per colpa della gente e degli eventi.


Qualcosa non và.
La mia Mìreen, da quando ha compiuto i suoi 25 anni, sta avendo strani sogni, più simili ad incubi.
Veglio il suo sonno quando ci viene a trovare, e la notte la sento parlare, piangere, gridare addirittura…
E ogni volta un nome esce dalla sua bocca, un nome che non ha senso dirlo nel sogno: Muyrìn
Doveva essere solo un soprannome, così da portare la gemella mai nata sempre con sè, affinchè vivesse per entrambe, ma quando l’ascolto parlare, non si rivolge a sé stessa, ma a qualcuno… a qualcun’altra.
Parla ad una persona di cui non dovrebbe sapere l’esistenza, e questa sembra risponderle, come che comunicassero veramente in sogno tra di loro.
Com’è possibile?? Tutto ciò non ha senso.
Eppure non è pazza, non ha i segni che avevano le sue antenate uscite veramente di senno, lei è perfettamente normale… o almeno credo….
Che possa parlare con la gemella morta?
Ma la sua anima non dovrebbe essere nel regno degli Spiriti?
Si riferiva a questo la profezia? E’ Muyrìn il suo lato oscuro che vuole manipolarla per chissà quale motivo?
Come devo fare? Cosa devo fare?
Come posso salvare la mia più giovane pronipote da tutto questo?
E come se non bastasse, la prozia è tornata all’attacco.
La vuole, la vuole trasformare ad ogni costo.
La tengo d’occhio continuamente nella sua casa ben nascosta nella foresta oltre il lago, non so se si è accorta di me e accetta che io la osservi o se sono riuscita ad evitare che mi scopra, ma so per certo che sta tramando qualcosa.
E il destino è dalla sua parte, entrambe le mie pronipoti gemelle più vecchie lo hanno previsto, poco dopo la sua nascita se non addirittura prima, quando era ancora in grembo.
Per questo sono così determinate una ad ostacolarlo, l’altra a dargli una spinta.
Più le visioni della mia Mìreen si fanno più intense, più sento avvicinarsi il momento in cui il destino si compirà… e io più di tutti, so che non si va contro al volere del Fato.
Perché non ha avuto la fortuna della madre di trovare il suo soulmate?
Lui più di tutti può aiutarla a restare sulla via della luce, com’era stato per la madre e come fu anche per sua nonna.
Devo prepararmi. Devo prepararmi anche al peggio.
Se verrà veramente trasformata, il lato buio del suo cuore potrebbe risvegliarsi e la luce che finora era riuscita a tenerla sulla via del bene, rischierà di non esser più abbastanza.
E’ forte, la più forte in generazioni e generazioni di Fiachran, seconda forse solo alla madre…
Può farcela. DEVE farcela.


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Un morbido manto dal pelo rossiccio, due orecchie a punta, e una lunga coda che sinuosa si muoveva sfiorando leggermente il pelo dell’acqua.
Hìriel sedeva su una delle rocce del lago, guardava la luna piena, alta nel cielo, in una fredda sera di Yule.
Osservava il cielo già da un po’, da prima ancora che le stelle iniziassero a comparire nel cielo, non si era accorta del tempo che passava, tanto che ormai era diventato completamente puntellato…
Un rumore alle sue spalle la fece voltare, ma sapeva già di chi si trattasse, ne aveva annusato l’odore a parecchi metri di distanza.
Una giovane donna, dai capelli lunghi e neri aveva avuto la sua stessa idea di fare una passeggiata benchè il freddo pungente.
Quando si accorse di chi stesse occupando il posto su cui era solita sedersi, la fanciulla sorrise, e lentamente si avvicinò, cercando di non far rumore, come se non volesse disturbare l’animale.
Appena si sedette, le gambe a penzoloni dal punto più alto dello scoglio, la gatta si alzò e tranquilla fece i pochi passi necessari per strusciarsi contro il fianco della ragazza.


<< Ecco dov’eri.
Ti stavi godendo la stellata eh? E’ bellissima non è vero...?
E’ in questi momenti che vorrei il tempo si fermasse per poter ammirare il più a lungo possibile spettacoli così belli.
Anche daidí adorava guardare il cielo quando era così luminoso.>>


Alzò lo sguardo sulle stelle che brillavano, alte e irraggiungibili.
L’acqua del lago le rifletteva, ma non ne coglieva la stessa bellezza e luce.
Un triste cenno di sorriso sul volto, rispose alla richiesta di affetto della bestiolina, gli occhi chiari che passarono dall’animale, ad ammirare quello spettacolo lontano.
Restarono entrambe nel completo silenzio, come che non volessero spezzare la magia di quel momento.
La gatta ora non osservava più il cielo, ma quella che si poteva definire, forse la sua padrona?
No, era più una figlia acquisita.
Avvicinò il muso alla mano di lei, e subito ottenne ciò che cercava: dolci carezze, la mano calda prese ad accarezzarla, delicata passava sul suo corpo stanco, dai colori ormai un poco sbiaditi.
Soddisfatta si raggomitolò sulle gambe della ragazza, e vi rimase, godendo delle sue attenzioni e ricambiando con rumorose fusa.


<< Sai, ci sono le promesse da fare al falò di Yule, per l’anno nuovo…>>

Fece un profondo respiro sconsolato, quasi rassegnato, per poi guardare la gatta con uno sguardo curioso:

<< Chissà se capisci quello che ti dico… - pensò alle proprie parole per poi scrollare la testa sentendosi stupida - Naaa, probabilmente intuisci solo il mio stato emotivo dal tono della voce.
Però devo dire che sei un gatto decisamente più intelligente ed empatico del normale.>>


Restarono così per chissà quanto tempo.
Mìreen accarezzava distratta il morbido e caldo pelo di Hìriel, mentre guardava il cielo, ripensando alle tante volte che aveva visto quello spettacolo, in compagnia delle persone a lei care… Ripensando a tutto ciò che stava cambiando nella sua vita.
Mentre la gatta, di nascosto, osservava la stellata, ma non quella alta nel cielo notturno, quella che si rifletteva negli occhi spalancati da tale bellezza della ragazza, come un minuscolo specchio, limpido e leggermente lucido.
Di colpo una folata di vento, fece rabbrividire entrambe.
La gatta si stiracchiò, per poi alzarsi e girandosi a guardare il volto della giovane, le appoggiò una zampina sulla guancia, come per volerla consolare.
Dopo quel gesto così strano, tanto simile ad una piccola e delicata carezza, che lasciò la giovane strega un poco confusa e stupita, si spostò dalle gambe di lei liberandogliele e si piazzò vicino al bordo della roccia, in attesa.
Mìreen fece un’espressione dolce, e dopo un ultimo grattino, con attenzione per non scivolare, “scese” dallo scoglio, fece due passi, per poi girarsi verso la gatta e dirle, come che potesse comprenderla:


<< E’ ora di andare, si sta facendo decisamente freddo. Su Hìriel, torniamo a casa!
So cosa scriverò nella mia promessa per l’anno nuovo! E te?>>


Ridacchio e s'incamminò nella foresta, seguendo il sentiero sicuro che sapeva ormai ad occhi chiusi, illuminato solo dalla luce della luna e delle stelle.

La gatta restò un attimo dov’era, ancora sullo scoglio.
Alzò lo sguardo verso il cielo, e sembrò affidare a quei piccoli puntini luminosi una preghiera, per poi zampettare veloce per raggiungere la sua umana preferita e tornare insieme verso quella che era diventata la sua casa.

Cosa avesse chiesto al cielo quella strana gatta, solo le stelle potevano saperlo…


Spiriti, datemi l’energia di cui ho bisogno,
per aiutare questa mia amata figlia.
Ascoltate la mia preghiera…
In cambio,
vi donerò questo mio ultimo corpo, la mia unica anima, la mia sola vita.
Datemi la forza per aiutare coloro che amo, ancora una volta…
… poi potrete fare di me, ciò che volete,
anche cedermi alla Morte, per il mio riposo eterno.




I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it


Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 05:03
 
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MUSIC Parte 1°


"Athair, perché le stelle sono così luminose e lontane?"

"Perché la loro luce si deve vedere dal mondo degli Spiriti, per illuminare il cammino di coloro che amano e che hanno lasciato."

"E non scendono mai?"

"No, resteranno lassù a vegliare sui loro cari, in eterno."


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Parte 1°



Un mantello nero e spesso stava oscurando la luna che fino a poco prima brillava alta nel cielo con giusto qualche nuvola ogni tanto a coprirla.
In lontananza il rombo dei tuoni si faceva sentire preannunciando l’arrivo del maltempo.
Dall’oscurità della sua camera, Mìreen osservava il cielo fuori dalla finestra, farsi sempre più scuro e minaccioso.
Era andata alla finestra sperando di trovare conforto nelle stelle.
Amava guardarle col padre quando era in vita… ma quella notte erano completamente coperte dalle nubi temporalesche.
Dal suo ritorno a casa, dopo l’incidente sull’albero, le capitava di fare strani sogni…
Una donna ancora giovane, dai capelli rossi, sembrava parlarle cordiale, il volto aveva qualcosa di familiare. Poi di colpo il sorriso diventava un ghigno malefico, i capelli perdevano colore fino ad esser completamente bianchi e la pelle invecchiava veloce, tanto da esser quasi irriconoscibile.
La donna allungava le mani, diventate artigli, verso di lei, come per volerla afferrare, gli occhi iniettati di sangue e uno sguardo malvagio, quasi folle, tanto che la faceva tremare di paura anche dopo essersi svegliata nel suo letto di soprassalto.
Sarebbe andata al suo amato lago, se solo il tempo non fosse stato così minaccioso e poi, da quando aveva perso la memoria, sia la madre sia la nonna erano diventate parecchio apprensive.
Continuavano a chiederle come stesse e se avesse cominciato a ricordare, ma quando dava loro sempre la solita risposta negativa, invece di preoccuparsi, al contrario avevano una reazione difficile da comprendere… sembravano quasi sollevate.
Per un lungo periodo l’avevano tenuta continuamente d’occhio, soprattutto i giorni subito dopo al fatto.
Non poteva fare un passo verso la foresta che sua madre lo sapeva e accorreva a riportarla indietro.
Le era tanto mancato il suo lago.
Le sue acque cristalline, il suono dell’acqua che accarezzava delicata i ciottoli della riva e al contempo si scontrava contro i massi nel lato più profondo dove sapeva esserci “lo scalino nel vuoto”.
Piano piano aveva riconquistato la possibilità di rifare la sue passeggiate nella foresta fino al lago, ma ancora le era severamente proibito andarci la notte e lei, per adesso, non aveva motivo di disobbedire, benchè non ne capisse il senso di quella preoccupazione e neanche gliela volevano giustificare.
Dopo aver battuto la testa, non aveva più riavuto i ricordi di ciò che era successo per mesi interi, solo vaghe sensazioni a cui non sapeva dare un senso.
Eppure qualcosa doveva esser successo perché si sentiva cambiata, ma non sapeva dire il perché.
La rabbia, la frustrazione, il senso di abbandono e ingiustizia, verso la sua famiglia e contro il mondo intero, che le avevano corroso l’anima dalla morte del padre, si erano come “mitigati”.
Era come che qualcosa, una paura più forte, un’azione o un evento scioccante, le avessero fatto capire quale comportamento stupido stava avendo nei confronti di chi l’aveva sempre amata e che lei stessa amava.
Cosa fosse successo non lo sapeva. Non lo ricordava.
Se provava a pensarci, trovava solo il vuoto totale e a volte le veniva pure un gran mal di testa oltre che a tanta frustrazione.
La guaritrice del villaggio che l’aveva assistita, amica di sua nonna, le aveva detto che avrebbe riacquistato i ricordi nel tempo, ma quanto ancora le ci sarebbe voluto?
L’unica cosa che le ricordava continuamente dell’incidente, era una cicatrice leggermente violacea e insensibile lungo il braccio.
Alzò gli occhi al cielo nero, lo sguardo triste e deluso.
Suo padre le mancava tremendamente.
Le mancava tutto di lui, dalla voce ai gesti di affetto. Le sue parole di conforto e d’incoraggiamento erano sempre state in grado di farle scalare una montagna e le sarebbero tanto servite adesso che doveva superare il fatto che non c’era più…
Non lo avrebbe più abbracciato cercando coraggio nell’unica persona che l’aveva fatta sentire veramente protetta.
Non le avrebbe più preparato la cioccolata calda quando si sentiva giù.
Chi l’avrebbe allenata per prepararla al suo sogno di diventare Auror?
Ma voleva ancora seguire la carriera del padre dopo quello che era successo?
E pensare che il genitore all’inizio, aveva cercato di convincerla a cambiare idea sulla pericolosa carriera che voleva intraprendere, per poi rinunciare davanti alla sua ostinata determinazione.
Una risata amata le sfuggì dalla bocca.
Quante volte avevano litigato perché non la lasciava divertirsi con gli amici fino a tardi, e lei era l’unica che doveva rispettare un coprifuoco…
All’epoca era così importante per lei far valere la sua opinione da “teenager ribelle”, che ora le sembravano solo motivazioni così stupide.
Capricci di una ragazzina, tipici della sua età, in cui non poteva che dare peso a cose che ai suoi occhi erano "di vitale importanza" ma diventate banali nel momento in cui, crescendo e dopo quello che aveva passato, aveva aperto gli occhi su ciò che veramente contava.
Le mancavano anche quei piccoli gesti a cui lì per lì non aveva dato valore…
Come trovare il piatto ancora caldo la serata, di ritorno tardi dall’uscita con le amiche, o la fetta più grande di torta benchè fosse suo padre quello più goloso di dolci, o la pila di pergamene, calamai e il necessario per la scuola già comprati e pronti in camera ad ogni suo ritorno a casa da Hogwarts.
Piccole attenzioni che solo quando non ce le aveva più avute, le aveva veramente notate.
La sua intera famiglia era rimasta sconvolta e, anche se cercava di non darlo a vedere, era "diversa".
La stessa atmosfera che si respirava faceva capire quanto ancora mancasse il padre, soprattutto quando si avvicinava appunto la data della sua dipartita.
Una continua mancanza, la sensazione che qualcosa è stato portato via e tornerà mai più.
Come una profonda ferita che si rimargina ma lascia una grossa cicatrice che, per quanto si provi a coprirla, a nasconderla dietro un sorriso o ad una finta apparenza di “ritorno alla normalità”, continua ad esserci.
Aveva pianto il padre dopo il suo funerale e per lungo tempo.
Prima del funerale, non aveva versato una sola lacrima e per quello si era tanto odiata, credendosi “sbagliata”... Ma alla fine era solo perché la sua mente, ancora non aveva accettato l’accaduto, e che il padre non ci fosse più.
La chiamavano “Elaborazione del Lutto”.
Negazione e Rifiuto, durate fino al funerale.
Poi era venuta la Rabbia.
Con vergogna e rimorso ricordava di aver sfogato tutta l'ira, la frustrazione, il dolore, contro la madre e il fratello.
Perché lo avesse fatto ancora non se lo spiegava…
Forse perché le sembravano così “tranquilli”, troppo “forti” per la perdita avvenuta da poco?
Aveva ingiustamente accusato il fratello di esser la causa della morte del padre perché nella sua mente “malata”, sarebbe stato vivo se non si fosse distratto nel combattimento contro il Mangiamorte, per salvare il piccolo.
Aveva inveito e litigato con la madre, che non era arrivata in tempo a salvarli, che non si disperava e non stava male come avrebbe dovuto.
Scuse banali e stupide.
Quante cattiverie e cavolate aveva detto contro le persone che più di tutte cercavano di starle affianco, ma era accecata dal dolore e non ragionava, non voleva ammettere la cruda realtà.
Poi l’incidente della caduta aveva rimosso i fatti successi per un tempo così lungo che non sapeva dire cosa poteva averla spinta a tornare in sé, a tornare ad usare la ragione, ma soprattutto il cuore.
Non ricordava se la Depressione e profonda tristezza, fosse prima o dopo il momento in cui si cercherebbe di analizzare l’accaduto per trovare risposte a domande che, o non esistono o non potrebbe certo sapere.
Aveva letto quella specie di scaletta quando, disperata, cercava una via di fuga dai quei ricordi e aveva cercato tra i libri di psicologia in una biblioteca babbana.
Arrabbiata e insoddisfatta, aveva poi chiuso il libro senza la minima grazia provocando un rumore improvviso così forte, amplificato dal silenzio della sala, che per poco non la cacciavano via a suon di “Shhhhhh”.
L’ultima fase ricordava esser l’Accettazione.
Aspettava quel momento come un assetato agonizzava un bicchier d’acqua fresca.

Stava facendo un passo per allontanarsi, ormai vinta dalla consapevolezza di doversi rimettere a letto senza il supporto delle stelle, quando, con la coda dell’occhio, vide un movimento poco distante il limitare della foresta.
Tornò indietro e osservò il punto dove le era parso di intravedere qualcosa.
Una debole luce stava volteggiando alta da terra.
Prestando più attenzione, riuscì a scorgere una figura incappucciata avvicinarsi al fogliame, la figura si guardò alle spalle, e per un attimo potè riconoscere il volto della madre, per poi sparire poco dopo all’interno della foresta.
Curiosa di dove stesse andando la madre, a quella tarda ora, Mìreen non perse tempo, afferrò la propria bacchetta e con indosso solo il lungo pigiama, si smaterializzò nel punto dove l’aveva vista scomparire.
Ebbe giusto il tempo di scorgere un flebile bagliore vicino, prima che scomparisse inghiottito dall’oscurità della foresta.
Scattò in quella direzione e a fatica riuscì a ritrovarlo qualche metro più distante.
Continuò a seguirlo in quel modo altalenante finchè non superarono il lago, a quel punto iniziò a capire dove stessero andando: quella era la strada per andare al cimitero di famiglia, la loro cripta.
Perché sua madre voleva visitare la tomba di famiglia proprio in piena notte?
Sapeva la strada e con la bacchetta a farle luce e da bussola, camminò fino a dove sapeva trovarsi l’enorme costruzione in marmo.
Quando arrivò, però, non la trovò.
La cripta incuteva già parecchio timore di giorno, figuriamoci avvolta così nel buio della notte. Una costruzione imponente, cupa e inquietante, completamente avvolta nel silenzio e nelle tenebre.
Ma soprattutto era chiusa, perfettamente sigillata come la lasciavano dopo ogni visita e ogni cerimonia dedicata al ricordo dei defunti.
Allora dove poteva essere sua madre se non era lì dentro?
Restò in ascolto.
A parte il leggero fischio del vento freddo che le faceva venire i brividi, e il rumore dei tuoni, sempre più vicini, vi era un silenzio quasi innaturale, neanche i soliti suoni della notte si sentivano, come che gli stessi animali fossero spaventati da qualcosa… da qualcuno.
Di colpo un urlo, forte e prolungato, squarciò la notte.
La giovane fece un salto dallo spavento, col cuore che le batteva a mille. Strinse la bacchetta e corse verso la direzione da cui lo aveva sentito, con l’ansia e la paura che la madre potesse esser in pericolo.
Si fermò un attimo incerta su dove procedere, ma un nuovo lamento, sta volta più alto e vicino le fece capire dove doveva proseguire.
Finchè non arrivò al confine con una piccola radura.
La tempesta era ormai arrivata e i lampi illuminavano a intervalli quasi regolari l’ambiente, poco dopo seguiti dal rombo del tuono.
Potè così vedere il terreno che si innalzava in una piccola collinetta con un grande albero nel punto più alto pianeggiante.


La madre era inginocchiata davanti a qualcosa, una croce celtica?
Era alta, sembrava quasi nuova, linee che s'intrecciavano più e più volte, erano incise lungo tutta la struttura in pietra scura.
Esattamente dove le braccia della croce si incrociavano, riusciva a scorgere il simbolo della famiglia, .
Sheryda era china innanzi ad essa, le mani nascondevano il viso, ma dai sussulti del corpo poteva capire che stesse piangendo.
Diversi singhiozzi sfuggivano al controllo della donna.
Mìreen non sapeva cosa fare.
Voleva andare da lei e abbracciarla forte per darle un po’ di conforto, ma dentro di sé sapeva che non doveva trovarsi lì…
Quello era un luogo dove si sarebbe dovuta trovare, e un momento “intimo” a cui non avrebbe dovuto assistere.
Ma la madre era così a terra che le si spezzava il cuore ad ogni suo triste sospiro e lamento.

Si mosse come per avvicinarsi, ma appena iniziarono a scendere le prime gocce di pioggia, la madre alzò lo sguardo al cielo e, coincidenza terrificante, nell’attimo in cui un tuonò esplose intorno a loro, il suo urlo potente lo sovrastò.
Era il più lugubre, angosciante, orribile suono che avesse mai sentito.

Un improvviso ricordo le attraversò la mente, rapido e impossibile da fermare.
La notte illuminata dal fuoco, l’incendio che dirompeva per tutta la casa, sua madre che entrò disperata.
Guardò verso il salotto dove il corpo morto del marito brucia, ancora appoggiato al box, vide sua figlia che stava cadendo/svenendo, ormai priva di forze, in mezzo alla cucina, col fratellino stretto tra le braccia, il petto visibilmente ustionato dall’amuleto.
Mìreen già non sentiva più, la vista le si stava appannando, prossima all’oblio, ma mai dimenticherà il volto, solitamente dolce e delicato della madre, trasformarsi in un maschera di puro terrore. I lineamenti deformati dalla paura, occhi rossi come iniettanti di sangue e la bocca spalancata in un grido che lei quella notte non sentì, ma immaginò esser esattamente come quello che stava sentendo in quel momento esatto.
Un lamento così terribile da far venir paura al sol sentirlo, un urlo tanto carico di angoscia e disperazione da spaventare la natura stessa.
Il rombo del tuono sembrò fermarsi come intimorito da quel glaciale suono.
Mìreen restò ferma dov’era.
Paralizzata dalla paura di quel grido che la sua mente non riusciva a collegare all’adorata madre, il cuore era quasi immobile, spaventato che potesse esser sentito.
Quale umano, era in grado di lanciare un simile urlo?
Quale umano era in grado di produrre un suono tanto agghiacciante?
Quella non era sua madre! Poteva esser solo un mostro, una creatura oscura con le sue sembianze!
Strinse la bacchetta più forte nella propria mano, pronta a scacciare dal corpo della madre qualsiasi entità maligna se ne fosse impossessata, ma un fulmine illuminò la donna china sulla tomba.
Il viso era tornato normale, le lacrime lo rigavano, copiose più della pioggia che ne bagnava i tratti.
I lunghi capelli, neri come i suoi, erano sfuggiti da sotto il mantello e ora le ricadevano bagnati, in parte attaccati al collo e alle guance, in parte a nasconderne il volto.
Una stretta al cuore le fece capire di esser stata una scema a pensare che non potesse esser la persona che l'aveva concepita e che più amava nella sua vita oltre a suo fratello e a sua nonna.
Stava male per lei, nessuno avrebbe dovuto provare un simile dolore. Con quanta difficoltà lo nascondeva agli altri?
Di una cosa ebbe la certezza quella notte.
Per quanto sua madre si mostrasse forte davanti a loro, la fragile e addolorata donna che vedeva su quella collina, aveva il cuore a pezzi da quando suo marito, padre dei suoi figli, nonché suo soulmate era morto.
Per quanto il suo sguardo potesse restare a vegliare su di lei e sulla famiglia, non avrebbe mai accettato e superato l’averla lasciata.
Quella che aveva cercato di mostrarsi una combattente agli occhi di tutti, davanti a quella croce, alla prova della sua sconfitta più grande, della perdita del suo amato, lasciava cadere la maschera e mostrava ciò che era veramente diventata: una creatura viva solo grazie all’infinito amore verso la famiglia, ma ormai lacerata dentro e ancora sanguinante.
Come faceva a lottare ogni giorno con quella sofferenza? Vestiva una maschera di accettazione, come che avesse superato il lutto, quando lei per prima non l'aveva e non l’avrebbe mai fatto.
Tutto per non far preoccupare i propri cari…
Eppure ciò che Mìreen vedeva era un’amara verità: mai avrebbe accettato l’accaduto, mai avrebbe superato la morte del suo unico amore.
Fu in quel momento che qualcosa scattò in Mìreen.
Davanti a quella triste certezza, la ragazza sentì il peso sul cuore farsi meno opprimente.
Senza farsi scoprire, si allontanò dalla collina.
La pioggia cadeva ormai incessante, ma Mìreen non se ne curava, le bagnava la veste provocandone brividi di freddo a cui non prestò attenzione, diventata di colpo insensibile alle temperature e al temporale che la fragellava col vento e, la pioggia.
Camminava attenta alla strada il minimo necessario per non perdersi.
Un passo dopo l’altro, azioni automatiche che il suo corpo svolgeva autonomamente, mentre la sua testa, ancora sconvolta da ciò che aveva visto, cercava di rielaborare ciò che era successo, ciò che aveva scoperto… ciò che aveva sentito.
Il suo cervello tirava fuori pezzetti di ricordi su episodi avvenuti dalla morte del padre che fino a quel momento o aveva trovato insensati o a cui non aveva prestato troppa attenzione, ma che ora trovavano un senso.
La madre sveglia in piena notte con gli occhi gonfi e arrossati… si giustificava sempre dicendole che era stanca perché faceva brutti sogni e non riusciva a dormire, quando invece era stata a piangere.
Più volte l’aveva vista apparecchiare per 5, per poi ricordarsi che erano rimasti in 4, e togliere le vettovaglie dal posto dove era solito sedersi sempre il padre.
Le tremava la mano e si mordeva il labbro quando toccava qualcosa che era appartenuto al marito, come un cappotto o foto che lo ritraevano, tipo quelle in salotto e nella sua camera.
Quando era stata l’ultima volta che l’aveva sentita dire il suo nome?
Non se lo ricordava.
Mìreen credeva di esser debole perché pensava di esser la sola a soffrire e non era ancora riuscita a superarlo, ma alla fine, era l’unica che aveva veramente lottato contro quel dolore.
Sua madre si era arresa… forse non ci aveva neanche provato.
Sua nonna, poco dopo il funerale, con voce triste e abbattuta, aveva detto, più rivolta a sé stessa che alla nipote, che quello era l’ennesimo dolore che Sheryda era costretta a sopportare.
"Un cuore, dopo che si è spezzato tante volte, non potrà mai tornare a posto com’era prima, troppe cicatrici glielo impediscono.”
La ragazza non sapeva cos’avesse dovuto sopportare la madre in passato, sapeva che aveva perso il padre (suo nonno) da piccola, ma quell’ultima tragedia era stata sicuramente la decisiva, forse la peggiore che la sua anima potesse sopportare.
L’unica cosa per cui ancora quella donna lottava, era per la sua famiglia rimasta, per il frutto dell’amore suo e di Ryan… non per sé stessa.

Parte 2°



Aveva piovuto per tutta la notte.
Mìreen era tornata a casa completamente fradicia, ma non se n’era preoccupata, si era asciugata magicamente e si era infilata a letto… restando però con gli occhi spalancati quasi per tutte le ore rimanenti, incapace di addormentarsi.
Nel pomeriggio aveva finalmente smesso di piovere, ma erano rimaste le nubi cupi.
Avrebbe ripreso a piovere o se ne sarebbero andate?
Poco le importava.
La testa della ragazza era persa nei propri pensieri.

Ad un certo punto qualcuno bussò alla porta.
Sua madre entrò dicendole che sarebbe andata al villaggio per delle commissioni e voleva sapere se le serviva qualcosa.
Le rispose che era a posto, ma prima che la madre se ne andasse, Mìreen la fermò.
E quando la donna si girò per saperne il motivo, credendo riguardasse la spesa, restò spiazzata e stupita dalla domanda della figlia:


<< Máthair, soffri ancora per la morte di athair? >>

Questa volta la ragazza guardò con attenzione la madre, cogliendo reazioni che prima neanche vedeva, ma che ora erano così palesi che quasi si vergognò a non averle notate prima.
Gli occhi della madre divennero lucidi, un leggero movimento del labbro, un tremore involontario, la presa della mano appoggiata alla maniglia della porta si fece più forte.
Non rispose subito, come stesse soppesando le parole, oltre allo sforzo necessario per mantenere quella facciata tranquilla.
Tutto lasciava intendere ad un tentativo di mantenere il controllo su emozioni che rischiavano di mostrarsi davanti alla figlia che credeva di proteggere fingendo una forza che la donna in verità non aveva… O almeno, ne aveva abbastanza per restare ferma dov’era, piegare le labbra in un falso sorriso e risponderle, con voce dolce ma di cui l’attenta ragazza colse una leggera variazione improvvisa del tono:


<< Il dolore resterà sempre.
E’ inevitabile quando si ha amato tanto una persona… ma bisogna superare le tragedie e andare avanti. >>


[ Bugiarda…]

Aveva visto crollare la sua maschera davanti ai propri occhi, l’immagine della fragile donna inginocchiata davanti alla croce vivida nella sua mente.
E ora non riusciva a credere più alle sue parole.
Certo erano vere, ma erano rivolte unicamente alla figlia, non parlava anche per sè stessa.
Nel momento esatto in cui la madre le voltò le spalle ed uscì dalla porta, sentì qualcosa cambiare in lei.
Forse la consapevolezza di quanto avesse effettivamente pianto il padre.
No. Non avrebbe fatto la sua stessa fine.
Amava suo padre e soffriva per la sua morte, ma aveva ancora un’intera vita davanti a sé.
Neanche aveva ancora trovato l’uomo della sua vita, la persona con cui vivere un amore così bello e intenso come quello che era stato per i suoi genitori… Come quello che impediva a sua madre di andare avanti e trovarsi un altro (ed era ancora una donna adulta giovane e bella, non avrebbe avuto certo problemi a trovarne un altro, sia al villaggio sia fuori).
Nella vita ci saranno sempre eventi che la coinvolgeranno fisicamente ed emotivamente, alcuni saranno belli, altri dolorosi, alcuni potranno passare, silenziosi e inosservati, senza lasciare tracce, altri lasceranno segni indelebili sul suo corpo e sulla sua anima, più profondi di altri, ma ciò che farà la vera differenza, sarà come li affronterà.
A cominciare dalla morte di suo padre.
Doveva affrontarlo.

Attese che la madre se ne fosse andata e con la scusa di prendere una boccata d’aria uscì fuori.
Approfittò che la pioggia si era momentaneamente fermata per camminare nella foresta, la sua direzione non era la cripta di famiglia, bensì la collina dove la notte prima vi aveva trovato la madre in lacrime.
Per sua fortuna aveva una buona memoria e la magia l’aiutò a ritrovarne la strada giusta.
Arrivata, con attenzione per non scivolare sull’erba bagnata, la “scalò” fino alla cima pianeggiante.
Come aveva immaginato, la croce era dedicata al padre, un’incisione alla base, riportava poche parole in gaelico:


“Athair dírithe, fear céile beloved.”



<< Tutto qui? >>

Le sembrava strano.
La frase era semplice, breve, quasi banale…
Come quelle “standard” che si trovavano sulle lapidi o nei necrologi babbani.
Osservò con più attenzione, sicura che le stesse sfuggendo qualcosa.
Un dettaglio le balzò agli occhi: le parole erano completamente in alto rispetto allo spazio dell’incisione, lasciando sotto un gran vuoto.
Com’era possibile? Avrebbe avuto senso inciderle al centro dello spazio, no?
Non poteva esserci solo quello.
E poi non era da sua madre limitarsi a così poco per l’uomo che era stato il suo unico amore.
Strinse la bacchetta nella propria mano, determinata almeno a provarci, con la punta toccò tre volte la superficie in pietra sotto alla scritta incisa e disse, sicura << Aparecium >>
Sembrò non succedere niente, sconfitta stava per rialzarsi, quando qualcosa iniziò a cambiare nel punto toccato.
Nuove incisioni comparvero davanti ai suoi occhi, un testo sempre in gaelico, ma molto più lungo.
Soddisfazione e gioia comparvero nel volto della ragazza che di nuovo si chinò per leggere…


“Athair dírithe, fear céile beloved.

Bás treoir a thabhairt dó ina chodladh síoraí,
go dtí an réimse na biotáille,
áit a mbeidh a anam a choinneáil.
M'anam maité,
ag breathnú thar linn,
a chosaint chugainn ó suas ann,
ag fanacht ar ár teacht le chéile.”



“Padre devoto, marito amato.

Morte guidalo nel suo sonno eterno,
verso il regno degli Spiriti,
dove la sua anima sarà custodita.
Mia anima gemella,
veglia su di noi,
proteggici da lassù,
in attesa del nostro ricongiungimento.”


Calde lacrime scesero rigando il viso della ragazza, eppure una sensazione di pace e calore l’avvolse.
Mìreen era sempre stata una ragazza positiva e ottimista, un raggio di sole nella tempesta, anche nelle situazioni peggiori, sotto il diluvio universale, riusciva a trovare quel piccolo barlume di speranza, uno spiraglio di luce.
Per questo era “l’arcobaleno di papà”, per questo doveva diventare il supporto della famiglia, come lo era stato lui.
Era forse un fardello troppo grande per quelle giovani spalle?
Era riuscita a finire Hogwarts con voti alti benchè la tragedia, si era letteralmente immersa nello studio così da distrarsi dalle dolorose emozioni che tornare a casa e ricordare le provocava.
Avrebbe dovuto pensare solo a superare il trauma, ritrovare sé stessa, divertirsi, e scoprire la vita magica al di fuori della scuola.
No, lei non era così.
Non era quello il momento.
Non sarebbe scappata dal dolore e dai ricordi.
Non avrebbe abbandonato la sua famiglia.
L’avrebbe aiutata, erano ciò di più caro e importante che aveva nella sua vita, avrebbe lottato con loro e per loro.
Per riprendersi, per rialzarsi, per superare.
E lo avrebbe fatto, non solo per il padre, così da renderlo orgoglioso anche dal Regno degli Spiriti, non solo per le persone che amava e che avevano bisogno di lei, del loro legame per restare uniti, ora più che mai...
Ma lo avrebbe fatto soprattutto per sé stessa.
Per convincersi di esser forte e coraggiosa, perché credeva, sapeva di potercela fare.
Aveva tanto pianto il padre, ne sentiva la mancanza ogni giorno, ma non poteva vivere nel dolore per sempre, dimenticandosi di vivere.
Doveva vivere anche per lui che ora non c’era più.
Doveva lottare anche per sua madre che si era persa e non sapeva se mai l’avrebbe veramente riavuta.
Doveva mantenere vivo il suo ricordo, ripensando ai momenti felici, al meraviglioso padre/marito/auror che era…
E lo avrebbe raccontato al fratello, così ché non potesse mai dimenticarlo.
L’aria si fece quasi più pura, meno contaminata dall’odore e dalla presenza della morte.
Come che l’ombra che oscurava il suo cuore, si stesse finalmente spostando, per concederle di vedere un po’ di luce dopo tanto tempo di oscurità.
La determinazione di ricominciare, di riprendere in mano le redini della propria vita, ridare un controllo alle proprie emozioni le diedero una sferzata fresca, come facevano le acqua del suo amato lago che si poteva scorgere da quella collina.
Il dolore della perdita sarebbe sempre rimasto in lei, ma ciò non doveva impedirle di tornare a provare nuovi sentimenti, sia positivi sia negativi, ma dati da nuove esperienze e non dalle ferite del passato.
Ogni persona, che era stata amata in vita, quando moriva lasciava tristezza e dolore, ma stava a chi ancora era vivo ricordarla col sorriso e andare avanti.
Ridere e piangere, amare e odiare, affrontare le sfide di ogni giorno con la forza e il coraggio di andare avanti.
Sapendo che, in fondo, non li avevano mai lasciati veramente, ma li guardavano da un altro mondo, una dimora eterna da cui guardarli e restare sempre al loro fianco… per accompagnarli, silenziosi e invisibili, lungo il loro cammino.
Un giorno lo avrebbero rivisto, e più niente li avrebbe separati, ma fino ad allora doveva, voleva Vivere.
Vivere per sé stessi, vivere anche per chi non poteva più farlo.

Inginocchiata davanti alla croce, Mìreen con affetto ne accarezzò la pietra, non era così fredda come credeva, anzi era quasi confortevole, come che miracolosamente avesse ancora conservato, il calore accumulato i giorni di sole prima di quella terribile tempesta.
Si avvicinò lentamente al simbolo della sia famiglia inciso dove i bracci della croce s’incontravano, e con dolcezza lo baciò.


<< Addio Athair.
Grazie per tutto… >>


E mentre si alzava per tornare verso casa, alzò gli occhi al cielo e vide ciò che le sembrò una cosa tanto bizzarra quanto meravigliosa.
Tra le nuvole grigie, un raggio di sole le aveva attraversate, per raggiungere coraggioso la collina e illuminare la zona circostante col suo caldo abbraccio.
La luce, riflessa nelle gocce di pioggia che ancora riempivano l’aria, creò quello che, da piccola, l’avrebbe fatta saltellare e urlare dalla gioia:
un bellissimo arcobaleno dai colori così accesi da poterli quasi distinguere l’uno dall’altro, splendeva contrastando temerario il grigio cupo delle nuvole.
Che fosse una banale coincidenza, ho un segno mandato dal padre, non poteva saperlo.
Le bastava credere nella risposta che più le rassicurava l’anima, strappandole una risata, e il primo sorriso dopo tanto tempo che non sorrideva più.

intervallo-testo-2-mini


"Máthair, è diventato una stella athair?"

"Sì, la stella più bella e luminosa."

"Non tornerà più da noi... vero?"

"No, ma ci veglierà da lassù…
Finchè un giorno non lo raggiungeremo anche noi, e staremo insieme a lui per sempre."




MUSIC Parte 2°



I'm gonna make this place your home
Oliver harrypotter.it


Edited by LadyShamy - 25/3/2022, 05:17
 
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