Hogwarts innevata mi diede la stessa piacevole sensazione di anni prima; anche perché l'inverno, fin da piccola, era sempre stata la mia stagione preferita.
La neve modifica ogni cosa. Nasconde lo sporco e il disordine e attutisce i rumori. Il vento, tagliente, costringe a camminare senza parlare, a concentrarsi sui propri passi e sulla propria direzione. Gli spostamenti sono drasticamente ridotti e si bramano i momenti di rilassatezza davanti ad un camino. I ritmi si dilatano e i pensieri hanno più spazio per prendere forma. Il tempo acquisisce una diversa importanza. Momenti
sospesi.
Fermai il mio incedere, sollevando gli occhi verso il portone d'ingresso. Dischiusi le labbra per respirare e sentire il freddo fin dentro la gola; un brivido mi scivolò lungo la schiena, perdendosi nel caldo del mio ventre.
Durante la festa di Natale sulle Alpi, Dorian mi aveva parlato della situazione in cui versava Hogwarts nell'ultimo periodo. Alcuni professori avevano deciso di andare in pensione anticipatamente e, così, le cattedre erano rimaste scoperte. Sapere che Incantesimi era tra queste mi aveva spinto a fare domanda per sostenere il colloquio d'assunzione. La materia, in sé, mi aveva sempre affascinato. Era tra quelle che avevo studiato più volentieri e quella a cui avevo dedicato più tempo. Durante gli anni ad Hogwarts, però, non mi era mai venuto in mente di potermi ritrovare ad insegnarla; non mi immaginavo docente. Uscita da quel Castello, a diciassette anni, il mio unico desiderio era svolgere un lavoro avventuroso ed entusiasmante, mai identico a se stesso, in continuo mutamento. E credevo che essere Auror avrebbe appagato completamente questo bisogno. Mi sbagliavo. Erano passati alcuni anni e mi ero accorta di non sentirmi affatto
completa. Lavorare al Quartier Generale continuava a piacermi molto - e avevo riscoperto in me un certo senso del dovere e della giustizia che, da recluta, non credevo di avere - ma l'idea dell'insegnamento aveva aperto nella mia mente nuove prospettive. Forse già l'assunzione di Dorian - e poi di Kappa - mi aveva permesso di osservare la cosa da lontano. Prima inconsciamente, poi con una certa dose di consapevolezza, mi ero ritrovata a desiderare di tornare ad Hogwarts; di studiare nuovamente quella materia a me tanto cara e di farlo con un bagaglio culturale diverso, che mi sarebbe servito anche per comunicare meglio con i ragazzi che si ritrovavano a doverla apprendere. L'idea mi entusiasmava e spaventava insieme.
Scossi appena la testa quando mi resi conto di aver fatto troppi passi avanti: dovevo prima superare il colloquio con il Preside.
Ripresi a camminare, superai il portone d'ingresso e venni riscaldata dal tepore dell'interno. Era mezzogiorno e mi ritrovai in pieno via vai di studenti di ogni Casa. Ero tornata ad Hogwarts per un ballo estivo tempo prima ma era da anni che non la vedevo per come l'avevo vissuta: in un giorno qualunque, indaffarata nelle faccende di sempre. Le divise, le chiacchiere, i profumi, i battibecchi; l'atmosfera sembrava sempre la stessa - eppure drasticamente cambiata. O forse ero io ad essere mutata?
"And never have I felt so deeply at one and the same time
so detached from myself and so present in the world."
- Albert Camus.
Ero stata solo un paio di volte nell'ufficio del Preside e mai per rimproveri o eventi nefasti. Certo era che non avrei mai pensato di tornarci con quello stato d'animo e quelle intenzioni. Voltai in uno dei tanti corridoi del secondo piano, quindi intravidi in lontananza i due Gargoyle. Mi ci ritrovai davanti ed esitai, osservando dapprima i graffi e i segni nella pietra quindi facendo un mezzo passo indietro, per avere nuovamente l'intera visuale dell'ingresso. Nella lettera di convocazione per il colloquio mi era stata comunicata la parola d'ordine per superare il primo ingresso, così la enunciai. I Gargoyle si aprirono, rivelandomi un'irta scala che, sapevo, si arrampicava fino al quinto piano del Castello. Era lì che si trovava l'Ufficio vero e proprio. Salii, lasciandomi trasportare dai pensieri, cullata dal ritmo costante dei miei passi. Una leggera ansia e una discreta paura mi stringevano lo stomaco ogni cinque passi ma cercavo di dirmi che era solo una chiacchierata con il professor Peverell e che dovevo essere tranquilla, me stessa. Avrei dimostrato naturalmente di essere adatta a quel ruolo. Sarebbe andato tutto bene.
Dopo alcuni minuti giunsi davanti alla porta di quercia intagliata. Respirai con decisione. Mi sistemai una ciocca sfuggita dalla pettinatura alta e composta in cui avevo costretto i miei capelli. Poi sollevai una mano e bussai con le nocche un paio di volte. Attesi. Se avessi sentito la sua voce invitarmi ad entrare, avrei aperto e l'avrei salutato con un sorriso nostalgico.