Finifugal, Quest privata - Fase 4

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view post Posted on 8/1/2018, 20:34
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Finifugal

Di chi odia i finali, e rimanda il più possibile la fine di una storia, di una relazione, di un viaggio.



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La scaletta in corda ondeggiava con una decisione tale da convincere Eloise Lynch di aver iniziato a soffrire di mal di mare. Tra gli acciacchi della battaglia e la caviglia ferita ci aveva messo un po’ a raggiungere la sommità, ma finalmente poteva vedere, oltre al cielo ormai scuro, anche la linea dell’orizzonte, dove le ultime luci del giorno salutavano la notte in un miscuglio di tinte pastello.
Era il due settembre, e le giornate erano ancora lunghe. L’aria era fresca e intrisa dal profumo della vegetazione rigogliosa, che ancora non aveva ceduto il passo all’autunno. La rossa inspirò profondamente, ancora incredula di aver superato l’odore di chiuso, di umido e di muffa, a favore dei profumi di quella sera estiva.
Una volta tirato fuori l’ultimo piede dalla buca - mentre questa si stringeva e scompariva - si concesse il lusso di stendersi per qualche istante a contatto con l’erba e con il terreno. Non si aspettava che il passaggio rimanesse lì a sua disposizione, né aveva intenzione di ritornare nel tunnel, ma non poteva credere che la sua avventura fosse finita così.
Era scorretto.
Sollevò il busto, grattandosi la testa dubbiosa. Aveva appurato che quella storia apparteneva anche a lei - i suoi legami di sangue lo dimostravano - e adorava i misteri che il Castello celava. Eppure gli interrogativi che ancora aleggiavano su di lei non potevano essere spenti: non riusciva a credere che il giochino si fosse concluso in un pugno di mosche.
Certo, aveva scoperto un’interessantissima mappa e fatto la conoscenza di un nuovo Elfo Domestico, ma come avrebbe potuto sfruttare quelle informazioni a suo favore? Sarebbe dovuta rimanere sotto a studiare la rappresentazione di Hogwarts per più tempo? L’idea di fare ritorno là sotto non suscitava il massimo del suo entusiasmo, ma neanche se la sentiva di rimettere il naso in Sala Comune. La storia era incompleta, ma a sua disposizione aveva ancora una X rossa e un gessetto, al sicuro nella tasca.
Fu in quel momento, in cui il ricordo della mappa comparve con chiarezza nella sua mente, che si alzò e decise dove andare. E, sebbene il suo termostato interno si stava tarando sul mondo esterno e le sarebbe piaciuto giacere sul prato ancora per un po’, sapeva che iniziare ad avviarsi era la scelta migliore, anche perché l'orario di inizio del coprifuoco doveva già essere passato.
Appena messo piede nel castello, cercò di muoversi nel modo più furtivo possibile: iniziare l'anno scolastico con una clessidra non solo vuota, ma pure in negativo, sarebbe stato il colmo. Era attirata dai profumi della cucina (cos'era? Gianciporro? Banana?), ma era altrettanto determinata a raggiungere la meta. Dove possibile prese scorciatoie e passaggi segreti, mentre dove era inevitabile passare allo scoperto cercò di guardarsi le spalle. Avrebbe anche potuto sfruttare il Seocculto - uno degli incantesimi di cui andava più fiera - ma non sarebbe servito granché con i Prefetti, Caposcuola e Insegnanti. No, l'unico vantaggio su cui poteva fare leva sulla sua stessa accortezza.
Sollevato il lembo di un arazzo che dava sul terzo piano, lanciò uno sguardo sul corridoio scuro. Sembrava non esserci anima viva, ma dei rumori in lontananza tradirono la presenza di un visitatore imprevisto. Abbassò nuovamente l'arazzo, tappandosi la bocca e cercando di respirare il più silenziosamente possibile, nella speranza che il potenziale testimone si togliesse di torno.
Solo nel momento in cui passò vicino al suo nascondiglio comprese di chi si trattava. La mancanza di passi, la voce conosciuta e il canticchiare sommesso le diedero le informazioni a sufficienza per capirlo: era il Frate Grasso, che vagava per il castello con la sua solita verve allegra e un po’ svampita. Eloise ghignò tra sé, quasi intenerita, attendendo il momento in cui si sarebbe definitivamente allontanato.
Fu questione di alcuni istanti e, quando si fu assicurata che non ci fosse anima viva, uscì dal nascondiglio e si precipitò frettolosamente verso la parete antistante l’aula dei The Wizard Voice. Giusto il tempo di capire cosa si trovasse di fronte a lei e avrebbe agito in qualsiasi modo le consentisse, prima o poi, di trovare un senso a quel mistero.


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view post Posted on 15/1/2018, 23:07
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Il coprifuoco era calato ed Eloise Lynch lo sapeva bene.
La birbante dal volto lentigginoso, sfruttando dove poteva la sua conoscenza di passaggi segreti, entrò nel castello fino ad arrivare al terzo piano.
Nascondendosi dietro ad un arazzo al sentire il Frate Grasso canticchiare vicino a lei, spostò il drappo non appena la zona fu libera per arrivare dinanzi l’entrata del Wizard Voice.
L’aula insonorizzata presente al terzo piano però non era il suo obiettivo, ma ciò che si trovava davanti a questa e che stranamente era costituito da un muro su cui vi era appeso un quadro in cui vi era un vecchio che dormiva su un albero di castagno.
Dannazione! Cosa era quell’intoppo? Che cosa doveva fare ora con quel gesso?
La ragazza ora si trovava a fronteggiare un ultimo ostacolo, ma sapeva cosa fare? Sapeva come si doveva comportare in quella precisa situazione?
I dubbi erano tanti, ma la risposta era nella semplicità, caratteristica innata della sua famiglia.
Ci sarebbe arrivata?
L’ora era giunta, toccava darsi da fare.


Eloise Lynch
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Bene, eccoci alla tua parte finale di quest di Bg. Hai la possibilità di eseguire un’azione per turno, più andremo avanti con la ricerca più ti dirò se ti stai allontanando o avvicinando all’obiettivo.

Buona fortuna
 
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view post Posted on 16/1/2018, 16:57
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Nel momento in cui aveva visto la X rossa disegnata sulla mappa sotterranea da un tratto chiaro e deciso, Eloise aveva dato per scontato che nel punto incriminato ci fosse una stanza. E da quando si era messa in cammino per raggiungere quell’ala del castello era rimasta con quella certezza piantata nella mente.
Non aveva mai fatto caso a ciò che stava davanti all’aula dei The Wizard Voice - né soleva passare da quelle parti molto spesso, ma si era talmente abituata all’idea della stanza che fu con sgomento che si approcciò alla nuova scoperta. Sì, perché ciò che le stava di fronte non era certo un’aula, né una porta: era un dipinto.
Una mano andò a grattare la testa e, mentre socchiudeva le palpebre (assomigliando in tutto e per tutto a una scimmietta un po’ ottusa), la rossa si domandava se i suoi occhi si fossero mai posati su quell’opera. Ritraeva un rigoglioso castagno dalle fronde mosse dal vento, su cui un anziano signore sedeva, sonnecchiando. Sembrava sereno e immerso in un sonno profondo, e se ne stupì, perché gli altri quadri del castello le erano sembrati piuttosto svegli. Era forse la sua solitudine a fargli preferire il sonno? Dopotutto, non aveva dei vicini da andare a trovare.
Cercò di capire se ci fossero indizi sull’epoca - in base a come l’uomo era vestito - e sul luogo. Se ci fossero collegamenti con il paesaggio irlandese dipinto sul soffitto della sua meta precedente e se il contenuto fosse in qualche modo collegato con la sua avventura. Non le pareva di aver mai visto quella scena, ma poteva sbagliarsi.
Infine, dopo l’attenta osservazione, si mise a osservare la struttura. Com’era appeso il quadro? Com’era la cornice? Fece un passo avanti tendendo una mano verso il bordo e provando a sollevare il quadro di qualche millimetro. Non si sarebbe stupita di trovare, dietro di esso, un passaggio o una stanza segreta: come l’accesso alle cucine era monitorato da un dipinto, così poteva essere anche in quell’occasione. Né sarebbe rimasta particolarmente colpita se il quadro non si fosse sollevato.
Tornando alla posizione di partenza per cercare di ottenere uno sguardo globale sul mistero che le stava davanti, decise che interpellare l’abitante del quadro poteva essere un’occasione utile. Già ricordava che quando lei ed Elhena si erano messe sulle orme di Tosca una grande mano era arrivata da un dipinto: magari anche in questo caso sarebbe stato utile.
Drizzò le orecchie, assicurandosi che non ci fossero passi o altri rumori in avvicinamento, e solo quando ne fu completamente certa fece la sua mossa.
«Mh-hm» Si schiarì la voce, guardando speranzosa verso il quadro. Nulla parve muoversi, se non le foglie accarezzate dal vento. Fece un sospiro, e ritentò. «Ehm… Mi scusi? Signore? La disturbo?»<i> Il tono della sua voce si era alzato progressivamente, ma sarebbe bastato per svegliare l’anziano senza farlo cadere dal castagno?

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La sorpresa di trovarsi dinanzi ad un quadro non destabilizzò Eloise.
Questa, cercando di rimanere il più silenziosa possibile, ne studiò l’aspetto rinvenendo non pochi dettagli.
Infatti, avvicinandosi al quadro raffigurante il vecchio sul castagno, notò con suo assoluto stupore che dietro all’albero c’era una piccola casetta di legno da cui si affacciava un volto a lei noto.
Possibile che quella fosse sua nonna? Come era possibile che fosse dentro un quadro se si trovava a casa?
Passando la mano sulla vecchia cornice dorata, mentre il cuore palpitava all’impazzata, arrivò alla base del quadro su cui ergeva il titolo dell’opera, il nome dell’autore e la data.


“Elucubrazione attempata”
di Sir. D
333 D+C



I dettagli erano tanti, così come le emozioni che provava.
Come aveva fatto a farsi scappare quel quadro in passato? Perché non aveva mai fatto caso a quel dipinto così “familiare”?
Il vecchio che ronfava beatamente, continuò a farlo anche quando la ragazza lo richiamò.
Che fosse un quadro diverso dagli altri? Uno di quei quadri con cui in realtà non ci devi comunicare a parole?
Quando la giovane alzò il quadro, notò dei segni sulla parete retrostante, come se qualcuno ci avesse calcato sopra.
Quale era l’utilità del quadro? A COSA DIAMINE SERVIVA?
Oramai Eloise aveva davanti a lei il prelibato risultato della conquista, era giunto il momento di afferrare quella partita e portarla a casa.


Eloise Lynch
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Mentre lo sguardo accarezzava le tinte tenui rappresentate nel quadro, le pennellate leggere e le sfumature di colore, Eloise si immergeva in quell’atmosfera bucolica, come se il corridoio del Terzo Piano, le aule e l’intera Scuola non esistessero più. E sebbene quel paesaggio non le fosse famigliare, se non ritrovasse ricordi nelle foglie danzanti o nei giunchi piegati dal vento, un elemento le aveva sollecitato l’attenzione prima che lei potesse rendersene conto. Sì, perché quel volto che sbucava dalla casetta di legno - dipinta in un marrone caldo e poco saturo - era sua nonna, di sicuro. «N-nonna?»
Eloise sobbalzò, impreparata a quell’incontro. Non si era ancora chiesta che cosa avrebbe fatto la volta successiva in cui l'avesse incontrata, e non era certo pronta a farlo così presto. Oltretutto, esattamente come il vecchio che pisolava tra le fronde, anche lei non era più nel fiore dei suoi anni: non solo era Cindy, ma era nonna Cindy, la stessa nonna dai capelli grigi e dalle mani rugose. Era la Cindy che lei conosceva.
Nulle poté arrestare il fiume di domande che le affiorarono nella testa: cosa ci faceva lì? Come faceva a essere la Cindy anziana? Chi e quando aveva messo quel quadro? E se risaliva all’epoca della scuola, come faceva a sapere come sarebbero diventati anziani? E se qualcuno era tornato in tempi recenti, perché l’aveva fatto? Era abbastanza sicura che i soggetti dei quadri non invecchiassero, ma non poteva dire con certezza se quel quadro fosse normale o no.
Quel che poteva dire, invece, era che le sembrava strano e impossibile che in due anni trascorsi alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts non si fosse mai accorta di quel dipinto: era sicuramente già passata di lì, ma ci voleva un’avventura del genere per scoprire che il volto che sbucava dalla casa era quello di sua nonna? L’aria antica, ma ben conservata, non le permetteva di dedurre alcunché su quale fosse la sua epoca
Le dita della Tassorosso si mossero, tracciando sul legno dorato i contorni dell’incisione che componeva il titolo dell’opera. “Elucubrazione Attempata”. Era come se dei baldanzosi giovincelli avessero deciso di prendersi gioco del loro futuro, del loro naturale invecchiare. Come a dire: “quando saremo vecchi ci metteremo a pensare e non faremo altro che addormentarci". O era forse l’indizio per qualcosa che ancora non capiva?
E quel “sir D.”, era forse suo nonno? Non si ricordava il suo nome, ma visto che quell’iniziale era unita a quella della nonna non c’erano molti dubbi; ma neanche tante certezze. I suoi occhi indugiarono sulle cifre: tre tre. Terzo appuntamento, terza lettera dell’alfabeto, terzo corridoio, terza prova e terzo piano. Sembrava tutto estremamente coerente. Doveva essere un numero simbolico, ma perché era stato ripetuto tre volte?
Quando, sollevando il quadro, si accorse che si muoveva liberamente, fu leggermente delusa. Si aspettava che fosse incollato al muro, che non ci fosse modo, se non una parola chiave, per farlo muovere. Eppure, si accorse del leggero solco rimasto dietro - che non era stato causato dall’usura del tempo - e fu subito rincuorata da quel nuovo indizio: come poteva aiutarla?
Lo rimise al suo posto, incerta sul da farsi. Sapeva che le sarebbero toccati dei tentavii, ed era pronta a provare: fu per questo che non ebbe esitazioni. Mise le tue mani sui lati della cornice ed esercitò una lieve pressione, nel tentativo di capire se quel solco avesse un qualche significato speciale.


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view post Posted on 1/2/2018, 22:06
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Finalmente i nodi stavano arrivando al pettine.
Era incredibile pensare che, da un incontro furtuito con Boris il Basito, era arrivata lì, al terzo piano, a seguire quella storia che era anche parte di lei.
La nonna, che oramai era in quella casetta oltre che nei suoi pensieri, la osservava attentamente, senza proferir parola, mentre il vecchietto continuava a ronfare beatamente, ignaro di quello che stava accadendo.

Sbalordita da quella situazione, Eloise, si apprestò a fare la sua prima mossa per aprire il passaggio segreto.
Passando le mani dalla scritta di ottone ai lati del quadro, spinse lo stesso all’indietro non ottenendo alcun risultato.
Era normale fallire in quei casi, soprattutto al primo tentativo, ma era anche facile capire il perché non fosse andata a buon fine quella manovra.
Se avesse fatto attenzione ai solchi ( che più che solchi rasentavano dei graffi sulla pietra), avrebbe notato che questi non erano per nulla lineari come il quadro, bensì erano tondeggianti, come se qualcuno si fosse messo a fare delle forme circolari.
Ma era possibile tutto ciò? Come si poteva accedere a quel dannato passaggio segreto? Serviva una chiave a tutti i suoi problemi? Forse si, forse no, fatto sta che bisognava ritentare.





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L’attenzione di Eloise non poté che indugiare sullo sguardo attento di sua nonna, su quella figura così famigliare, ma così distante. Nell’osservare le pennellate precise fu inevitabile domandarsi quanto la sua coscienza fosse lì dentro, e quanto invece fosse solo un’immagine vuota. Non aveva ricevuto risposta alla sua domanda implicita, né suo nonno si era svegliato: non pensava di riuscire a interagire con quel quadro come aveva sempre fatto fuori e dentro Hogwarts. D’altronde, non c’era da stupirsi: non aveva fatto che incontrare rappresentazioni e personaggi peculiari nel cammino che l’aveva condotta fin lì.
Si chiese cosa sarebbe successo se avesse raccontato a sua nonna - quella reale e tridimensionale, non la rappresentazione del dipinto - quella sua avventura. Sarebbe stata fiera di lei e degli indizi che aveva racimolato, oppure si sarebbe sentita violata? Dal momento in cui aveva intrapreso quel cammino era partita dal presupposto che quella storia fosse anche sua, che stesse nei suoi geni, ma non era sicura che Cindy avrebbe pensato lo stesso. L’avrebbe presa per una ficcanaso incapace di tenersi fuori da una faccenda romantica e privata? Oppure avrebbe aperto le porte di quel mistero alla degna erede di tutto?
Avrebbe atteso il momento giusto, questo era certo - pensò mentre cercava di esercitare la pressione ai lati del quadro - e non avrebbe precipitato le cose com’era il suo solito fare, perché la situazione richiedeva una delicatezza estrema. Lasciò passare qualche istante, le mani appoggiate sul bordo e il corpo a fare leva, ma non successe niente, ed Eloise si raddrizzò sconfitta. Piccoli solchi identici alle decorazioni sul bordo del quadro erano rimasti impressi sul palmi delle sue mani e, mentre se le sfregava per farli andare via, si disse che doveva aspettarselo. Avrebbe avuto troppa fortuna con un successo al primo tentativo.
Si avvicinò nuovamente ad osservare le bordature sulla parete, e finalmente ne notò forma e dimensione. Non corrispondevano perfettamente al bordo del quadro, erano imprecisi e sembravano graffi, ma allora da cosa erano stati creati? Non avrebbe saputo dirlo e, mentre osservava le forme leggere e quasi impercettibili, il principio di un’idea si creò nella sua mente.
Infilò la mano nella tasca che conteneva il gessetto e lo prese. Già una volta aveva tentato di usarlo, senza successo, ma non le costava nulla riprovarci. Lo guardò per un istante, come soppesandolo, e gli fece fare un saltello sulla mano. Era la sua via migliore? Per quel che vedeva adesso, sì, lo era. E se anche fosse arrivato qualcuno di ronda - c’erano rumori in avvicinamento? Non le sembrava - se l’avesse accusata di deturpare le pareti della nobile Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, forse ne sarebbe valsa la pena.
Forse.

«Dai, aiutami tu.» Sussurrò al gessetto con scaramanzia, prima di sollevare il braccio e mettersi a tracciare un cerchio intorno al quadro, attenta a mantenere il più possibile la corrispondenza con i graffi già tracciati.
Nonostante non le capitasse molto spesso di scrivere con il gesso - salvo qualche occasione in cui i professori erano particolarmente in ritardo e si metteva a disegnare cose idiote sulle lavagne - fu abbastanza precisa. E, una volta chiuso il cerchio, fece un passo indietro, impaziente di scoprire se qualcosa sarebbe successo.



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Giustamente Eloise stava pensando che forse sua nonna non sarebbe stata troppo felice di scoprire l’avventura intrapresa.
Se agli inizi questa sembrava essere una simpatica storiella tra amici, ora era diventata una caccia al tesoro seria che manifestava dell’amore nei confronti dell’anziana parente.
Sarebbe stata felice al sapere che Eloise aveva scoperto tutte quelle storielle? Sarebbe stata felice di raccontare tutta quella storia alla ragazza? E se quello di cui parlava quella storia non fosse stato il nonno, bensì una cotta che aveva avuto sua nonna da teenager, come avrebbe preso quella situazione?
Ovviamente rapportarsi con la sua parente più attempata su quegli argomenti pericolosi non era facile, ma per ora non doveva preoccuparsene, doveva ancora arrivare al dunque.
Che mistero celava quel quadro? Che diamine nascondeva quel vecchio dal sorrisetto felice che ronfava beatamente?
Il fatto che non potesse comunicare con quell’oggetto come con gli altri di Hogwarts, faceva ben sperare la giovane che aveva riconosciuto in quell’oggetto un falso nel castello.
Che assurda idea! Avevano per caso messo quell’oggetto per nascondere un passaggio segreto? Perché mai?
Proprio mentre le domande aumentavano a dismisura, la ragazza tracciò con il gessetto un bel cerchio attorno al quadro. Allontanandosi di un paio di metri vide il quadro venir lentamente risucchiato dal marmo e poi comparire quella che sembrava essere una finestra circolare, senza alcun tipo di apertura.
Cosa diamine era quella storia? Perché era apparsa una finestra invece che una porta?
Finalmente, dopo tante peripezie era stato scoperto il vero valore di quel piccolo gessetto, ma ora doveva continuare, doveva accedere in quel luogo.





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Sebbene fosse complesso determinare cosa fare in ogni occasione, di fronte a ogni nuovo ostacolo e ogni nuova prova, in questo caso Eloise era guidata da un’incontestabile sicurezza: essere nel posto giusto. Non solo il punto sulla mappa era chiaro, ma il dipinto con i suoi nonni era una dimostrazione tangibile. Si trovava nel giusto.
Non restava che trovare il punto su cui fare leva per trasformare il luogo giusto in quello ancora più giusto, nell’agognata meta finale. Un po’ ci sperava, che si celasse lì dietro, ma non aveva alcuna certezza che quello non fosse altro che un ulteriore passaggio intermedio. Quanta pazienza doveva avere suo nonno, che si era ingegnato per mettere su tutto quel teatrino?
Sicuramente, piano piano, le cose iniziavano ad acquisire un loro ordine, a rispondere con coerenza agli stimoli. Così fu per il quadro che, nell’esatto istante in cui la linea tracciata con il gesso si chiuse, parve venir inglobato dalla parete. Sorpresa da quel successo così immediato (era solo il secondo tentativo: non si sarebbe mai illusa di fare così presto!) osservò esultante ciò che quell’intricato puzzle le presentava davanti.
Lo spazio che fino a un istante prima era stato occupato dal dipinto venne presto rimpiazzato da una finestra. Era come se il marmo del muro fosse stato fluido, fatto di argilla morbida, esattamente come il soffitto del labirinto sotterraneo che aveva visto non più di un quarto d’ora prima. Fu sorpresa dallo scoprire quanto malleabili fossero le pareti della Scuola, e si chiese quanto di tutto quello fosse opera di suo nonno, e quanto fosse già presente.
Era sempre più dell’idea che per quanto strambo, sadico e molesto fosse, in lui doveva essere presente un seme di genialità che fino ad allora non aveva intravisto. Perché per inventarsi tutto quello - e farlo con dedizione solamente per la persona amata - ci volevano un intelletto e un estro creativo fuori dal comune. E parte di quel seme doveva essere stato ereditato da suo padre, che era sempre stato in grado di unire idee e idiozie.
Mentre Eloise si domandava se anche lei avesse ereditato quei tratti la finestra le restituì la sua stessa immagine. Aveva un’aria arruffata, dubbiosa e parzialmente provata: era un ottimo modo di iniziare l’anno scolastico.
Con un passo colmò la distanza che la separava dalla maniglia della finestra. Se c’era un modo per aprirla, e lei sapeva che c’era, avrebbe dovuto iniziare dai tentativi più semplici. Sollevò la mano e prese la maniglia, provando a ruotarla in senso orario. La sua gemella, riflessa nel vetro, fece esattamente lo stesso.



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Avvicinandosi alla finestra, Eloise, provò ad aprirla.
Era difficile forzare una vetrata di quel tipo, specialmente se priva di maniglia, la quale forse sarebbe stata la soluzione ai suoi problemi.
Ma così non sarebbe stato tutto troppo facile? Se avesse risolto l’enigma in quel modo come si sarebbe sentita? Eppure c’era una maniglia in quel luogo, solo che ancora non la vedeva.
Se avesse fatto attenzione ai dettagli attorno a quel muro avrebbe capito tutto in un batter d’occhio.
Aveva capito il modus operandi, svolto a pieno la parte iniziale del suo mistero, ora doveva concludere nel modo più semplice e che già conosceva.
Se aveva creato una finestra, ora poteva...
Proprio nel momento in cui quella faccenda si faceva più chiara per la ragazza, dei rumori sospetti iniziarono a presenziare lungo il corridoio.
Chi diamine stava per arrivare lì? Eloise doveva chiudere la faccenda e alla svelta.





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Quando le dita della Tassorosso cozzarono contro il vetro con un lieve tonfo, fu costretta a chiudere e riaprire gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto di cosa fosse successo. Forse era stato per un gioco di luci e di ombre, forse era accaduto perché non aveva osservato con attenzione sufficiente, ma aveva dato per scontato che la finestra avesse una maniglia. Maniglia che, era ormai evidente, non esisteva se non nella sua immaginazione.
Ritrasse l’arto e lo portò al mento, assumendo una spontanea e concentrata espressione pensosa. Il mistero si infittiva davanti ai suoi occhi, ma non si diede per vinta. Aveva ancora una lunga lista di tentativi da fare, e tutte le intenzioni di sondarli finché non avesse trovato quello giusto. Dopotutto, considerò mentre piegava la testa lateralmente per osservare il problema da un’altra prospettiva, riuscire al primo tentativo sarebbe stato troppo semplice.
Era probabile che nel giro di poco, quando si sarebbe trovata frustrata davanti alla finestra chiusa, avrebbe maledetto se stessa per quel pensiero, ma ora non importava. Ora importava solo affrontare il vetro che aveva davanti.
Fece indugiare lo sguardo sui dettagli attorno, chiedendosi se non avesse perso qualche indizio presente sul muro che circondava la finestra. Era un semplice muro, di semplice pietra, oppure celava qualcosa di inaspettato?
Una volta esaminato anche quel particolare, tornò a rivolgere la sua attenzione alla finestra. Si domandò se il modus operandi di suo nonno fosse in qualche modo coerente, se in funzione delle prove precedenti avrebbe potuto determinare la soluzione a quell’enigma. Prima c’era stato Boris e la sua scritta, che era stata criptica per lei, ma probabilmente meno criptica per sua nonna. Poi c’era stata la torta - ipotesi da escludere, a detta sua, perché sarebbe stato estremamente scomodo e inappropriato portare una torta di mele fin lì. Poi c’era stato il labirinto, la terza via, in cui il tre e il verde avevano fatto da padroni. E infine era arrivato il turno del paesaggio di Galway e del proiettile di vetro. A primo impatto, non le sembrava di riuscire ad afferrare una possibile interconnessione tra quei passaggi. Né riusciva a scovare nella sua memoria se sua nonna le avesse mai parlato di una finestra e di un possibile significato che lei le attribuiva.
Mentre Eloise esaminava e soppesava le possibilità che aveva a disposizione, il riflesso nel vetro acquisiva un’aria ancora più dubbiosa. Avrebbe dovuto tentare con un semplice Alohomora? Non le sembrava particolarmente significativo, anzi, era un’ipotesi banale come quella della maniglia. Avrebbe dovuto provare a bussare tre volte? Anche questa idea non le pareva particolarmente geniale. O forse avrebbe dovuto provare a scrivere con il gesso? No, era dell’opinione che quello strumento avesse terminato la sua utilità.
Fu in quel momento che alle sue orecchie giunsero dei rumori: chi, o cosa, si stava avvicinando? La necessità di fare presto la convinse che un tentativo a casaccio non avrebbe guastato.
Sfoderò la bacchetta, accuratamente riposta in tasca fino a quel momento, e si preparò all’esecuzione isolandosi nella sua mente. I rumori sembravano ancora lontani, e sperava di avere il tempo per concentrarsi indisturbata ed eseguire l’incantesimo che aveva in mente; dopotutto, ce l’aveva fatta in compagnia di un’Acromantula. Chiuse gli occhi per un istante, facendo mente locale su gesti, movimenti e pronunce. Non era passato molto da quando aveva svolto quello stesso incantesimo e, visto che aveva già sbagliato una volta, non avrebbe replicato l’errore.
Mentre apriva gli occhi, tenne a mente il pensiero chiaro di proiettili di vetro capaci di scaturire dalla bacchetta e andare, lungo tutta la traiettoria, dritti, rapidi e precisi verso la finestra, e possibilmente romperla. La bacchetta tracciò il percorso che avrebbero dovuto compiere e iniziò a disegnare la X in aria.
«Fùlcius Vìtreus» Disse con voce ferma, attenta a mettere l’accento sulla u di fulcis e sulla i di vitreus. Non aveva alcuna certezza, ma immaginava che, se quello non fosse stato il metodo corretto, lei non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscire a rompere la finestra. La malandrina avrebbe saputo difendersi.


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Ripercorrendo con la mente tutta quella vicenda, Eloise, si rese conto di quanto fosse complicata.
Al principio era stata dinanzi a Boris il Basito, il quale gli aveva regalato il gessetto, poi in cucina a rivivere l’appuntamento che l’ipotetico nonno aveva avuto con Cindy, dopodiché nel labirinto che l’aveva condotta ad una mappa che portava in quel luogo.
La finestra senza maniglie era la risposta a tutto, ma forse lo era anche la creatività di quel muro.
Perché quel gesso gli aveva permesso di creare una finestra? Cosa aveva pensato in queglii attimi prima di procedere nel tracciare quel cerchio perfetto? Perché era riuscita a creare un “passaggio segreto”?
Il fatto che il muro rispondesse a quello che voleva era importante, molto di più delle date e gli atteggiamenti che poteva avere assunto il nonno/la nonna nei confronti di quella scuola.
Che fosse convinta che il passaggio segreto lo avesse creato uno di loro? Che non avesse ancora capito che molti di quei posti erano lì dalla notte dei tempi e bisognava aggirarli tenendo conto che il castello era senziente?
Era vero che quella soglia era stata solcata in passato dai suoi parenti, ma certamente lo avevano fatto sottostando alle regole del castello.
Prima di procedere allo sparo di quelle pallottole di vetro, le quali fortunatamente vennero come assorbite dal vetro evitando di farle fare un gran baccano, la giovane aveva notato degli ulteriori ricalchi sulla parete.
Forse una delle ipotesi che aveva scartato dopotutto aveva senso, forse bisognava giusto chiedere al muro ciò che si voleva e lo avrebbe dato.
Forse bisognava avere un mezzo di comunicazione tra lei e il muro, ma era possibile che lei ce lo avesse già? Probabilmente si.

Nel frattempo i rumori si fecero sempre più chiari e a lei familiari. Un leggero sfregamento di ferri gli fece capire che Gazza era nei paragi con la sua vecchia lanterna ottocentesca.
Che fosse il caso di procede oltre l’ostacolo nell’immediato? Venir fermati da quel custode proprio ora sarebbe stato veramente un peccato.





Eloise Lynch
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Gelatina. Ecco il materiale di cui il vetro sembrava essere fatto. Vide i suoi quattro proiettili scaturire dalla punta della bacchetta e venire rapidamente inghiottiti all’istante, come se nulla fosse successo.
Se in un primo momento non aveva pensato alle conseguenze delle sue azioni - quando mai la Lynch era stata un tipo riflessivo? - solo quando i proiettili vennero assorbiti dalla finestra pensò al baccano che un vetro infranto avrebbe potuto provocare. Quale certezza aveva, qualora il tentativo fosse andato a buon fine, di riuscire a svignarsela per tempo? Era stata stupida, ma ormai era inutile piangere sul latte versato.
Con l’avvicinarsi dei passi i battiti del cuore di Eloise aumentarono, provocandole una notevole pressione. Odiava l’idea di lasciare le cose a metà e vedersi costretta ad abbandonare la nave sul più bello, ma se avesse usato il cervello avrebbe compreso che le sarebbe bastato nascondersi dietro l’arazzo lì vicino e attendere il passaggio del più temibile nemico notturno che il Castello potesse avere.
“Ancora un tentativo!” La pregò la sua parte meno coscienziosa. Il segreto era lì, a portata di mano, e agognava sapere cosa c’era oltre quel muro.
«Eddai, fatti capire!» Disse con voce quasi inudibile, digrignando i denti.
L’idea di trovarsi di fronte a qualcosa con cui avrebbe dovuto stabilire un contatto, una comunicazione, era sempre stata lì, presente nella sua mente. Ma non la razionalizzò fino a quando non pronunciò lei stessa quella frase spontanea, che le fece pensare che, in un modo o nell’altro, era lei a chiedere un favore a quel muro del Castello.
Ma come riuscire a comunicare per davvero? Parlare con un muro, in quel caso, non era certo una metafora: lo trovò divertente, e sogghignò per un istante, rendendosi conto subito dopo di aver scartato un’opzione più che valida.
Se i segni intorno al quadro non erano gli unici, perché non provare a fare lo stesso, visto che al tentativo precedente aveva funzionato? La mano si appoggiò alla tasca dove il gessetto stava riposto, unica arma che in quel momento sembrava funzionare. Forse, semplicemente, si era interrotta troppo presto.
Riprese il cilindretto bianco e lo strinse in mano, gettando uno sguardo al punto del corridoio da cui sembrava provenire lo zoppichio di Gazza. Aveva poco tempo, ma si mise lo stesso a ripassare i solchi che, sebbene sbiaditi e lievi, erano ancora vagamente visibili sul muro. Non era sicura di cosa ci fosse scritto, e decise di tentare con la prima, più sensata cosa che le venisse in mente. “Apriti”. Si mosse in fretta, facendo attenzione ad essere precisa e tenendo le orecchie drizzate. Era pronta, qualora i passi si fossero fatti troppo vicini, a cancellare tutto e mettersi in salvo dietro l’arazzo, la sua unica tana in quel territorio nemico.



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Non appena i proiettili vennero assorbiti dalla vetrata, la giovane, capì il rischio che aveva corso.
Come aveva potuto pensare di fare un incantesimo del genere? Per quale motivo aveva rischiato di generare quel baccano?
L’irrazionalità era plausibile, soprattutto in un corpicino birbante come quello della Tassorosso che forse aveva capito come agire dinanzi a quel muro.
Sentendo il cigolare della lanterna di Gazza farsi sempre più vicino, tirò fuori dalla tasca il gessetto pronta ad utilizzarlo nuovamente.
Che quello fosse il mezzo di comunicazione? Che il gesso dovesse fare da tramite tra lei e il muro?
Scrivendo la parola “Apriti”, proprio dove aveva visto dei segni, successe qualcosa di veramente inaspettato.
Infatti, d’improvviso, il muro iniziò a tremare con forza per poi lasciare la finestra aprirsi, rischiando di colpire la ragazza che era distante pochi centimetri.
Finalmente ce l’aveva fatta, era riuscita ad aprire quel nuovo luogo comunicando con il castello.


-Chi va la?-

Gracchiò Gazza con fare scorbutico. Il rumore di ferraglia si fece vicino, ma la giovane aveva ancora il tempo di entrare in quel luogo e trovare qualcosa di unico.
Infatti la giovane, se fosse entrata in quel luogo, avrebbe visto la finestra chiudersi alle sue spalle per poi venire riassorbita.
Al suo cospetto si sarebbe trovata una stanza quadrata in cui vi si trovavano diversi stendardi Serpeverde, diverse foto di un ragazzo dal volto felice con una ragazza molto simile a lei, un divano di pelle scura posto alla sua sinistra e un tavolo su cui vi era un foglio e una bussola.
Se avesse fatto i conti con tutti quei dettagli la giovane avrebbe anche notato una torcia sulla parete di fronte a lei, all’apparenza innocua per chi non conosceva i passaggi segreti ma che per un’amante come lei non poteva passare inosservata.
Forse per la giovane era giunto il momento di esplorare, ma sarebbe stato così facile? Possibile che non ci fosse nessun incantesimo che rendeva “sicuro” quel posto? Possibile che non colpisse lei?
A quelle domande poteva avere risposta solo muovendo e rischiando.



Bene, hai scoperto il modo di aprire il passaggio segreto che conduce a quest'ultima stanza.
Andando avanti con il tempo capirai che è possibile accedere in questa stanza anche utilizzando gessetti di altra forma e colore (il gesso che hai tra le mani ora è un semplice gessetto babbano) e che puoi accedere al luogo anche disegnando porte di varie forme e soprattutto con maniglie.

Siamo quasi giunti alla fine, continua così.



Eloise Lynch
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view post Posted on 8/2/2018, 11:54
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Mentre il gesso si sgretolava sul muro, lasciando strisce bianche e ben visibili, il cigolio della lanterna di Gazza arrivò alle orecchie di Eloise. Per sopprimere il brivido che le percorse la schiena - quanto era vicino? - digrignò i denti, obbligandosi a fare ancora più in fretta di quanto già stava facendo. Venire beccata con le mani nel sacco non era un’opzione: non poteva permettersi di far perdere punti alla sua Casata.
Conclusa la scritta, fece un passettino indietro, in trepidante attesa di scoprire se la sua intuizione avrebbe sortito qualche risultato. Per un istante non successe nulla, istante che la portò a dubitare di quell’opzione, ma presto il muro si mise a vibrare e tremare come se fosse in corso un terremoto. D’improvviso la finestra si aprì, come se la sua parte sinistra avesse provato repulsione immediata nei confronti del muro, e rischiò di colpirla in faccia. Grazie agli anni spesi a esercitare i riflessi per tirare e ricevere Pluffe e schivare Bolidi, ebbe la prontezza di fare un saltino indietro ed evitarla.
Gratificata da quel successo, lanciò un ultimo sguardo nel corridoio e si infilò nel buco ormai sgombro. Il desiderio di entrarci, infine, non derivava più solamente dalla voglia di scoprire che sorpresa stava oltre alla caccia al tesoro di suo nonno, ma anche da una necessità oggettiva: il buco nel muro era la sua unica speranza di scampare a una punizione assicurata. L’arazzo, che aveva considerato il suo salvagente, era troppo lontano per mettersi in salvo, considerata la posizione di Gazza. Era ormai bucato, e stava andando a picco.
Una volta infilatasi nel cunicolo buio, Eloise vide il muro alle sue spalle richiudersi, e attese qualche istante per riprendersi dallo spavento. Quel passaggio era troppo piccolo per starci in piedi, ma gattonando non avrebbe avuto problemi ad avanzare. E se anche quella scoperta si fosse conclusa lì, era felice di aver scoperto un luogo che - era chiaro, cristallino - le avrebbe permesso di scamparla alle ronde (destino crudele: molto presto sarebbe diventata Prefetto, e non ne avrebbe più avuto bisogno).
Finalmente si sentiva al sicuro e riusciva a prendere fiato, ma solo ora un pensiero le solcava la mente: era possibile che Gazza potesse essere capitato per caso da quelle parti, ma aveva la netta sensazione che il Castello stesse cercando di difendersi, che l’arrivo del Custode non fosse altro che una sorta di meccanismo di difesa.
Appurato che quell’idea potesse essere una verità, ma che non potesse essere confutata o confermata, la rossa continuò il suo cammino gattonando lungo il cunicolo. Non aveva percorso più di tre metri quando riuscì a tornare in piedi, accolta da una stanza che aveva tutta l’aria di essere la sua meta.
«Voilà!» Esclamò a se stessa.
Mentre il suo sguardo percorreva quell’intima, accogliente stanzetta quadrata, gli occhi le brillavano. Rimase immobile, cercando di imprimersi nella memoria quel senso di stupore, pienezza, meraviglia e completezza. Era sorprendente quello che si trovava di fronte, e avrebbe trattato quel momento con una delicatezza di cui solo ora si scopriva capace.
Non le era difficile immaginare i suoi nonni all’interno di quella stanza. Si vedeva sua nonna sul divano e suo nonno al tavolo, intenti a scherzare, a prendersi in giro o a fare la lotta. Lo sguardo di Eloise si posò sulle fotografie e, come mai prima di allora, si sentì un’estranea a quella dinamica, un osservatore esterno del loro amore e delle loro scoperte.
Si disse di non essere precipitosa: l’altra volta, nel labirinto, aveva pagato aspramente il prezzo della sua impetuosità. Eppure, non avrebbe saputo come muoversi per non far scattare il potenziale allarme che suo nonno aveva messo sulla stanza: era presumibile che ci fosse, non sarebbe stato così stolto da non proteggere quella base segreta, ma non aveva idea di come non farlo scattare. O forse, esattamente come con Boris, sarebbe riuscita a trarlo in inganno.
Fece un passo in avanti, titubante, e poi due. Non aveva alcuna certezza, ma la curiosità di scoprire quell’antro era troppo forte, troppo martellante. Maledisse la sua prudenza e si avvicinò al tavolo, osservando con attenzione il foglio e la bussola: voleva scoprire eventuali scritte, testimonianze, ricordi o curiosità; voleva raccogliere e assimilare più informazioni possibili.
Senza toccare niente, posò lo sguardo sulla torcia, incuriosita anche da quell’elemento. Era l’unica fonte di luce, questo era sicuro, ma non poteva essere anche una leva? Ormai aveva capito che a suo nonno - esattamente come a lei - piacevano quel genere di cose. Avvicinatasi, posò la mano sul corpo cercando di tirarla in basso.
Quel luogo stava diventando rapidamente il suo preferito di tutto il Castello.


Abbassa la leva, Kronk.
Ovviamente se accade qualcosa la parte dentro la stanza va tranquillamente in malora, non ho usato il condizionale solo perché mi piaceva di più così!


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