Invasione o Migrazione?

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    INVASIONE, DIRITTO ALLA DIFESA
    Se questa è un’invasione abbiamo il diritto e dovere di difenderci: anche come cristiani. Si tratta realmente di un fenomeno spontaneo? Se il fattore religioso è per essi così importante che cosa li spinge in terra d’infedeli?
    di Francesco Lamendola
    Quella attualmente in atto dalla sponde Sud del Mediterraneo verso la sponda Nord non è una migrazione, ma un’invasione: bisogna essere chiari su questo punto e farla finita con le ipocrisie, i buonismi, le deformazioni della verità. Si definisce migrazione uno spostamento di individui, o piccoli gruppi d’individui, i quali si dirigono verso un altro paese per motivi di lavoro, di emergenza (catastrofi naturali progressive, come la desertificazione di un territorio) o di sopravvivenza (catastrofi improvvise, come terremoti o eruzioni vulcaniche; guerre e conseguenti emergenze umanitarie). Una invasione, invece, è uno spostamento d’intere popolazioni, le quali, con la forza o meno, penetrano oltre i confini altrui e si insediano non come singoli o come gruppi, ma come nuova popolazione che si sovrappone a quella residente, sia che quest’ultima sia disposta ad accoglierle, sia che faccia resistenza, ma senza riuscire nell’intento di difendere i propri confini e di proteggere la propria identità e i propri modi di vita.
    Ora, faremmo un grave torto all’intelligenza e al buon senso di ciascuno, oltre che alla verità, se ci ostinassimo, come pure taluno fa (e allora sorge l’interrogativo sul perché lo faccia), a qualificare migranti le centinaia di migliaia di africani e di asiatici, oltre che di latino-americani, i quali, ormai da una trentina d’anni, si stanno riversando, come un flusso ininterrotto, sulle coste dell’Italia e della Grecia, e sui confini dei piccoli stati balcanici, supplicando, chiedendo, e infine pretendendo, che li si lasci passare e che li si accolga, tutti, in maniera stabile e definitiva, senza fare loro troppe domande su chi siano, da dove provengano e perché siano partiti, quali intenzioni abbiano, quali sentimenti nutrano nei confronti dell’Europa; e, soprattutto, senza che i governi dei Paesi ospitanti abbiamo il benché minimo diritto di stabilire se la loro accoglienza indiscriminata e illimitata rientri nei loro vitali interessi nazionali. Addirittura, molti si presentano sprovvisti dei documenti, o si rifiutano di dare le loro generalità, o ne danno di false; falsa persino la nazionalità; altri si procurano abrasioni ai polpastrelli, in modo da che non si possano prendere loro le impronte digitali. Ora, quale persona che abbia la fedina penale pulita e che coltivi buone intenzioni, e non aderisca a qualche gruppo terroristico, si comporterebbe in questo modo? Oppure, rovesciando la domanda: perché mai qualcuno si presenterebbe in un Paese straniero, per chiedere ospitalità e lavoro, cercando però di tener nascosta la propria vera identità, se non avesse cattive intenzioni?
    C’è qualcosa che non viene detto all’opinione pubblica dei Paesi europei: qualcosa che ha a che fare con le vere motivazioni di questo esodo biblico. Si tratta realmente di un fenomeno spontaneo? Se è così, perché i cosiddetti profughi non si ridirigono verso i Paesi arabi benestanti, come l’Arabia Saudita o gli Emirati del Golfo Persico, a loro geograficamente più vicini e, soprattutto, a loro affini per lingua, cultura, tradizione, e soprattutto per fede religiosa? Se il fattore religioso è, per essi, così importante, che cosa li spinge in terra d’infedeli? E dove trovano il denaro per pagarsi il viaggio? Chi fornisce loro i duemila dollari necessari per salire a bordo della carrette del mare? Se disponessero, per conto proprio, di una tale somma, che cosa impedirebbe loro di acquistare, per una cifra assai inferiore, un normalissimo biglietto aereo, e arrivare in Europa in poche ore di comodo volo, senza alcun bisogno di rischiare la vita sul mare?
    Questo, per ciò che riguarda i cosiddetti profughi, i quali, nel novanta per cento dei casi, non sono affatto tali, ma “migranti economici”: persone che non fuggono da Paesi in guerra o allo stremo, ma che desiderano venire in Europa per avere una vita migliore. È legittimo; ma non è un diritto. Non lo è, soprattutto, se si tratta di milioni di persone; se l’Africa e il Medio Oriente pensano di risolvere i loro problemi esportando la loro popolazione giovane, di sesso maschile: anche perché questo significherebbe la morte definitiva delle economie e delle società africane e mediorientali. Inoltre, la stragrande maggioranza di questi migranti sono di fede islamica: e nessuno di loro mette in conto, neppure nella maniera più vaga e ipotetica, la possibilità di convertirsi al cristianesimo; al contrario, essi nutrono, semmai, la speranza, o la convinzione, che, presto o tardi, riusciranno a islamizzare i Paesi che li accolgono. Di fatto, si è visto quel che succede dove la popolazione islamica è particolarmente numerosa: essa si addensa nelle periferie del Belgio, della Francia, della Germania, conservando, in tutto e per tutto, i propri usi e costumi, e trasformando quei quartieri in altrettanti ghetti, dove gli europei non mettono piede e dove perfino le forze dell’ordine esitano a farsi vedere. Quartieri dove i terroristi, anche se ricercati per mesi dalle polizie di tutto il mondo, trovano ospitalità e protezione, per quanto le loro mani siano macchiate con il sangue delle vittime dei loro attentati. Quartieri dove non si ode una parola di biasimo nei confronti degli assassini, né un discorso di condanna per la cieca violenza dei terroristi.
    La stessa Chiesa cattolica non trova niente di strano in tutto questo, anzi, ultimamente essa ha deciso di schierarsi in prima fila nella strategia dell’accoglienza indiscriminata: le massime gerarchie cattoliche tuonano contro l’indifferenza, l’insensibilità e l’egoismo della ricca (?) Europa ed esortano, pretendono, ordinano che si aprano le frontiere, si rimuovano gi ostacoli, si accolgano quanti più migranti possibile. Vi è forse, dietro questi atteggiamenti, la remota speranza di poter esercitare sugli immigrati una lenta opera di penetrazione culturale e religiosa; ma, se così fosse, si tratterebbe di un calcolo completamente sbagliato. Se qualcuno avesse dato ascolto ai vescovi e ai preti cattolici della Siria e dell’Iraq, per esempio, si sarebbe “scoperto” che il tanto decantato dialogo interreligioso è una pura e semplice utopia; che l’unico linguaggio che gli islamici intendono, nei confronti dei cristiani, è quello della forza: cioè che rispettano chi si mostra risoluto, ma disprezzano chi si mostra debole. Accoglierli, come si sta facendo, senza porre limiti, né condizioni di sorta, è, da parte degli Europei, un segno di debolezza, anzi di resa: così i musulmani interpretano le cose, che piaccia o no ai signori progressisti e ai cattolici di sinistra.
    Queste cose le dicono quanti hanno a che fare, tutti i santi giorni, con le comunità islamiche, più che con le singole persone. Ad esempio, concetti analoghi erano stati pubblicamente espressi da monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico per l’Anatolia e presidente della Conferenza episcopale della Turchia, Paese che aveva girato in lungo e in largo e nel quale aveva vissuto per molti anni, prima di cadere assassinato ad Alessandretta, il 3 giugno 2010. A suo parere, un dialogo con l’Islam, a livello teologico, è semplicemente “impossibile”, perché esso non rientra nelle categorie mentali degli islamici, mentre lo è a livello pratico, per una miglior conoscenza reciproca; ma senza farsi troppe illusioni in proposito. Parole che dovrebbero essere ben meditate da quei teologi ottimisti e buonisti, alla Hans Küng, i quali, dalle loro comode cattedre universitarie europee, scrivono e dichiarano che le cose stanno in tutt’altro modo; che l’Islam è una religione di pace, di misericordia e di apertura; e che, se c’è qualcuno che dovrebbe farsi un severo esame di coscienza per i non sempre facili rapporti con essi, quelli sono proprio i cristiani. Teologi chiacchieroni, presuntuosi e ignoranti, sordi alla voce di chi vive i problemi in prima persona, i quali preferiscono dipingere la realtà come amano immaginarsela nei loro sogni voluttuosi di pace universale disarmata e nei loro vaneggiamenti filantropici e buonisti a senso unico.
    Ha osservato il giornalista Lazzaro M. Celli (autore anche di alcuni pregevoli articoli sull'azione condotta segretamente dalla Massoneria nella storia dell'Europa moderna per infiltrare le sfere del potere e orientare gli eventi secondo il suo progetto globale, e specialmente nell'opera di destabilizzazione interna della Chiesa cattolica), nel suo articolo L'Europa e la migrazione. Sta cambiando qualcosa? (pubblicato sulla rivista delle Suore Francescane dell'Immacolata Il Settimanale di Padre Pio, Ostra, Ancona, anno XV, n. 7 del 14 febbraio 2016, pp. 23-24):
    ... In tutta l'Europa c'è preoccupazione sulla nuova emergenza provocata dal flusso migratorio e il trattato di Schengen sembra essere in bilico. In questa città del Lussemburgo, simbolo dell'Europa senza frontiere, si riunirono i primi pionieri dell'Europa unita. Nessuno dei membri di quella riunione avrebbe pensato che la migrazione dei popoli extraeuropei sarebbe stata usata come arma per destabilizzare l'identità e l'unità delle nazioni europee.
    La degenerazione del fenomeno spinge a rivedere il contenuto del trattato. [...]
    Se siamo arrivati a questo punto è perché l'Europa non ha voluto gestire il flusso migratorio dei Paesi in cui avvengono le partenze. Se dalla Turchia si arriva in Grecia e dal Nord Africa in Italia, è da lì che bisogna selezionare il numero di persone che devono essere accolte.
    Fin qui l'analisi dei maggiori quotidiani. C'è però un aspetto che non è stato mai trattato da nessuno o non approfondito abbastanza. Può conoscerlo solo chi vive quotidianamente con gli arabi e ci parla. La maggior parte dei musulmani strumentalizza la realtà in una prospettiva di sedicente fede. Essi sono persuasi, o si lasciano facilmente persuadere, che se si supera il viaggio così rischioso, pieno di incognite, sui barconi della morte, è perché Allah vuole che si islamizzi l'Europa. In tal caso dobbiamo ragionevolmente pensare che anche i migranti meno bellicosi possano trasformarsi in un potenziale pericolo, in un contesto di crisi economica del Paese ospitante. O forse ci illudiamo che non rafforzerebbero le schiere dell'Is? L'Agenzia finalizzata alla lotta al crimine in Europa, L'Europol, ha allertato sulla possibilità di nuovi attacchi terroristici di matrice religiosa nelle principali città europee.
    Chi giudica le cose con gli occhi di Dio s sta già preparando, con la preghiera del Rosario, a sostenere la nuova battaglia di Lepanto, affinché la Chiesa non soccomba. Siamo certi sulla parola di Gesù che non sarà sconfitta. Ma quale sarà il prezzo da pagare?
    C’è poi un’altra maniera, per il cristiano, di porre la questione di come egli si debba regolare in fatto di accoglienza di fronte al fenomeno della migrazione/invasione islamica dell’Europa: interrogare i Padri e i Dottori della Chiesa, i maggiori teologi della grande tradizione cattolica, che per secoli hanno rappresentato il punto di riferimento obbligato in tutte e questioni di tipo etico e sociale: San Tommaso d’Aquino, ad esempio, per citare il maggiore di tutti. San Tommaso, che pure ha di fronte solo il fenomeno di una immigrazione assai limitata, specialmente quella degli Ebrei, non dice affatto che i cristiani hanno un solo dovere, quello dell’accoglienza incondizionata; al contrario, egli afferma (Summa Theologiae, I-II, q. 105, 3) che esistono “giusti precetti” nei rapporti con gli stranieri, con i quali possono esistere relazioni di pace, ma anche di guerra (la famosa “guerra giusta” che tanto fa rabbrividire e arrabbiare ceri “teologi” contemporanei, buonisti e modernisti, convinti di saperne più di chiunque altro, compreso il Dottore Angelico, e di avere, essi soli, le chiavi per l’interpretazione veritiera del Vangelo). Tommaso d’Aquino considera anche il comportamento degli antichi Ebrei nei confronti degli stranieri che volevano stabilirsi in Palestina, e lo fa interrogando la Bibbia e la storia sacra. E conclude che a una sola condizione è possibile accogliere degli stranieri desiderosi di stabilirsi per sempre in un altro Paese: vale a dire, che essi nutrano la sincera e profonda aspirazione ad integrarsi totalmente, senza riserve, nel corpo della società ospitante. Al grande filosofo medievale, insomma, pareva inconcepibile la pretesa di chi vuole essere accolto nel Paese altrui, ma conservando intatte le proprie tradizioni e il proprio credo religioso, perché, in tal caso, si verrebbe a creare un corpo estraneo all’interno di quel Paese, e dunque un elemento di divisione e di tensione permanente.
    Naturalmente, vi sono anche dei cristiani che vogliono essere più cristiani di Gesù Cristo, i quali pretendono che il Maestro abbia espressamente ordinato di accogliere chiunque si presenti, a qualsiasi costo. Ma un simile precetto, nel Vangelo, non c’è. Vi è il precetto dell’amore, ed è il cuore della Buona Novella; ma non si dice che esso consiste nell’accogliere intere popolazioni che si spostano in cerca di migliori condizioni di vita. Vi sono vari modi di aiutare le popolazioni povere: e quello più logico, che scaturisce dal puro e semplice buon senso, è di fornire aiuti e sostegno affinché esse migliorino le proprie condizioni di vita nei loro rispettivi Paesi.
    Di questa opinione è anche don Canuto Toso, un prete che ha dedicato l’intera vita all’Associazione Trevisani nel mondo, da lui fondata, e che di emigrazione, dunque, se ne intende parecchio. Il 10% dei cosiddetti profughi, dice, non sono tali; e soltanto questi hanno diritto all’accoglienza. Per tutti gli altri, vale il principio di aiutarli a casa loro. Bisognerà allora considerare un razzista anche lui?...

    Francesco LamendolaI
     
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