| Tante volte, quando ero più piccola, mia madre mi aveva aiutata a curare le sbucciature o i tagli che mi facevo correndo qua e là e dando sfogo a tutta la mia energia. Ero una bambina spericolata, mi piaceva correre, arrampicarmi, saltare giù. Solo che non sempre c'era mio padre pronto a prendermi al volo e alcune volte, molte, non uscivo illesa dalle mie avventure. Mia madre, allora, dopo una bella strigliata mi aiutava a disinfettare le ferite di guerra o a pulirmi da sangue e terra. Il suo tocco era sempre delicato e amorevole, lo faceva perché voleva farlo, era lì per me perché voleva esserci e aveva trasmesso a me quegli esatti valori: che siano amici o famiglia, se una persona per te è importante aiutala come puoi. Aggiungeva sempre una frase però: non mettere mai te stessa dietro i bisogni di altri e non lasciare che ti tirino giù insieme a loro o che ti usino per risalire a galla. Grazie a questi preziosi insegnamenti avevo imparato una cosa importante e cioè l'amor proprio. In quell'occasione, stavo mettendo in pratica ogni insegnamento di mia madre: Elijah non aveva avuto la fortuna di avere una madre amorevole e presente come la mia, a quanto pareva, e io volevo essere l' per aiutarlo ad affrontare la situazione. Eravamo amici, oltre che concasati, no? E per gli amici il sostegno non manca mai. Lo vidi chiudere di nuovo gli occhi e piano piano lo sentii rilassarsi, anche se era evidente che fosse a disagio. Osservai più attentamente il suo volto, ogni mio senso all'erta. Qualcosa mi diceva che Elijah, preso nel modo sbagliato, poteva essere una di quelle persone che ti tira giù con lui. Dovevo stare attenta, era un ragazzo complicato, l'avevo capito. Ma escluso questo, sentivo che ero esattamente dove dovevo essere.
"Grazie, sei gentile"
La sua voce mi colse alla sprovvista e alzai lo sguardo sui suoi occhi. Accennai ancora una volta un sorriso. Non mi ero accorta che aveva aperto gli occhi e che mi stesse guardando.
"Non devi ringraziarmi" risposi.
Il taglio aveva smesso di sanguinare e anche il viso di Elijah era ormai pulito.
"Ecco fatto"
Allontanai la mano dal suo viso dopo aver indugiato solo un istante in più dopo che ebbi parlato. Quando il ragazzo parlò rispondendo alla mia domanda mi stupì: non aspettavo che parlasse, non in quel momento almeno. Risi alla sua espressione all'idea dai picchiare un Grifondoro.
"Niente in contrario, basta che non fai perdere punti alla Casata risposi sempre ridacchiando. La violenza, per me, non era mai stata la prima scelta, nemmeno la seconda in realtà, ma capivo benissimo quel bisogno di sfogarsi. Quando mi arrabbiavo sentivo anche io tutta la rabbia incanalarsi nel braccio destro e la voglia dai tirare un solo pugno ben assestato contro qualcosa per scaricarla. Dopo i molti lividi e le partacce ricevute, però, avevo imparato a controllarmi e a calmare gli impulsi. Ad un tratto un'idea, un'idea molto stupida, mi balenò in mente. Lo faccio? Lo faccio.
"E così avresti voglia di picchiare qualcuno, eh?" dissi con un sorriso furetto sulle labbra facendo un passo indietro. Tirai su i pugni con fare scherzoso e iniziai a saltellare sul posto, da un piede all'altro.
"Avanti, fatti sotto"
La risata nella mia voce era palese. Volevo distrarlo, volevo farlo ridere. Tante volte avevo giocato alla lotta con mio fratello maggiore, ogni tanto ne ero anche uscita vincitrice grazie alla ia super resistenza al solletico e al fatto che lui, al contrario, lo soffriva ovunque. Feci un saltino in avanti allungando un braccio veloce verso Elijah, toccandolo appena alla spalla. Speravo che stesse allo scherzo, avrei evitato volentieri che se ne andasse scocciato come la volta precedente.
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