Nel silenzio, privata.

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Leah‚
view post Posted on 3/8/2017, 20:30




Non era un caso, quello che aveva portato Leah in quel corridoio.
Era un meraviglioso pomeriggio d’estate. Il tempo era splendido e le lezioni quasi finite: tutti quelli che non dovevano più studiare si erano riversati in cortile… e anche chi avrebbe avuto gli esami aveva portato libri e pergamene in cortile per studiare ma non perdersi la bellissima giornata.
Non c’era da stupirsi, quindi, che nella sua passeggiata dalla Sala Comune all’aula insonorizzata al terzo piano, Leah non avesse incontrato nessuno. Il solo rumore che risuonava in corridoio era quello dei suoi passi, e Leah aveva riempito il resto del silenzio con i suoi pensieri.
Il giretto nel castello era iniziato per pura voglia di esplorare qualche angolo ancora sconosciuto di Hogwarts… ma poi si era resa conto che i suoi piedi l’avevano portata lì davanti. Sorrise tra sé, guardando la porta e pensando che ogni volta che la varcava era terrorizzata e felice.
E in quel momento, un pensiero le attraversò la mente, violento e luminoso come un fulmine a ciel sereno.
Leah guardò a destra e poi a sinistra: nessuno.
Non c’era rumore di passi o sussurro di voci.
A passo svelto superò l’aula insonorizzata e raggiunse la successiva. La porta si aprì appena sfiorò la maniglia, e Leah scivolò dentro con grazia. Si chiuse la porta alle spalle e appoggiandosi al battente fissò l’aula davanti a lei: una dozzina di banchi erano allineati di fronte alla cattedra; qualche scaffale sul fondo e un trespolo vicino alla sedia del professore costituivano il resto dell’arredo, ma quello che trattenne Leah in quella stanza furono le finestre.
Tre grandi finestre rettangolari con le volte a sesto acuto coprivano l’intera parete di fronte a lei. La luce del sole del tardo pomeriggio pioveva in lame oblique di luce dorata attraverso i vetri, illuminando un rettangolo di pavimento davanti a lei.
Sentì lo stomaco contrarsi e il cuore iniziare a battere più forte.
Era tantissimo che non lo faceva più.
Solo in quel momento si era resa conto di quanto le fosse mancato.
Forse tutte le cose che stavano rendendo difficile la sua vita dipendevano da quello. Dal fatto che non aveva più trovato il tempo – o il modo – di farlo. Forse semplicemente le altre cose le avevano riempito troppo la vita e le avevano impedito di ricordarsi l’unico motivo per cui lei davvero viveva.
Si voltò con decisione, sfilò la bacchetta e la puntò con precisione verso la serratura. Doveva scagliare bene l’incanto, se voleva fare con vera libertà ciò che stava per fare.

«Colloportus!» Esclamò, tenendo la bacchetta ben ferma e concentrandosi al massimo, sicura che tutta la sua impazienza avrebbe contribuito nel rendere ancora più forte l’incanto di chiusura della porta.
“E una è fatta,” pensò.
Poi si voltò con una mezza piroetta, si gettò i capelli dietro le spalle e puntò con la bacchetta il banco in centro alla stanza. Ruotò il polso verso destra con calma e precisione, come aveva imparato a lezione, e poi abbassò di scatto la bacchetta.

«Wingardium Leviosa!» Esclamò.
Il banco si sollevò ondeggiando, e Leah si rese conto di essere migliorata, dall’inizio dell’anno. A novembre, quando aveva imparato l’incantesimo, faticava ad alzare un libro… ora – anche se con un po’ di sforzo – era certa di riuscire a portare il banco nell’angolo dell’aula. Restando concentrata più che poteva, mosse il braccio e il banco svolazzò fino all’angolo buio più lontano da lei. Lì lo fece planare delicatamente a terra, dove sollevò una nuvoletta di polvere.
Quando ebbe fatto lo stesso con tutti i banchi al centro dell’aula, si passò una mano sulla fronte. Non era come averli spostati da sola, ma non era stato facile.
Anche se di sicuro ne era valsa la pena.
Appoggiò la bacchetta sul banco più vicino, ravviò i capelli e fece qualche passo verso il centro della stanza. Poi si fermò: c’era ancora qualcosa che non andava.
Accigliata, riprese la bacchetta e si fermò davanti alla porta, fissando il battente con le sopracciglia aggrottate. Doveva esserci un incanto anche per quello.
Rimase ferma per un istante con la bacchetta puntata e la mente concentrata, finché l’incanto giusto emerse dal fondo dei suoi pensieri.
Con un sorriso che spuntava dalle labbra, puntò la porta ed esclamò:

«Muffliato!»
Ecco, adesso era veramente tutto pronto. Riappoggiò la bacchetta sul banco vicino alla porta, si spostò al centro del rettangolo di luce sul pavimento e sistemò con un gesto rapido i capelli.
Il tepore dei raggi di luce che piovevano dall’alto la avvolgeva con la sua luce calda e dorata, e Leah chiuse gli occhi, alzando il viso e godendosi la loro carezza.
Prese un bel respiro, e lentamente lo percepì. Il palcoscenico sotto i suoi piedi. La luce che pioveva sul suo viso, il respiro sommesso della platea in attesa.
Un pianoforte suonò qualche nota di introduzione.
E poi la sua voce si alzò nel silenzio della stanza.


«Something has changed whitin me, something’s not the same.»

La carezza gentile del sole che pioveva dalle finestre era un invito a scendere ancora di più nel luogo che si trovava nella sua mente e attorno a lei.
La musica si alzò, la luce la inondava, il palcoscenico era tutto suo.
Nella penombra riusciva quasi a vedere la gente che la ascoltava, incantata, al di là del palco. Era forse la sua luce riflessa ad accennare i loro profili?


«Too late for second guessing, too late to go back to sleep.»

La sua voce riempiva la stanza, le sue mani si muovevano per sottolineare le sue parole. Il silenzio era scomparso, dentro e fuori di lei: pianoforte e percussioni tenevano il tempo mentre il suo cuore e la sua mente si riempivano solo delle note, della musica e della melodia.
L’aria che respirava era ossigeno allo stato puro. Era fresca, profumata. Mentre scivolava sul palcoscenico e la sua voce riempiva l’aria, Leah avvertiva che la sua mente perdeva ad una ad una le nuvole scure delle preoccupazioni per lasciarle solamente il cielo blu e stellato della serenità.
La sua voce cresceva di tono e intensità arrivando a note sempre più alte, ma non era un esercizio di tecnica: era solo l’unione di un dono ricevuto, di un pizzico di esperienza e di tutta la gioia che metteva in quello che stava dacendo.
Se qualcuno l’avesse potuta sentire – ma Leah si era accertata che non sarebbe mai potuto accadere – si sarebbe accorto di come la sua voce avesse l’inconfondibile intonazione di chi sorride mentre canta.
Quella canzone di liberazione e di libertà era perfetta per quel momento in cui si stava riappropriando di un momento per lei così importante. Un momento in cui essere sé stessa, né più né meno, senza dover dimostrare niente o essere all’altezza di nessuno. Non c’erano sorelle con cui competere, insegnanti da compiacere, doveri da adempiere, ragazzi bellissimi a cui dimostrare di essere all’altezza… c’era solo lei, un palcoscenico pieno di luce e l’abbraccio caldo e arioso della musica.
Non le importava se era intonata e a tempo… perché l’importante era solo ed esclusivamente cantare. La musica era parte di lei, e cantare era per lei come respirare. E come respirare le veniva naturale, senza sforzo o impegno.
La sua voce intonò la sequenza finale di note, e quando terminò Leah rimase per un altro secondo immobile, in silenzio, con gli occhi chiusi, a immaginare lo scroscio di applausi e le ondate di ammirazione del pubblico per quella esibizione così spontanea e naturale.
Le sue mani si strinsero l’una nell’altra sopra il suo cuore mentre lo stomaco si contraeva per la felicità e un’ondata di pelle d’oca le si stendeva sulle braccia e sulle gambe.
Lentamente, molto lentamente, Leah riaprì gli occhi. E come sempre le sembrò strano essere in un posto diverso da quello in cui si era sentita.
Era indubbio che era quella, la realtà.
Era l’aula, e la luce del sole al tramonto, erano i banchi e le finestre.
Ma come descrivere quella sensazione di piacere, di estasi ed euforia che provava ogni volta che si lasciava andare a cantare, in libertà, senza nessuna costrizione? Quella reazione che era troppo reale per essere detta immaginaria, troppo pura e vera? Quella non era follia o fantasia. Non era nemmeno immaginazione.
Quella era
magia.


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I think I'll try defying gravity
And you won't bring me down!

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O.T.: Avevo scritto questo post per il contest del mese di luglio, ma alla fine ho deciso di non partecipare. Però mi spiaceva non pubblicare questo "missing moment" della vita di Leah. Se si può, chiedo ad un admin di chiudere la role. Grazie. c:
 
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