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Redenzione in Anselmo e Lutero

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view post Posted on 28/6/2017, 13:45

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LA REDENZIONE DELL'UOMO IN CRISTO NELLA TEOLOGIA MEDIEVALE

8.1 Anselmo di Aosta/Canterbury
Sulla dottrina soteriologica di Anselmo di Aosta, vescovo di Canterbury, in questi ultimi anni sono intervenuti diversi teologi, alcuni per criticarla e renderla responsabile di una distorsione giuridistica della profonda visione religiosa personalistica e dialogica presente nel Nuovo Testamento; altri per difenderla da tali accuse; altri, infine, per ricollocarla nel suo contesto storico e individuarne le vere intenzioni, i limiti, ma-anche la profonda portata teologica e antropologica ritenuta valida anche per il presente.

Più di un autore titola: la «teoria anselmiana» della redenzione. Tale linguaggio non è deviante? Tutto dipende da cosa si intenda per «teoria». È un fatto che Anselmo stesso parla della sua proposta teologica come di «una teoria che credo plausibile»2. Si potrebbe pensare senza dubbio a una costruzione teologica astratta, «logica», senza aggancio alla realtà della fede e al suo annuncio, frutto di pura elaborazione razionale. Ma non è così. Il motivo che spinge Anselmo alla sua elaborazione della redenzione è profondamente pastorale, più precisamente «apologetico», perché nella sua opera Cur Deus homo, ove la espone in modo sistematico, intende resgmgere le obiezioni di irrazionalità e assurdità che gli in-fedeli (giudei e musulmani) avanzano contro l'annuncio cristiano di Cristefrédentore, specialmente con la seguente formulazione: « Come si potrà provare giusto e ragionevole che Dio tratti, o per- 'f metta che venga trattato, così quell'uomo che il Padre chiamò Figlio diletto... e che il Figlio identificò con se stesso? ChegiustiziaJ condannare a morte il più giusto degli uomini in luogodel peccatore? Quale uomo non sarebbe giudicato colpevole, qualora condannasse un giusto per liberare un reo?»3. Come osserva giustamente . C. I. Gonzàlez, Anselmo intende difendere l'annuncio di fede da obiezioni che gli attribuiscono simili assurdità e che egli ovviamente non fa proprie4: su tale sfondo va valutato il suo tentativo.
La posizione anselmiana perciò va presa come elaborazione teologica che ha aggancio all'esperienza di fede, ma concede, molto alle esigenze della « razionalità » e, precisamente, di una razionalità culturalmente situata, in concreto quella della società medievale feudale. Bisogna aggiungere che Anselmo stesso è pienamente consapevole della relatività dei suoi ragionamenti. Tuttavia, è convinto che la fede non può lasciar correre le obiezioni dei «razionalisti», che, proprio in base al lume della ragione, muovono le loro critiche al cristianesimo e principalmente al suo nucleo: l'incarnazione e la croce del Figlio di Dio redentore; di queste, che accetta come dati di fatto per fede, vuole mostrare la «necessità» con un puro ragionamento3. Per questo parte dalla verità cristiana annunciata dalla Chiesa; poi si pone sul piano dell'argomentazione razionale per mostrare che la verità della fede sulla redenzione avvenuta attraverso l'incarnazione e la croce di Cristo è «ragionevole»6. È un'applicazione del compito della teologia che, secondo il vescovo di Canterbury, è fede che ricerca l'intelligenza. In che cosa consiste allora per Anselmo la dottrina cristiana della redenzione dell'uomo per mezzo di Gesù Cristo?
La necessità dell'intervento salvifico di Dio in Cristo a favore dell'uomo Anselmo la vede radicata nel peccato dell'umanità, più esattamente nel peccato di Adamojn guantojjeccaiaper-(jLtJ>£ sonale, a causa del quale, tuttavia, ai suoi discendenti ^trasmessa la_ «privazione, della, giuslizia^originale », quindi la «privazione defljjjrazia » che pone questi ultimi in stato di inimicizia "cog Dio e oTmorte spirituale e corporale. Anselmo dilata ifsùo sguar-doe include il cosmo in tale caduta. Col peccato l'uomo ha introdotto disordine e morte nel mondo di Dio, ha dissestato se stesso e l'orarne cosmico che poggia su Dio creatore, disonorando la creazione e quindi il suo Creatore7.
Nonostante tale disordine e una simile situazione di morte, r.ujr^jiià_iesta.dejlinj;ta^.ajk^beatitudine eterna_con il suo mondo: non è proprio «conveniente» alla sapienza e alla bontà di Dio lasciar^diejja.più.eccellente delle sue creature si perda con il cosmo intero8. Affinchè ciò non avvenga, si..richiede il perdono deffa colpa e la restituzione dell'ordine violato con il peccato mediante una riparazione di onore che sia una vera « soddisfazione» per l'offesa recata a Dio creatore9. Non è da pensare, infatti, cheDio_perdqni all'umanità con un atto di pura misericordia; inluivi sono anche le esigenze della giustizia «vendicativa», che non brama vendetta, ma è «vindice» del_giusto oromeò dell'ordine della giustizia che deve regnare tra Dio creatore e l'uomo sua creatura10. Il problema allora è chiarire come dovrebbe configurarsi una simile riparazione «soddisfatto-ria». Essa dovrebbe essere gratuita o supererogatoria, ossia non dovuta a Dio per altri motivi11; dovrebbe poi essere di valore infinito, data la dignità infinita di Dio, il cui onore e il cui ordì ne sono stati violati da Adamo e da tutti i suoi discendenti12. Org l'umanità, lasciata a se stessa, non è in grado di offrire a Dio una simile riparazione per il peccato e quindi si trova in una situazione di impotenza disperata. Per questo, per la reintegrazione dell'uomo e del suo mondo in un rapporto vitale, di salvezza con Dio, non èjiensabile. altra via che uà intervento redentore di Dio stesso.
A questo punto Anselmo apre il discorso sull'incarnazione di Dio, sul motivo del «Dio fatto uomo», dell'unione di Dio e dell'uomo nella persona del Figlio stesso di Dio, unione che, come si evince chiaramente dal contesto, ha una valenzlì fondamentalmente redentrice. L'incarnazione, tuttavia, da sola non ba-jtg; e in questo senso il titolo che Anselmo ha dato al dialogo non è in grado di far trasparire chiaramente la logica teologica del suo contenuto. L'incarnazione è la condizione basilare della possibilità di una vera, « satisf attoria » riparazione del peccato e del disordine a esso connesso, ma non sufficiente, perché anche il Figlio fatto uomo nel vivere la sua vita umana in quanto creatura deve al Padre obbedienza e onore e quindi non può compiere un'opera supererogatoria a favore dell'umanità lontana da Dio. Ma Anselmo aggiunge: Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, in quanto uomo giusto, senza_p_eccato, non era soggetto alla necessità della, morte, connessa al peccato nella storia delTùmanità13; perciò, avendola volontariamente accettata in obbedienza di amore al Padre, prestò a Dio quelTàttò'3Tomag-
gio, quel gesto di onore supererogatorio, di valore infinito, i cui vi era bisogno perché l'umanità e tutto il mondo fossero reintegrati in un rapporto vitale con Dio14. La_£gdenzione dell'uomo, allora, per Anselmo ha luogo nel volontario dono dysé a Dio fatto da Gesù, Figlio di Dio incarnato, nellajnorte perTu-manità lontana. da lui. Nella datio vìtae (dono della vita) e nel-l'acceptatiomortis (accettazione dellalnorfe) del Figlio di Dio fatto uomo ha avutojuogo la redenzione1'. Esse hanno valore salvifico, redentivo, perché in e per loro si verifica la satisfactio cum iustitia, ovvero la .restituzione «giusta^» di onore a Dio offeso per il peccato e perudisordine a essoconnesso. Nella libera accettazione della morte da parte del Dio-Uomo si da una «restituzione» e quindi un «merito» che «soddis£a» le esigenze della «giustizia di Dio». Con la sua morte Gesù ha riaperto agli uomini i ^torrenti della grazia divina. Tuttavia il Risorto e ló^pirito Santo quale suo dono per Fattiva remissione del peccato sono fuori della prospettiva soteriologica anselmiana. La redenzione è avvenuta nell' obbedienza di amore e nel gesto di omaggio di Gesù Cristo HièU^riorte! Dopo tale «opera reden-trice» posta dal Cristo crocifisso, Dio fa affluire di nuovo le ricchezze del suo perdono e della sua grazia nella direzione dell'uomo.
Non sarebbe esatto pensare che Anselmo veda la morte di Gesù solo nella prospettiva della satisfactio. Per lui essa ha diversi altri aspetti e dimensioni: è merito che Gesù si è acquistato davanti a Dio per sé e per i suoi fratelli; è prezzo di riscatto offerto a Dio per i figli di Adamo votati alla morte; è sacrificio offerto a Dio. Ma tutte queste dimensioni sono colte e valorizzate nella prospettiva predominante della satisfactio, che però * diventa efficace negli uomini se con la fede.entrano neljjatto '1 dì amore Veli onore' ristabilito tra Dio e Gesù crocirTs'so16. \
TU tèrmine di questa~ésposizione della visione anselmiana facciamo alcune considerazioni: il vescovo di Canterbury incorpora nella sua visione teologica diversi elementi della teologia e della sensibilità spirituale cristiana latino-occidentale, ordinandoli in una «teoria» ben strutturata, che deve essere considerata sostanzialmente una risposta alla domanda: cosa può dire la «ragione» della «follia della croce»? È ovvio ch'J tale «ragio-ne» non è una ragione astratta, ma l'autocomprensione dell'uomo propria del contesto culturale di Anselmo, vale a dire della sp-cietà feudale verticistica, le cui strutturazioni sociali e i cui relativi codici di comportamento si riverberano nella riflessione teologica.
i Al di là di luoghi comuni, bisogna dire però che Anselmo con Ile sue argomentazioni non imprigiona la trascendenza dell'azione ^divina entro gli schemi della ragione umana. L'iniziativa della salvezza è^di Dio e della sua grazia; la sua riflessione mira solo a mostrare la «ragionevolezza» dello scandalo della croce. La sua insistenza sulla giustizia divina, poi, va vista nel più ampio ,. contesto dell^mgj^e^Di^yersgJa^^a^reatura, un amore che intende coinvolgere attivamente e personalmente quest'ultima (ovviamente in e per Gesù uomo tutti gli altri uomini sono chiamati ^conformarsi a lui nel suo dono al Padre nella libertà) nel cammino che la riporta insieme con il suo mondo a un rapporto ordinato con il Creatore, garanzia dell'autenticità della sua vi- „, . ta. Nel dialogo preso in esame Anselmo fa dire a Cristo: «^! T'UKXJU / uomo:> prendi me e libera te»17. Gesù Cristo come grazia di e Dio donata dall'alto perché l'umanità si rimetta in rapporto ordinato con Dio e così lo onori e viva, compiendo con la sua attiva partecipazione il suo cammino di liberazione: ecco cosa significa per Anselmo la satisfactio come redenzione dell'uomo in Cristo per via di divino amore giusto e di divina giustizia di aipiore. La sostanza della visione anselmiana è sommamente religiosa ed etica18. Certo, il rivestimento giuridico ne appesan-tisce l'insieme dell'esposizione e forse è stato proprio esso che, fornendo «armoniosità» e «razionalità» all'insieme della dottrina, ha fatto sì che essa da una parte sia stata e sia ancora squalificata da diversi teologi come «giuridistica» e dall'altra abbia «retto per lungo tempo e abbia costituito la trama di tutte le spiegazioni scolastiche della redenzione»19 sino a qualche decennio fa.

8.2 Tommaso d'Aquino
II Dottore Angelico presenta una cristologia fondamentalmente soteriologica, una cristologia redentrice, perché per lui il fine dell'incarnazione del Figlio di Dio è la redenzione dell'uomo dal peccato originale e da quelli personali nonché dalle loro conseguenze nella vita del singolo e dell'umanità intera20.
8.2.1 Gesù redentore nei suoi misteri salvifici
Nel riflettere sul Salvatore, Tommaso parte dal dato di fede di Cristo quale Verbo incarnato. Nel suo percorso di riflessione per lo più procede in questo modo21: prima s^preoccupa di illuminare la conyenientia (congruenza) datale iniziativa divina
conja bontà di Dio e con il bene delljjomo22; successivamente si deiaìca ad approfondire il mistero dell'essere di Cristo:.na-tura divina e natura umana, loro unità nella persona del Figlio ctilJio, conseguenze di tale unionejper l'essere e l'operare della natura umana quale « strumento congiunto » (instrumentum có-niunctum) con il quale il Figlio deve operare la salvezza dell'uomo: è il momento della riflessione specificamente cristologica che ha l'evidente scopo di mettere in chiaro la profonda, divina identità di colui che è il Salvatore; infine dedica la sua attenzione alla portata salvifica di ciò che Gesù ha operato e patito (acta et passa Jesu) per la salvezza dell'uomo. A questo punto inizia la riflessione propriamente soteriologica. La precedenza riservata al momento cristologico non ha solo una motivazione metodologica e una spiegazione di carattere storico, ma anche e principalmente una ragione dottrinale, di cui il Dottore Angelico è profondamente convinto: egli vuole prima ben identificare il Salvatore e poi mettere in luce quanto egli ha operato e sofferto per la salvezza degli uomini; la dignità e l'eminenza della persona garantiscono l'eminenza eia profondità del suo operare a beneficio dell'umanità23.
La sua visione più chiara della redenzione si trova nelle questioni 27-59 della terza parte del suo capolavoro teologico, la Summa theologiae. A essa l'Aquinate approdò gradualmente, maturando idee e convinzioni di gioventù, depositate in particolare nel terzo libro del Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo2^. Nel suo scritto più significativo, troviamo in forma più sviluppata che nelle altre opere i seguenti contenuti soteriolo-gici: Gesù è salvatore dell'uomo nell'inteeral^à-del suo miste.-^ ro; eventi che hanno operato fa salvezza dell'uomo sono l'unione del Figlio di Dio conja natura umana nel seno di Maria, con la quale la natura umana e assunta come «organo congiunto^» delia divinità per la salvezza dell'uomo, Ta sua nascita in questo mondo e la sua morte riparatrice, ma anche tutta la sua vita storica (i misteri di Cristo), la sua passione/morte25, la sua risurrezione26, la sua ascensione27 e il suo ritorno escatologico28. A tutti questi misteri come «azioni» (acta) e «passioni» (passa) del Verbo incarnato Tommaso attribuisce cau-saJità salvifica esemplare ed (effigiente, a quelli terreni sino alla morte compresa anche causafeà^morale29. Così per lui l'intero realizzarsi storico del Verbo incarnato ha avuto e continua ad avere una portata salvifica, perché la sua umanità fu e resta lo « strumento congiunto » (instrumentum coniunctum) con il quale il Figlio di Dio operò e opera ancora nella Chiesa e nel mondo la salvezza30.

8.2.2 La passione come l'evento salvifico per eccellenza
Ciò detto, però, non si può fare a meno di rilevare che anche per il Dottore Angelico, come in genere per i teologi occidentali, la passione/morte di Gesù costituisce l'evento della redenzione per eccellenza, che ovviamente non va isolato dagli altri. Ciò appare dall'insistenza con la quale nelle sue opere connette la salvezza alla forza (vis) di essa; in particolare, in un articolo della Summa theologiae, che porta questa titolazione significativa: «SeJ sacramenti della nuova legge [praticamente gli strumenti e i momenti di grazia della vita redenta] ricevano la loro forza (virtus) dalla passione di Cristo»31. Tommaso, pur tenendo presente che tutto l'evento Cristo è strumento di grazia e pur richiamando esplicitamente la portata salvifica della risurrezione, indica nella passione/'evento dal quale in particolar modo (speciali quodam modo/ scaturisce la forza che rimette i peccati dell'uomo (virtus remissiva peccatorum}*2. Quindi si deve dire che, pur se per l'Angelico l'intero evento Cristo è stato ed è redentore, la passione possiede uno spessore soteriologico, una ricchezza di contenuti teologici e una portata per la vita spirituale cristiana quale vita redenta singolari.
8.3 Bonaventura da Bagnoregio
Richiamiamo gli elementi fondamentali della concezione di Bonaventura da Bagnoregio sulla redenzione dell'uomo (e, aggiungiamo, del mondo, perché egli lo inserisce con insistenza nella dinamica della salvezza, molto più decisamente di Tommaso e degli altri teologi latini)33. Il Dottore Serafico ha un'ampia visione soteriologica e cristologica34. Pur avendo optato per la tesi che vede nella redenzione del peccato il motivo principale (ratto praecipua) dell'incarnazione del Verbo35, con il -no pensiero e il suo cuore guarda sempre ai n^'ùo ^ Lhu incarnato come al centro e al fine di tutta la storia della salvezza, dalla prima alla seconda creazione36. Tale Cristo, tuttavia, è "i principalmente il Cristo crocifisso, espressione^massima dell'a-; • „' e dell'umiltà di Dio verso l'uomo e della risjpl)stà~dTarno-re che l'uomo è chiamato a dare all'amore di Dio e che hia avu-m T' icesco di Assidi povero, umile, stigmatizzato la concretizzazione più alta37. Sarebbe comunque errato ridurre la figura del Cristo salvatore bonaventuriano al Crocifisso, benché il Dottore Serafico affermi che nella Croce si ha la rivelazione di ogni cosa38. Per lui tutta_la_yita di Gesù, letta nel segno della testimonianza dell'amore povero e umile di Dio per l'uomo, ha_ valore esemplare e salvifico. Questo tipo di lettura del mistero dTCrìsto ejrierge in particolare nelle sue opere ultime, nei suoi cosiddetti Opuscoli mistici^, ove ridonda la sua contemplazione devota dell'amore di Dio che nel Figlio nato povero, vissuto povero e mqrto_nudo e crocifisso ha rivelato e offerto agli uomini il documgnj;Q_più sincero della sua volontà di salvezza e li stimola a intraprendere un iter di conversione nel quale con generosità e impegno devono staccarsi da quanto può distrarli da Dio, lasciarsi afferrare dal suo amore e corrispondere a esso con una redamatio affettiva che tende a sfociare nei one mistica con il Crocifisso e quindi in e per lui con Dio (Padre, la 'irihità)4u. jf
II Dottore Serafico, tuttavia, non ha solo una visione mistica della salvezza dell'uomo in Cristo. Ha anche profondi elementi teologici, in particolare nel terzo libro del suo Commento alle Sentenze e nella sua piccola somma teologica, intitolata Bre-viloquium*1. Nelle sue posizioni42 Bonayentura, come Tomma-so, esalta la sovranità della libertà di Dio e superaci! pericolo insito nella posizione anselmiana di vedere nellamorte del Figlio come satisfactio l'unica via aperta a Dio per la salvezza delTuomo43. Tuttavia, a differenza dell'Angelico, che nella croce di Cristo vede l'espressione massima della carità di Dio e di Cristo44, il Serafico da francescano legge e contempla nel Crocifisso rumiltà, la povertà, la nudità dell'amore divine ""' ~ ' posizioni'teologiche di Tommaso e Bonaventura, pur se correttive nei riguardi di quella anselmiana, di fatto non si pongono al di fuori della sua impostazione e anche nella teologia successiva l'ottica del vescovo di Canterbury rimane la cornice entro la quale si muove la teologia, sia cattolica che protestante.
44 Quella di Tommaso è l'ottica della carità di Dio e di Cristo per noi, che si manifesta in modo sommo nella passione del Figlio di Dio: cfr. Summa tbeologiae, p. Ili, q- 46,3.
45 Contemplando l'amore di Dio e di Cristo rivelatosi nella croce, scrive il Dottore Serafico: «Christus... volens tamen summae paupertatis nuditate vitam concludere, nudus elegit in cruce pendere»: Apol. paup., 7,13; VIII,276. Commentando la «dipartita» (excessus) di Gesù a Gerusalemme sulla croce, Bonaventura afferma: «Excessus recte nominai passionem, quia in ea fuit excessus humilitatis... fuit etiam excessus paupertatis... fuit excessus doloris... fuit etiam excessus amoris... Istum excessum com-plevit in Jerusalem, ubi crucifixus est, in quo fuit consummatio nostrae redemptionis »: Com. Lue, e. 9, n. 54; Vili,234. La realizzazione piena e definitiva dell'opera reden-trice di Cristo per l'uomo fu la passione quale segno supremo dell'amore, ma di un amore dolente, umile, povero: in ciò l'anima francescana della teologia bonaventuriana si rivela nella sua forma più chiara.
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GESÙ CRISTO REDENTORE
NELL'ESPERIENZA E NEL PENSIERO
DI LUTERÒ E CALVINO
L'esperienza e il pensiero di Martin Luterò sulla redenzione possono essere considerati la sostanza della prospettiva soterio-logica del movimento della Riforma del secolo XVI; per questo ci limiteremo all'esposizione di essi, aggiungendo alcuni dati della visione soteriologica di Giovanni C alvino.
L'esperienza di Cristo redentore e salvatore fatta e comunicata da un pensatore quale Martin Luterò ha una grande importanza non solo per la confessione cristiana che a lui risale o per la Riforma in genere, ma anche per l'intera cristianità. Al di là di posizioni dottrinali da lui sostenute, che non tutti i cristiani si sentono di condividere e di fare proprie, sta il fatto che egli ha sperimentato con profondità la salvezza che Cristo offre all'uomo e ha espresso tale esperienza nella sua teologia in modo egregio.
La figura e l'opera di Luterò vanno collocate nel loro contesto storico. La sensibilità culturale occidentale, al suo tempo, si era ormai avviata per il sentiero di una visione antropocentrica della realtà che comportava tendenzialmente l'emarginazione di Dio e l'esclusione di qualsiasi riferimento a lui nonché la perdita del senso del peccato e l'estinzione del bisogno di una redenzione divina. La_teologia ufficiale dell'epoca, d'altra parte, si era fossilizzata in formule che, pur essendo ortodosse, non riuscivano a esprimere un contenuto reale e vivo di esperienza di fede1. In questo contesto culturale e teologico uomini assetati di Dio e animati da una forte tensione spirituale si accosta-rono_a Cristo per fare un'esperienza personale di lui quale salvatore e da tale esperienza trassero forza e luce per rivedere la loro vita, il loro pensiero e la loro testimonianza, in modo da porre un argine alla montante marea culturale anticristiana o acristiana2 e ridare vitalità alla comunità e al pensiero cristiani incentrati in Gesù Cristo3. Su questo sfondo storico, culturale ed ecclesiale-teologico mettiamo in evidenza gli elementi fondamentali dell'esperienza e della riflessione teologica di Luterò sulla funzione salvifica di Gesù Cristo.
9.1 Martin Luterò: la riscoperta di Cristo salvatore
M. Luterò costruisce la sua teologia su due pilastri: la Sacra Scrittura e la sua vicenda personale4. La sua esperienza fòncla-mentaie^ chiave dì lettura della sua teologia, è pervasa sin dall'inizio e sostanzialmente per tutta la vita da un profondo senso di oppressione sotto il peso della tentazione (AnfechtungP e del peccato e dall'ardente desiderio nonché dall'impellente bisogno di trovare un «Dio misericordioso», un Dio redgrr|ore e salvatore6. Il problema della redenzione e della salvezza è il dato centrale della sua vita di cristiano e di teologo. Proprio l'intimo bisogno della salvezza lo porta ad avvertire sin dai primi anni dei suoi studi il fastidio per la filosofia e per la teologia scolastiche del tempo e a desiderare una conoscenza viva di Gesù Cristo redentore e salvatore.
9.1.1 Gesù Cristo riconciliatore e redentore1
Tra gli studiosi del pensiero di Luterò c'è un largo consenso nel ritenere che per il Riformatore l'opera, salvifica di Cristo sia riconciliazione e redenzione e, delle due dimensioni, la riconciliazione sia la_prima e la più importante8. «La riconcilia-zione^è riferita alla collera di Dio contro il peccato dell'uomo; la redenzione è riferita alle "potenze", di cui la collera divina si serve come di strumenti: legge, peccato, morte, diavolo. In quanto riconqliatore Cristo ha a chfi faye con Dio, opera nella" direzione di Dio; in qualità di redentore operanelTuomo. La riconciliazione per L\atero~:e~t^R>na£!mento della redenzione e per questo, quale decisivo pensiero teologico in lui, sta in primo piano»9.
L'ojjera salvifica di Cristo, come detto riconciliazione e redenzione, si fon^a sulla dignità della persona divina di Cristo; per questo Luterò accoglie la cristologia di Calcedonia delle due nature unite nella persona del figlio, ma ne mette sempre in rilievo la portata salvifica. Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, vero Dio per il quale il mondo è stato fatto e vero uomo nato

da Maria, è il riconciliatore che rappresenta tutti gli uomini davanti, a Dio e ha prestato soddisfazione al Padre, stornando la sua collera contro di loro e rendendolo favorevole nei loro confronti10. Ciò è avvenuto in quanto solo egli, collocandosi tra i peccatori e facendosi carico dei loro peccati ma rimanendo completamente puro, senza peccato e sempre unito a Dio, ha osservato in pieno la legge divina e infranto la maledizione di essa, portandola su di sé in tutta la sua serietà: dolori fisici, sofferenze morali, tentazione riguardo alla propria predestinazione, collera di Dio, senso di condanna e di riprovazione eterna11. Attraverso questa prestazione a beneficio degli uomini egli ha placato la collera divina, ha soddisfatto alla sua giustizia e ha guadagnato la salvezza per gli uomini che aderiscono a lui con fede12. L'opera riconciliatrice di Cristo da Luterò è espressa con diversi termini: placatìo, reconciliatio ecc. e Cristo per essa è denominato mediator, propitiator, liberator, redemptor, salvator.
Va osservato che per il Riformatore l'iniziativa della riconciliazione «satisf attoria» ha alla_ radice ramorecTi Dio e ^mitigazione della collera divina da parte di Cristo non e conseguen-za-TTeira~prlelstazione di lui, ma iniziativa di Dio_ stesso13. Il pas-saggio_dalla collera alla misericordia ha il suo primo momento in Dio stèsso; fl Cristo lo ha reso efficace sul piano storico con la sua prestazione «satisfattoria» per l'uomo a nome del Padre e lo rende sempre presente e operante con la sua intercessione eterna di Sommo Sacerdote14.
Qui si vede quanto Luterò debba ad Anselmo, ma anche in
quale misura si distanzi da lui: l'idea .della satisfactio è comune; ma jiel vescovo di Canterbury è preponderante la preoccupa-zione di illustrare la realizzazione della salvezza «oggettiya» e di mettere in chiaro le condizioni necessarie per la costituzione dell'evento salvifico, che si compie fondamentalmente nella morte di Cristo; nel Riformatore, invece, prevale la preoccupazione di mettere in risalto le condizioni affincKe' l'evento salvifico Gesù Cristo diventi salvezza per me^; egli poi ha cura di..sottolineare che la concretizzazione del per me viene operata dal Cristo Sommo Sacerdote celeste nel corso del tempo16; questa .' visione implica unà'valorizzazipne chiara della risurrezione di Cristo quale evento.^salvifico, di fatto da Luterò strettamente connesso alla sua morte nonché visto come momento in cui trova compimento la funzione riconciliatrice di Gesù e grazie al quale Cristo, in definitiva, redime l'uomo dal peccato17.
Sebbene subordinata alla riconciliazione, la redenzione costituisce l'altra dimensione dell'opera di Cristo a favore dell'uomo. Per comprendere la posizione di Luterò al riguardo, bisogna individuare le potenze schiavizzanti dalle quali Cristo redime l'uomo. Il Riformatore, come Paolo, tende a personificarle
con un linguaggio spesso di sapore mitologico e dal tono drammatico. Le «potenze» da cui Cristo libera l'uomo sono il pecca-to, la legge, la morte, il diavolo, nemico sul quale insiste molto più dell'Apostolo. Data la visione fortemente agonica della vita cristiana, Luterò dipinge con colori drammatici il cammino di redenzione dell'uomo. Iljjeccato è il primo nemico. Cristo
10 havinto radicalmente con la sua giustizia e obbedienza18 e porerTè è stato costituito «giustizia» per gli altri, può liberarli da tale potenza asservante. Lajegge, altro nemico dell'uomo, è stata vinta da Cristo in quanto ne ha messo in pratica tutti i precetti; per questa sua vittoria egli ha cancellato il giudi-zio di condanna che pendeva sull'uomo e ha liberato quest'ultimo per un'osservanza dei comandamenti divini in libertà e letizia19. La morte è stata ingoiata dalla risurrezione di Cristo;
11 diavolo e Finterno sono stati da lui sconfitti in quanto è rimasto fermo nell'amore di Dio. E il Cristo Re che trionfa di questi mali e nel corso del tempo dona all'uomo di riportare vittoria su di essi: «Attraverso la sua signoria e la sua guida quale pastore ci protegge da ogni male in tutte le cose, e,attraversa if suo sacerdozio ci protegge da tutti i peccati e dalla collera di. Dio, intercede per noi e offre se stesso perjriconciliare Dic>>>20. Cristo ha operato la redenzione non solo una volta per sempre i in un dato momento storico, ma la^opera anche ora, come Ri- '• sorto. Re e Sacerdote, dando all'uomo la possibilità di trionfa- ' re delle potenze che alienano e asserviscono la sua esistenza.
Sintetizzando, possiamo dire: per Luterò, Gesù Cristo riconcilia gli uomini con Dio e li redime dal peccato, dalla morte e
dal diavolo come anche dalla potenza mortifera della legge quale strumento della collera divina indirizzata contro il peccato;
» in questa missione salvifica egli.è la manifestazione dell'amore diJDio nei nostri confronti, è il nostro riconciliatore e il nostro mediatore, intercessore, sacerdote e salvatore. Il Riformatore riassume tutti questi predjcatì-n«|la sua visione del duplice ufficio di Cristo d£ Re e, Sacerdote,)
A quali condizioni la sua azióne può diventare efficace nella vita dell'uomo? Qui tocchiamo l'aspetto più personale e più originale della visione luterana della redenzione in Cristo. Luterò
, afferma: è con la fede fiduciale (fides apprehensiva) che l'evento redentore «Gesù Cristo in sé» (Christus extra nos) diventa il «Cristo in noi» (Christus in nobis) che opera la salvezza. È il momento del progne della redenzione, caratteristico della riflessione teologica luterana, anzi di tutta la Riforma.
9.1.2 La salvezza di Cristo sperimentata nel «prò me» della fede fiduciale
Prima di tutto, riportiamo alcune affermazioni significative di Luterò: «Npn_gioya a nulla credere che Cristo è stato consegna-to_per i peccati di altri santi mettendo in dubbio che egli sia stato consegnato per i tuoi peccati... No, devi accettare in tutta fiducia il fatto che egli è stato consegnato anche per i tuoi peccati. e che tu sei uno di quelli per i cui peccati è stato consegnato. Questa fede ti giustifica e permette a Cristo di abitare, di vivere e di regnare in te»21. «Non ha dato una pecora, o un bue, o oro o argento per me. Ma chi era completamente Dio, ha dato tutto quello che era, ha dato se stesso per me — per me, dico, un povero e maledetto peccatore. Sono risuscitato per questo dono del Figlio di Dio, che si consegnò alla morte, e ora lo applico a me stesso. Questa applicazione è il vero potere della fede»22. «La vera fede dice: Credo fermamente che il Figlio di Dio abbia sofferto e sia risorto, ma tutto questo lo_ha_fatjx^per; me, per i miei peccati; di questo sono certo»23. La retta fede è «quella che rende Cristo efficace in noi contro la morte, il peccato e la legge»24. «In quanto
il Cristo... per mezzo della sua grazia regna nei cuori dei fedeli, non si da nessun peccato, morte, maledizione. Ove in verità Cristo non è conosciuto, restano queste cose. Per questo sono privi di tale beneficio e vittoria tutti coloro che non credono. Giovan-ni dice che la nostra vittoria è la fede»25. "C '"
L'insieme di questi passi luterani, e sono solo alcuni dei tantissimi presenti in tutte le opere di Luterò26, dice una cosa fondamentale del suo pensiero teologico: la riconciliazione con Dio e la redenzione dalle potenze che assoggettano l'uomo realizzate da Cristo non sono veramente realtà concrete ed efficaci fin tanto che non siano diventate realtà operanti nel soggetto umano mediante la sua fede, che è fiducia incondizionata e certa che tali benefici valgono per lui, sono per lui. Luterò accentua talmente W i\prerme e il conseguente in me del dato salvifico da dare l'impres- I sione di non attribuire sufficiente consistenza all'opera redentrice/J di Cristo in sé. Si tratta ovviamente di semplice impressione. Gli | studiosi del suo pensiero hanno considerato con cura questa « appropriazione soggettiva» della riconciliazione e della salvezza da lui richiamata con insistenza. Le conclusioni delle loro ricerche dicono che il Riformatorejionngga affatto lo spessore oggettivo (extra me) dell'opera di salvezza di Cristo. Anzi, si deve dire che quella che raccomanda è una fede che ritiene per vere verità cri-st'ològiche oggettive27; tuttavia la_connette così strettamente ali'«appropriazione soggettiva» da parte del credente, che sarebbe un'astrazione considerarla separata, come semplice «in sé»28.
Questa «appropriazione», «identificazione personale» e comunione con Cristo, dall'accentuata coloritura mistica29, ha luogo per la fede quale opera dello Spirito Santo nell'uomo che fa di Gesù Cristo redentore il principio vitale, la fonte della sua vita redenta. Nell'essere di Cristo in noi, oppure nel nostro essere presso di lui grazie alla fede personale insostituibile30, ha luogo per Luterò quel meraviglioso scambio (admirabile commer-ciumlwunderbarlicher Wechsel) nel quale l'uomo fa esperienza della potenza redentrice e salvifica di Cristo31.
In tale scambio, che da Luterò è visto come un'immanenza reciproca di Cristo e dell'uomo credente, Cristo comunica al-ruorno i suoi doni e l'uomo deposita in Cristo il suo peccato; Cristo fa suo e annienta tale peccato e l'uomo fa sua la giustizia di Cristo ed è salvato.
In tal modo Luterò sperimenta e testimonia agli uomini la redenzione portata da Cristo. Tuttavia, non va dimenticata una caratteristica fondamentale di tale esperienza: la viva coscienza della frammentarietà, DgrziaHtà, limitatezza della redenzio-ne dell'uomo in questo mondo; la piena, e per lui solà"« era», liberazione dell'uomo, si avrà nejjmQndo_escatologico. In_cjjieJ.-lo presente, essa è sempre frammista al peccato, che resta nella vita del credente e deve essere quotidianamente rimesso, « coperto» da Dio/Cristo e anche continuamente «assoggettato» (re-gnatum) con il dono dello Spirito32.
La redenzione è in cammino, in divenire33. Unito a Cristo, il credente combatte la sua battaglia contro le potenze avverse a Cristo e a sé. Con la sua fede deve costantemente aderire a lui, affinchè la vittoria di Cristo Redentore e Signore sia anche la sua vittoria ed egli pregusti già ora, benché in forma limitata, quella piena sconfitta dei nemici che avrà luogo con la piena realizzazione del regno di Cristo e della redenzione dell'uomo e del mondo in lui e per lui alla fine dei tempi34.
Questo inizio e cammino di redenzione, reale pur se limitato, è, però, esperienza che il soggetto credente fa solo nella sua interiorità, nella sfera intima della sua vita, oppure riguard,a ,anche il pia; io storico, sociale e politico? E lo spinoso e controverso problema" ctèlla posizione luterana su una componente fondamentale della salvezza cristiana. Per lo più gli studiosi sostengono che il Riformatore, per formazione teologico-spirituale (orientamento agostiniano), per esperienza personale anteriore (vita monastica) e a motivo della sua tesi teologica centrale della giustificazione dell'uomo davanti a Dio per la sola fede fiduciale come atto spirituale intcriore, cui tuttavia devono far seguito le opere35, tende a collocare l'esperienza della salvezza in Cristo nella sfera intcriore individuale dell'uomo; la sua iasistenza sulle opere che devono far seguito alla fede, e quindi manifestarla, certamente gli impedisce di chiudersi nella sfera dell'«interiorità», ma l'«esteriorità» delle opere non è connessa essenzialmente all'«in-teriorità» della fede e le opere non sono colte e valorizzate nella loro insopprimibile dimensione socio-politica. La dottrina luterana dei «due_ regni» o, meglio, dei «due regimi» (vita cri-stiana e vita civile, Chiesa e autorità politica) di cui il cristiano fa parte, considerati chiaramente separati e fondati su principi, norme e comportamenti diversi e in buona parte addirittura opposti36, ha reso problematica l'estensione della redenzione di Cristo da parte del cristiano alla compagine sociale e politica, di cui pure fa parte; questo orientamento il Riformatore lo ha lasciato in eredità al luteranesimo.
9.2 La redenzione in Cristo in Giovanni Calvino
La soteriologia di Calvino37 è ricca di motivi; tuttavia si muove entro il modello anselmiamo della satisfactio e sottolinea in particolare la figura di Cristo mediatore^ II riformatore di Ginevra dipinge un quadro_fosco dell'uomo sotto il peccato: in lui non è rimasto quasi nulla cfél bene che Dio Creatore vi aveva jmmesso. Gesù si offrì al Padre per tale uomo, soffrendo i più atroci dolori, i tormenti stessi dei dannati; non assunse tuttavia, come diceva Luterò, i peccati stessi degli uomini, perché rimase sempre il Santo; essi gli furono solo imputati, come d'altra parte agli uomini viene imputata la sua giustizia, che però deve diventare realtà in loro. Gesù Cristo ha principalmente l'ufficio di mediatore tra Dio e gli uomini peccatori, che si ramifica in tre funzioni (munera): sacerdotale, regale, profetica. Egli fu
mediatore già in terra, ma cojitinua a esserlo in cielo. La salvézza dell'uomo è realtà che si'ventica già ora nell'unione vitale di Cristo con i credenti: in essa questi, aderendo vitalmente a Cristo che è «fuori di noi» (extra nos), vivono inTuì (extra se). SnFatta~Ui un inserimento dell'uomo irTClTsto per la fede a opera dello Spirito Santo. Calvino sottolinea continuamente questa funzione dello Spirito: «Lo Spirito Santo è per così dire la~l ^*>&t^<!, fascia con la quale il Figlio di Dio ci_unisce efficacemente a I ^^sc' . f sT»3"8. Nello Spirito, tra Cristo e il credente, ha luogo urvunio- -i '
ne mistica, che Calvino qualifica come «comunione vera e sostanziale» (vera et substantialis communicatio)^. Si tratta di un'unione relazionale-ontologica che unisce intimamente Cristo al credente e viceversa.
Cristo ha meritato la redenzione. Per questo egli ne è lo strumento, ma con l'azione del suo Spirito. Nell'uomo la redenzione diventa realtà mediante la grazia della giustificazione del mediatore e_quella della santificazione dello Spirito, due grazie e due momenti di un unico processo che parte da Dio e termina in un rinnovamento dell'uomo a immagine di Cristo, che co- r
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mincia a essere reale già m questa vita .
In questo rinnovamento dell'uomo Calvino inserisce con chiarezza la funzione salvifica della risurrezione di Cristo: esso è una mortificatici., e .una vìvificatio ; la prima e rapportata alla morte di lui, la seconda alla sua risurrezione. Quest'ultima è una componente indissociabile dalla sua morte, di modo che Cristo va visto redentore e salvatore sia per l'una che per l'altra e precisamente per la prima (morte) in vista della seconda (risurrezione): Cristo redentore opera la giustificazione (iustìtia) e per il suo Spirito anche la santificazione (sanctificatió) del credente; entrambe costituiscono un'unità inscindibile41.
La redenzione dell'uomo in Cristo è donojdella grazia prede^ ?ìì.minte di Dio. Ma come si può essere sicuri di tale preoTesti-nazione? Calvino invita a noji indulgere a speculazioni curiose, ma a considerare GesuTlrlsto via della salvezza e specchio in cui i credenti ne acquistano sicurezza. Per quanto riguarda la dimensione storica e socio-politica della redenzione portata da
 
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