Mater Artium Necessitas, Privata.

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 14/3/2017, 11:59
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,693

Status:


tumblr_inline_nevvnrYdGu1t39j9w



Le sue Domeniche non erano mai state libere quanto quella che stava vivendo. Mentre attraversava i corridoi del terzo piano con una certa cautela, massaggiandosi il cuoio capelluto nella speranza di lenire il dolore, Nieve non poté fare a meno di notarlo: da mesi oramai, i suoi finesettimana erano gremiti di ore e ore di studio atte a recuperare ciò che, per forza di cose, era costretta a lasciare indietro durante i giorni di lezione, sicché, salvo qualche momento di svago in camera con le ragazze, la piccola islandese si trovava sempre col naso tra i libri e bacchetta alla mano. Per ottenere quel risultato liberatorio, difatti, si era costretta a tenere dei ritmi forsennati ai quali aveva rischiato di soccombere. Almeno, si disse a posteriori, ne era valsa la pena! Quando Emma le aveva parlato della Sala dei Trofei, durante una delle loro chiacchierate notturne, Nieve si era convinta che farci un salto potesse essere d'aiuto alle sue ricerche, ma non ne era più tanto convinta. Le letture cui si era dedicata in biblioteca nell'ultimo periodo erano state davvero poco esaustive e, tuttavia, l'avevano resa partecipe di una verità: il suo cognome non era tra i più diffusi in Inghilterra e, se da una parte questo poteva essere un vantaggio, dall'altro era improbabile - e, insieme, scoraggiante - che le sue ricerche avessero successo. Ma cosa stava cercando, poi?
Con un sospiro rassegnato, la piccola Grifondoro si arrestò nel bel mezzo del corridoio. Le dolevano le braccia a causa del libro che aveva preso in prestito in biblioteca e che aveva deciso di portare con sé nella speranza - vana ma resiliente - di trovare un'informazione che potesse esserle sfuggita fino a quel momento; e le doleva la testa, poiché quel giorno i suoi capelli avevano deciso di raggiungere un livello di voluminosità tutto nuovo, tanto che, nel guardarsi allo specchio, Nieve non aveva potuto esimersi dal commentare "Sembro un'afroamericana, un'afroamericata albina". L'incubo di quella notte doveva averla disturbata più del dovuto se, dopo settimane di pacifica sottomissione, i suoi capelli avevano deciso di optare per una simile insubordinazione.


«Ma cos'è che spero di trovare?» La sua domanda rimase sospesa a mezz'aria, mentre raggiungeva la porta che l'avrebbe introdotta nella Sala Trofei. La sue dita indugiarono un minuto di troppo sul pomello della porta e le sopracciglia argentee si incurvarono nello sforzo di acchiappare un pensiero. «Uno specchio che dicesse "tua madre è stata qui" non sarebbe male.» Sorrise e scosse il capo. «Andiamo, va!»

La porta si aprì senza opporre resistenza e Nieve fece il suo ingresso in una stanza adorna di trofei d'ogni genere, alcuni debitamente riposti in apposite teche, altri ordinati sulla superficie e in prossimità di un tavolo. Era un luogo curioso, si disse la Grifondoro, mentre avanzava con una certa curiosità nel silenzio che ivi vigeva. Si arrestò solo un attimo, quel tanto che bastava a riporre in un angolo del pavimento l'enorme tomo che portava con sé, poi riprese ad ispezionare la sala. A mano a mano che procedeva e i suoi occhi scorgevano i nomi apposti su targhe e premi di vario genere, prese spazio in lei la consapevolezza di non essere nel posto giusto, non per trovare risposta alle domande che l'assillavano. Per l'ennesima volta da che i suoi pensieri si erano trasformati in azioni, dubitò della correttezza del suo modus operandi e il senso di colpa tornò a stringerle lo stomaco.

«Cosa stai facendo, Nieve? Che diamine t'è preso? Sei ridicola...»

Usò a se stessa la condiscendenza che tanto criticava agli altri, ma lo fece con uno scopo precipuo: ferirsi al fine di desistere. Nello sforzo di farsi del male, il suo animo si infiammò di un miscuglio di sentimenti talmente contrastanti che, per un attimo, la piccola rimase inebetita. In risposta ai tentativi di annichilirsi che aveva operato, i capelli si arricciarono di un altro giro, strappandole un lamento malcelato. Doveva parlare a qualcuno di quella storia e imparare ad esercitare un controllo su di essa, prima di impazzire di dolore.

«Solo un altro po',» si disse. «Poi andrò via...»
 
Top
view post Posted on 27/3/2017, 10:17
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,264
Location:
TARDIS

Status:


olbib

Quella notte non aveva chiuso occhio. Non che fosse una novità, ormai era abituato ai perenni rifiuti da parte degli Oneiroi. Si divertivano, quei birbantelli, ad escludere l'Irlandese dal proprio mondo, ignari di quanto fossero simili tutti loro, ignari dell'etichetta da Sognatore che descriveva la comune natura dello stesso Irlandese. Una scelta era stata fatta e per giunta anche da tempo; Oliver non aveva accesso al riposo in nessuna sua forma, il massimo che gli era concesso sembrava soltanto essere un gruppetto di sporadici incubi, la maggior parte delle volte anche senza apparente significato. Ed era allora, sulla scia dell'operato dell'oscuro Fobetore, che il ragazzo tentava in tutti i modi di venire a capo delle immagini evocate dietro la cortina delle palpebre calate. Capitava di rado di poter addormentarsi per davvero, il suo disturbo del sonno aveva raggiunto dei livelli così intensi da essere scambiato con ogni probabilità come una malattia. Ma Oliver temeva gli ospedali, le infermerie e qualsiasi altro dettaglio facesse parte dell'universo di cure e guarigioni, a tal punto da preferire agire da sé, spesso non con esiti del tutto positivi. Aveva provato più di una soluzione, a partire da decotti anti-insonnia preparati con le sue mani e la sua ancora acerba ma passionale maestria pozionistica, con tanto di estratti di valeriana e di essenza di erbe aromatiche speciali, fino ad esperimenti meno difficili e di sicuro più diretti, come l'acquisto del fortunato Filtro Sognoleggero al negozio di scherzi di Zonko. Da quando aveva scoperto il suo piacevole utilizzo, Oliver ne faceva incetta come se non ci fosse un domani; una goccia equivaleva ad un'ora di riposo, due gocce già erano troppe secondo le istruzioni legate alla bevanda, ma tre non erano ancora esagerate da frenare la decisione del Caposcuola. Tre gocce, dunque, e Morfeo concretizzava il suo risveglio, pronto ad accogliere il corpo scosso del Caposcuola con un caldo abbraccio. A quel punto, il sonno diveniva sì ristoratore, lasciando che l'alunno raccogliesse quante più energie possibili per il giorno seguente, eppure non giungeva da solo, forse impaurito dall'eterna incertezza di quel provato spirito. Sceglieva dunque di portare con sé, come amico di vecchia data, qualcosa che non aveva Tempo né Spazio, non di certo valori stimabili con misure rigide. Le immagini esplodevano in sfumature senza capo né coda, in colori che non erano ancora stati inventati e in azioni, molte azioni, che spesso non avevano apparente motivo di esistere. Era allora che il Dono si attivava e rendeva tutto confusionario; era allora, sempre e comunque, che il Veggente si spezzava. Quella mattina il buongiorno non era stato dei migliori; profonde e scure borse descrivevano il contorno degli occhi del ragazzo, screziati da un verde altrettanto luminoso in un contrasto che non dava modo di anticiparne l'esito vero e proprio. Le iridi non avevano perso la loro luminosità, era un tratto distintivo dell'adepto di Godric Grifondoro; ma il viso era provato, la stanchezza era visibile e l'aspetto, in generale, non era d'eccezione. Oliver aveva scelto di rintanarsi in un luogo quasi per nulla trafficato, conscio di quanto la tranquillità avesse avuto esito interessante per le sue ricerche, la sua calma e la sua agognata pace. Non aveva ronde quella domenica, non fino alla sera, ma già contava di finire nella mezz'ora successiva. Il terzo piano non gli era sconosciuto né lo era la stanza dedicata ai trofei di diversi passeggeri e passanti tra le mura di Hogwarts. Coppe di Quidditch in bella mostra, teche di cristallo colme di altri riconoscimenti, di tanto in tanto si notavano anche dei bagliori in punti improbabili di quella sala così speciale, come a voler attirare l'attenzione verso i meno famosi premi di gare di Gobbiglie, Scacchi Magici e perfino di Impiccato Rimpiccabile, come se staccare la testa di un omino inanimato potesse essere fonte di successo. Avrebbe dovuto comunicarlo ai suoi concasati, di sicuro sarebbe stato divertente. Circondati da medaglie che non aveva ancora vinto di persona, Oliver si era seduto a gambe incrociate - stile perfetto indiano d'altri tempi - fra due pareti, la prima una cristalliera che ospitava le Coppe di Quidditch dell'ultimo decennio, la seconda - alla quale si era appoggiato con la schiena - un semplice muro dipinto da un intenso giallo ocra. A terra, sul pavimento ancora freddo, si notavano così tanti libri, pergamene appuntate e piume con boccette d'inchiostro in parte utilizzate, da poter riempire un baule scolastico interamente. Febbrilmente, le dita sfioravano pagine dietro pagine, di tanto in tanto si fermavano su un paragrafo promettente ed ecco che il ragazzo leggeva con assoluta frenesia, come a voler carpire messaggi segreti presenti nel volume. Era alle prese con una delle sue ricerche strettamente personali, non era difficile scovarlo in Biblioteca nelle ore più impensabili né lo era vederlo nel suo posto preferito in assoluto, la quercia che abbracciava il Lago Nero, affacciandosi con le sue fronde rigogliose e le radici così spesse da sembrare punti dove sedersi per davvero. Non aveva scelto i giardini, quella mattina, perché sapeva di quanti alunni potessero esserci nei dintorni; era un giorno di festa, chiunque avrebbe optato per studio e svago all'esterno, si stava bene e la Primavera era imminente. Ma Oliver Brior aveva altri programmi e per giungere a capo della sua ultima Visione, necessitava silenzio, privacy e solitudine; non per forza in quell'ordine. La piuma di fagiano che teneva stretta tra indice e pollice sfregò la carta con più forza non appena un suono riscosse il Caposcuola. Il primo pensiero riguardò la presenza di qualcuno in quell'aula, ma chi poteva mai essere a quell'ora di un'anonima domenica solitaria? Scelse di non porsi allo scoperto, non era neanche sicuro della sua idea e forse stava anticipando i tempi, come spesso accadeva. Prese la bacchetta magica e colpì con la punta della stessa una piccola statua simile ad nanetto, interamente verde. «Arcibaldo, va' a vedere» sussurrò, mormorando subito dopo una formula magica con altrettanti movimenti ben scanditi. Il piccoletto parve animarsi rapidamente, le gambe tozze ressero a stento il suo peso poco bilanciato, infine arricciò il naso e trotterellò via. Non impiegò molto ad individuare l'intrusa e le puntò contro un dito tozzo con finta aria minacciosa. «Ehi, bambinetta, che ci fai quui?» chiese, la voce stridula, allungando l'ultima sillaba per di più. Non capitava tutti i giorni di fare conoscenza di un nano da giardino, di statua, completamente verde da capo a piedi. La giornata diventava interessante, a quanto pareva.
People say I've lost my mind
I'm starting to wonder if they're right
 
Top
view post Posted on 30/3/2017, 17:41
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,693

Status:


tumblr_inline_nevvnrYdGu1t39j9w



Per una buona manciata di minuti, nulla era accaduto nella silenziosa Sala Trofei: i premi erano rimasti dolorosamente prigionieri nelle loro teche, lucidati di fresco così da riflettere le immagini che vi si posavano sopra; la quiete domenicale aveva continuato a farle compagnia; e Nieve non aveva mutato stato d'animo. Al cospetto degli archi a sesto acuto che adornavano la stanza, la giovane Grifondoro si era aggirata tra i sentieri di vecchie glorie con fare flemmatico, l'eco dei suoi passi come unico elemento di disturbo apparente a quella ricerca tanto onnicomprensiva: cercava tutto, sapendo di non poter trovare niente; eppure sperava che il niente potesse diventare il suo tutto, tutto ciò che le sarebbe stato bastevole a proseguire con la sua esistenza. Aveva letto abbastanza, nelle sue ore più intense e proficue, da sapere oramai che non vi fosse nulla di sbagliato nel disperato tentativo di conoscere le sue origini biologiche; allo stesso tempo, tuttavia, si rendeva conto dell'aspetto più propriamente chimerico delle sue previsioni. Al disperato bisogno di conoscenza, infatti, si affiancava un'incontrovertibile ostinazione a procedere per la sua strada, anche a costo di rendere il percorso più tortuoso di quanto non fosse. Per quante volte avesse vagliato le opzioni a sua disposizione, nessuna ancora le aveva permesso di compiere quel passo - seppur piccolo - in avanti di cui aveva bisogno per rifocillare il suo animo della speranza a mano a mano perduta. Non poteva rivolgersi alle persone a lei più vicine e non c'era nessun potenziale estraneo in grado di suscitare la sua fiducia al punto da farle abbassare le difese. Era un labirinto dal quale non riusciva ad uscire, sicché quanto più si affannava a trovare una scappatoia tanto più esso pareva richiudersi attorno a lei.

Col trascorrere dei minuti, scese su di lei una consapevolezza quasi spettrale nei suoi tratti di moderazione. Se, in fin dei conti, di alternative non ne aveva, non c'era motivo di lasciarsi sopraffare dallo scoramento, né dalla più prostrata rassegnazione e tanto valeva prendere le cose alla leggera. Fu un'epifania sì consolante che, alfine, il suo animo ne fu risollevato. Quasi senza rendersene conto, prima a labbra strette e poi a voce più alta, prese a canticchiare un motivo babbano che aveva udito qualche tempo prima in un locale di Londra che lei e Grimilde adoravano. Nieve aveva una bella voce e il suo suono riempì il luogo di una dolcezza senza pretese, tipica di chi non ha mai visto riconosciuto il suo talento.

Lewis. Evans. Thompson. Moore.Carter.

I cognomi si succedevano dinanzi ai suoi occhi senza avere alcun significato. Rappresentavano l'impronta intangibile del passaggio di qualcuno che si era distinto nell'una o nell'altra disciplina, qualcuno che aveva lasciato un segno ma che, per lei, non aveva alcuna importanza. Più o meno comuni combinazioni di lettere e nient'altro, ecco cos'erano! Nieve sospirò tra una parola e l'altra di una canzone che, a suo tempo, non si era neppure accorta di aver memorizzato; e i suoi occhi cercarono istintivamente il libro che aveva lasciato in prossimità dell'ingresso. Era ora di andare, si disse. Per quel giorno, forse, era addirittura il caso di lasciar perdere. Sorrise, mentre la successione dei suoi passi si apprestava a condurla a destinazione con disposizione d'animo immutata.

Fu a quel punto che una voce la sorprese, costringendola a sobbalzare e a voltarsi di scatto. La fronte si aggrottò sulle sopracciglia argentate, quando il suo sguardo si posò sulla minuscola sagoma di verde vestita di un... nano da giardino? Schiuse la bocca, come a voler parlare, ma la sorpresa le strinse la lingua, impedendole di raggiungere il palato per articolare una risposta. Non ricordava neppure la domanda che le era stata posta, a dire il vero, ma dal modo in cui l'esserino la stava indicando ne suppose il contenuto. Hogwarts non avrebbe mai smesso di sorprenderla, perfino quando credeva di averne viste di ogni. Avanzò per poterlo raggiungere e, quando lo ebbe fatto, si chinò sulle ginocchia per vederlo più da vicino: non era cortese da parte sua sottoporlo ad un esame tanto sfacciato e accurato insieme, ma dubitava di poterlo offendere, o comunque di potersi trattenere.


«Ciao!»

Un sorriso spontaneo le incurvò le labbra. Era buffo con quel suo aspetto minacciosamente arcigno che davvero poco si addiceva alla sua struttura fisica. I capelli ondulati seguirono il movimento del suo corpo, mentre Nieve si sporgeva appena un po' di più e lo osservava con i grandi occhi verdi quasi a volerne carpire i segreti. Poi, temendo potesse attaccarla, si fece indietro quel tanto che bastava a non essere a portata di tiro.

«Non sono venuta a fare nulla di male,» spiegò con l'intento di tranquillizzarlo. Doveva essere stato messo lì per fare la guardia ai trofei e dare l'allarme in caso qualcuno avesse avuto intenzione di nuocere al luogo o al suo contenuto, ipotizzò. «Volevo solo dare un'occhiata a trofei e targhette.»

Il sole filtrava dalle grandi vetrate alla loro sinistra, illuminando quell'insolito duo di una luce brillante. Nieve non poté fare a meno di riflettere che fosse triste per entrambi starsene al chiuso in una giornata del genere. Ancora una volta, le sue sopracciglia si inarcarono: non sarebbe stato più appropriato che quel nano se ne stesse in giardino, ora che ci pensava? Che qualcuno lo avesse imprigionato per scherzo?

«E tu cosa ci fai qui? Non dovresti essere in giardino?»

Il pensiero che riportarlo in giardino potesse cancellare da quel viso corrucciato l'espressione contrariata che vi faceva mostra le strappò una risata cristallina.
 
Top
view post Posted on 2/4/2017, 11:28
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,264
Location:
TARDIS

Status:


olbib

Dalla distanza in cui si trovava, più o meno qualche parete di trofei e teche di cristallo dalla sconosciuta appena individuata, Oliver non avrebbe potuto capire cosa stesse accadendo; forse il suo nano d'eccezione aveva trovato davvero qualcuno come il ragazzo aveva immaginato? Oppure si era trattato soltanto di un rumore, uno qualsiasi, magari uno scricchiolio del legno che da anni ed anni reggeva premi per i quali non aveva mai potuto competere in prima linea? L'idea che potesse esserci di mezzo lo zampino di Pix, il famigerato quanto odioso nonché odiato poltergeist del castello di Hogwarts, sfiorò più di una volta la mente del Caposcuola. Se davvero fosse stato così, non si sarebbe perso per nessun motivo al mondo l'incontro fra il suo Nano Incantato e il fantasma della malora. Abbandonò la sua postazione di piume, boccette d'inchiostro, libri e plichi su plichi di pergamene, intenzionato a sporgersi a sufficienza per poter dare un'occhiata. Non voleva intromettersi, non troppo perlomeno né fin da subito, perché la creatura animata avrebbe certamente risolto qualsiasi diverbio nel migliore dei modi. Camille Pompadour non sbagliava mai nelle sue creazioni e a quanto pareva, essendo frutto della sua maestria e della sua ironia, il Nano avrebbe adempiuto a quel compiuto perfettamente e diligentemente. Anche se era pur vero che le sue capacità non riguardassero affatto l'arte oratoria.

«Piccoletta, parli a come bada!»
La voce dell'esserino tutto verde ridestò l'attenzione del Caposcuola, attirando lo sguardo verso quella direzione; Oliver non fu ancora in grado di vedere per bene chi fosse l'interlocutrice del Nano, sapeva soltanto di dover trattenere uno scoppio di risate nell'immediato. «Cioè no, bada a come parli!» si corresse un istante dopo la creatura. Gonfiando il petto - per quanto potesse farlo per davvero, essendo di argilla - l'esserino non più alto di mezzo metro si riscosse dall'imbarazzo dovuto all'errore di un attimo prima, quindi puntò l'indice tozzo e grassottello verso la ragazzina di fronte. Non apprezzava più di tanto il fatto che si fosse abbassata per essere alla sua stessa altezza, mica era un tipetto qualsiasi! Ci tenne a precisarlo con una vocetta stridula poco dopo. «Io sono Arcibaldo, il nano da giardino verde smeraldo!» sbottò. Ed era chiaro, eccome se lo era; non avrebbe rinnegato la sua identità neanche per tutto l'oro del Mondo Magico, incluso quello dei Lepricani che tanto poco sopportava: d'altronde, il verde era il suo colore e di nessun altro. Maledetti copioni. «E per l'altra domanda, boh, e io che ne so! 'Spetta un attimo, piccoletta, vado e torno!» Vado e torno? Da dove e per dove? Senza attendere risposta, dopo aver sottolineato l'aggettivo "piccoletta" nei riguardi dell'altra studentessa, Arcibaldo trotterellò goffamente verso il punto da cui era comparso in precedenza. Oliver si affrettò a nascondersi dietro la parete, convinto di aver sottovalutato l'intelligenza di una creatura senza vita. Se si fosse avvicinato troppo, Arcibaldo l'avrebbe fatto scoprire per davvero! Provò a mandarlo via con rapidi gesti della mano, ma ancora una volta fu travisato per bene. «Eeh? Una mosca? Ah no. Un insetto? Neanche. Un uccellino, un passerotto? AH! Sì, ci sono, capo! Un Boccino d'Oro volante! No? No. Allora...» Ma ormai il danno era fatto, Arcibaldo continuava ad indovinare ciò che non doveva essere indovinato. Fermo di fronte la parete che nascondeva il Caposcuola, cercava di capire quale fosse quel messaggio indicato dai sempre più bruschi movimenti del ragazzo. Era forse il caso di indagare?
People say I've lost my mind
I'm starting to wonder if they're right
 
Top
view post Posted on 4/4/2017, 19:21
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,693

Status:


tumblr_inline_nevvnrYdGu1t39j9w



Nieve avrebbe riso di gran lunga più forte, se avesse avuto modo di assistere alla scenetta che si stava consumando a qualche teca da lei, giusto oltre l'angolo, tra il nano e il suo legittimo proprietario. Rannicchiata sulle ginocchia com'era, seguì con sguardo interessato il suo piccolo interlocutore finché non fu sparito alla vista, dunque rimase lì a chiedersi cosa fare. Avrebbe davvero dovuto aspettare un nano dalla bocca larga? E, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto caricarlo e portarlo in giardino oppure sarebbe stato meglio lasciarlo dov'era? Ruotando appena sulle punte dei piedi, si voltò in maniera tale da poter lanciare uno sguardo al grande libro che se ne stava contro il pavimento, dimentico. Schiuse le labbra, come a voler esternare a voce una statuizione tutta dello spirito, ma ancora una volta il nano attirò la sua attenzione. Uno strano bofonchiare proveniva dal punto in cui supponeva si trovasse, sicché le sue sopracciglia si inarcarono in un moto di incontrollabile curiosità. Sospirò e alzò gli occhi al cielo, contrariata da se stessa. Sapeva già che non sarebbe riuscita a lasciare quella stanza senza verificare cosa stesse combinando la miniatura d'uomo che le aveva strappato più sorrisi di chiunque altro al castello.
Facendo leva con le mani sul pavimento, tornò in posizione eretta e, senza ulteriori indugi, avanzò nella Sala Trofei alla ricerca del suo nuovo, bizzarro amico. Lo trovò in prossimità di una teca oltre la quale si intravedevano un mucchio sparso di libri e pergamene. Che ci fosse qualcuno lì? Arcibaldo continuava a segnare sulle dita tozze le soluzioni all'enigma che il proprietario non aveva mai avuto intenzione di porgli e Nieve comprese. Il nano non era lì per caso, né per uno scherzo di cattivo gusto. Era lì in compagnia di qualcuno di cui si fidava al punto da correre da lui in caso di incertezza. Soppesando le opportunità che gli si stagliavano innanzi, affondò i denti nel labbro inferiore in preda alla concentrazione: poteva far saltare la copertura della persona che se ne stava seduta sul pavimento e aveva deciso consapevolmente di non manifestarsi, o poteva decidere di fare dietrofront e lasciarsi alle spalle quel teatrino che non la vedeva di certo protagonista. Oppure... Oppure poteva far credere al duo di essersene andata, approfittando della loro distrazione, e nascondersi quel tanto che bastava a vedere cosa sarebbe accaduto quando avessero pensato che di lei non c'era più traccia. Aveva senso? Un sorriso le increspò le labbra mentre un'altra idea faceva capolino tra i suoi pensieri.


«Arcibaldo, io vado,» disse prima di poterci ripensare e, mentre indietreggiava, estrasse la bacchetta dalla sua solita ubicazione in prossimità del fianco destro. «E' stato un piacere conoscerti. Spero di vederti presto!»

Era oramai sparita alla loro vista, avendo voltato l'angolo. Rapida, puntò la bacchetta contro la porzione di pavimento che stava dietro la curva e sussurrò la formula "Lapsus". Un fascio di energia sprigionò dal bastoncino che tenea tra le mani, posandosi sul marmo lindo e dandogli la parvenza di oleosità che Nieve aveva avuto intenzione di causare. Poi, rapida come un furetto, raggiunse la teca più vicina e vi si nascose dietro. Sapeva che la sua era una pantomima grossolana: una mente attenta avrebbe prestato attenzione al fatto che la porta non fosse stata né aperta né richiusa; inoltre, il suo libro se ne stava ancora dove l'aveva lasciato al suo ingresso. Ma poco le importava! Voleva soltanto scoprire chi si nascondesse dietro quella teca e, perché no?, farsi quattro risate. Dovette coprirsi la bocca con la sinistra per impedirsi di scoppiare a ridere nell'immaginare Arcibaldo finire a gambette all'aria a causa del suo incantesimo.
 
Top
view post Posted on 5/4/2017, 18:19
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,264
Location:
TARDIS

Status:


olbib

Mai possibile che un nano da giardino, per giunta finto e inerme come mai prima di allora, non fosse in grado di afferrare al volo anche solo un minimo senso attraverso gesti indicati frettolosamente? Cosa diavolo frugava i suoi pensieri a tal punto da renderlo tanto stupido quanto stupito? E, ancora, per quale assurdo motivo Arcibaldo non si allontanava da lì, rischiando di compromettere l'intera riuscita di uno scherzo spezzato sul nascere? Oliver si ritrovò a storcere il naso, l'espressione esasperata dipinta sul volto a manifestare il suo scontento, oltre che la sua ormai chiara rassegnazione. La mano destra si piegò in avanti in un ultimo rapido movimento, che quasi appariva come sinonimo di noia e in parte di un minimo fastidio. Il ragazzo avrebbe dovuto comprendere che nella testolina bacata del nano verde smeraldo altro non fosse presente che il vuoto. E non aveva tutti i torti né la cosa avrebbe dovuto sorprenderlo per davvero, d'altronde si trattava pur sempre di un oggetto inanimato, reso vivente attraverso l'ausilio di una magia trasfigurativa piuttosto singolare. «Uuh piccoletta, vai già via? Ma io...» Una mano solitaria, vagante, di sicuro rivelatrice di un corpo in carne ed ossa, ecco, spuntò improvvisamente dalla teca di cristallo accanto la postazione di Arcibaldo e frenò il suo discorso quasi sul nascere, colpendo la testolina della fasulla creatura di creta come a volerlo spiaccicare al suolo, magari abbassando la sua altezza - compromettendola, per meglio dire - ancor più di quanto già non fosse stato fatto da Madre Natura. E un attimo dopo, forse perché ignaro di qualsiasi altra presenza, considerata la stessa adocchiata poco prima, Oliver finalmente giunse allo scoperto. Un passo soltanto e voilà, scivolò come un sacco di patate - una scena senza dubbio singolare - sulla parte del pavimento resa estremamente lucida e liscia da parte dell'intrusa. Oppure, a conti fatti, l'unico intruso poteva definirsi quel Caposcuola appena rovinato a terra? Imprecò sottovoce, il galateo comprometteva e vietava qualsiasi altra intensa reazione, mentre Arcibaldo si sbellicava dalle risate. «Aah!» sbottò lo studente, un dolore poco piacevole alle gambe e al sedere. La scarpa destra si era incastrata in uno scaffale e per tirare via il piede dallo stesso, tre Coppe caddero nello stesso momento quasi a concludere una visione d'insieme degna della più strana sfortuna. Tintinnando nei dintorni, Oliver alzò la voce abbastanza da essere sentito per bene dal piccoletto, il vero piccoletto, poco distante. «Arcibaldo, smettila subito di ridere e corri a darmi una mano! Altrimenti ti lancio contro tutte queste coppe e poi...» - puntò l'indice verso l'esserino, l'espressione furiosa ma divertita allo stesso tempo - «...ti coloro interamente di blu!» Giocava sporco, allora. In un caso o nell'altro, aiuto o meno da parte del nano da giardino appena "sbiancato" su una tonalità più chiara per davvero, Oliver poteva considerarsi sicuramente allo scoperto. Avrebbe avuto visite interessanti di lì a poco? Non ne era sicuro, chiunque fosse stato nei paraggi un attimo prima aveva detto di andare via. Almeno aveva evitato quel quadretto così speciale, così imbarazzante. Tutta colpa del piccoletto, senza dubbio.
People say I've lost my mind
I'm starting to wonder if they're right
 
Top
view post Posted on 6/4/2017, 23:11
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,693

Status:


tumblr_inline_nevvnrYdGu1t39j9w



Quando aveva elaborato - molto sommariamente, ad onor del vero - quel piccolo piano, Nieve era stata ben lungi dal figurarsi un esito tanto maestoso. Mentre le scene si succedevano dinanzi ai suoi occhi e il riso iniziava la sua scalata verso la bocca, la figura misteriosa sulla quale si era interrogata ebbe finalmente a rivelarsi nelle vesti nientepopodimeno che del suo Caposcuola. Sarebbe stato probabilmente più sensato fermarsi, addirittura nascondersi ed evitare che le sue colpe venissero rivelate tanto platealmente, ma non ne fu in grado. Con Oliver Brior, il ragazzo dai modi impeccabili, bellamente spalmato sul pavimento e Arcibaldo che si teneva la piccola pancia prominente per il riso, Nieve non riuscì a trattenersi a scoppio a ridere come mai aveva fatto in tutta la sua vita. Era la cosa più ridicola che avesse mai visto, letteralmente! Piegata dall'ilarità del momento, dapprima si resse contro la teca - la bacchetta ancora tra le mani -, dopo si sporse in avanti per trovare sostegno nel più solido pavimento e, infine, condusse un braccio all'altezza dello stomaco per cingerlo, tanto le doleva. Quando rialzò lo sguardo per posarlo sui due, il verde dei suoi occhi era annacquato dalle lacrime e il suo viso era arrossato dall'irruenza delle emozioni.

«Perdonami, Brior,» gli disse con voce rotta dal riso ancora straripante a tratti, mentre si alzava e, forzandosi a non posare il proprio sguardo su Arcibaldo, raggiungeva il concasato. «In realtà, era il piccoletto che volevo far finire a gambe per aria,» fece, rinfoderando la bacchetta e chinandosi sulle ginocchia per porsi (quasi) allo stesso livello del Caposcuola, «ma non sono tanto sicura di potermi lamentare.»

Le sue, più che scuse, erano un'ammissione di colpa nemmeno troppo rammaricata. Ed erano sufficientemente bizzarre da calzare con la situazione! Nieve e il ragazzo non si conoscevano poi molto, salvo qualche sporadica chiacchiera cortese in una Sala Comune gremita di Grifondoro, sicché non tutti si sarebbero concessi una simile libertà. Ma Nieve era diversa dagli altri e la verità fu tutto ciò che raggiunse le sue labbra quando si trovò faccia a faccia con il giovane. Per un istante, i suoi occhi girovagarono per quella porzione di sala, posandosi ora sull'uno ora sull'altro dei trofei che erano rovinati al suolo a causa della caduta di Oliver; infine, ebbero l'ardire di sfiorare la figura di Arcibaldo, che se ne stava tutto rannicchiato su se stesso con entrambe le mani sulla bocca per impedirsi di tornare a ridere e pagare, così, lo scotto di una punizione fatta di colori. Fu troppo per lei.

«Scusa la mia rudezza,» fece tra una risata e l'altra, mentre ancora lo sghignazzare sguaiato di Arcibaldo le risuonava nelle orecchie, «ma è troppo buffo.» Nel tentativo di darsi un contegno, nascose il volto alla vista, inspirò a fondo e con le dita affusolate asciugò i rigagnoli formati dalle lacrime. Infine, tornò in posizione eretta e, sorridendo ad Oliver, gli porse la mano perché l'afferrasse. «Permettimi di aiutarti...»
 
Top
6 replies since 14/3/2017, 11:59   147 views
  Share