“The opposite of love is not hate, it's indifference. The opposite of art is not ugliness, it's indifference. The opposite of faith is not heresy, it's indifference. And the opposite of life is not death, it's indifference.” ― Elie Wiesel
“Too empty to think, too blind to see, invisible to live.”Righe coincise, frasi spezzate. L’inchiostro a fatica sporcava un foglio bianco, macchiava la carta ruvida, penetrava in profondità. Polso fermo, bloccato, immobile, incapace di scorrere, di proseguire, di tenere saldamente una vecchia piuma. Gomitoli annodati di pensieri senza principio né fine, tutti diretti verso il vuoto inconsistente che invadeva la mente di una ragazzina inetta, impassibile, indifferente. Indifferente a cosa? Era forse possibile trovare una risposta? Vi era una soluzione nascosta agli irrisolvibili quesiti della mente? Le parole non escono, gli ingranaggi non girano. Tutto sembra bloccato, fermo, inanimato, congelato. Un gelido inverno che inaspettatamente riesce a immortalare la natura nel suo aspetto migliore, come una fotografia scattata al momento giusto, un ricordo indelebile fissato nella memoria. Tutto è fermo; è svanito il calore che animava le piante, nutriva i fiori, accoglieva gli animali e dava vita alle emozioni.
Provare emozioni, la più scontata caratteristica degli esseri viventi. Paura, odio, amore, affetto, felicità, terrore, imbarazzo, curiosità.. un continuo prodursi di sensazioni che alimentano il nostro vivere, il nostro modo di essere. Cosa siamo noi se non macinatori di sogni, costruttori di certezze, ricercatori di speranze? Possiamo essere altro da ciò? Possiamo costruire una casa senza fondamenta, un albero senza radici, un percorso sul niente? Provate, provate a guardare senza vedere, ad ascoltare senza sentire, a mangiare senza gustare, a muovere la bocca senza pronunciare parole. E baciate, baciate senza arrossire, senza sentire il sapore delle labbra, la consistenza della carne, il profumo della pelle. Nessun brivido, nessuna sensazione, un verbo, un’azione, un’abitudine. Vivere per abitudine o abituarsi a vivere?
“World doesn’t care about us. We are so tired to care about the world.”Cosa siamo noi di fronte all’indifferenza del mondo? Cosa siamo noi nel momento in cui proviamo la medesima indifferenza nei confronti del mondo stesso? Quando piove e le gocce non ci bagnano, scivolano su un’armatura impenetrabile, scorrono su un volto impassibile e si confondono con le lacrime che lente solcano il viso, ma non è dolore, non è nemmeno tristezza. Eppure è così sottile il filo conduttore che lega uno stato d’animo infestato dalle tenebre, circondato da un alone nero, a un’infinita parete grigia. Il primo, prepotente, nasconde i colori, li opacizza, li cancella, non lascia loro la minima speranza di esprimersi, facendoli sprofondare nel più oscuro degli abissi, nel più remoto labirinto, dove molti vagheranno per sempre. La seconda, crudele e beffarda, si offre come tela per i grandi artisti, abili a incidere graffiti, a esprimere pensieri, opinioni, per poi assorbirne l’inchiostro, divorare quanto creato, illudere di poter provare a condividere emozioni, tornando grigia, spoglia come l’anima vuota di chi si trova a fronteggiarla. Procede lenta la nostra vita, consumata, divorata. Scorrono le nostre emozioni su un nastro mobile, scivolando giù, una ad una, lungo l’infinito burrone del niente. Rimangono i nostri occhi indifferenti al tempo che scorre, si ferma la nostra bocca incapace di rispondere alle voci, scompaiono le nostre mani trasparenti al tatto. “The Sun is grey, the sky is gray, the sea is grey. Trees, houses and streets. Flowers, cars and animals. Everyone, everything. No other colour than grey.”
E come si può andare oltre? Come si può oltrepassare questo vuoto che ci pervade? Un grande balzo per colmare la distanza, lasciando da parte la paura di cadere. Perché le emozioni che spariscono, che ci lasciano, che sembrano allontanarsi lentamente come un palloncino che improvvisamente sfugge alle mani di un bambino, non possono far altro che spegnere per un attimo i sensi, i pensieri positivi o negativi che siano. Interrompono i pensieri, tenendoci in bilico, sospesi fra sensazioni contrastanti, proiettandoci nel preciso istante in cui nessuna di esse riesce prender forza. Basterebbe spingere fuori le lacrime, bagnare il volto, sprigionare una sorta di energia, allontanare dal nostro essere questo pesante macigno grigio in grado di schiacciare ogni singolo colore. Sorridere, reagire, cantare, urlare, parlare, vivere.. Smettere di vivere non rende immuni, non salva dai problemi, non è una via di fuga.
Un foglio bianco, poche righe, alcune macchie. D’un tratto, una lacrima sembra sbiadire le parole, sembra cancellare l’inchiostro. “I wish you were here..” un desiderio sconnesso, un pensiero nostalgico e ancora lacrime. Vivere non è sinonimo di sorridere, vivere non è sinonimo di felicità. Sopravvivere, nel bene e nel male, riempire la vita di momenti, di parole, di pensieri, di emozioni. La nostalgia può far male, la mancanza che soffoca il cuore, che cancella tutto, che uccide un’interiorità ferita troppo profondamente per reagire. Ma non esistono scuse, nessuna giustificazione, siamo solo noi, contro noi stessi, contro le pareti grigie che costantemente costruiamo per allontanare il dolore, contro quelle tenebre oscure che accecano i nostri occhi stanchi. “I will always love you..” quella “u” tremante, umida, sbiadita da un mare di lacrime che non può fare altro che farsi strada sul volto di chi ha sofferto, di chi ha toccato il gradino più basso e oscuro della propria personalità, di chi per un attimo ha deciso di mollare, ha temuto di non farcela, ma che combattendo, lottando, strisciando alle volte, è riuscito a rialzarsi, buttando fuori quella bestia feroce e affamata di emozioni che bruscamente stava prendendo il sopravvento.
“Be strong. There is nothing better than love ourselves. He would be happy..”