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VITA DEL SANTO «FOLLE PER CRISTO» PROKOPIJ DI USTJUG

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view post Posted on 9/9/2016, 08:35

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VITA DEL SANTO «FOLLE PER CRISTO» (JURODIVYJ) PROKOPU DI USTJTJG
La «follia per Cristo», in russo jurodstvo, è senza dubbio la più singolare ma anche, forse, la più impegnativa e diffìcile forma di ascesi che un cristiano possa praticare per giungere alla santificazione. Essa si basa su una profonda consapevolezza della totale nullità dell'uomo nei confronti di Dio, e di conseguenza tende ad esprimersi con atteggiamenti che manifestino in modo inequivocabile quella meschinità sostanziale che caratterizza ogni essere umano soprattutto dopo la caduta di Adamo.
L'essenza di questo arduo cammino di purificazione interiore consiste principalmente nel provocare e nelPaccettare volontariamente qualsiasi mortificazione ed offesa da parte degli altri, al fine di rendere sempre più salde l'umiltà e la dolcezza di cuore, e far nascere così l'amore anche per i propri nemici e persecutori. Si tratta dunque di una lotta durissima nella quale il «folle per Cristo», in russo jurodivyj, si trova per così dire a combattere su due fronti: da una parte contro il peccato e dall'altra contro la radice stessa del peccato, cioè l'orgoglio, che rappresenta l'ostacolo più insidioso posto sulla via della santificazione personale. In effetti, ciò che lo jurodivyj si prefigge è seguire giorno dopo giorno l'esempio di Cristo umiliato e crocefisso e vivere un'esistenza di completa rinuncia al mondo; tuttavia egli sa bene che proprio questa sua scelta di vita, che potrebbe farlo apparire agli occhi dei suoi simili come una creatura eletta da Dio, lo espone al grave rischio di eccitare la sua vanagloria, rendendo quindi inefficace ogni suo sforzo di perfezionamento spirituale.
Così lo jurodivyj «rifiuterà l'apparenza esteriore di dignità che incute rispetto, e preferirà che si veda in lui un povero essere anormale, degno di scherno e anche di trattamenti brutali. Le mortificazioni che egli si impone, le gesta di un ascetismo eroico, quasi sovrumano, tutto ciò dovrà essere privo di qualsiasi merito agli occhi della folla e non permettere altro che il disprezzo. In altre parole, è l'abdicazione a qualsiasi dignità umana, e persine a qualsiasi valore spirituale, è l'umiltà spinta ad un grado eroico, che talvolta lo sorpassa e può perfino apparire eccessiva»1. Per tale motivo ci furono jurodivyj che per una parte o addirittura per tutta la loro esistenza terrena, mantennero un comportamento stravagante e spesso in netto contrasto anche con le più elementari norme del vivere comune. Alcuni di loro, ad esempio, non si facevano scrupolo di mostrarsi in pubblico seminudi e sporchi; altri, interpretando alla lettera l'affermazione paolina secondo la quale «la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini» (1 Cor 1,25), assumevano atteggiamenti squilibrati, quasi ai limiti della follia patologica; altri ancora (e fra di essi si contano uomini la cui fama di santità venne ufficialmente confermata dalla canonizzazione) ostentavano addirittura un contegno apparentemente immorale che li esponeva alla censura e al ludibrio dei cosiddetti «benpensanti». Ma sebbene respinto e vituperato dalla gente comune, lo jurodivyj, che anche nel nome porta inciso il marchio di una totale estraneità al mondo (ricordiamo che il termine jurod deriva da una radice slava che significa appunto «qualcosa di estraneo»), percorre gioioso il suo tribolato cammino di asceta, benedicendo chi lo maledice e pregando il Signore per quanti lo umiliano e lo maltrattano, e questo proprio perché egli è intimamente sonetto dalla certezza di «completare nella propria carne ciò che manca ai patimenti di Cristo» (cfr. Col 1,25).
Il genere di santità di cui fa parte la «follia per Cristo», non riguarda esclusivamente la spiritualità russa, anche se, come afferma Fedo-tov, «la santa follia divenne in Russia la forma più popolare, e veramente nazionale, della vita ascetica»2.
I primi santi «folli» comparvero infatti in Egitto e in Siria nell'ambito del monachesimo cristiano e ce ne danno testimonianza la Storia Lausiaca di Palladio, la Storia dei monaci d'Egitto e VAscetikon di abba Isaia, dove incontriamo diverse figure di monaci e monache che praticavano questa singolare forma di ascetismo, alcuni solo all'interno della loro comunità, altri soltanto in pubblico.
La Chiesa bizantina, dal canto suo, venera ben sei santi «folli per Cristo» (i cosiddetti sàloi), dei quali i più celebri sono san Simeone (VI secolo) e sant'Andrea (IX secolo). Le loro biografie, piuttosto lunghe e ricche di particolari, ebbero ampia diffusione anche nell'antica Russia ed esercitarono un'indubbia influenza sulle Vite degli jurodìvyj russi, che, nella maggior parte dei casi, furono scritte un secolo o due dopo la scomparsa dei loro protagonisti.
Anche la biografia di san Prokopij di Ustjug (fi 303), il primo santo «folle» della Russia cristiana, non fa eccezione a questa regola: essa venne infatti redatta almeno duecento anni dopo la morte del Santo da un anonimo agiografo che per compilarla - come lui stesso ci fa capire - attinse informazioni sia da una tradizione orale ancora presente nei luoghi dove Prokopij aveva vissuto, sia da alcuni resoconti scritti raccolti nelle cronache del tempo.
Sulle origini di questo santo «folle» sappiamo assai poco: il prologo della sua Vita dice soltanto che egli era un «ricco commerciante varjago», cioè scandinavo, giunto a Novgorod dove aveva dato inizio ad una florida attività mercantile. Soggiogato dalla magnificenza del culto ortodosso, Prokopij, che quasi certamente era pagano, dimostra subito un forte desiderio di conoscere a fondo la religione professata nel paese che lo ospita e perciò si reca alla Laura di Chutyn', dove viene istruito e quindi battezzato dal fondatore stesso di quel monastero, il santo igumeno Varlaam (macroscopico errore del biografo, dato che san Varlaam era morto cent'anni prima!).
Una volta divenuto cristiano, Prokopij non solo rinuncia ad ogni suo avere, che distribuisce ai poveri, ma rinuncia anche a se stesso e comincia a comportarsi come un povero pazzo, «giacché - dice la Vita - egli aveva immerso tutta quanta la sua mente in Dio». Comunque i suoi atteggiamenti bizzarri non gli attirano affatto le critiche e il disprezzo dei novgorodiani, che al contrario prendono a considerare quel loro strano concittadino come una creatura eletta dal Signore. A questo punto il nostro jurodivyj, temendo che la gloria degli uomini possa mettere in serio pericolo la sua umiltà - lui che aveva fatto di tutto per rendersi abietto agli occhi dei propri simili -, decide di abbandonare Novgorod e dopo aver peregrinato in vari luoghi, alla fine si stabilisce a Ustjug, un piccolo centro a nord-est della città sul Volchov.
Qui egli riprende la sua solita vita di emarginato: non ha una casa, dorme accovacciato sopra un mucchio di spazzatura o nell'atrio della cattedrale; più nudo che vestito, sopporta pazientemente i rigori dell'inverno e la calura estiva; si nutre soltanto di quel poco «che le rare persone timorate di Dio gli portano» (Vita). Dei suoi straordinari carismi il santo «folle» da subito prova predicendo agli abitanti di Ustjug che se non si pentiranno dei loro peccati, Dio li colpirà con un terribile castigo. Ma le sue sono parole al vento: nessuno infatti si dimostra disposto ad ascoltare i vaneggiamenti di un povero sciocco...
Passano così due settimane e quando la profezia dello jurodivyj sembra ormai completamente dimenticata, ecco che un giorno, all'improvviso, il cielo sopra la città si copre di nuvole minacciose, mentre un assordante fragore di tuoni fa tremare le case. Gli abitanti di Ustjug, presi dal panico, si precipitarono in massa verso la cattedrale, dove poco dopo giunge anche Prokopij. Questi si butta in ginocchio davanti all'icona della Santissima Madre di Dio e tra le lacrime comincia ad implorarla affinchè salvi la città dalla collera divina.
Nel frattempo, un rivolo di sacro crisma prende a colare dalla sacra immagine, segno che la Vergine ha esaudito le preghiere del santo «folle». A poco a poco infatti le tenebre si dissolvono e il rumore dei tuoni si allontana. Lo spaventoso uragano si scarica a una ventina di verste da Ustjug, rovesciando sopra una zona disabitata una pioggia di meteoriti infuocate, ma senza uccidere né uomini né animali. 1 danni provocati da quella singolare grandinata furono però notevoli, tanto che le loro tracce erano ancora visibili due secoli più tardi. Alcune delle meteoriti cadute durante quel cataclisma vennero conservate nella cattedrale di Vladimir.
Dopo un simile miracolo i cittadini di Ustjug si mostrarono un po' meno scostanti verso colui che li aveva preservati dalla punizione divina? Nient'affatto. Prokopij continuò ad essere rifiutato e vilipeso. Durante un inverno eccezionalmente rigido, \ojurodivyj, vinto dal freddo, osa chiedere asilo agli abitanti di alcune casupole che sorgevano nei pressi della cattedrale, ma viene cacciato a colpi di bastone. Cerca allora rifugio accanto ad un gruppo di cani accovacciati nell'angolo di una casa abbandonata, ma anch'essi lo respingono e fuggono lontano da lui. A quel punto il poveraccio, benedicendo Dio, ritorna al suo posto abituale nell'atrio della chiesa e già si prepara a morire, quando all'improvviso avverte una piacevole sensazione di calore e vede presso di sé un angelo che con un ramoscello fiorito gli sta riscaldando il corpo semiassiderato. La stessa cosa era accaduta, alcuni secoli prima, ad un altro «folle per Cristo»: sant'Andrea di Costantinopoli.
Superata, grazie all'aiuto di Dio, questa terribile prova, Prokopij ricomincia a prodigarsi per il bene dei suoi ingrati concittadini. Adesso
lo si vede vagabondare per tutta la città armato di tre attizzatoi (anche nelle icone egli viene rappresentato con in mano questi tre strumenti) che a volte tiene girati verso l'alto, a volte verso il basso. I cittadini di Ustjug non tardano a capire che con quel suo comportamento bizzarro Prokopij intende lanciare loro un preciso messaggio: portati con la punta in alto, gli attizzatoi annunciavano infatti un raccolto abbondante; con la punta in basso, un'annata cattiva. E le previsioni del santo «folle» non mancavano mai di avverarsi.
Scampato miracolosamente ai rigori dell'inverno russo, il nostroyw-rodivyj muore però durante un'insolita nevicata estiva, che stranamente non aveva procurato danni né alle piante né ai frutti. L'8 luglio 1303, ci informa con estrema precisione il suo biografo, Prokopij è trovato cadavere, «con le dita delle mani piegate nel gesto di chi si sta facendo
Il segno della croce», sotto un cumulo di neve, vicino al monastero dell'arcangelo Michele, e viene sepolto, come lui stesso aveva chiesto, sulla riva del fiume Suchona, presso una grossa pietra sulla quale era solito sedersi. Subito dopo la sua morte il santo «folle» divenne oggetto di grande venerazione da parte degli abitanti di Ustjug che gli dedicarono perfino una chiesa; il suo culto, per oltre due secoli, rimase però soltanto un culto locale, finché nel 1547 il Sinodo di Mosca lo estese a tutta quanta la Chiesa russa.
Prima di san Prokopij di Ustjug la «follia per Cristo» era sconosciuta in Russia. È vero che nel Paterik di Kiev si fa menzione del santo monaco Isaak (XI sec.) che nell'ultima parte della sua vita aveva assunto atteggiamenti dajurodivyj, ma il suo fu un caso del tutto eccezionale e che per diverso tempo non ebbe alcun seguito nel paese. In effetti solamente dal XIV secolo in poi \ojurodstvo comincerà a diffondersi in tutta la Russia come una forma speciale di ascetismo e raggiungerà il cul-mine nei secoli XV e XVI. Anche diversi stranieri venuti in Russia in quel periodo parlano, nei resoconti dei loro viaggi, di «folli per Cristo», descrivendoli come esseri seminudi o nudi, carichi di catene e coi capelli in disordine, che amavano rivolgersi alta gente con gesti bizzarri e proverbi da loro inventati. «Questi pazzi» - scrive nelle sue Memorie il barone Sigmund von Herberstein che fu a Mosca, in qualità di ambasciatore imperiale, nel 1517 e nel 1526 - «sono venerati come profeti; quando accusano qualcuno delle sue colpe, quello risponde umilmente: "Lo merito". Essi prendono nei negozi tutto ciò che vogliono e i mercanti, invece di farli pagare, li ringraziano. Quello che prendono, poi, lo donano ai poveri».
Tra i numerosi santi «folli» vissuti nei secoli XV e XVI, ricordiamo innanzitutto il beato Isidor di Rostov (f 1474)), originario della Germania, il quale «fattosi jurodivyj» - dice la sua biografia -, «abbandonò la sua patria per dirigersi verso le contrade orientali. Egli dovette subire molte ingiurie e battiture da parte degli stolti. Nudo, sopportava con pazienza il freddo dell'inverno e gli ardori del sole, mortificando la sua carne, e giunse così fino a Rostov». Taumaturgo e dotato del carisma della profezia, Isidor venne proclamato santo nel Concilio di Mosca del 1549.
Sempre a Rostov visse la sua esistenza di «folle per Cristo» un altro straniero, loann il Capelluto (Vlasatyi) (f 1580), anch'egli probabilmente di origine tedesca. Sulla sua tomba erano conservate, ancora nel 1700, due sue reliquie: una croce d'argento e un salterio «in lingua latina, assai consunto», di cui il beato si era servito fino alla morte.
Nel secolo XVI, che potremmo definire il periodo d'oro dello yurodivyj in Russia, visse a Mosca uno dei santi «folli» forse più conosciuti e amati dal popolo russo: il beato Vasilij, soprannominato Nagochodez, ossia il «Camminatore nudo» (anche nelle icone egli viene sempre raffigurato in «costume adamitico», e un Kontakion a lui dedicato lo elogia «per essersi spogliato degli abiti perituri ed aver rivestito la tunica dell'immortalità»). La sua Vita, che ha più i tratti di un panegirico che non quelli di una vera e propria biografia, lo dice nato in un sobborgo di Mosca, da genitori «poveri, onesti e timorati di Dio». Ancora bambino, Vasilij venne messo a bottega presso un calzolaio e proprio lì egli diede prova per la prima volta delle sue doti di chiaroveggente.
Un giorno entrò nel negozio un cliente e ordinò un paio di stivali robusti. A tale richiesta il giovane fece una risatina, e quando il cliente se ne fu andato, al calzolaio che gli chiedeva la ragione di quel sorriso enigmatico, rispose: «Ho sorriso, perché purtroppo quell'uomo non potrà godersi i suoi stivali robusti. Domani infatti, a quest'ora, sarà già morto». E la cosa andò proprio così.
Vasilij lasciò presto il calzolaio e cominciò a vagabondare nudo per !e vie di Mosca. Tutte le sue azioni, a prima vista sconsiderate, in realtà nascondevano un significato «molto saggio», dice la sua Vita. E in effetti quando lo yojurodivyj prendeva a sassate le case dei ricchi e abbracciava i muri di quelle in cui avvenivano «atti di pietà», lo faceva perché alle pareti delle prime vedeva abbarbicati stormi di diavoli, mentre accanto ai muri delle seconde vedeva angeli in preghiera. Amico del giovane zar Ivan il Terribile, Vasilij ricevette una volta da questo sovrano una cospicua somma di denaro, ma anziché distribuirla ai poveri della città, la consegnò ad un mercante che tutti ritenevano molto facoltoso. La ragione di questo gesto apparentemente assurdo è presto detta: quel mercante era caduto in miseria e non osando mendicare, soffriva in silenzio la fame. Un'altra volta \vjurodivji infranse un'icona della Santissima Vergine situata presso la porta di santa Varvara a Mosca e che era assai venerata. Per Vasilij cominciava già a tirare aria di linciaggio, ma lo sdegno di quanti avevano assistito al fatto si mutò subito in approvazione, quando si scoprì che sotto quell'immagine sacra era dipinta Peffige di Satana.
Benché legato da amicizia con Ivan il Terribile, il santo «folle» non si faceva tuttavia scrupolo di rimproverarlo ogniqualvolta questi lo meritava. Così un giorno, al sovrano che gli chiedeva per quale motivo non lo avesse visto in chiesa durante la celebrazione della Divina Liturgia, egli rispose in modo sibillino: «Mio signore, io ero là dove tu eri, e là dove tu non eri». «Io ero soltanto in chiesa», replicò Ivan. «No, zar, -soggiunse lo yujurodivji - tu menti. Io ti ho visto passeggiare sul Monte dei Passeri, nel luogo dove hai intenzione di costruirti un palazzo». Ivan sorrise. «È vero, disse, hai ragione. Ero proprio là».
Morto nel 1552 all'età di quasi novantanni, Vasilij venne dichiarato santo nel 1588. Sul luogo dove era stato sepolto fu eretta, nella seconda metà nel 1500, una chiesa per commemorare la vittoria che i Russi avevano riportato a Kazan sull'esercito dei Tatari. Dedicata alla «Protezione della Santissima Madre di Dio» (Pokrov), questa chiesa venne ben presto ribattezzata dal popolo col nome di «cattedrale di san Vasilij», ed è quella singolare e policroma costruzione a spirali che ancora oggi possiamo ammirare nella Piazza Rossa accanto al Cremlino.
«Dopo il XVI secolo» - ci informa I. Kologrivov - «lo Jurodstvo andrà declinando, e se pure i "pazzi nel nome di Cristo" non scompariranno mai totalmente dagli annali della spiritualità russa, le autorità ecclesiastiche, a cominciare dal XVIII secolo, non li riconosceranno più e non benediranno più questo tipo di santificazione».


Il beato Prokopij era in origine un ricco mercante varjago che era venuto nella grande città di Novgorod, dove aveva avviato un'attività commerciale molto redditizia. Sempre a Novgorod egli aveva avuto modo di ammirare la grande dignità della Chiesa orientale e siccome ben presto si era reso conto di quanto la fede ortodossa fosse superiore a qualsiasi altra religione, si mise alla ricerca di un uomo pieno di Spirito Santo che gli facesse da maestro e lo illuminasse su tale fede, che egli desiderava conoscere a fondo ed abbracciare. Ora, avendo sentito parlare del santo padre Varlaam di Chutyn' come di un uomo molto esperto e dotato di profonda sapienza spirituale, Prokopij si recò da lui e da lui venne istruito a sufficienza sui punti fondamentali della fede cristiana. Ricevuto poi il battesimo, distribuì tutte le sue ricchezze ai poveri riservandone però una parte anche per la Chiesa, dopodiché si fece mendicante e da quel momento cominciò a disprezzare non solo il mondo con i suoi allettamenti ma anche se stesso. Prese quindi a condurre la vita di un folle per Cristo e a comportarsi davanti agli uomini come un povero pazzo, poiché aveva immersa tutta quanta la sua mente in Dio.
Quelli che lo conoscevano, vedendo come viveva, cominciarono a lodarlo, dicendo: «Quest'uomo è grande dinanzi al Signore; egli infatti si è convcrtito da una fede falsa a quella vera. Possedeva molte sostanze e le ha distribuite tutte ai poveri. Ha disprezzato se stesso e ora si comporta come un folle per Cristo». Quando tali elogi vennero all'orecchio di Prokopij, questi rimase molto turbato e siccome non sopportava di essere glorificato dagli uomini, se ne andò in altre contrade dove, a causa della sua vita di folle, subì molti maltrattamenti da parte di coloro che non capivano quel suo strano comportamento.
Alla fine giunse nella città dì Ustjug4 dove prese stabile dimora. Durante il giorno vagava per la città comportandosi come un pazzo, per questo molti lo insultavano e soprattutto i monelli gli giocavano brutti tiri. La notte poi si rifugiava nella chiesa dove, fra le lacrime, pregava Dio per la città, per i suoi abitanti e per quelli che lo maltrattavano, dicendo: «Signore, non imputare loro questo peccato!» (cfr. At 7,59).

Quando voleva riposarsi dalle fatiche, si buttava a dormire sopra un mucchio di spazzatura e durante l'inverno, ricoperto soltanto di un vecchio e logoro vestito che lo lasciava seminudo, soffriva i rigori del gelo e della neve; d'estate invece pativa la vampa infuocata del sole. Mangiava soltanto quel poco di cibo che le rare persone timorate di Dio gli portavano, ma non tutti i giorni. Dai ricchi e da quanti commettevano ingiustizia non accettava mai nulla, tanto che spesso rimaneva anche parecchi giorni senza mangiare. Nel corso della sua esistenza Prokopij divenne quindi un martire per propria volontà, mortificandosi mediante l'astinenza dal cibo e dalle bevande, conducendo una vita di nudità e di esilio5 e sopportando privazioni, percosse e maltrattamenti. Quando vagabondava per le strade della città inseguito da coloro che gli lanciavano ingiurie, seminudo e con l'abito stracciato che gli pendeva giù da una spalla, dimostrava a tutti di tenere il mondo in nessun conto. Le sue spalle erano scoperte e sempre pronte a ricevere nuove battiture, perché su di lui si compisse quanto è stato scritto: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6).
Come premio per la sua vita dì reietto, in lui prese dimora la Grazia del Signore che gli concesse il dono della chiaroveggenza, cioè la facoltà di prevedere e predire il futuro. Prokopij si stabilì poi nell'atrio della cattedrale della Santissima Madre di Dio e lì pregava incessantemente per il bene della città, versando lacrime e facendo continue prosternazioni. E Dio non lasciava inascoltate le sue preghiere, che erano cosi potenti da allontanare dagli uomini la collera divina, come dimostra il fatto che stiamo per narrare.
Una volta il Signore, siccome i peccati degli abitanti di Ustjug avevano oltrepassato ogni misura, decise di distruggere la città con fulmini e con una pioggia di pietre, come già era accaduto ai tempi di Giosuè, quando Dio aveva fatto piovere dal cielo grosse pietre sugli Amorrei per annientarli (cfr. Gs 10,11). Dunque, il Signore voleva comportarsi allo stesso modo e distruggere come fossero suoi nemici tutti quei cristiani che non facevano penitenza per le loro colpe, che erano malvagi, che si rotolavano nel fango dei loro peccati e si opponevano a Gesù Cristo Suo Figlio, e che perciò suscitavano la Sua ira e la Sua vendetta. Così il Santissimo Vendicatore si preparava a mandare morte e rovina sulla città di Ustjug che Lo aveva fatto adirare.
Il beato Prokopij, avendo previsto tutto ciò, mise in guardia la città come un tempo aveva fatto il profeta Giona con la città di Ninive (cfr. Gn 3,4). Un giorno, mentre nella cattedrale si stava cantando l'Ufficio divino, il santo folle cominciò ad invitare la gente a fare penitenza, dicendo: «Fratelli, pentitevi dei vostri peccati e placate l'ira del Signore con digiuni e suppliche, altrimenti il Signore fra poco vi annienterà con una grandine di pietre!» I suoi avvertimenti però non venivano presi sul serio e la gente diceva tra sé e sé: «Quest'uomo e pazzo e non può certo parlare in maniera assennata». Terminata la Divina Liturgia, Prokopij si recò nell'atrio della cattedrale e lì cominciò a piangere e a singhiozzare. Quelli che passavano davanti alla chiesa, vedendolo così disperato gli domandavano: «Perché piangi? Quale pena hai nel cuore?» Ed egli: «Vegliate e pregate, fratelli, affinchè non vi colpisca la sventura!» Ma era come se parlasse al vento.
Tre giorni dopo, il Beato uscì dall'atrio della chiesa e cominciò a vagare per la città predicendo, fra le lacrime e i lamenti, a tutti gli abitanti che la punizione del Signore era oramai prossima. Diceva infatti; «Fate penitenza! Piangete sulle vostre colpe e supplicate Dio che allontani da voi la Sua giusta ira e non vi distrugga come già fece con Sodoma e Gomorra!» Ma quella gente, siccome aveva il cuore indurito, continuava a non prestare ascolto alle sue predizioni, anzi lo derideva come un povero pazzo. E così Prokopij era il solo che facesse penitenza e giorno e notte supplicasse il Signore per tutti.
Due settimane dopo, verso mezzogiorno, una nube enorme si addensò sopra la città e oscurò la luce del sole al punto che sembrava notte fonda. Alla vista di tale fenomeno, i cittadini non compresero e si limitarono a chiedersi a vicenda: «Cosa starà mai per accadere?» Ma ecco, dai quattro punti cardinali altre grosse nubi vennero verso la città, mentre uno spaventoso fragore di tuoni che rendeva impossibile percepire qualsiasi parola, cominciò a far tremare la terra. Allora finalmente i cittadini si resero conto che la loro rovina era imminente e che l'ira del Signore stava per abbattersi su Ustjug. E in quell'ora tremenda si ricordarono della profezia del beato Prokopij. Allora tutti quanti corsero verso le chiese e in particolare verso la cattedrale della Santissima Madre di Dio per innalzare suppliche al Signore. Giunse anche il beato Prokopij, che si buttò in ginocchio davanti all'icona della Santissima Vergine e tra le lacrime cominciò ad implorarLa di intercedere presso suo Figlio per quegli uomini che con le loro colpe si erano attirati la collera divina. Poi supplicò Dio come un tempo aveva fatto Mosè, dicendo: «Perdona, o Signore, questa gente e i suoi peccati... E se no, cancellami dal Tuo libro che hai scritto!» (Es 32,32).
Ora, mentre Prokopij e tutto quanto il popolo erano intenti a supplicare Dio e la Sua Purissima Madre, presso l'icona di Quest'ultima accadde un miracolo strepitoso. Dall'immagine della Santissima Vergine scaturì, come da una sorgente, una grande quantità di sacro crisma che cominciò a scorrere lungo la chiesa, andando a riempire tutti i vasi sacri. In quella stessa ora, il vento e le terribili nubi che minacciavano Ustjug si abbatterono con tuoni e fulmini sopra una contrada deserta lontana venti verste6 dalla città, e lì scaricarono una pioggia di grosse pietre infuocate che incendiarono e distrussero parecchi boschi. Ma né uomini né animali subirono alcun danno grazie all'intercessione della Santissima Madre di Dio e alle preghiere del beato Prokopij. Le pietre che l'ira del Signore aveva fatto piovere su quel luogo disabitato, visibili ancora oggi, rappresentano una testimonianza e insieme un terribile monito per le generazioni future, affinchè si pentano dei loro peccati. Del crisma che era scaturito dall'icona della Santissima Madre di Dio, la gente si serve tuttora per farsi il segno della croce e per purificarsi, e tutti coloro che soffrono di dolori morali o di qualsiasi malattia del corpo ne ricevono sollievo e salute fisica. Non vi dico poi la gioia degli abitanti di Ustjug per lo scampato pericolo e per il dono di quell'olio miracoloso ottenuto grazie alla benevolenza della Purissima Madre di Dio!...
Intanto il beato Prokopij continuava a condurre la sua solita vita di folle per Cristo e a nascondere agli uomini le proprie virtù. Quanto grande fosse poi la sua costanza nel sopportare ogni cattiveria e come il Signore lo rendesse forte con la Sua grazia, lo dimostrerà il seguente episodio.
Ci fu un anno in cui venne un inverno talmente rigido da far dimenticare tutti quelli precedenti. Freddo insopportabile, violente precipitazioni, nevicate cosi abbondanti che molte case furono addirittura sepolte. Gli uccelli cadevano a terra stecchiti, mentre parecchi uomini e animali perirono non solo in campagna ma anche in città. Ma chi più di ogni altro soffrì i rigori di quell'inverno eccezionale che sembrava non dovesse finire mai, furono i poveri e i mendicanti, la maggior parte dei quali morirono assiderati.
Anche Prokopij, sempre mezzo nudo, pativa sul suo corpo le sferzate di quel freddo intensissimo. Una notte, volendo riscaldarsi un po', uscì dall'atrio della chiesa e si diresse verso un gruppo di casupole che sorgevano presso la cattedrale ed erano abitate da povera gente. Alcuni abitanti, sentendolo arrivare, gli chiusero violentemente la porta in faccia, mentre altri lo presero addirittura a randellate e scacciandolo gli gridarono: «Vattene via, pazzo!» Il poveraccio cercò allora rifugio in una casa abbandonata dove, in un angolo, trovò alcuni cani accovacciati, ma appena fece per sdraiarsi accanto a loro, quelli si alzarono di scatto e fuggirono lontano da lui. Quando il Beato vide che non solo gli uomini ma perfino i cani lo aborrivano, disse tra sé e sé: «Sia benedetto il Nome del Signore, ora e per sempre». Dopodiché tornò nell'atrio della chiesa, si sedette tutto intirizzito e siccome pensava di essere oramai sul punto di esalare l'ultimo respiro, pregò il Signore di accogliere la sua anima. Ma ecco che all'improvviso si sentì invadere da una piacevole sensazione di calore; aprì gli occhi e vide accanto a sé un angelo del Signore nelle stesse sembianze in cui, tempo prima, a Costantinopoli, era apparso al santo folle Andrea Solas, anch'egli in pericolo di vita a causa di un'analoga situazione di gelo intenso.
L'angelo, che teneva in mano un ramoscello ricoperto di fiori variopinti, sfiorò con questo il volto del beato Prokopij e ne rianimò il corpo riscaldandolo col profumo di quei fiorì, come già aveva fatto in passato col beato Andrea. E così Prokopij, salvato e protetto dalla Misericordia divina, potè superare senza danno i rigori di quell'inverno. In seguito egli raccontò il fatto ad un suo caro amico di nome Simeon, diacono e uomo di grandi virtù, il quale divenne poi padre di santo Stefano di Perm. Se abbiamo qui ricordato il padre di santo Stefano di Perm, non possiamo non ricordare anche la promessa che Prokopij fece alla madre dello stesso Santo, allorché questa venne nella città di Ustjug. Ed ecco come si svolsero i fatti.
Mentre nella cattedrale di Ustjug sì stavano cantando i Vespri entrò in chiesa insieme ai genitori una bimbetta di tre anni di nome Maria. Appena il beato Prokopij la vide, le si prostrò dinanzi fino a terra, poi disse in modo che tutti potessero udire: «Ecco qui la madre del grande Stefano, il vescovo e maestro di Perm». A queste parole, i presenti mormorarono stupiti: «Ci potrà mai essere un vescovo a Perm?» A quel tempo infatti la regione di Perm non aveva ancora conosciuto la luce della vera fede; tutti i suoi abitanti erano pagani e restarono tali fino al giorno in cui giunse presso di loro santo Stefano, il quale fu appunto generato da quella bambina dopo che essa, divenuta adulta, ebbe sposato il suddetto Simeon.
Meraviglioso, dunque, era il carisma profetico del beato Prokopij, ed egli lo esprimeva non solo con le parole ma anche con i gesti. Per esempio, il santo folle teneva sempre nella mano sinistra tre attizzatoi: quando rivolgeva le loro punte verso l'alto, era segno che la terra avrebbe dato in quell'anno frutti abbondanti; quando invece le rivolgeva in basso, ebbene si poteva star certi che in quell'anno non ci sarebbe stato altro che miseria e scarsità di raccolti.
Il Beato si recava spesso sulle rive del fiume Suchona che scorre presso la città di Ustjug e là, seduto sopra un masso, a tutti quelli che riusciva ad attirare a sé rivolgeva la seguente preghiera: «Dopo la mia morte, seppellitemi qui e mettete sulla mia tomba questo masso».
Una notte, sentendosi ormai prossimo alla fine, Prokopij si recò nelle vicinanze del monastero dell'Arcangelo Michele e là, senza che nessuno se ne accorgesse, rese l'anima a Dio. Questo avvenne nell'anno 1303 e precisamente l'8 di luglio, cioè il giorno in cui si fa memoria del santo martire Prokopij suo omonimo9.
La notte in cui il santo folle morì, venne un'abbondante nevicata, due spanne di neve o forse più, che ricoprì tutta quanta la terra; ci furono anche freddo, gelo e tempesta, ma nonostante ciò le piante e i frutti non riportarono alcun danno. Poco dopo ritornò a splendere il sole, che accompagnato da un vento benefico in breve tempo sciolse tutta la neve. Quando fu l'ora del Mattutino, il clero e i sacrestani della cattedrale si meravigliarono di non vedere Prokopij al suo solito posto, dato che egli, sia di giorno che di notte, non mancava mai alla Liturgia. Lo cercarono nei dintorni della chiesa, ma non lo trovarono. Continuarono le ricerche per tre giorni di seguito, ma del Beato nessuna traccia. Finalmente, il quarto giorno, lo trovarono davanti alla chiesa dell'Arcangelo Michele alla fine del ponte, morto e con il corpo ricoperto dalla neve che la tempesta aveva accumulato in quel luogo.
Prokopij giaceva con gli occhi chiusi, il viso rivolto al cielo e le dita della mano destra piegate nel gesto di chi si sta facendo il segno della croce. Allora lo sollevarono e con grande rispetto lo trasportarono sulle spalle fino alla cattedrale, nel cui atrio il santo folle aveva per tanti anni vissuto; poi, dopo avere cantato secondo la consuetudine l'Ufficio funebre, lo seppellirono sulla riva del fiume Suchona, proprio nel luogo che egli stesso, tempo prima, aveva indicato. Sulla sua tomba posero quindi quel masso su cui tante volte egli si era seduto e sopra di esso scrissero Tanno, il mese e il giorno della sua morte,
La vita di Prokopij non venne subito narrata per iscritto, ma per lungo tempo fu tramandata soltanto oralmente. Quando, dopo parecchi anni, cominciarono ad accadere miracoli presso la sua tomba, sul luogo dove riposavano le sue sante ossa venne innalzata una chiesa e a causa delle molte guarigioni che si verificavano si decise di considerare il giorno della dipartita del Beato come giorno di festa. Finalmente, per evitare che le mirabili vicende della vita di questo servo del Signore cadessero nell'oblìo, si cominciarono a raccogliere e a mettere per iscritto i resoconti su di esse. E questo venne fatto sia per conservare la memoria del santo jurodivyj, sia per edificazione di quanti avrebbero letto e ascoltato gli avvenimenti della sua vita, sia per rendere gloria a Cristo Nostro Signore, al Quale sia onore e lode insieme al Padre e allo Spirito Santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.


I. Kologrivov, op. cit., p. 274.
Cfr. G.R Fedotov, The Russian Religious Mina, Cambridge 1966, p. 317.

5 5 L'esilio volontario è una forma di ascesi molto diffusa sia nel monachesimo orientale che in quello russo. Ed ecco quanto dice in proposito san Giovanni Climaco nella sua Scala del Paradiso (III, 1): «L'esilio volontario è l'abbandono senza ritorno di tutto ciò che nella nostra patria ci impedisce di raggiungere lo scopo della pietà. L'esilio volontario è un comportamento riservato, una saggezza che rimane sconosciuta, una prudenza che non appare all'esterno, una vita nascosta, un disegno segreto, un pensiero che non manifesta nulla, una forte inclinazione per una vita fatta di disagi e di abiezione, una base sicura per il desiderio dì Dio, un'abbondanza di amore, una rinuncia alla vanagloria, un abisso di silenzio».
 
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Matteo.s
view post Posted on 4/1/2020, 23:20




Interessante! Ai giorni nostri il jurodstvo è ancora presente?
 
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1 replies since 9/9/2016, 08:35   344 views
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