Stella dell'Eire, Privata

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view post Posted on 17/6/2016, 19:44
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eire
Preso da una lastra trovata a Mona Incha, nella Contea di North Tipperary, in Irlanda, il disegno è una banda circolare che forma quattro punti nel centro. I cappi formano una croce a braccia curve in espansione. Può quindi venire vista sia come una stella che come una croce. La stella, un simbolo direzionale, è usata per la protezione e la crescita spirituale. Il vincolo continuo rappresenta l'eternità, la fedeltà e l'unità. È uno dei modelli più vecchi e frequenti in tutta Irlanda.
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Il Sole era tramontato da pochi minuti, striando il cielo di un arancio che sfumava nel rosso sangue, mentre il canto degli uccellini e dei primi rapaci assassini si sollevava dall'alto delle chiome frondose degli abitanti della Foresta Proibita. La pace non era ancora calata, segno che la notte non fosse giunta per davvero, ma c'era del sublime in quel paesaggio mozzafiato, c'era del divino in quel mondo che si palesava all'occhio umano con fascino, incanto ed estrema energia. Non faceva neanche molto caldo, il clima si era assopito come un bambino e fortunatamente una brezza estiva, serale, aveva cominciato a soffiare nei giardini di Hogwarts, salendo pian piano verso ogni anfratto dell'omonimo imponente castello. Gli studenti erano pronti per concludere i corsi, alcuni già erano rintanati nelle loro Sale Comuni in attesa che l'orario della cena scoccasse; qualcuno percepiva il solito languorino all'idea di tante salsicce da condire con salsa barbecue, qualcun altro agognava il momento durante il quale avrebbe potuto scambiare due chiacchiere con i concasati, a tavola, senza che doveri e compiti disturbassero come durante l'intero arco della giornata. Tutto si avvivava alla conclusione, tutto si rendeva placido. Tutto, tranne il cuore di uno dei tanti giovani studenti che abitava quelle mura. In alto, molto in alto, alla Torre di Divinazione, il cui nome sarebbe stato singolare per gli eventi futuri, sedeva il Caposcuola Grifondoro con aria assorta, la mente piena di pensieri e i battiti pulsanti come poche altre volte in tutta la sua vita; le mani tremavano, ma questa volta la colpa non risiedeva nel disturbo del sonno, perché grazie ad un Filtro in grado di invocare Morfeo, simbolicamente parlando, il ragazzo aveva riposato almeno un paio d'ore prima di recarsi in quella zona desolata della sua Scuola; questa volta il motivo del suo turbamento era più intenso, profondo, ovviamente spirituale. Non aveva fatto cenno con nessuno, ad eccezione del suo migliore amico durante una sera trascorsa insonne, tanto per cambiare, a guardare le stelle con una Puffola Pigmea come cuscino. Non succedeva sempre, ovviamente, ma quel ricordo era ancora in grado di far scivolare un sorriso sul volto del Grifondoro. Non c'erano segni evidenti di cosa passasse per l'anticamera del cervello di Oliver, ad eccezione di una serie di disegni che facevano a gara, l'uno verso l'altro, per chi dovesse avere il primo posto sul pavimento incrostato di quella parte desolata del castello, perché ogni pergamena era infilata in un fascicolo di altre pergamene e sprazzi di diverse visioni si potevano notare dall'alto.
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Alla destra del ragazzo, lampante come pochi altri schizzi nei paraggi, si scorgeva un occhio, un vero e proprio occhio stilizzato con tonalità di grigio e nero differenti, ottenute con alcune matite dalla punta spezzata che si vedevano poco distanti dal plico di carta. C'erano altri disegni di occhi, cambiavano le dimensioni, ma l'oggetto era lo stesso. Spostando lo sguardo ancor più verso sinistra, invece, c'erano tante carte stracciate, alcune appallottolate e altre inutilizzabili perché sporche d'inchiostro, ma la maggior parte presentava una calligrafia sottile, elegante e sinuosa, tipica di uno studioso di bon ton come Oliver: erano troppe parole per capire, ad una prima rapidissima occhiata, di cosa si trattasse per davvero, eppure un titolo a caratteri cubitali, grandi e marcati, recitava qualcosa come:
"Numerologia Babbana e Magica" con attorno una nube di tantissimi sette, sia in forma letteraria sia numerica, che formavano una sorta di cornice svampita. Ma non era finita. «Bifronte, bifronte... eccoti»
Oliver era seduto a gambe incrociate, come un indiano, esattamente al centro di quel cerchio di carta e inchiostro. Matite, fogli, piume ricaricate e altre asciutte, boccette d'inchiostro e addirittura un tamburo gli facevano da contorno, accentuando con i loro spenti colori le altrettanto poche vivaci sfumature dei vestiti indossati dal giovane Mago: una camicia a quadri, una felpa aperta e nera e un paio di jeans dalle cui estremità finali spuntavano piedi scalzi, i cui calzini erano di un rosso acceso come il fuoco. Un paio di Converse, sempre rosse, era stato gettato accanto la parete di tufo della zona. C'era un arco in pietra, una sorta di finestra, che affacciava verso i giardini e dal quale entrava la brezza serale: Oliver aveva coperto ogni plico con vari oggetti, a partire dalle scarpe fino alla bacchetta magica, così da evitare che volassero via nel caso in cui il vento aumentasse. Aveva scelto quel punto desolato della Torre di Divinazione perché lontano dall'Aula dell'omonima materia, ma soltanto girando l'angolo sarebbe stato scoperto. Avrebbe pur sempre potuto dire di essere alla ricerca di un punto desolato e tranquillo dove studiare, del resto non era tanto distante dalla verità. Le mani erano sporche di inchiostro mentre scrivevano febbrilmente qualche appunto preso da un libro nelle vicinanze dal titolo: "Araldica Magica: Dinastie di Sangue e Dinastie di Unione" che aveva tutta l'aria di essere un tomo polveroso. Un segnalibro, una foglia per l'esattezza, era stato infilato nel capitolo che Oliver stava ricopiando sulle sue pergamene.
aquila
Un simbolo a forma di aquila, di doppia aquila in effetti, era stato disegnato alla piega più alta della pergamena utilizzata, mentre parole su parole facevano da collante e forse da spiegazione a quel marchio. Altri libri, altri titoli strani e altre piume erano in bella mostra, sparse in un disordine che ad Oliver poco s'addiceva, essendo sempre stato in contrasto con il Caos, lo stesso Caos che sembrava averlo colto all'improvviso pochi mesi prima. Per chiunque, quella scena sarebbe apparsa come una manifestazione di follia da parte di un Caposcuola che di pazzia, ecco, si iniettava da tempo immemore. Per qualcuno a lui vicino, al contrario, quelle immagini avrebbero avuto un impatto maggiore, sicuramente più profondo. Tanti simboli runici erano stampati su un libro aperto e pieno di foglie che dividevano paragrafi di interesse del giovane Grifondoro, cosa che avrebbe fatto imbestialire Madama Pince, la Bibliotecaria di Hogwarts: molti rappresentavano uno strano cerchio intersecato ad altri cerchi, come a formare una croce. *O una stella* si era detto Oliver, tracciando una linea sulla pergamena e aggiungendo la frase "protezione - nonna - Occhio" con un punto interrogativo bello grande. Spostò il tamburo da un altro plico e lesse una citazione che si era segnato e che aveva apprezzato particolarmente.
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"[...] Con i loro occhi, piuttosto che con i loro spiriti" diceva quell'autore dall'identità sconosciuta. Oliver si era a lungo chiesto - del resto, era arrivato lì alle sei e mezza del pomeriggio e ora erano le sette e un quarto - quale fosse il confine fra Anima e Occhio, fra Spirito e Umanità. Sua nonna parlava di Occhi Interiori e di Occhi Esterni, ma la differenza, uno dei motivi di quelle assurde e pressanti ricerche, avrebbe aiutato suo nipote come niente altro al mondo. Troppi pensieri, troppe riflessioni, anche una manciata di timori avevano sfoltito quei giorni da qualsiasi altra cosa; era tempo di scoprire, di indagare e di ottenere risposte. E dopo un salto in Biblioteca, era giunto il momento di attivarsi in prima persona per non restare fermo nell'abisso dell'ignoranza. Doveva sapere e avrebbe saputo. Lo sguardo cadde un'ultima volta sul simbolo dell'Aquila Bifronte e con un sussulto quasi preoccupato, Oliver riprese a scrivere su una pergamena pulita.


Edited by Trhesy - 27/8/2018, 20:49
 
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view post Posted on 17/6/2016, 22:50
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La sera precedente.

L'umidità del sottobosco le opprimeva i polmoni.
Respirava a fatica, avanzando lentamente su quel denso tappeto di foglie secche e rossastre, all'ombra della fitta foresta di alberi dalle chiome spoglie. Intorno, solo il silenzio. Tutto taceva e la vita sembrava aver abbandonato quei luoghi molto tempo prima. L'unica traccia vivente era lei, una ragazzina solitaria e smarrita.
Non sapeva nemmeno che cosa ci facesse immersa nella boscaglia, seguendo quel sentiero battuto, eppure sconosciuto. Dove l'avrebbe condotta? Avrebbe incontrato qualcuno? Mille domande affollavano la sua mente senza trovare risposta. Dove si trovava? Quel luogo non somigliava minimamente ai boschi che circondavano Hogwarts, il suo castello e il piccolo villaggio di Hogsmeade. Non ricordava nemmeno di aver passeggiato in uno scenario simile a Cork, Limerick o Waterford, le tre città irlandesi da cui provenivano i componenti più importanti della sua famiglia.
Un vento freddo si sollevò, facendola rabbrividire e costringendola a stringersi nelle spalle. Credeva di indossare un mantello, ne era certa, e invece si trovava vestita diversamente, un abbigliamento non adatto ad un autunno rigido come quello. E ancora un'altra domanda le sorse spontanea: come sapeva che fosse autunno e non già inverno? Non sapeva spiegarlo, se non con quei pochi dettagli che la scena forniva. Le sue gambe continuavano ad incedere, quasi senza controllo. Doveva raggiungere la fine di quel sentiero, quel pensiero la travolgeva. Era la sola cosa certa di quel momento.
Un nuovo fruscio, le foglie si rincorrevano lungo il viottolo senza fine e, all'improvviso, il suono di rami spezzati. Si voltò velocemente, guardando il percorso già battuto. Nulla. Solo foglie secche mosse da quel gelido vento.
Che cos'era quel posto? Era davvero sola? Oppure no?
Un suono roco e stridente attirò la sua attenzione: un corvo, nero come la pece e dallo sguardo vigile, giaceva appollaiato su un ramo quasi del tutto spoglio, eccezion fatta per una decina di foglie, alcune delle quali ancora verdastre o giallognole, altre rossicce e pronte a staccarsi dall'albero che le aveva generate.
Non riuscì a staccare gli occhi da quel corvo, osservarlo così come lui osservava lei era l'unico modo per esser certa di non perder di vista l'unica traccia di vita di quella boscaglia senza fine. Pur di non smettere con quel contatto visivo, iniziò a procedere all'indietro, senza poter vedere a che cosa stesse andando incontro. E qualche istante dopo lo percepì: una presenza, alle sue spalle, rifletteva un'ombra scura davanti a sé. Un ringhio lungo e profondo, gutturale.
Non poté far altro che fermarsi e voltarsi di scatto, nuovamente, come se avesse realizzato solamente in quel momento il pericolo sopraggiunto all'improvviso.
Un lupo, dal manto grigio, più scuro sul dorso e sempre più bianco sulle zampe; occhi gialli, fissi e penetranti.
Sentiva che non sarebbe uscita viva da quel bosco. Il suo ultimo gesto sarebbe stato quello di stringere tra le dita il ciondolo regalatole per il suo dodicesimo compleanno, la Stella dell'Eire, come se quel pezzettino di metallo ricurvo potesse davvero salvarla dal Destino già scritto per lei.
I tendini delle zampe posteriori dell'animale erano già tesi, così come quelle anteriori. Un congegno perfetto di muscoli e fasci di nervi pronti allo slancio... E fu un attimo. Quell'animale aveva deciso che proprio lei sarebbe stata un pasto ideale: il perfetto coronamento di una giornata di caccia.


*

Si svegliò all'improvviso, la fronte madida di sudore freddo. Le dita della mano destra dolevano, strette attorno al ciondolo dal quale mai si separava. Il respiro affannoso, pesante. Si mise seduta, osservando il dormitorio buio e silenzioso. Le sue compagne dormivano beate, senza che alcuna preoccupazione turbasse i loro sogni. Passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi e cercando di ritrovare la calma. Non appena le palpebre si chiusero, tornò a vedere quegli occhi maligni, gialli e penetranti. Riaprì subito i suoi, di un tenue colore azzurro, simile al ghiaccio.

*Devo smetterla di mangiare troppo a cena...*

Per la terza notte era tornata in quel bosco autunnale, con quel corvo e quel lupo, presagi di qualcosa a lei incomprensibile. Presagi, forse era prematuro definirli in quel modo. Che ne poteva sapere una sprovveduta studentessa del secondo anno di presagi e futuro? Non credeva nemmeno in quelle sciocchezze. Era solo un sogno, o meglio un incubo, e come tale sarebbe stato trattato. Credeva di sapere perché, ogni notte, tornasse in quel luogo: la curiosità di sapere che cosa ci fosse alla fine del sentiero. Scoprire la ragione per cui sentiva l'incessante bisogno di procedere in quel cammino. E poi il corvo e il lupo, ogni volta, le impedivano di proseguire. E più costringeva la sua mente a cercare strade alternative per giungere alla fine di quell'assurdo viaggio, più le sue gambe restavano sul viottolo ricoperto di foglie rosso sangue.

Oggi

La giornata era iniziata male: quell'incubo le aveva impedito di chiudere occhio e chissà quanti punti avrebbe fatto perdere alla sua Casa con la distrazione e la sonnolenza non più latente.
Per tutta la mattinata aveva provato a prendere appunti, così come nel primo pomeriggio. Nulla poteva scacciare dalla sua mente l'immagine vivida di quel sogno, che sogno non sembrava affatto.
Era tutto troppo reale, troppo cangiante per essere solo frutto della sua immaginazione. Quel bosco esisteva, in cuor suo ne era certa. Che si trattasse della Foresta Proibita? Se così fosse stato, cercare quel particolare sentiero non sarebbe stato facile. E se non fosse stato lì, ma a Cork? Come poteva saperlo?
Il pensiero del lupo, poi, la terrorizzava. Non ne vedeva uno simile dall'esercitazione del primo anno con il Molliccio, di fronte all'intera classe di Difesa Contro le Arti Oscure. La sua peggior paura era tornata ad affacciarsi a tinte sempre più evidenti. La nota stonata era quel corvo: le incuteva una sensazione di disagio, come se si sentisse osservata da occhi sconosciuti. Eppure, nel profondo, sembravano occhi famigliari, già visti in qualche altra occasione che, in quel momento, non ricordava.


*Sta diventando un'ossessione...*

Sì, lo era. Inutile negare ciò che così chiaramente si stagliava di fronte ai suoi occhi.
Doveva riflettere, doveva sapere.
Con la borsa a tracolla in spalla, si diresse a passo deciso verso la Guferia. Doveva scrivere a sua madre, o forse a suo nonno. Non aveva ancora deciso a chi avrebbe rivolto le sue domande. Non era nemmeno certa che sarebbero giunte delle risposte. Tra tutte le discipline affrontate dai diversi membri della famiglia Moran, nessuno, nemmeno Shyneid, aveva familiarità con la Divinazione e l'interpretazione dei sogni. Forse sarebbe stato tempo sprecato, pensò, salendo velocemente i gradini che aveva percorso così tante volte per incontrare l'amica Danielle.
I corridoi vuoti, il silenzio ed il tramonto le trasmettevano una certa ansia e trepidazione, mano a mano che si avvicinava alla meta stabilita. Doveva scrivere quell'immagine onirica immediatamente, prima che i dettagli svanissero, così che chiunque potesse aiutarla avesse un quadro chiaro della situazione.

Un altro passo e sarebbe giunta a destinazione. Di lì a poco sarebbe passata davanti ad un arco, uno come tanti altri nel castello, imponente e perfetto nella sua struttura centenaria. Varcandolo si sarebbe giunti ad una zona circolare, aperta grazie alla presenza di bifore senza alcun tipo di infisso. Ci era andata spesso, da quando conosceva Danielle e quel luogo era stato teatro di un incontro quasi sfociato in una lite, solamente sei o sette mesi prima.


«Bifronte, bifronte... eccoti»

Un sussurro, un briciolo di voce nota. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque, tra mille altre. Complice il silenzio, rimase in penombra, senza oltrepassare l'arco in pietra. Era certa che al di là del muro vi fosse Oliver Brior, l'amico irlandese con cui condivideva svariate passioni e altrettanti sogni nel cassetto. Che cosa facesse in quel luogo, piuttosto, restava un mistero.
Origliare non era cosa da lei, eppure lo sentiva muoversi in quello spazio aperto, sfogliando libri e scrivendo su pergamena. Lo scricchiolio della piuma sul foglio era inconfondibile.
A giudicare da quelle poche parole udite, Oliver cercava qualcosa, probabilmente all'interno di un libro.
Si affacciò appena, scorgendo il Caposcuola Grifondoro nel centro esatto di un cerchio composto da libri, pergamene e svariati oggetti, tra cui un tamburo.


*Che se ne fa di un tamburo?*

La curiosità, quella maledetta mania che l'avrebbe condotta alla rovina, le fece muovere un passo in avanti, cercando di farsi notare, ma senza imporsi con presunzione sulla scena. Probabilmente, concentrato com'era, non si sarebbe accorto di lei e, se una conversazione fosse dovuta iniziare, sarebbe stato compito suo darvi inizio.

*Sempre che per lo spavento non mi stenda con qualche incantesimo...* pensò, prima di procedere con un altro passo.
A quel punto sarebbe stato impossibile non vederla.





 
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Le pagine erano fitte di parole, talmente tante da poter far impazzire qualsiasi svogliato studente all'interno del castello di Hogwarts. Fortunatamente, per Oliver non valeva la stessa descrizione: vittima del bon ton, o forse vincitore del galateo a seconda dei punti di vista, il ragazzo aveva già avuto a che fare con tomi polverosi, pesanti e soprattutto scritti in caratteri difficili. Le pressanti lezioni con sua nonna Adeline non avevano dato risultati vani, questo era ovvio, eppure mai e poi mai Oliver avrebbe pensato che quell'attivismo così preciso gli potesse essere utile tra le mura della sua Scuola, quell'edificio popolato da stravaganza, passione e una buona dose di follia. Avrebbe volentieri ricercato l'aiuto di qualcuno durante le sue ricerche, in particolar modo di Madama Pince, con la quale non aveva mai avuto diverbi in passato... senza considerare quel giorno di un anno prima, quando tre fettine di torte erano entrate volteggiando per posarsi sulla scrivania dove si trovava Oliver, studiando con altri libri aperti dinnanzi al suo sguardo. Le urla della smilza Bibliotecaria erano risuonate ovunque, stracciando il classico silenzio del suo regno di carta ed inchiostro. A pensarci bene, a distanza di mesi e mesi, il Grifondoro stava compiendo gli stessi passaggi di allora, sebbene per la prima volta senza dolci o caramelle a distrarlo. Se in passato si era concentrato sulla causa degli Elfi Domestici, acculturandosi al riguardo quanto più possibile prima di fondare l'associazione benefica vera e propria, questa volta stava sfruttando le sue ore libere, che poi tanto libere non erano, per aggiornarsi su... *Su cosa?* si chiese, sollevando lo sguardo solo per un istante, i pensieri che sfrecciavano nella sua mente. Lo riabbassò subito, una sensazione di distacco dal presente che lo pervadeva come non mai, lo stomaco in subbuglio e le mani ancora leggermente tremanti. Stava entrando in un mondo lontano da quello che tutti avrebbero potuto definire concreto; si stava spingendo oltre e forse temeva, lui che era tanto coraggioso come un degno adepto di Godric, le conseguenze di quelle azioni. Distratto, fece scorrere le dita sul paragrafo che stava leggendo, tratto dal testo dell'Araldica. Accanto al segno dell'Aquila Bifronte - o dell'aquila con la doppia testa, dell'aquila duplice, dell'aquila bicipite, come affermava l'autore secondo diversi epiteti - era presente una parte scritta in calligrafia antica, oltre che in una lingua straniera. Oliver inarcò le sopracciglia, gli occhi accesi e stanchi, mentre mormorava qualcosa come per tradurlo meglio. Era in Francese, non poteva sbagliarsi, ma non era tanto ferrato in quell'idioma da poter carpirne il vero e completo senso. Certo, era avvantaggiato dagli studi di galateo, ma le sue conoscenze si legavano ai nomi dei piatti, dei bicchieri, delle posate, delle salute e dei piatti tipici di una cena di grande valore. Avrebbe potuto tessere una conversazione sul clima e su argomenti complessi come una mostra di quadri o la descrizione delle statue classiche e nobili presenti nella residenza di sua nonna, per il resto invece era abbastanza limitato. Sforzandosi, si diede alla lettura, sillabando le parole difficili per dare loro un senso autentico. [...] L'aigle en héraldique est une forme classique, tournée vers le corps, les ailes déployées, la tête à droite ou à gauche. L'aigle dans la mythologie grecque et latine est sacré oiseau à Zeus, dieu de la foudre et des nuages​, son attribut spécifique et est souvent identifié avec le père des dieux...
Si fermò, certo di aver frainteso perlomeno l'ultima parte. La pera degli dei? Come poteva essere la pera degli dei, se l'aquila era un simbolo di così intenso peso? Rigirò la piuma ricaricata, con la quale stava scrivendo sulla pergamena libera, tra le dita di entrambe le mani, mentre un pensiero sfrecciava nella memoria. Père come padre! Padre degli dei. *Ah cavolo* rifletté, immaginando un'aquila in grado di partorire tanti Apolli in miniatura. L'idea di Apolli-Polli era sì oltraggiosa quanto vivida nella fantasia del ragazzo, ricordando perfino le lezioni di mitologia greca del professor Peverell. Continuò.
[...] Il est également un symbole de puissance, de victoire et de prospérité. Dans la Rome antique, l'aigle a été utilisé dans l'armée romaine comme un signe de l'ensemble légion romaine. Cancellò l'ultima parte, sbarrandola sulla sua pergamena, non sul libro originale, perché non considerata di sua utilità. Il testo araldico era importante, certo, ma poco utile per rispondere alle sue domande. Non voleva sapere cosa fosse l'aquila nel mondo dei simboli di nazioni, eserciti e regni, quanti di...
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Lo sguardo scattò verso l'alto nell'esatto momento in cui il tamburo veniva spinto, tramite un brusco movimento del piede, verso Oliver. Subito dopo, cinque battiti sulla superficie di pelle chiara e leggermente ruvida al contatto umano dello strumento musicale risuonarono in quell'anfratto quasi misterioso del castello di Hogwarts. Se un attimo prima il tamburo sembrava un banale tamburo, carino nella forma ma semplice nella funzione, una manciata di secondi dopo essere stato utilizzato fu letteralmente infiammato, lasciando che disegni di lame luminose e scintille rosse come l'ormai quasi più lontano tramonto all'esterno si librassero su tutta la struttura, come fuoco incatenato. Accadde in un battito di ciglia: una fune di fuoco scattò via dal tamburo per colpire alcuni disegni nelle vicinanze, bruciandoli all'istante: la temperatura aumentò immediatamente e il ciuffo di Oliver fu rialzato da un alone di ossigeno disperso nell'aria, mentre lo sguardo saettava verso l'origine di quell'azione, verso la persona che lo aveva colto sovrappensiero, facendolo reagire in quel modo.
«Thalia!» esclamò, più imbarazzato che sorpreso. Prima che il fuoco la raggiungesse, batté un altro colpo sul tamburo, questa volta lateralmente, e ogni scintilla si spense come se qualcuno avesse gettato acqua invisibile su di esso. Evviva Lo Zufolo vendeva strumenti particolari, questo era ovvio, ma tra le mani di Oliver, rapido come se fosse perennemente in pericolo, aveva un valore perfino peggiore. Non si sarebbe comportato così in nessun altro contesto, ne era certo, eppure c'era troppo in gioco, tra quelle pagine bruciacchianti e quei disegni ancora nascosti su plichi e plichi di pergamene e penne, per poter evitare una simile condotta. Era ancora seduto, ma non più in perfetta posizione da indiano, come se fosse pronto ad alzarsi per porgere le sue scuse con un inchino. In attesa, gli occhi erano rivolti verso Thalia, l'espressione preoccupata e sorpresa mentre la cenere faceva il suo corso.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:10
 
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Il giovane Grifondoro sembrava profondamente impegnato nella propria occupazione, una ricerca spasmodica che la Tassorosso non comprendeva. Cercò di scorgere il titolo di uno dei testi chiusi, abbandonati sul pavimento di pietra ruvida e fredda, o di carpire qualche informazione utile dai fogli sparsi un po' ovunque. Si interrogava, ancora, sulla funzione di quel tamburo, unico elemento fuori luogo, in apparenza, in quel marasma di pergamene e oggetti.
Non aveva mai avuto il piacere di trascorrere intensi pomeriggi di studio con il rampollo di casa Brior, ma lo conosceva abbastanza bene per sapere che il disordine che regnava in quel luogo, in quel preciso istante, dovesse rispecchiare esattamente la confusione provata dall'adepto di Godric.
Inutile anche solo pensare di poterlo aiutare in qualche modo: Oliver aveva sempre una risposta per ogni cosa, o così almeno aveva sempre creduto. In effetti, il Caposcuola risultava oberato dai mille compiti che la spilla sul petto gli aveva recentemente procurato, per non parlare dei suoi doveri di studente e fondatore del Comitato di cui lei stessa faceva parte. Più volte si era chiesta se tutto ciò non avrebbe influito, prima o dopo, sulla salute dell'amico, portandolo alla soglia di un'esasperazione ed ansia perenni. Dal canto proprio, Oliver tendeva a minimizzare e tranquillizzare tutti, ma era chiaro che presto o tardi sarebbe accaduto qualcosa che lo avrebbe incastrato in una "impasse" che lo avrebbe costretto ad una resa forzata. Un vicolo cieco, per così dire.
Non l'aveva mai visto in quello stato di frenesia: leggeva, sussurrando appena le parole importanti e scriveva, vergando ogni lettera con la bramosia di procedere con la successiva, formando un testo di cui solo lui avrebbe conosciuto significato e scopo. Terminato quel processo di copiatura, si sbarazzava di un foglio prendendone un altro, e via così, in un turbinio di fogli accatastati e segnalibri ad ogni pagina. E come se tutto ciò non fosse stato sufficiente, Oliver non solo leggeva e scriveva, ma cercava informazioni su un testo redatto in lingua francese. Di francese, lei, conosceva solamente le forme di cortesia, quel tanto che bastava a non fare figuracce con le cugine, i fratelli di nonna Shyneid e rispettivi parenti di Lione. Non sapeva nemmeno che Oliver padroneggiasse quella lingua, che la sapesse comprendere a livello accademico. Il punto fondamentale, comunque, era la ragione per cui il Grifondoro stesse trascorrendo il tardo pomeriggio in quel luogo e non in Sala Grande aspettando la cena con i compagni cui era così profondamente legato.


*Ma che sta facendo?*

Da quella posizione non avrebbe visto nulla, eppure compiere uno spostamento in avanti l'avrebbe resa visibile del tutto. Gettando alle ortiche ogni buon proposito di passare inosservata, procedette rendendosi visibile totalmente.
In un istante, il silenzio fu interrotto dal suono emesso da quello strano tamburo ai piedi di Oliver che, dopo cinque rintocchi sordi, sembrò incendiarsi dall'interno: la struttura in metallo sembrava contenere, come una gabbia, le lingue di fuoco sprigionate all'improvviso senza un apparente motivazione. Ciò che seguì fu parzialmente comprensibile alla Tassorosso: alcuni dei fogli su cui Oliver stava lavorando iniziarono ad ardere, accartocciandosi e riducendosi in cenere, finché lo stesso Caposcuola non pronunciò il suo nome, ponendo velocemente fine a quel piccolo incendio.

Rimase in silenzio stringendo il ciondolo di famiglia, dietro alla colonna di quell'arco che l'aveva parzialmente protetta dalle funi di fuoco sprigionate dal tamburo magico. Si sporse solamente quando fu certa che tutto fosse finito e sperò vivamente che Oliver potesse spiegare quanto era appena accaduto.


«Dimmi che quel coso non proviene da "Evviva lo Zufolo"...» mormorò, scostando una ciocca di capelli vermigli dagli occhi. Aveva avuto un assaggio della stravaganza di quel luogo in occasione del compleanno di Helen, quando una Lira impazzita le aveva quasi staccato la testa sfrecciando a mezz'aria nei corridoi. Quel luogo forniva armi di distruzione di massa sotto forma di strumenti musicali e Oliver vi lavorava pure come Garzone.

*Il posto adatto a lui, insomma.* si ritrovò a pensare, cercando di avvicinarsi lentamente, per dare il tempo all'amico di riordinare i suoi effetti.
Rielaborando i recenti eventi, quel tamburo doveva aver cancellato le prove di qualcosa, qualcosa di importante per Oliver, qualcosa che doveva restare segreto. Ma di cosa si trattava?






 
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Pagine e pagine preziose, tutte piene di parole, erano state appena gettate al vento. Letteralmente, visto che la cenere era stata sospesa dalla brezza serale che entrava, rapida come un soffio, dall'arco in pietra di tufo nelle vicinanze. Non era nella sua natura imprecare ad alta voce, ma una sensazione di torpore, quasi di fastidio pulsante, rintoccava nel suo cuore come poche altre cose al mondo, come pochi altri momenti in tutta la sua vita. *Maledetto Dippet e tutti i suoi trucchetti!* fu l'accusa abbastanza stupida che sfrecciò nella sua mente, ritenendo che accusare l'ex-Preside, autore di tanti casini e disordini nella Sala Comune Grifondoro, fosse pur sempre una strategia per placare la sua rabbia crescente. Trasse un rapido respiro di sollievo, quando si accorse, per fortuna, che il plico di pergamene recanti informazioni sull'Aquila Bifronte fosse ancora intatto. Si affrettò a metterlo da parte, aggiungendovi sopra il tamburo che aveva poc'anzi utilizzato, chiedendosi nel frattempo come poter rispondere alle probabili domande di Thalia. Non era stata ancora impertinente da indagare con forza, ma la curiosità della ragazza era ben conosciuta da Oliver. Durante i festeggiamenti di Natale, nella dimora di famiglia di Adeline Brior, sia Miss Moran sia alcuni altri suoi parenti (e non solo) avevano assunto un'espressione di pura meraviglia durante l'intero giro turistico nella tenuta antica e classica. C'erano stati quesiti, ma ancor più spiegazioni da parte di Oliver, il degno erede di sua nonna. Il pensiero che nel presente non potesse replicare con quel giusto comportamento, ecco, lo destabilizzava notevolmente al pari del disturbo del sonno che gli aveva procurato due profonde occhiaie. Sperava di non assomigliare né ad un folle né, nel peggiore dei casi, al Vampiro Baritono da lui tanto apprezzato come musicista, meno come individuo, avendo perfino avuto modo di intervistarlo per la Gazzetta del... *Devo rispondere*
Si fermò nuovamente, conscio del fatto che il suo profondo silenzio, perlomeno durato una manciata di secondi, potesse facilmente essere scambiato per imbarazzo, pericolosità o qualsiasi altra cosa frullasse nella mente della bella Tassorosso. Del resto, scorgere un Caposcuola in quello stato quasi febbricitante, senza scarpe ma solo con calzini, e con una serie di libri non riguardanti lezioni né corsi scolastici, ecco, non riassumeva il perfetto quadro dell'altrettanto perfetta figura che Oliver Brior doveva assumere. Sempre. «Zufolo?» ripeté, le mani che, ancora tremanti, portavano a sé quanti più plichi di pergamene possibili, ponendoli uno sull'altro senza un ordine. Una smorfia stracciò il volto carino e luminoso del ragazzo, segno che quel caos non fosse affatto di suo gradimento: non aveva tempo, però, doveva togliere di mezzo quante più informazioni possibili che aveva disseminato attorno a sé come un campo da guerra. Ne riuscì a prendere altre, accatastandole come prima, mentre rielaborava la domanda della studentessa e comprendeva il filo del discorso. Si riferiva allo strumento, poteva essere più distratto, lui che tanto si concentrava su ogni dettaglio? Forse non stava dando il meglio di sé, non osava immaginare l'impressione del momento. Era pure un Caposcuola, dannazione. Si sfiorò la spilla proprio mentre rispondeva, veloce. «Oh, sì, allo store! Già, si chiama Tamburo del Fuoco. Interessante, vero? Può addirittura bruciare fino a cinque metri dal suonatore, quando... sì, be', quando lo suoni» spiegò, la voce labile e troppo repentina per essere del tutto normale e tranquilla. Gli occhi verdi saettarono verso le mani della fanciulla di fronte, che stava stringendo qualcosa: non sapeva cosa, ma l'idea che fosse la Stella dell'Eire non gli piaceva. «Cosa ci fai ai piani alti, cara?» domandò, la cenere che volteggiava ancora come un turbine invisibile, mentre le ultime scintille di fuoco si spegnevano. I fogli erano stati sistemati alla rinfusa, i libri chiusi, ma alcuni - quelli che descrivevano l'Araldica e quelli che mostravano simboli runici irlandesi, come la stessa Stella dell'Eire - erano ancora in bella vista. Allontanarli di scatto, come prima, sarebbe stato sospetto, ma lentamente Oliver si preoccupò di infilare le solite foglie nelle pagine, come segnalibri, e di sottrarli a qualsiasi attenzione che non fosse la sua.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:09
 
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Osservare Oliver in quello stato l'aveva preoccupata, ma ora, mentre il ragazzo tentava di celare alla sua vista i documenti, i libri e le ricerche, un sorriso gentile sorse spontaneo sul suo viso. Caro Oliver: cosa stava combinando di così segreto? Dubitava si trattasse di argomenti inerenti alla causa degli Elfi. Aveva cercato un posto isolato e si era assicurato che quello strumento musicale incendiario ponesse una sorta di protezione al luogo, avvisandolo di visitatori curiosi proprio come lei.

«Adorabile... » commentò, accennando uno sguardo accigliato al tamburo. Intorno al Grifondoro aleggiava ancora la polvere sottile di appunti bruciati. Che misera fine per le sue ricerche! Il senso di colpa si era fatto strada in lei, colpevole di quel trambusto improvviso e di quello sfacelo.

«Stavo salendo in Guferia, a dire il vero, ma poi ho sentito la tua voce... » spiegò «...e mi sono fatta la stessa domanda: che ci fai qui? »

L'arte di rivolgere le domande spinose era una sua specialità, ma di certo mettere Oliver in difficoltà non era un passatempo gradito. Era un amico, uno dei più sinceri ed affezionati che avesse. Trattarlo in quel modo sarebbe stato irrispettoso. Così si affrettò ad aggiungere velocemente una frase a quella precedente.

«Credevo stessi studiando, ma il tuo "tamburo da guardia" mi suggerisce qualcos'altro. Naturalmente non sei obbligato a dire nulla. »

*Ognuno ha i suoi piccoli segreti, anche se i tuoi devono essere belli grandi per essere difesi così.*

Un foglio, piccolo e ricavato dalla metà vuota di un'altra pergamena, era sfuggita all'operazione di pulizia del Caposcuola. Con un passo in avanti si chinò a raccoglierlo, tuttavia senza permettersi di leggervi il contenuto. Non erano fatti suoi, non avrebbe ceduto alla curiosità. Non dopo quel disastro di fuoco e cenere.

«Tieni... » mormorò, porgendoglielo «Mi spiace averti disturbato, ti lascio ai tuoi studi... io devo scrivere una lettera, perciò...»

Perciò? Avrebbe voluto restare, le sue gambe glielo dicevano di continuo, formicolando nervosamente. Glielo suggeriva anche la sua mente che, spedita, rivedeva le immagini di quei titoli che non era riuscita a decifrare poco prima. Tuttavia, sapeva di dover risolvere quel suo problema, invece di preoccuparsi per Oliver che, come sempre, i propri grattacapi li risolveva da solo.

*Dovresti imparare a pensare per te stessa...*

Indietreggiò, con la mano alzata in cenno di saluto, gettando uno sguardo al panorama visibile da quel punto del castello. Il cielo rossastro, illuminava le chiome appuntite della Foresta Proibita, mentre il venticello estivo le sospingeva da una parte all'altra. Quell'immagine le trasmetteva una senso di pace e si perse con lo sguardo fisso ad ammirare la perfezione di quel momento.
Doveva apparire piuttosto strana, con lo sguardo perso ad ammirare un punto imprecisato di fronte a sé.
In realtà, come ogni giorno, riviveva quel sogno nel quale la scena era illuminata dalla medesima luce rossastra, sebbene il vento fosse gelido e non mite come quello estivo. Fu il rossore a gettarla nell'ennesima riflessione silenziosa e non sarebbe riuscita a staccarsene finché non fosse stato Oliver a richiamarla alla realtà. E di nuovo, le dita corsero alla ricerca di quel ciondolo che le teneva compagnia notte dopo notte, aiutandola a svegliarsi da quell'incubo mortale tornando alla realtà sicura del presente.
Quel corvo e quel lupo l'avrebbero perseguitata ancora, lo sentiva, era come se ripensando a quelle due figure, un peso le premesse sul cuore. Quale fosse il loro significato restava un mistero e, probabilmente, avrebbe dovuto seguire l'esempio di Oliver, chiedendo aiuto alla conoscenza chiusa tra le mura sicure della Biblioteca del Castello.


«Oliver?» non si rese conto immediatamente di aver pronunciato il nome dell'amico. Non sapeva nemmeno perché l'avesse fatto. Eppure quell'aura di mistero creata dal Grifondoro, le suggeriva di potersi confidare, anche se lui, forse, non le avrebbe fatto dono dei suoi pensieri più profondi.
«I sogni... vogliono sempre dire qualcosa, giusto? Insomma... sono presagio di qualcosa, non è vero?»

Non avrebbe preteso una risposta approfondita, non di certo da un compagno che probabilmente di Divinazione e sogni sapeva poco o nulla, esattamente quanto lei. Lei poi, che non credeva di certo che la Fortuna o la sua controparte fossero dettate da come i fondi del tè venivano letti o dalla posizione dei pianeti, non si sarebbe fatta impressionare da un sogno ricorrente.
Eppure, non era proprio quello che stava accadendo?






Ho pensato di entrare nel vivo in questo modo, spero non ti spiaccia. ^_^
 
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Non era stata una buona idea rintanarsi alla Torre di Divinazione. Non lo era stata affatto. C'erano troppi ricordi, oltre che supposizioni, per confermare quanto appena pensato. Già in passato si era ritrovato lì, proprio nelle vicinanze, con un libro potente e misterioso, un testo dal titolo "Sonetti di uno Stregone" che di sicuro avrebbe dovuto destare sospetti in Oliver, evitando che lo leggesse, poiché la commessa di BiblioMagic gli aveva confermato il suo magico pericolo. E lui, giusto per restare in tema con il binomio del coraggio-idiozia tanto in voga fra alcuni Grifondoro, lo aveva aperto e sfiorato con lo sguardo le prime parole sul frontespizio e sulla pagina numero uno. In conclusione, aveva cominciato a decantare in rima, attirando l'attenzione di una studentessa del quinto anno, Trhesy, una Tassorosso che lo aveva osservato con fare piuttosto divertito, oltre che basito. Non era bastata una sola visita in Infermeria per concludere quella faccenda, l'allora Strega operante ad Hogwarts contro malattie e ferite dei vari abitanti del castello gli aveva detto di essere stato molto fortunato ad aver subito la Maledizione del libro solo leggermente. Se avesse continuato la lettura, non ci sarebbe stato modo per frenare il suo nuovo linguaggio in versi Limerick. Interessante constatare che anche nel presente le sue stranezze, in qualche maniera legate al mondo della fantasia e dell'essere avventato, avessero chiamato a sé un'altra persona, un'altra studentessa, un'altra Tassorosso. Le coincidenze erano talmente sottili da fargli perdere, nuovamente, il filo del discorso. Non che fosse stato attento nei momenti precedenti. Mai si era presentato in quello stato al cospetto di un qualsiasi interlocutore e la certezza che di fronte vi fosse nientedimeno che la nipote di Connor Moran, amico storico di sua nonna, lo turbava come poche altre cose al mondo. Se solo avesse scoperto, se solo avesse saputo, se solo avesse parlato con suo nonno... se solo avesse fatto una di quelle cose, Thalia avrebbe sancito una sorta di velata condanna nei riguardi di Oliver. Il rampollo Brior avrebbe dovuto rispondere alle domande più che personali di Adeline, se le voci della follia del ragazzo fossero giunte al suo fine udito. E quali risposte avrebbe dovuto dare, a quel punto? Era tempo di intervenire, non solo per evitare drastiche conseguenze future, ma per non offendere Thalia, che era sua amica. E lì risiedeva la differenza fra il fare qualcosa per necessità e farlo per volontà, come nel suo caso. «Una lettera? Io che ci faccio qui?» ripeté, confuso. Doveva ammettere di aver saltato molte frasi del discorso, non era da sé e la distrazione lo rendeva apparentemente stupido. In quel momento anche i piedi scalzi, coperti solo da calzini grigi, gli davano l'idea di essere estremamente fuori luogo. Deglutì, lo sguardo che saettava fra i libri ancora in bella vista e la pergamena presa dalla Tassorosso. *Posala!* fu il primo pensiero, lo stesso imperativo che avrebbe voluto urlare senza ritegno. Deglutì una seconda e poi una terza volta, inconsapevole di risultare un folle con quell'aria pallida, quasi da malaticcio. Solo le gote si stavano tingendo di una leggera sfumatura rosea e il quadro d'insieme non era tanto carino. «A chi scrivi?» domandò, il tono somigliante più ad un'accusa che al suo solito stile cordiale. L'idea di una corrispondenza fra Thalia e suo nonno era tornata nella sua mente, lasciando che le tempie pulsassero come non mai. Si schiarì la voce.
«Basta». Forse l'aveva detto ad alta voce. O forse era solo un'altra delle sue molteplici impressioni senza capo né coda? Recuperò il foglio dalle mani della ragazza. Fu grato del fatto che Miss Moran avesse messo in conto l'eventualità di non sapere nulla, non costringendo Oliver a rivelare nulla, ma quando si allontanò la stretta al cuore del Grifondoro si fece più intensa. Si mise in piedi a fatica, sbattendo il ginocchio contro il freddo e duro pavimento. Trattenendo un gemito, raggiunse - ancora scalzo, ovviamente - la bella Irlandese, non ancora andata via del tutto. Quando lei si rivolse nuovamente al suo volto, per poco un grido non fuoriuscì dalle labbra del giovane Brior. Sussurrò qualcosa in Irlandese, flebilmente, per poi ripeterla con più energia. «La Stella dell'Eire» precisò, lo sguardo fisso al ciondolo che Thalia stringeva tra le mani. Aveva già sentito la sua domanda, ma attese prima di rispondere. Le coincidenze non erano mai solo tali, aveva letto su uno dei libri che sostava a terra come una pietra: i "se" cominciarono a vorticare nella sua testa come un uragano. «Scusa. Scusa, Thalia, scusa» disse, spostando lo sguardo. Chiuse gli occhi, poi li riaprì dopo un rapido respiro. Quale orrenda impressione stava dando?«I sogni hanno spesso significati. Hanno sempre significati» per me, avrebbe voluto aggiungere, ma tacque. La scelta dell'Irlandese di usare la parola "presagio" gli aveva procurato una nuova fitta. «Non credo di sentirmi bene» concluse, pallido ancor più del previsto. La mano si portò al cuore, la testa cominciò a girare. Perfetto.


E' perfetto. Scusa per il ritardo, sono finalmente libero per riprendere questa grande role attivamente.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:09
 
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view post Posted on 4/8/2016, 20:17
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Per l'ennesima volta aveva rivisto quell'incubo scorrere davanti ai suoi occhi stanchi, simili a quelli del Grifondoro, ma non si era troppo crucciata delle domande che l'amico aveva ripetuto in tono imbarazzato e sconnesso. Non c'era dubbio che i due si fossero incontrati nel giorno sbagliato, in quello in cui non avrebbero avuto modo di dimostrare il solito spirito gioviale e complice che da sempre li caratterizzava.
C'erano momenti in cui le era sembrato di conoscere Oliver da sempre, quasi fosse cresciuta insieme a lui trascorrendo molto del reciproco tempo nel medesimo luogo e tempo. In quel frangente, però, il viso di Oliver non sembrava il suo, la sua voce non era la sua. Era un Oliver stanco, che cercava di nascondere qualcosa. Lo aveva compreso poco prima, in quella furia incendiaria che aveva distrutto, con tutta probabilità, ore ed ore di studio extrascolastico. Naturalmente non poteva avere la certezza che si trattasse di materie fuori dall'ordinario, eppure non vedeva ragione alcuna per celare in quel modo il suo operato. Non a lei, comunque. Tra loro non c'erano mai stati segreti e, da buoni amici quali erano, si sarebbe aspettata una confessione da parte sua, senza doverlo costringere a rivelarsi.
La sua natura, ad ogni modo, non era la sola ad essere mutata.
Non appena udì il sussurro di Oliver, si voltò velocemente verso di lui. Lo trovò vicino, molto più di quanto si aspettasse - dato che lo credeva ancora seduto sul freddo pavimento di pietra - e strinse ancor di più il ciondolo dopo che il ragazzo l'ebbe nominato.

«Che cosa?» - chiese, in un mezzo sussurro.
Chiunque li avesse visti in quel momento avrebbe potuto pensare a cento cose diverse, ma non si sarebbe avvicinato alla verità nemmeno con la maggior parte di quelle ipotesi. Nemmeno lei, ad onor del vero, sapeva perché fossero ridotti in quello stato quasi catatonico, inebetiti dalle rispettive situazioni personali. Aveva ripreso poi, aggiungendo quel riferimento ai sogni, ai presagi e, implicitamente, al Fato. Il suo sguardo incrociò quello del Grifondoro e, in una frazione di secondo, Oliver tornò in sé, scusandosi infinitamente per averla fissata per tutto il tempo in quel modo, probabilmente a detta di molti, inopportuno. Dal canto suo, non ci fece troppo caso. Aveva altro per la testa, questo era evidente.
Ascoltò la risposta del Grifondoro, attese qualche secondo prima di rispondere, per cercare di assorbirne e comprenderne il significato e, proprio quando aveva una risposta pronta per essere pronunciata, lo sentì mugugnare qualcosa.

«Non credo di sentirmi bene.»
Si voltò appena in tempo per vederlo pallido in volto, con lo sguardo vuoto e una mano sul petto.
«Oliver?» - lo chiamò, lasciando andare il ciondolo e prendendolo sottobraccio prima che potesse svenire.
Non sapeva quanto pesasse il Grifondoro, ma era certa che se fosse svenuto non sarebbe riuscita a frenarne del tutto la caduta. Così, lasciando cadere la borsa a tracolla sul pavimento, cercò di sorreggerlo con entrambe le braccia e di guidarlo gentilmente vicino al muro di pietra; lo fece accomodare e, da seduto, le sembrò quasi che il giovane avesse ripreso un po' del suo colorito naturale.
Vedendolo in quello stato, la sua mente vagò alla cena di Natale durante la quale aveva avuto il piacere e l'onore di incontrare l'intera famiglia di Oliver. In quel momento, i lineamenti di Louise Sanchéz furono chiari e visibili sul volto del ragazzo e, quasi come una madre premurosa, la Tassorosso iniziò a schiaffeggiarlo piano, cercando di risvegliare l'animo - e magari l'intera figura - del giovane mago.

*Oliver perdonami.* - pensò. L'ultima cosa che avrebbe voluto fare era proprio schiaffeggiarlo in un angolo remoto della Torre di Divinazione. Rimase lì, con gli occhi azzurri puntati in quelli verdi di Oliver, i capelli rossi lasciati sciolti sulle spalle con qualche ciuffo ribelle sul viso, sperando che l'amico le desse un cenno di vita, uno qualsiasi.
«Che cosa stavi dicendo dei sogni, Oliver?»
Era chiaramente un colpo basso riprendere il discorso dal punto esatto in cui era stato lasciato, ma la situazione si era connotata decisamente di tinte interessanti. E non alludeva di certo al tramonto rossastro sulle chiome della Foresta Proibita.





 
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view post Posted on 20/8/2016, 17:44
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Non perdere mai il filo del discorso, a prescindere dal tuo interlocutore o dall'argomento che state affrontando: quella era probabilmente la norma più importante dell'intero protocollo da osservare in una situazione come quella in corso. Di sicuro, Oliver Brior aveva peccato di stile, ma a sua discolpa, se davvero ce ne fosse stato bisogno, avrebbe potuto dire di non essere nel pieno delle forze né delle facoltà mentali. La testa girava convulsamente e aveva percepito i battiti del cuore aumentare in maniera quasi precipitosa. Probabilmente, si disse, era tutto dovuto allo stato di salute del momento. A cosa fosse effettivamente collegato, tuttavia, non era in grado di affermarlo. Niente di piacevole, poco ma sicuro. Fu particolarmente contento, avrebbe dovuto ammetterlo, per il gentile gesto da parte di Thalia, la sfortunata ragazza che lo aveva scovato in quella tana tanto lontana da sguardi indiscreti nelle zone più affollate e frequentate di Hogwarts. Lo aveva aiutato a sedersi, cercando un appoggio abbastanza solido da non farlo vacillare ancor più di quanto Oliver già non stesse facendo. Odiava sentirsi debole, lui era il degno adepto di Godric e avrebbe scommesso perfino la sua Firebolt sul fatto che il fondatore della sua Casata non si fosse mai presentato in maniera simile. Mai come lui, avrebbe dovuto dire. Cosa ne sapeva, Godric, dei pensieri che stavano turbinando da giorni nella confusionaria mente del giovane ragazzo? Cosa avrebbe potuto suggerire circa gli sprazzi di visioni che lo studente viveva quotidianamente? Sua nonna aveva avuto ragione fin dal primo momento e, stranamente, all'Irlandese pesava molto l'intera faccenda. Adeline Brior temeva la Veggenza, non profferiva mai parola alcuna al riguardo e si teneva stretta ogni stralcio di futuro al pari di un mantello decisamente raffinato, pronto a riscaldarla come poche altre cose al mondo. Avrebbe dovuto ritirarsi in se stesso come lei? Era questa la strada che il Fato, ad un tratto non più amico come ritenuto, aveva scelto per Oliver? Era pur sempre un Caposcuola, dannazione. E prima di abbracciare qualsiasi altro ruolo del genere, era un Sognatore e un combattente. Ed era un principe, come diceva sua madre, utilizzando quell'etichetta più per gioco che per reale definizione. Inclinò il capo verso destra, la fronte imperlata di sudore. Ignorando il tremolio delle mani, che strinse l'una contro l'altra grazie alle dita intersecate tra loro, il Grifondoro osservò attentamente Thalia. «Le mie scuse, Miss Moran» dichiarò, la voce un sussurro che non aveva preso in considerazione, il tono per fortuna nuovamente impeccabile nella sua cordialità. Si schiarì leggermente la gola, riprovando. «Credo sia stato il caldo, noi...» - la testa vorticò, i colori sfumarono - «Noi Irlandesi non lo sopportiamo molto, vero?» riprese, un accenno di sorriso che saltava sul volto pallido, in netto contrasto con gli occhi verdi e il tramonto alle spalle. Era poggiato alla balaustra di pietre di quell'anfratto misterioso della Torre di Divinazione, mentre il cielo si accendeva di fuoco e cacciava indietro il freddo coagulatosi nel suo spirito. La metafora gli piacque, si ripromise di utilizzarla per un brano musicale futuro. Abbassò le palpebre, sfuggendo così al turbinio circostante e quando li riaprì, lo sguardo si posò nuovamente sulla Tassorosso. Aveva posto una domanda, necessitava una risposta. «Grazie anche per gli schiaffi. Sai, ad Helen non sarebbero piaciuti» scherzò, trovando il modo di ripristinare una parvenza di normalità. Era colpa del sonno, ci avrebbe giurato. Quante volte Fabio, suo compagno di dormitorio nonché ormai amico vero e proprio, gli aveva suggerito di riposare di più, invece di strimpellare la chitarra in Sala Comune nel bel mezzo della notte? Ma Morfeo non accettava di condividere il suo abbraccio con Oliver Brior e le ore diventavano minuti che poi si plasmavano in secondi, rendendolo sveglio e stanco il più delle volte. Avrebbe dovuto riposare, tutto qui. Niente Infermeria, odiava quel posto. «Perché mi chiedi dei sogni?» domandò, incuriosito. Non aveva ancora risposto al quesito di Thalia, lo sapeva, del resto stava tralasciando troppe cose: i piedi scalzi, i fogli sparsi a terra nelle vicinanze, i libri di araldica e altri strani argomenti in bella mostra... i dettagli sfumavano. «Mio zio Albert ti direbbe che ogni sogno abbia valore, se comprendi la giusta interpretazione. Possono essere dei richiami al presente che hai vissuto, ma anche elaborazioni della mente senza utilità. Possono essere anche...» si fermò, la voce si era affievolita. Riprese, la testa che girava nuovamente. Dannazione. «Anche cose importanti...». Non l'aveva già detto? La mano salì al petto, stringendo la maglietta che indossava in quella giornata già troppo calda per i suoi gusti. «Oppure misteriose, sì...». Il cuore batteva all'impazzata, lo stomaco si contrasse. Stava per vomitare. Si portò le dita della mano destra alla bocca, mentre arrancava alla ricerca di parole da donare a Thalia. Stava aspettando e lui stava tremando. Sussultava, era pallido. Avanzava il dolore. Avanzava. Avanzava... e la testa vorticò, il cielo cambiò e la realtà strappò anima e mente al Presente.

Nel luogo dal nome disperso, che evoca l'altrui rispetto
ecco che giunge nell'acqua il riflesso del pianto di Morte
Tra le ore funeste del cielo che sanguina
l'Orma da lontano passato incontrerà la sua genesi eguale
Figlia del Male, figlia del Corvo
catena che spezza la calma da imbrogli tessuta
Per sua causa, nell'ultimo raggio dell'Autunno calante
come un tempo, Corvo e Lupo si affronteranno di nuovo
Anime trasfigurate da morsi e magia, una soltanto perirà sul dolore e sua scia
La famiglia dei Moran sarà straziata per sempre
e l'Oscura Signora cambierà ancora la sua discendenza



Quella non era la voce di Oliver Brior.
L'affabilità che plasmava ogni sillaba pronunciata dalle sue labbra era sparita, lasciando il posto ad uno stile freddo, che qualche scrittore di classe del Mondo Magico avrebbe definito simile al vetro o alle unghie che scivolavano, sinistramente e lentamente, sulla lavagna di qualche aula di Hogwarts. Non era gentile, non era cordiale come sempre, perché quella era la Voce. Così diversa, così distante dall'allegria del ragazzo che stava di fronte la giovane Irlandese. Non era Oliver a parlare, qualsiasi suo conoscente l'avrebbe detto con sicurezza estrema. Non era il solare ragazzino che cantava ogni mattina con la Signora Grassa, prima di recarsi a lezione; non era il Caposcuola che condivideva torte e caramelle di Mielandia con ogni volto familiare; non era il musicista che portava la sua chitarra classica alle spalle come un trofeo da mettere in mostra; era un altro uomo, un altro spirito. Gli occhi vibrarono durante le parole pronunciate con tetra chiarezza, il verde naturale delle iridi divenne meno luminoso. Il corpo non aveva vita, era il respiro a non rendere lo studente un autentico cadavere, eppure lo stesso torace si alzava e abbassava come se stesse sforzando ogni suo organo e muscolo nella speranza di abbandonare la litania di cui non aveva controllo. Le mani non sfioravano più il petto, erano ricadute verso il basso, le braccia riverse sulla superficie di pietra della balaustra cui Oliver era poggiato. Somigliava ad un'aquila spezzata. Ali oscure, oscure parole. Librate e taglienti come pugnali, le sillabe si univano l'una all'altra, fino all'ultima che volò via dalla bocca non più rosea dell'inconsapevole Veggente. Un attimo dopo, le pupille si dilatarono, la vita tornò a manifestarsi nel corpo del burattino scalzo e il bianco degli occhi scintillò per un solo secondo al posto del verde tanto naturale. Quando anima e fisico si ricongiunsero al Presente, del precedente Oliver Brior restava solo un'espressione impaurita. Scivolò dalla balaustra verso terra, spossato come non mai. E cadde, come se fosse stata la conseguenza più normale di sempre.




Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:09
 
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*Impeccabile e imprevedibile Brior.*
Fu quello il primo pensiero a coglierla, strappandole un sorriso dolce ed improvviso.
Il Grifondoro non aveva abbandonato le buone e vecchie abitudini del galateo nemmeno in quel momento di malessere, in quel frangente in cui della forza di Godric non restavano altro che gli immortali ideali venerati dal Caposcuola con tanto ardore. I suoi occhi, il fiato corto e il viso pallido non facevano presagire nulla di buono e il magro tentativo di fare dell'ironia da parte del rampollo di casa Brior fu apprezzato solamente in parte dalla Tassorosso.

«Probabilmente è così.» commentò infine, senza soffermarsi troppo sulla natura e il tempo atmosferico dell'Irlanda del Sud - Est. Personalmente amava il caldo tanto quanto amasse la pioggia, manifestazioni di una Natura perfetta e sovrana del mondo, molto più di quanto non lo fossero gli uomini, Maghi o Babbani.
Il palmo piccolo e magro della Tassorosso non aveva lasciato la guancia del Grifondoro. Aveva la spiacevole sensazione che se l'avesse lasciato libero da quell'appoggio, il collo si sarebbe inclinato in posizioni scomode, ciondolando in modo preoccupante. Il richiamo ad Helen, la sua compagna di stanza nonché la ragazza dell'amico, la irrigidì. Quanto poteva essere inappropriato quel contatto tra i due? Non ci aveva pensato troppo, ma se il pensiero di Helen si era risvegliato in lui, allora forse la sua percezione dei fatti stava seguendo binari diversi da quelli percorsi dallo stesso Oliver.

*Riesce a pensare ad Helen persino prima di svenire. Probabilmente io farei lo stesso, se solo...*
Non importava davvero che cos'avrebbe fatto lei a ruoli invertiti. A Mike era riservato un posto speciale nel suo cuore e già in passato aveva avuto modo di pensare a lui in situazioni di pericolo. Il solo pensiero di quel Molliccio minaccioso e di quello che l'aveva seguito nell'Aula Abbandonata doveva restare un segreto, un incontro-scontro che nessuno avrebbe mai potuto conoscere e di cui nessuno avrebbe dovuto parlare. Nessuno eccetto lei.
«Sono certa che Helen avrebbe fatto lo stesso, credimi. Tu non sai che faccia hai in questo momento.» disse, spostando la mano sulla spalla del giovane, per poi lasciarlo definitivamente.
Puntuale, il Grifondoro riprese la parola rispondendo alla domanda da lei posta in precedenza. Voleva sapere che cosa ne pensasse lui dei sogni in genere e, se ne avesse avuto modo, di quello particolare di cui non aveva mai fatto menzione prima di allora ad anima viva e che l'assillava da mesi. Purtroppo, se la prima parte del discorso del suo interlocutore si stava rivelando estremamente interessante e precisa, la seconda si rivelava per ciò che era il suo opposto: sconnesso, confuso, incerto.
Il tutto avvenne in meno di pochi secondi: il corpo di Oliver tremava, sussultava come se fosse stato preda di strane ed immotivate convulsioni. Lo chiamò cercando di riportarlo alla realtà, a quel momento presente così anomalo rispetto agli altri trascorsi in sua compagnia, afferrandolo per le spalle e cercando di tenerlo fermo. E poi quella voce esplose dalle sue labbra, prima serrate. Istintivamente si alzò in piedi, rimanendo immobile di fronte al ragazzo e sbarrando gli occhi cerulei.

*Che cosa gli sta succedendo?!*
La sua voce, non era la sua "solita" voce. Non c'erano parole per esprimere le tonalità con cui questa si esprimeva, non c'era modo di definire il suo punto di origine - per quanto fosse chiaro che si generasse dalle vibrazioni delle corde vocali al passaggio dell'aria proveniente dai polmoni di Oliver Brior. Eppure, nonostante fosse quel corpo amico a parlare, non era Oliver. E dunque, chi parlava in sua vece?
« Nel luogo dal nome disperso, che evoca l'altrui rispetto
ecco che giunge nell'acqua il riflesso del pianto di Morte
Tra le ore funeste del cielo che sanguina
l'Orma da lontano passato incontrerà la sua genesi eguale
Figlia del Male, figlia del Corvo
catena che spezza la calma da imbrogli tessuta
Per sua causa, nell'ultimo raggio dell'Autunno calante
come un tempo, Corvo e Lupo si affronteranno di nuovo
Anime trasfigurate da morsi e magia, una soltanto perirà sul dolore e sua scia
La famiglia dei Moran sarà straziata per sempre
e l'Oscura Signora cambierà ancora la sua discendenza»

Non capiva il senso di quelle parole, ascoltate trattenendo il fiato e, incosciamente, prendendo le distanze dal giovane Grifondoro. Sembrava un avviso, un presagio...
*...una profezia.*
Quella parola dissonante per la sua indole razionale la scosse dal profondo, costringendola ad ascoltare parola per parola quella litania inaspettata e carica di significati. Parole come "Corvo e Lupo" ricorrevano più volte, così come "sangue", "passato" e l'aura di Oscurità che aleggiava su di esse. Un dettaglio, sopra tutti gli altri, la sconvolse facendole portare una mano alla bocca, coprendola, e una al petto all'altezza del cuore. Non erano state le parole a farla reagire in quel modo. In un frangente, unico ed irripetibile, era riuscita a sovrapporre l'immagine onirica che la tormentava da settimane a quelle parole.
Il bosco, l'autunno e le foglie secche, il corvo sul ramo e il lupo alle sue spalle, pronto a balzarle contro. Tutto si rispecchiava in quelle parole provenienti da labbra amiche. Che cosa stava accadendo?
Il pensiero che Oliver potesse aver appena decretato la fine della sua famiglia la terrorizzava. Il nome Moran viaggiava sospeso su corde invisibili, nei suoi pensieri ed appesantendole il cuore. Moran significava tutto per lei: casa, famiglia, affetti. Passato, presente e futuro. Era una Moran ancora prima di vedere la luce, lo era in quel momento e lo sarebbe stata finché non avesse esalato l'ultimo respiro. E quelle parole suggerivano una fine tremenda, funesta ed improvvisa. Come poteva il suo più caro amico avere a che fare con tutto questo? Come poteva sapere che cosa sarebbe accaduto?
La sua mente non accettava - e non l'avrebbe mai fatto - che la Divinazione fosse una vera forma di magia, riservata a pochi Eletti e che fosse in grado di prevedere le sorti del mondo. Se ci avesse creduto, anche solo per un istante, tutte le sue conoscenze e convinzioni sarebbero crollate come un castello di sabbia in balia del mare in tempesta. Non poteva accettare che Oliver possedesse una parte preclusa perfino a se stesso, una parte di cui non avrebbe ricordato nulla e su cui non avrebbe potuto fare costante affidamento. Ciò che la spaventava e le suggeriva di muovere passi incerti verso di lui, era lo sguardo del Grifondoro: il verde delle iridi di quegli occhi sorridenti e vivaci era diverso, velato, la voce cavernosa e inflessibile. Aveva smesso di tremare, continuando a respirare piano ed a ritmo costante.
Infine, così come quel delirio era iniziato, velocemente terminò. Il corpo di Oliver scivolò verso il basso, sul freddo pavimento di pietra. Non rimase interdetta, questa volta, ad osservare la scena in timoroso silenzio. Lasciò cadere le braccia lungo il corpo esile e si inginocchiò accanto all'amico, cercando di sostenerlo.
Aveva mandato a memoria ogni singola parola di quella che doveva chiamare per forza "profezia", ma avrebbe rimandato ad un secondo momento i chiarimenti del caso. Il presente contava più di altre parole, il corpo inerme di Oliver e la sua espressione spaventata avevano l'assoluta precedenza su ogni cosa.





 
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Il caldo regnava come un sovrano indiscusso durante l'ultima visita di Oliver in Irlanda. Suo cugino Elijia era comparso ad Hogsmeade per viaggiare insieme tramite Materializzazione, il sistema di trasporto meno amato dal Grifondoro. Con loro c'era anche Fred, il miglior amico di Oliver, suo compagno di dormitorio nonché di avventure. Si erano organizzati in pochissimi istanti, il tempo necessario per un abbraccio, uno scambio di battute amichevoli e l'idea condivisa di trascorrere qualche giorno in assoluta compagnia. Una lettera era stata spedita ai genitori di Zoungla, nella Capitale, e un'altra aveva raggiunto la Contea di Cork per avvisare la famiglia Brior della presenza imminente di un ospite di così grande affabilità e simpatia. Poche ore dopo, al seguito di un turbinio oscuro causato dalla Materializzazione Congiunta, il gruppetto si era ritrovato nella caratteristica quanto semplice dimora di Louise ed Emmett, genitori di Oliver. Il campeggio, iniziato nel pomeriggio, era stato favoloso. Mai aggettivo sarebbe stato migliore per descriverlo totalmente. La brezza estiva che si librava fra rami e foglie degli alberi del bosco di Cork scelto per l'occasione, la bellezza dei paesaggi, le condivisioni di sentimenti e risate, l'affetto che traboccava fra i volti dei presenti: pochi membri dei Brior erano partiti con il giovane Fred; di sicuro Adeline Brior non si sarebbe sporcata di fango e terriccio, lungi da sé tali peccati di galateo. Era stato piacevole, senza ombra di dubbio, ma l'ultimo giorno, durante una corsa di puro divertimento fra Oliver e Fred, qualcosa di tetro e di certo non previsto aveva preso luogo improvvisamente. Erano fermi sulle rive di una distesa d'acqua anonima, probabilmente uno dei tanti affluenti del fiume Lee che scorreva nell'intera cittadella di Cork, così variopinta quanto caratteristica. Oliver avrebbe potuto ricordare i sassolini sotto i suoi piedi nudi, le dita che sfioravano il muschio incrostato su ogni superficie di quelle pietre simili a ciottoli, il respiro del bosco che aleggiava intorno, il sole che traspariva leggermente da molteplici spiragli fra le chiome degli alberi secolari. E il respiro affannoso per la corsa imprevista, lo scoppio di risa, il divertimento con Fred. La Banshee era apparsa quasi senza logico motivo dal centro dell'apparente lago, increspandolo con onde concentriche al pari di un turbinio o un desolante uragano. E aveva parlato, aveva parlato, aveva parlato. E con lei, figura spettrale di una natura misteriosa, aveva parlato anche Oliver. Avevano parlato. E le loro Voci erano state una sola Voce, i loro cuori un unico cuore, i loro spiriti un solo spirito. Compatti, uniti, perfettamente sincronizzati come gemelli di altri tempi. La profezia era stata scandita con tono raspante, ma in seguito Oliver avrebbe ricordato soltanto il volto pallido e impaurito del suo migliore amico. In seguito avrebbe ricordato soltanto l'abbraccio di Fred Zoungla, pronto a sostenerlo a dispetto della confusione regnante come la brezza estiva, d'un tratto sparita.

«Thalia»
La voce, nuovamente sua, uscì come un sussurro dalle labbra tirate all'indietro. Il petto di Oliver Brior non aveva mai custodito respiro più difficile, neanche durante le sue quotidiane corse d'allenamento nei giardini di Hogwarts, adatte per la sua forma e per evitare che il giornaliero eccesso di dolci lo rendesse simile ad un ippopotamo, come nei più ironici presagi di Elijia. Presagi, mai parola avrebbe colpito più profondamente il già leso spirito del giovane Caposcuola. Era come se qualcuno lo avesse sferzato con un Iracundia degno di nota e di ammirazione. Ma era lui il campione di quell'Incanto Proibito, lui il primo tra i Grifondoro del suo anno ad aver avuto l'accesso al Reparto della Biblioteca per apprenderlo. Lui ad aver scaturito difesa e attacco da una sola controffensiva in un labirinto misterioso comparso al centro della Sala Comune: ricordi, quelli, di cui pochi conoscenti avevano memoria. Ricordi, quelli, che non avrebbe dovuto lasciare liberi, non in quel momento, dove la confusione aveva seguito strade più ampie e larghe di quanto potesse aspettarsi per davvero. La schiena era poggiata al freddo muro di pietra della balaustra della Torre di Divinazione, le gambe erano in strane posizioni, la destra inclinata e la sinistra distesa in avanti sull'altrettanto gelido pavimento di quella zona un tempo anonima. Il tramonto stava calando a picco, lasciando spazio alla tenera sera. Avrebbe concesso riposo al Veggente spezzato? O avrebbe portato nuovi rancori e altrettante preoccupazioni? Il dolore, improvviso come un'oscura magia, si stava affievolendo pian piano. Perlomeno, quello fisico; quello mentale, ahimè, pulsava al pari di un baccello di Pugnacio che Madama Aquileia Goodheart aveva mostrato ad Oliver durante una sua preziosa lezione. Le palpebre tremolarono, in attesa che vista e visione si colmassero di pace, unendosi per tornare completamente alla realtà. E così accadde. Schiusi gli occhi, il verde delle iridi, tanto naturale quanto familiare, si accese di una piccola ma rassicurante scintilla di luminosità. Erano gli occhi di Oliver, era tornato. «Thalia» ripeté, il tono astratto. Percepì un conato di vomito che tenne a bada, mentre il corpo riacquistava energie e controllo in ogni punto. Rivolse l'attenzione alla ragazza, raddrizzando schiena e gambe contro il muro alle spalle. Non era un burattino, era Oliver Brior, fiero Grifondoro. «Mi avevi chiesto dei sogni» disse, ancora pallido, ma dalla voce affabile. "Niente cure per il Principino", urlava sua nonna; "è ferito", gridava sua madre, furiosa come un'arpia. "Deve imparare a gestire il tutto, Louisa"; "mi chiamo Louise, signora Brior, e Oliver è mio figlio!". L'alternarsi di quelle battute di uno dei tanti litigi del passato parvero tranquillizzare, stranamente, l'animo del ragazzo. Stava sbocciando di nuovo, aggrappandosi alla realtà. La sua ultima frase non aveva logica, non se paragonato all'ultimo brano che aveva decantato al pari di una litania. Ignorava di proposito o aveva un vuoto di memoria? Era uno scherzo o una beffa del destino? Lì risiedeva la differenza. E Thalia, allora, come avrebbe reagito di fronte a quella scena a tratti così reale e a tratti tanto irrazionale?


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:08
 
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La luce rossastra del tramonto gettava lunghe ombre scure sul pavimento di pietra della Torre di Divinazione, mentre l'imbrunire sopraggiungeva lentamente come ogni sera.
China vicino ad Oliver, a sinistra, ancora troppo inebetita dalle parole appena udite, cercava di capire quale fosse lo stato del giovane Grifondoro. Avrebber dovuto accompagnarlo in Infermeria? Il buon senso le suggeriva di farlo, anche se la grande stanza adibita a quello scopo si trovava a diversi piani di distanza.
L'aspetto sciupato di Oliver lo faceva sembrare malato, affetto da chissà quale morbo o disturbo: il volto pallido e freddo, lo sguardo velato in apparenza e il respiro affannoso. Non capì che cosa gli stesse accadendo, finché non udì il suo nome uscire dalle labbra del ragazzo, quasi in un tremolio poco convincente. Il timbro di voce, questa volta, era proprio il suo. Un sussurro, certo, ma si trattava della prova che Oliver fosse tornato in sé, che stesse bene e che nulla di negativo sarebbe potuto accadere.
Com'era possibile che poco prima del suo arrivo fosse impegnato in strani studi personali, con aria imbarazzata e cercando di mantenere segrete le sue attività, e dopo pochi attimi fosse lì, seduto sul pavimento di pietra con quell'aspetto orribile? Si sentì responsabile per l'accaduto. Se avesse continuato a procedere verso la Guferia, probabilmente, si sarebbe allontanata di fretta e lui avrebbe continuato a leggere e ad appuntare nozioni di svariati generi sui fedeli pezzi di pergamena ancora ammucchiati sul pavimento. Si sentì in colpa davvero, per la prima volta in vita propria, per aver causato con tutta probabilità l'accaduto e si chiese, ancora una volta, che cosa fosse successo pochi istanti prima.
Quella voce, diversa da quella di Oliver, aveva segnato quel pomeriggio in maniera indelebile. Oliver avrebbe ricordato quanto accaduto? Le frasi pronunciate e il funesto messaggio in esse celato?
Gli scostò i capelli dalla fronte, tirandoli indietro con un gesto affettuoso della mano sinistra, e con l'altra mano sulla spalla destra del Grifondoro, cercò di infondergli sicurezza.

«Oliver. Sono qui...» rispose, iniziando a temere che l'amico non si sarebbe ripreso definitivamente «Oliver? Mi senti?»
Per tutta risposta, Oliver Brior pronunciò nuovamente il suo nome, questa volta con un accenno di convinzione maggiore rispetto al tentativo precedente. Non sapeva perché, ma aveva l'impressione che quel tentativo fosse il segnale di ripresa che aveva tanto atteso. Per lo meno, si disse, l'aveva sentita. Aveva risposto al suo richiamo ed ora, con fatica, cercava di reggersi in piedi. Lo aiutò a tirarsi su, mentre lui puntava i piedi a terra per farsi forza. Era più alto di lei di quasi venti centimetri e, a peso morto come in quel momento, sembrava di sollevare un macigno. Non fu un pensiero lusinghiero, dovette ammetterlo, ma una volta che l'ebbe aiutato a sedersi sulla balaustra, con la schiena appoggiata ad una colonnina di pietra, sospirò di fatica. Era riuscita a rimetterlo in piedi, bisognava considerarlo un primo successo.
«Oliver, come ti senti?» chiese infine, posandogli delicatamente una mano sulla spalla e cercando di incrociare il suo sguardo. Le iridi verdi erano tornate brillanti, di quel colore vivido e particolare. Stava riacquistando colore, o così le parve, ma il respiro affannoso continuava a tediarlo. Sembrava avesse corso per chilometri senza fermarsi mai, eppure non si era mai mosso da quel punto. Che cosa gli era preso?
*Mi sta prendendo in giro?*
Il Grifondoro aveva ritrovato il coraggio o la forza di parlare, pronunciando parole diverse dal suo nome, e aveva ripreso il discorso da dov'era stato interrotto poco prima. Sembrava avesse cancellato la memoria degli ultimi minuti, quella coinvolta in quella che era, ormai doveva cedere all'ovvietà della situazione, una vera e propria profezia.
Aveva dimenticato tutto: i corvi, i lupi, l'oscurità e i presagi. Ogni cosa era stata cancellata dalla sua mente, come se non fosse mai esistita.

«A dire il vero...» iniziò a dire «...avevi già risposto alla mia domanda. O meglio... stavi rispondendo, quando ad un tratto...»
*Quando ad un tratto sei stato "posseduto"?*
Sarebbe stato sciocco e stupido raccontare l'accaduto in certi termini, ma come poteva spiegare gli ultimi cinque minuti di quel casuale incontro se non con parole lontane dal loro mondo? Immaginò lo smarrimento del ragazzo di fronte alla frase lasciata in sospeso, così si accinse a completarla.
«Sei quasi svenuto, lo sai? Ho avuto una paura terribile... Non... non sembravi nemmeno tu.»
Avrebbe avuto il coraggio di dirgli le esatte parole da lui stesso pronunciate qualora le avesse dimenticate?


 
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Non sembravi nemmeno tu.
La frase pulsò nella mente del giovane ragazzo al pari di un invisibile martello. Non si chiese cosa fosse effettivamente successo pochi istanti prima, non ancora perlomeno; era abbastanza concentrato sul suo corpo, nella speranza che il controllo di muscoli, respiro e via dicendo potesse giungere il più presto possibile. Non si sentiva ancora in grado di alzarsi dal pavimento, distendendo schiena e fisico slanciato per sistemarsi al meglio contro la balaustra di pietra alle sue spalle, ma fu contento - e forse un pizzico imbarazzato, avrebbe dovuto ammettere a se stesso - di essere stato aiutato da Thalia ancora una volta. Il suo spirito premuroso era un dono non indifferente, di sicuro anni ed anni di permanenza con suo nonno Connor, incline al galateo quasi quanto Adeline Brior, non avevano lasciato orme anonime nella fanciulla di discendenza Moran. Oliver si domandò, inconsciamente, se Thalia fosse sicura di aver compreso il suo dolore; cosa avesse capito, a pensarci bene, era un mistero anche per il Caposcuola. La sua interlocutrice aveva accennato al fatto che fosse svenuto, ma era stato davvero così? Non ricordava di aver perso il senno della ragione, non ancora perlomeno, anche se la strada per giungere a quella conclusione sì drastica era dietro l'angolo. Aveva precisa memoria della chiusura delle palpebre, più che altro per evitare che lo sguardo captasse i colori e le figure circostanti che sfumavano in un vortice capace di far rimettere l'Irlandese; vomitare in presenza di una ragazza, l'erede dei Moran poi, non sarebbe stata cosa piacevole. Sua nonna lo avrebbe ucciso, se avesse scoperto qualcosa del genere. E probabilmente l'avrebbe fatto anche Oliver al pari di un Elfo Domestico pronto ad autopunirsi. Fu quella placida quanto lieve scusante a dargli un'idea. Fece forza sulle braccia, aggrappandosi alla balaustra all'indietro. Sfiorare la pietra grezza di quella zona dei piani alti di Hogwarts fu rassicurante, in un certo modo. Era sinonimo nonché simbolo di concretezza, qualcosa che andava ben al di là di quanto fosse accaduto pochi istanti prima. Qualcosa che Oliver Brior non era assolutamente in grado di ricordare, sebbene la ragione fosse già all'opera nel tessere pensieri e collegamenti in base alle frasi sentite da Thalia. E se... Ignorò qualsiasi ipotesi, non sarebbe accaduto mai in un frangente simile. Ripescò la scusa di prima cui aveva fatto mente locale, quindi si decise a parlare, il tono di voce finalmente chiaro e senza accenni di affanno. Si stava riprendendo, si era quasi del tutto ripreso.
«Il C.R.E.P.A., sai, ha raggiunto nuovi traguardi, te ne volevo anche parlare stasera...» disse, indicando un plico di pergamene in basso, accanto ad altri fogli e tomi di libri, qualcuno chiuso, qualcun altro aperto su pagine da argomento improbabili per un semplice studente di Hogwarts. Qual era il suo piano, di preciso? Certo, aveva effettivamente considerato le pergamene inerenti gli ultimi progetti del Comitato a favore degli Elfi Domestici, di cui facevano parte sia lui sia Thalia, ma se quest'ultima si fosse avvicinata maggiormente alla collocazione del plico, avrebbe visto anche i simboli di aquile dalla doppia testa, di collegamenti fra araldica e simbologia e tanto altro ancora di difficile spiegazione. Come avrebbe reagito? E, soprattutto, Miss Moran non meritava la sua fiducia? E se... la frase tornò: e se il suo Dono maledetto fosse stato la causa concatenante nonché scatenante di quel Presente così confusionario? Sollevò la mano destra ad altezza volto, muovendola in un pigro gesto come a voler scacciare una mosca. Gli occhi si aprirono per bene, le iridi soppesarono la figura della Tassorosso di fronte, preoccupata. Abbandonò l'idea precedente, optando per la verità. «Cosa è successo, Miss Moran?»
Schietto, sincero, diretto. Niente più fronzoli né bugie, niente più etichette da seguire a menadito. Fiducia, ecco cosa occorreva. E Oliver ne nutriva grande dose nei confronti della ragazza che tanto aveva imparato a conoscere e ad apprezzare negli ultimi tempi. «Posso osservare il ciondolo che indossi?» aggiunse subito dopo, il volto che prendeva nuovo colorito, la paura di prima che spariva lentamente. E quella richiesta, misteriosa come poche altre da parte di Oliver Brior, avrebbe aperto altri segreti, altre porte, altri timori. Era necessario, forse. Oppure quella pièce teatrale stava prendendo una piega sbagliata. I suoi occhi chiesero onestà, si augurava che Thalia non avesse remore nel presentare quanto accaduto senza tralasciare alcunché.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:08
 
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Assicurarsi che Oliver si sentisse meglio era la sua principale preoccupazione. Non le importava la sensazione di disagio provata nell'ascoltare quelle parole oscure, pronunciate da quella voce così diversa; certo, non le avrebbe mai dimenticate, ma in quel frangente credeva fosse fondamentale comprendere come potesse essere utile al Caposcuola Grifondoro, nonché amico.
Lo scrutò con attenzione chirurgica, quasi, cercando di capire quale fosse il passo successivo da compiere, cercando di metterlo a proprio agio e di farlo sentire al sicuro. Quante volte aveva osservato Oliver e pensato di vedere l'emblema della sicurezza e del coraggio fatto a persona? Ora, di quell'idea non restava altro che un vuoto simulacro: il corpo di un quindicenne reduce di tremori, ansimi e spavento. Aveva detto il vero, poco prima: non sembrava il solito Oliver. Non c'era traccia di un sorriso cordiale sul suo volto, così come l'assenza di uno sguardo calmo e, al contempo, vivace; spostò la mano dalla sua spalla per portarla alla fronte del ragazzo, ancora una volta in un gesto confidenziale che probabilmente Helen avrebbe travisato. Non esisteva, tuttavia, malizia in quell'atto. Anzi, probabilmente avrebbe voluto che Oliver le dicesse qualcosa di sensato in merito al suo stato di salute, in modo da poter agire coerentemente alla situazione. Invece, contro ogni aspettativa, aveva cambiato repentinamente argomento.

«Oliver... credo che qualsiasi cosa tu stessi facendo qui c'entrasse poco o nulla con il Comitato. Mi sbaglio?» rispose, infine, cercando il suo sguardo.
Ricordava fin troppo bene la parola "bifronte", ripetuta più volte e seguita da una definizione - o così credeva - redatta in lingua francese. Certamente Oliver doveva aver lavorato su nuovi progetti del C.R.E.P.A., ma dubitava si fosse allontanato dalla propria Sala Comune per quel preciso motivo. Il buon senso le suggeriva che vi fosse un'altra ragione per quell'isolamento forzato e per le misure di sicurezza adottate - prima tra tutte quell'infernale tamburo di fuoco.
Non indagò oltre, ma seguì lo sguardo del giovane, notando le pergamene riordinate in fretta sul pavimento e lì abbandonate. Tornò a posare lo sguardo su di lui, non appena le chiese di raccontarle che cosa fosse accaduto.
Sarebbe stato più facile spiegare ad un Babbano l'esistenza dei draghi, questo fu il primo pensiero. Da dove cominciare? Dall'irrigidimento fisico del Grifondoro, dallo sguardo velato o dalla voce spaventosa uscita dalle sue labbra?
Quando fu certa che fosse in grado di reggersi in piedi e di non essere nuovamente soggetto ad un mancamento, si sedette accanto a lui. Come affrontare quell'argomento? Come spiegare la sensazione di smarrimento provata nel sentirlo decretare la probabile fine della sua famiglia? Oliver avrebbe saputo darle spiegazioni? E se non ne fosse stato in grado, dove avrebbe preso le sue informazioni?

«Da dove posso cominciare...» disse, infine, in un sussurro timoroso «Forse... sì. Forse dovrei cominciare col fatto che hai iniziato a rispondere alla mia domanda e poi... poi... è stato un attimo Oliver.»
Gli occhi azzurro-grigi cercarono le iridi verdi dell'amico, con un'espressione timorosa quanto la voce.
«Hai iniziato a... tremare. E parlavi, ma non eri tu. Non era... non... la tua voce era diversa. Come se... come se fosse un Oliver diverso a parlare. Ha senso per te?»
*Ovvio che non ha senso per lui, sciocca.*
Istintivamente portò la mano sull'avambraccio del ragazzo e lo strinse appena, portando lo sguardo fisso in un punto imprecisato di fronte a sé.
«E hai detto delle cose... cose terribili.»
*Cose che io vedo nei miei sogni...*
E così, interrompendo la pausa nella sua risposta, Oliver le chiese di poter osservare il suo ciondolo. Portò la mano destra al petto, dove la Stella dell'Eire era rimasta per tutto il tempo, il metallo freddo a contatto con la sua pelle candida. Sin dalla prima volta che l'aveva visto, Oliver si era estraniato dalla realtà, ma mai come quel giorno si ritrovò a pensare che il ragazzo le nascondesse qualcosa. Decise di assecondarlo, portando le mani al di sotto dei capelli ramati, alla base del collo, per sciogliere la catenella di metallo chiaro. La prese per un'estremità e la consegnò del palmo del Grifondoro, aspettando di carpire una qualsiasi informazione.
«Oliver, perché ti sconvolge tanto quel ciondolo?»
Una domanda semplice e diretta. Si chiese se la risposta sarebbe stata altrettanto schietta e di facile comprensione.





 
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Parlavi, ma non eri tu. La tua voce era diversa.
Il silenzio si dilatò nell'animo di Oliver, mentre gli occhi si chiudevano per l'ennesima volta, intenzionati a non guardare né vedere, lì dove la differenza avrebbe sancito vittoria o sconfitta. Attese che le altre parole della studentessa di fronte creassero confusione o chiarezza, l'una meno agognata dell'altra. Cosa avrebbe dovuto dirle, adesso? Cosa avrebbe dovuto fare? Il gesto d'affetto nei suoi confronti, ancora una volta, lo portò al Presente, stracciando tutto se stesso da un Futuro che poco avrebbe compreso, che di sicuro poco avrebbe ricordato. E ascoltò, ancora, nella segreta speranza che fosse uno dei tanti scherzi simili a quelli di Elijia.

E hai detto delle cose terribili.
Senso. Thalia Moran chiedeva se il tutto avesse un senso per lui. Lo aveva, eccome se lo aveva. Sarebbe stato chiaro anche per lei, se Oliver avesse finalmente deciso di rivelare il suo mistero? E se la razionalità della Tassorosso l'avesse tacciato come eretico? Non fu in grado di spiegare neanche a se stesso l'esatto motivo per cui in quel preciso momento la memoria avesse ripescato un ricordo legato ad una lezione di Sir Peverell, docente di Storia della Magia di Hogwarts. Era un corso interessante, una spiegazione niente affatto tediosa come qualche altro alunno aveva considerato. Streghe e Maghi perseguitati durante la Caccia ad opera dei Babbani, poveri innocenti trucidati perché privi di bacchetta magica per difendersi oppure perché in compagnia di bacchette magiche da condannare. Sottili eventi che si univano ad altri nel formare la Grande Confusione, come Oliver aveva etichettato quel periodo così oscuro nel suo saggio consegnato al professore. E tanti Irlandesi, tra i quali Horus O'Clok, emigrati dal loro paese alla ricerca di speranze, tranquillità e pace che stolti Babbani si erano decisamente impegnati a distruggere. Cosa fosse successo, dunque, se Thalia Moran non avesse afferrato al volo la sua improbabile ragione? A differenza degli ignoranti Non-Maghi, la studentessa aveva ereditato il dono della magia, cosa che la rendeva meno incline a delineare Oliver pazzo come avrebbe fatto, in passato, una donna circondata da mazze chiodate e forche minacciose. Eppure, il potere del Caposcuola non era di conoscenza comune, non di preciso. Esisteva addirittura un corso all'interno della Scuola di Hogwarts, ma quanti effettivamente avrebbero apprezzato e temuto le conseguenze e i pregi della Divinazione? Una maledizione, così veniva definita da Adeline Brior. E in quel momento, più che nei giorni precedenti, Oliver vide se stesso come un Veggente spezzato. Riaprì gli occhi solo dopo alcuni istanti, ricevendo tra le mani il ciondolo che Thalia aveva sciolto dal collo. Non era più titubante, doveva ammetterlo, ma quando chiuse le dita attorno l'amuleto, una sussurro scivolò via dalla sua bocca. Il metallo aveva delineato onde e forme dell'oggetto e per un attimo Oliver si domandò se fosse giusto stringere nel proprio palmo un artefatto di così grande valore emotivo. Non solo per Thalia, ma anche per lui. «La Stella dell'Eire» disse, il tono serio, forse più del previsto. Stava spaventando la sua interlocutrice? Si poteva davvero parlare di dialogo, data la sua assenza? Astratto, ecco l'aggettivo giusto per descrivere Oliver in quell'istante. Tuttavia, Miss Moran non meritava la sua indifferenza né la sua confusione. Si fidava di lei. Si fidava davvero. E così, ignaro delle future conseguenze, lui che avrebbe potuto predirle per davvero, scelse di dare una possibilità ad un'amica degna di tale definizione.
eire
«Conosci il significato di questo simbolo?» chiese, continuando senza attendere alcuna risposta. Era più un quesito retorico che altro. «Nord, Sud, Ovest, Est. Quattro punti cardinali, quattro ramificazioni, ma tutte puntano verso il centro, un unico centro». Sollevò il ciondolo abbastanza da farlo penzolare dalla mano destra, mentre con l'indice della sinistra seguiva i confini prima di una striscia e poi di un'altra, arrivando sempre al punto focale di quelle forme simili a foglie. «Si espandono, si allargano, sfumavano ovunque, ma tornano sempre al centro. Formano una croce, per alcuni invece una stella, ma il vero senso è un altro, quello dell'infinita eternità» continuò, l'ultima parola scandita con precisione. L'amuleto tornò nel palmo, ancora aperto per rendere visibile la struttura dell'oggetto alla vicina ragazza. «Diverse direzioni, perché ogni ramo si intreccia con l'altro, senza un ordine preciso. Eppure, l'Eire è simbolo di unità, perché non una sola striscia scappa via. E' un vincolo senza inizio né fine, un vincolo continuo. Qualcuno dice che sia segno di fedeltà e protezione, qualcun altro, come mia nonna, lo considera un sistema per racchiudere energia e mai disperderla». Gli occhi parvero catturare un ultimo sprazzo di luce rossastra del tramonto alle spalle del ragazzo, facendo pulsare il mistero sillaba dopo sillaba. Non una sola frase era capace di rispondere alle domande e ai dubbi di Thalia, a che pro tutto quel discorso di segni e interpretazioni? L'indice sfiorò nuovamente il centro e da lì cominciò a vorticare ai confini, seguendo le forme circolari di bande e strisce, l'una dietro l'altra. Non una volta il dito abbandonò quel confine. «Immagina l'energia come il Tempo. Lo scorrere delle ore, dei giorni, degli anni, ma anche dei secondi e dei minuti. Avanti e indietro, avanti e indietro. Un movimento continuo, ma mai dispersivo, ti trovi? Non una sola scintilla di Tempo potrà uscire da questo simbolo, è una scatola chiusa per sempre». Si alzò dalla balaustra, il controllo del suo corpo tornato efficiente e il volto acceso di nuovo. Non era più spezzato, era vivo. La Stella dell'Eire discese di fronte lo sguardo di Thalia. «E adesso immagina che quel Tempo sia il mio Tempo. Segue una linea ordinata, parte da un punto e via così, avanti e indietro». Strattonò il ciondolo, mandandolo in aria e poi nuovamente in basso, sempre stringendo la catenina dall'alto delle sue dita. Oscillò, le bande non erano più visibili per davvero, la confusione regnava. «Non esiste più un ordine, perché la realtà l'ha forzato e stravolto. Adesso il Tempo è in balia della tempesta, da quale punto si parte? Da quale banda si inizia e in quale si conclude? Energia dispersiva, non più delineata. Se prima c'era un filo conduttore, una partenza e un traguardo, adesso non esiste più.» L'amuleto oscillava senza logica alcuna, il suo disegno strutturale non si scorgeva per bene. Oliver era forse impazzito? Probabile. «Non più Passato, poi Presente e poi Futuro, ma tutto in confusione. Futuro o Passato? Presente prima del Passato? E se fosse il Futuro nel Presente?» Si fermò, gli occhi leggermente spalancati mentre osservavano con attenzione Thalia. La mano destra racchiuse il simbolo definitivamente, nascondendolo alla vista di entrambi i presenti. Era finito, era scomparso. «Cosa succede, Thalia, se il Tempo non segue un ordine?» domandò, un accenno di sorriso. Era una prova? Colpa dei dolci, avrebbe detto qualcuno. Colpa del mancato sonno, avrebbe aggiunto qualcun altro. La ragione regnava di nuovo.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:08
 
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