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I frutti dello Spirito, 9-10

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view post Posted on 12/4/2016, 17:34

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I frutti dello Spirito Santo /9



MITEZZA E PAZIENZA
SONO FRUTTI DELLO SPIRITO




INTRODUZIONE

Un cuore mite e paziente


In questo nostro mondo dove i violenti e coloro che vivono nella sopraffazione sembrano dettar legge, è quanto mai opportuno far risuonare la beatitudine di Gesù: «Beati i miti, erediteranno la terra». Una affermazione in netta contraddizione con l'esperienza quotidiana, dove chi vince, chi emerge sembra far leva solo su atteggiamenti di strapotere e di prepotenza. Ma la Parola di Dio è al di là di tutte le logiche umane e supera ogni dimensione semplicemente storica.
Il cristiano sa che è chiamato ogni giorno alla conversione, al cambiamento del cuore per entrare nella logica di Gesù. Lo sa, anche quando questo comporta un sentirsi "fuori gioco". Tutto sta nel recuperare un forte aggancio con l'essenziale per imparare a leggere la vita con gli occhi di Colui che la vita ha creato. La vera contestazione alla mentalità dominante viene proprio dalla mentalità evangelica, in base alla quale vince colui che apparentemente è un perdente, arriva colui che sembra esser stato schiacciato...
Mitezza, pazienza: parole certamente fuori posto nel mondo di oggi, ma chiave di lettura sostanziale per verificare se siamo dalla parte di Cristo o se siamo finiti tra le grinfie di un mondo che macina l'anima e l'assoggetta al materialismo opportunistico.
Vogliamo allora accettare la sfida del Signore e verificare il nostro cammino di fede. Nella nostra povertà possiamo trovare conforto e sostegno per un camminino di autentica novità implorando dallo Spirito il frutto di un cuore mite e paziente per seguire i passi di Gesù, il «mite ed umile di cuore».



LA RIFLESSIONE

«Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù»


Il cristiano, come ci dice S. Paolo, è chiamato a guardare Cristo (cf. Filippesi 2,5). Tra questi sentimenti, sicuramente, emergono nel Vangelo la mitezza e la pazienza di Gesù. E' a questa scuola che bisogna attingere per riuscire a capire cosa significhino mitezza e pazienza quali frutti dello Spirito Santo. Infatti la mitezza sottende tutto l'operato di Gesù ed è il Suo atteggiamento di fondo con cui accoglie tutti quelli che a Lui si avvicinano.
Pur avendo tutto il diritto ad essere servito, Gesù si fece servitore di tutti. Tutta intera la sua attività non è altro che servire gli uomini, cioè occuparsi di loro. Egli si è indirizzato verso tutti con un messaggio e un invito, e non ha costretto nessuno. Dio non costringe mai e non vuole la costrizione. Dio insiste, sì, e può sconvolgere totalmente il cuore di un uomo fino al punto che quest'ultimo si sente portato ed interpellato da un amore irrompente, ma non vuole risposte forzate. Il Signore è venuto per salvare, non per punire. Egli ammonisce anche molto seriamente l'uomo libero e responsabile, ma non adopera la minaccia per infrangere la sua libertà. Si è mostrato in tutto mite e forte, mansueto e grande in ogni circostanza, anche nei momenti più delicati e difficili: è la sua una mitezza che emana da un cuore che ama come solo Dio può amare.
La mitezza di Gesù può essere paragonata a quella di un Padre saggio che conosce la vita e che, con pazienza, cerca di educare il figlio. Di fronte alle ripetute prese di posizione di quest'ultimo, agli errori e capricci, il padre con amorevole pazienza lo attende, lo riprende e lo corregge. Con il suo avvento, infatti, Cristo ha portato la nuova legge, quella definitiva, che è quella dell'Amore e non più quella del timore. Dio vuole una risposta di Amore da colui per il quale, per Amore, ha dato la sua vita. E dunque, anche il suo parlare ed agire è conforme a questo grande Amore e non può esprimersi che con mitezza.
La mitezza del Signore è sorprendente. AI suo posto forse avremmo fatto "fiamme e fuoco" pur di portare avanti ed affermare il compito affidatoci e con esso la nostra persona. In tali contesti per noi uomini è facile cadere nella tentazione di confondere l'autorità del messaggio portato con l'autorità di cui ci sentiamo investiti per il solo fatto che lo portiamo avanti, dimenticando ciò che spesso San Francesco ricordava a se stesso ed ai suoi frati, cioè che «siamo servi inutili». Ecco allora che si perde il senso della realtà e ci sembra più che giustificato un atteggiamento di imposizione, d'autorità e durezza verso chi non la pensa proprio come noi, confondendo appunto noi stessi con la Verità. Ma la mitezza quale frutto dello Spirito non è affermazione della persona, ma affermazione umile e semplice della Verità che ha in se stessa la forza per affermarsi.
Gesù vuole la libera adesione dell'uomo e per questo annuncia con mitezza il suo messaggio. Pur proponendo con decisione l'avvento del Regno di Dio nella sua persona, non lo impone e nessuno, ma richiede sempre libera adesione di fede. Tutto questo si esprime ai massimi livelli nella Passione. Secondo la logica umana ci aspetteremmo la rabbia di Dio contro l'ottusità dell'uomo, ma vediamo invece prevalere un'altra logica proposta da Cristo nell'orto del Getsemani, dove ciò che conta non è la propria volontà ma quella del Padre. Ecco allora che è proprio nella contemplazione di questi misteri della vita di Gesù che possiamo capire e vivere questo frutto dello Spirito. Scopriremo così come diventa fondamentale interrogarsi e ricercare la volontà di Dio per noi, perché solo vivendo in essa sapremo avere quella forza dello Spirito che ci permette di essere miti come lo fu Cristo. Allora sapremo discernere e dare il giusto peso e valore a ciò che riempie il nostro quotidiano evitando l'intransigenza e l'assolutizzazione di ciò che in realtà è solo relativo: «cercate il Regno di Dio, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù». Si tratta cioè di leggere e vivere la realtà partendo da una logica diversa da quella proposta dal mondo, dove il trinomio «Io sono, io voglio, io posso» vale come regola di fondo delle relazioni umane. Alla logica dell'assolutizzazione, dell'affermazione dell'«io» a tutti i costi, Cristo, con l'esempio della sua vita, risponde con quella di un progetto dove la persona, nella sua individualità, è chiamata ad interagire con tutta l'umanità secondo il Suo esempio.
Essere persone miti significherà, allora, rispettare la libertà dell'altro in quanto coscienti che la Verità non è un esclusivo nostro possesso, ma un dono che Dio dà a chi vuole, secondo i Suoi tempi e modi. Significa quindi, di conseguenza, sapersi porre in ascolto dell'altro con animo aperto ed accogliente, per cogliere ciò che lo Spirito Santo ha realizzato e realizza nel fratello.
Infine va fatta un'ultima considerazione. La gente, come si sa, non si avvicina volentieri alle ortiche né alle spine, ma invece si accosta al fico e al grappolo d'uva. Per sé i comandamenti di Dio sono amabili ed attraenti in quanto contengono una promessa di vita e di gioia. Il Signore stesso ha proposto le Beatitudini come promesse, come assicurazioni di pace e di felicità; inoltre Lui, «mite ed umile di cuore», ha promesso un riposo a coloro che si mettono alla Sua scuola.. Tutto ciò significa che l'uomo è introdotto nel Regno di Dio con l'attrazione del bene, cioè, in fin dei conti, dall'amabilità di Dio stesso, dalla persona affabile del Signore. Tale è anche l'atteggiamento che ci deve contraddistinguere nei nostri rapporti con gli altri, nel servizio e apostolato che portiamo avanti, perché solo così saremo in grado di essere testimoni di chi per primo è stato mite ed umile e ne è la fonte. E' l'anima mite che attrae gli altri, mentre un atteggiamento duro allontana. Mitezza dunque significa disponibilità a chiunque bussa alla nostra porta perché, come cristiani, siamo certi che è dando che si riceve, ed è ciò che intende il Signore quando ci dice: «se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due» (Matteo 5,41).

Jhonny Libbi




LA SCHEDA BIBLICA

«Imparate da me
che sono mite ed umile di cuore»


Matteo 5, 5 - «Beati i miti, perché erediteranno la terra».

Matteo 11, 28-29 - «Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi ed imparate da me, che sono mite ed umile di cuore».

Efesini 4, 1-3 - «Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuta, con ogni umiltà e mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore...».

Colossesi 3, 12- «Rivestitevi dunque, come amanti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà e di umiltà, di mansuetudine e di pazienza...».


Una prima riflessione nasce dal significato dei termini impiegati. Il termine greco che noi in italiano traduciamo con «mitezza o mansuetudine» è «praytes», che propriamente indica una dote dello spirito, una disposizione interiore di dolcezza verso il prossimo che si manifesta nel comportamento e in ogni forma di rapporti con esso: è la mancanza di ogni durezza, imposizione o violenza: è una particolare forma di umiltà, moderazione, calma interiore. Il latino «mitis» si riferisce propriamente al tatto, al sapore e in particolare al sapore caratteristico del frutto maturo. Si oppone al vocabolo «immitis» o «acerbus»: un frutto «immite» è acerbo. Pertanto alla nozione di mitezza si associa facilmente l'idea di maturità e soavità in opposizione alla crudezza e all'acredine. In senso traslato l'aggettivo «mite» si riferisce al carattere o al comportamento di una determinata persona che in questo senso è dolce, mansueta, mite, non arrogante, che non vanta diritti, non assume l'aria di chi è importante.
L'importanza della mitezza nella vita cristiana risulta chiaramente dal primo testo che noi abbiamo indicato: la beatitudine evangelica, «Beati i miti perché erediteranno la terra». Questa beatitudine deve essere letta in rapporto alla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli». In ultima analisi essere poveri nello spirito significa essere umili davanti a Dio, davanti a se stessi ed agli altri. La mitezza in senso cristiano non è che un aspetto dell'umiltà davanti agli altri, perché addolcisce il tratto, l'espressione, il linguaggio, il comportamento globale nei confronti degli altri, e tenendo lontano la durezza e la violenza, rende facili, "dolci" e gradevoli i rapporti con gli altri. Questa dote può essere "caratteriale", nel senso che ci possono essere persone che per carattere manifestano tali tratti, ma evangelicamente parlando essa viene dal di dentro, dal cuore, sta nell'anima, è un frutto dello Spirito, quindi è un prolungamento dell'attività della carità che ci porta a possedere la terra. Nel concetto biblico veterotestamentario la terra era l'eredità che Dio aveva promesso al suo popolo. Nella pienezza della rivelazione di Gesù, la terra come significato acquista la valenza di un'altra terra promessa: la pienezza del regno di Dio. Potremmo quindi tradurre la beatitudine in questi termini: «beati coloro che sono ben disposti, con ogni forma di dolcezza, verso gli altri, senza acredine, aggressività, perché costoro portano il frutto dello Spirito e della carità, possederanno la terra promessa del Regno di Dio!
L'esempio a cui guardare per imparare a vivere questo prelibato frutto dello Spirito e della carità è Gesù. E' quanto ci indica il secondo testo riportato, quello di Matteo 11,28-29. Gesù è il mite per eccellenza perché è il povero in spirito per eccellenza. Egli è la carità che non si vanta, non si gonfia di orgoglio, è la carità accogliente e dolce, disarmata e inerme.
Ed è così che seguendo ed imitando Cristo, secondo S. Paolo (terzo e quarto testo indicato) il cristiano deve vivere, per realizzare la propria vocazione di cristiano, «con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza».
La pazienza è l'essere perseveranti nella dolce mitezza nonostante il fastidio o la durezza aggressiva che gli altri possono avere nei nostri confronti. Per vivere questa vocazione bisogna rivestirsi, cioè mettere abiti nuovi al nostro carattere, alla nostra umanità: e gli abiti nuovi sono umiltà, mansuetudine e pazienza!
Per vivere con piena maturità questo frutto dello Spirito occorre avere il coraggio di fare "guerra" al proprio orgoglio, al proprio io che tende sempre ad imporsi, a prevalere, a prevaricare sugli altri...

* Quale atteggiamento hai verso gli altri? Sei violento, aggressivo? Vuoi avere sempre ragione tu ad ogni costo, fino a squalificare gli altri?
* Chi sono "gli altri" per te? Persone da cui guardarti, da cui difenderti? Oppure "fratelli" da accogliere e con i quali condividere con "pazienza e mitezza" la tua vita?
* Tieni in modo particolarmente geloso alle tue idee, ai tuoi progetti fino a prevaricare sugli altri?

p. Augusto Drago



IN CAMMINO CON MARIA

Maria, povera ed umile, ricca solo di Dio


«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Matteo 11,29).
Gesù è un Maestro che non aggredisce, non è violento, non è superbo, non è impaziente. Lui conosce ed esercita l'arte dell'accoglienza, non della sopraffazione.
La mitezza non è questione di sentimento, ma è questione di fatti; è la disponibilità a farsi piccoli e a servire i fratelli. Per questo Gesù si è detto mite e umile di cuore.
La mitezza è sorella gemella dell'umiltà. Gesù non impone niente a nessuno, il suo annuncio è un dono, il suo amore è gratuito.
Gesù, il Maestro mite, appare però come un uomo sopraffatto, un vinto, addirittura un giustiziato: Che cosa, allora si guadagna ad essere miti? «I miti erediteranno la terra» (Matteo 5,5). Veramente, se si guarda all'epoca in cui viviamo, dobbiamo dire che stiamo facendo un discorso... fuori stagione. Ma pensiamo un po' a cosa potrebbe succedere nel mondo se noi fossimo una presenza di mitezza. Intraprendiamo, a tale scopo, un viaggio alla ricerca di uomini miti. Un esempio di grande e disarmata mitezza lo incontriamo in P. Massimiliano Kolbe. Sì, proprio lui, l'eroe di Auschwitz, il martire dell'amore appassionato all'uomo. Si mette accanto a noi per ricordarci che «solo l'amore crea, l'odio distrugge, non è forza creativa». Con la sua vita «offerta per», San Massimiliano smentisce il detto popolare: «Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia!». Egli non è stato risucchiato dalla storia. Nel campo di concentramento egli diventa la matricola 16670, cioè niente tra migliaia di altri niente... Sembrava uno sconfitto, una persona annullata, schiacciata da un potere che appariva invincibile; il risultato è che egli è stato uno dei pochi vincitori, uno dei pochi che hanno sconfitto il muro della disperazione, del non senso. In quel luogo violento ha acceso la speranza.
Il Padre Kolbe ci dice che i miti sono i soli che comprendono il vero senso della storia. Chi ha dato al Padre Kolbe, «il mite francescano», la forza di andare contro corrente e diventare così una presenza profetica? Lei, l'immacolata, la donna del Magnificat, «l'inno più forte e innovatore che sia mai stato pronunciato» (Paolo VI). Maria rivela il volto di misericordia e di tenerezza, di mitezza e di gratuità di Dio che si china sui miseri e opera il rovesciamento delle situazioni: il superbo sarà abbassato, l'umile sarà innalzato.
Maria trova il punto chiave per aprire un'era nuova al mondo, fidandosi dello Spirito di Dio. «Come può avvenire questo?... Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Luca 1,34). «Eccomi, sono la serva del Signore» (Luca 1,38).
La mitezza è un bene che viene dal cielo, non è una pianta che spunta sulla nostra terra. E' dono dello Spirito di Dio. Abbiamo bisogno dello Spirito di Dio per capire che essere miti non significa essere degli "addormentati", ma protagonisti della storia, della storia della salvezza. Non dobbiamo aver paura di apparire dei vinti; saremo dei vincitori!
Tutti, in un modo o nell'altro, ci diamo da fare per farci notare. Se potessimo guardarci in uno specchio, vedremmo lo spettacolo di una folla immensa di gente che si leva sulla punta dei piedi, cercando di innalzarsi l'uno al di sopra dell'altro e gridando: «Ci sono anch'io nel mondo!».
«Se uno pensa di essere qualcosa, mentre è nulla, inganna se stesso» (Galati 6,33). Non così tu, Maria. Tu che agisci sotto l'influsso dello Spirito, diventi il luogo della manifestazione della potenza creatrice di Dio.
Tu ci insegni che il dono dello Spirito si riceve facendone l'esperienza. E canti che Dio è quel Signore che non si compiace di innalzare ciò che è umile e di abbassare ciò che pretende di stare in alto: tu hai sperimentato in te stessa che Dio opera grandi cose, per quanto umili poveri e sconosciuti si possa essere. «Beati i miti», proclama Gesù; Maria crede e Dio opera in lei con potenza.
L'agire creativo dello Spirito Santo si avvera nell'uomo che prima ha creduto in Dio, nella sua Parola e nella sua potenza. «Beati i miti, perché erediteranno la terra».
Angela Esposito




CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

La mitezza e la pazienza
del Poverello di Assisi


« Quando i frati vanno per il mondo non litighino, ed evitino le dispute di parole, né giudichino gli altri, ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti ed umili, parlando onestamente come si conviene» (Fonti francescane, 85).
Francesco è innamorato della mitezza di Gesù che emana da tutto il Vangelo. Nel mistero di Betlemme ammira il «mite fanciullo» totalmente indifeso, fatto per noi debolezza, fragilità... Nel mistero di Nazareth lo vede lavorare con le proprie mani, ubbidiente e sottomesso a Giuseppe e a Maria. Egli è tra noi nel silenzio di una vita in tutto simile alla nostra. La gloria, il vanto, la grandezza dell'Onnipotente Dio hanno cambiato segno e si sono trasformate in nascondimento, piccolezza, mitezza.
Nel mistero della vita pubblica lo ammira talmente mite da dipendere dagli altri anche per il sostentamento per la sua vita. La sua parola così autorevole, così forte non è mai costrizione, ma invito; non vuole risposte forzate, ma adesione piena d'amore.
Gesù si è mostrato in tutto mite e forte, mansueto e grande; fu tale quando rispose alla guardia che gli diede uno schiaffo: «Se ho parlato male, dimostrami dove è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Giovanni 18,23); e lo fu anche quando pregò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Luca 23,34).
Dal Signore Francesco ha appreso la forza della mitezza e dallo Spirito operante in lui l'ha avuta in dono. Ai frati pellegrini per il mondo raccomanda come un modo di essere apostolico tra i fedeli e gli infedeli l'atteggiamento mite che conquista tutti. La mitezza dei frati disarma i ladri di Montecasale e li tramuta in frati minori; così come disarma il «soldan superbo», il Sultano di Damietta. Disarmare l'aggressività con la mitezza è la grande lezione di San Francesco.

Anche noi oggi abbiamo bisogno di questa singolare riserva di bontà per disarmare l'aggressività che ci stringe da ogni parte. E Francesco è lì come testimone dell'efficacia della mitezza per frenare la protervia del male.
Eppure com'è difficile credere alla forza della mitezza! Siamo così abituati alla forza e alla ragione di chi è aggressivo che ci sembra perfino strano e innaturale essere miti, mentre è il contrario.
Nei rapporti con le persone la mitezza si veste di pazienza. Non quella che si apprende con tecniche umane, con gli esercizi di rilassamento. Queste sono cose buone, ma la pazienza dono dello Spirito è altra cosa.
Dove ha appreso Francesco la virtù della pazienza? Ha contemplato il «Buon Pastore che per salvare le sue pecorelle sopportò la Passione e la Croce» (FF 155).
Ha conosciuto il Dio paziente fissando lo sguardo sul libro della croce ed ha capito che la cosa più importante era affidarsi a Dio, entrare nella sua logica, accogliere i suoi tempi, lasciarsi fare dal Signore... La Bibbia non è forse la storia della pazienza di Dio con l'uomo?
La pazienza di Dio forma i suoi amici, li "sperimenta", li prova per purificare ogni traccia di peccato.
Ed eccoci allora alla grande pazienza di S. Francesco nelle tribolazioni e nelle pene dell'anima e del corpo. «Le pecore del Signore lo seguirono nella tribolazione e nella persecuzione e nell'ignominia e nella fame e nella sete, n ella infermità e n ella tentazione e in altre simili cose» (FF 155).
I primi frati, «completamente crocifissi al mondo, ... amavano talmente la pazienza che preferivano stare dove c'era da soffrire persecuzione che dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori del mondo» (FF 390).
E poi ancora la pazienza verso il fratello. La lezione di Francesco anche in questo è veramente magnifica e così somigliante a quella di Gesù da lasciare stupiti.
«Beato il servo che sopporta così pazientemente da unì altro la correzione, le accuse e i rimproveri come se li facesse da sé. Beato il servo che, rimproverato, benignamente tace, rispettosamente si sottomette, umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il servo che non è pronto a scusarsi e umilmente sostiene la vergogna e la riprensione per unì peccato, mentre non ha commesso colpa» (FF 172).
Essere povero e minore con gli altri obbliga inevitabilmente alla pazienza, cioè a non appropriarsi del fratello, ma di riceverlo, con tutte le sue molestie, come dono di grazia del Signore, restandogli fedele nella fedeltà e misericordia di Dio. Donaci, Signore, la pazienza di Francesco e di Chiara. Donaci un cuore mite che non conosca i fremiti dell'orgoglio e dell'ira.
p. Giancarlo Corsini




ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

Con pazienza, alla conquista... di noi stessi


L'agitazione che caratterizza la nostra vita quotidiana sta ad indicare la mancanza di libertà del cuore, il disorientamento nel campo dei valori e la carenza di un punto forte di riferimento che sia capace di condizionare le nostre reazioni in modo positivo. Gesù ci chiede di andare a scuola da Lui per imparare mitezza ed umiltà di cuore. L'umiltà ci rimette al posto giusto, ridonandoci la certezza di essere creature, amate e pensate da un Creatore che è Provvidenza. La mitezza ridona ai nostri atteggiamenti quella serenità che nasce dal sapere che ben poco dipende da noi perché tutto è nelle mani di Dio. Possiamo definire la mitezza come quella docilità che nasce dalla gioia del «lasciarsi fare» da Qualcuno che conosce bene cosa giova alla nostra vita. Se credessimo davvero che il Signore segue i nostri passi, crea condizioni giuste perché noi incarniamo la Sua volontà e sperimentiamo la pace, tutto cambierebbe, incominciando dalle reazioni profonde e dagli atteggiamenti con cui ci relazioniamo al reale. Il mite è un uomo paziente, un uomo che sperimenta la fedeltà di Dio e sceglie di vivere secondo i Suoi «tempi», che, come ben sappiamo non sono i tempi dell'uomo. Dio vede molto più lontano delle sue creature e conosce molto bene che cosa giova alla loro salvezza; non così l'uomo, che crede di poter condizionare il proprio tempo per edificare una pace a sua misura e finisce, in questo modo, per creare agitazione e disagio attorno a sé.
La mitezza è un dono dello Spirito. Solo lo Spirito può infatti farci percepire la certezza che nasce dal sentirsi tenuti per mano o «portati in braccio» dal Dio che è Amore. Anche la pazienza è un dono dello Spirito, perché è lo Spirito che ci rivela i segreti disegni di Dio e ci aiuta ad adeguarci ad un cammino che non conosce soste ma che non accetta i nostri ritmi.
Il mite ed il paziente è costruttore di una storia di novità: in un mondo agitato e convulso, l'uomo mite mette in crisi i meccanismi semplicemente umani della storia ed accetta di farsi strumento docile tra le mani di Dio, incarnando i Suoi modi di vedere e di fare, i Suoi giudizi e la Sua misericordia. Il violento vuole condizionare la storia, adeguarla ai propri schemi, strumentalizzando persone e cose a questi schemi. Questo non aiuta l'uomo a camminare ed a crescere in libertà. Solo la mitezza riporta l'uomo nel suo alveo naturale e, come creatura, lo edifica per un progetto più ampio e soddisfacente: «Beati i miti perché erediteranno la terra» (Matteo 5,5).

A. Giovanissimi

Il mondo in cui il ragazzo è chiamato a vivere è troppo spesso condizionato da sopraffazioni e da arrivismi. I più forti sembrano sempre vincere, mentre i deboli, i piccoli ed i fragili soccombono, vittime di una mentalità che vede l'uomo come semplice pedina di un gioco crudele. Il ragazzo che vuole crescere nella libertà dei figli di Dio è chiamato a riscoprire dentro di sé la ricchezza e la forza che gli è donata dallo Spirito ed a mettere in moto tutti quei doni che ha ricevuto nel Battesimo e nella Cresima per costruire un mondo nuovo. Accettare di essere dei perdenti di fronte al mondo significa aver compreso che il metro di giudizio ed il criterio dei valori che debbono caratterizzare la vita non possono essere presi dalla piazza, ma debbono essere mutuati da quello che Dio pensa e vuole per la nostra vita.

* Quali sono le mie reazioni davanti ai comportamenti di chi vuole primeggiare ad ogni costo?
* Chi mi incontra può riconoscere in me una persona che sta camminando in base ad una sicurezza che viene dall'aver incontrato il Signore?
* I miei amici, le persone che frequento, il gruppo in cui vivo e cresco, incarnano l'ideale evangelico della mitezza, oppure vivono nell'agitazione e nella lotta per primeggiare?
* Credo davvero che l'arma vincente per la mia vita può essere la pazienza di aspettare per conoscere la volontà del Signore su di me e sul mio mondo?

B. Giovani

Il giovane mite rischia tanto sul piano sociale perché oggi è a galla chi sa farsi valere, chi sa farsi vedere minaccioso e pronto a difendere il proprio territorio... Eppure il giovane mite e riconciliato con la vita promana un fascino unico e finisce per essere il vero portatore di speranza. Al giovane si offrono tanti ideali umani, si presentano personaggi che hanno saputo farsi valere e sono, sul piano semplicemente umano, dei "duri Gesù, invece, non ha nulla di accattivante in questa direzione, perché è remissivo, silenzioso, restio a giudicare, non accetta la sfida di chi lo condanna ingiustamente... Il giovane deve scegliere davanti a questa alternativa: non sarà sempre facile, perché la scelta di Cristo comporta eroismo nel quotidiano, ma la risposta concreta che la mitezza e la pazienza portano è una grande pace, sconosciuta ai più, facilmente riconoscibile come frutto dello Spirito Santo. Chi saprà schierarsi dalla parte del Signore raccoglierà la vita vera!

* Posso dire che la mia vita poggia sull'esempio di Gesù, oppure debbo ammettere di essere anch'io condizionato dall'atteggiamento della strada?
* In quali momenti concreti della mia giornata sento che è più urgente cambiare la mia mentalità per sperimentare la novità e la libertà che Gesù promette ai miti?
* Sono più affascinato dagli uomini di successo di questo mondo o dai seguaci di Cristo che, apparentemente, sono dei perdenti (ad esempio
S. Francesco e San Massimiliano Kolbe)?

C. Giovani coppie

Nel cammino quotidiano di una giovane coppia è facile sperimentare la tentazione di far valere le proprie ragioni, di voler affermare i propri diritti, di far sì che le cose vadano in base ad un nostro progetto... Il Signore ci richiama alla mitezza ed alla accoglienza reciproca, ricordandoci che il progetto che siamo chiamati a realizzare non è nostro, ma suo! La serenità che il Signore dona al cuore mite passa per una apparente sconfitta: solo quando si rinuncia ad affermare un proprio punto di vista si vede sorgere una "novità" che non avremmo mai immaginato. E' il Regno di Dio che si incarna tra noi quando accettiamo di far morire i nostri piccoli regni personalistici.

* Davanti ai piccoli o grandi inconvenienti della nostra vita di coppia ci agitiamo e finiamo per chiuderci in noi stessi, oppure, con santa pazienza e con tanta calma, rimettiamo in mano al Signore i nostri passi perché venga il Suo regno?
* Nel programmare il nostro cammino e nel fare le nostre scelte abbiamo come criterio i "tempi" di Dio oppure abbiamo fretta di arrivare?
* «Cosa ne pensa il Signore?»: sappiamo porci spesso questa domanda?
* Viviamo in un abbandono fiducioso tra le mani della divina Provvidenza, oppure siamo agitati dai problemi concreti relativi al nostro quotidiano?

D. Catechisti

Educare alla mitezza vuoI dire mostrare il volto di un Dio-Padre, facendosi vedere a nostra volta gioiosi e fiduciosi. Educare alla pazienza vuol dire aiutare i nostri ragazzi a scoprire ed a ricordare ogni giorno che il mondo lo ha fatto il Signore ed è ancora Lui a portarlo avanti... Solo una educazione globale, che contempli una fede strettamente legata alla vita, aiuta il ragazzo ad affrontare con cuore libero le situazioni in cui è chiamato a barcamenarsi. Il catechista deve aver toccato con mano la bontà e la Provvidenza di Dio per poterla testimoniare concretamente davanti ai suoi ragazzi.

* Educo i miei ragazzi alla preghiera fiduciosa, cosi che entrino nella logica che su Dio si può contare sempre?
* Metto in guardia i miei ragazzi dalla violenza che circola per le nostre strade, non solo dalla violenza fisica, ma da quella psicologica che vuole fare di loro degli asserviti al potere degli uomini e delle pedine in una logica consumistica e qualunquistica?
* Come posso aiutare i miei ragazzi alla libertà ed alla serenità di fronte alle situazioni difficili che spesso vivono in famiglia, a scuola, in piazza?
p. Silvano Castelli




PER LA PREGHIERA

«Tu sei pazienza, Signore, Tu sei bellezza...»


La mitezza o mansuetudine evangelica, frutto dello Spirito Santo, ma anche conquista dell'uomo, rende il cristiano coerente con l'ideale di vita scelto, l'ideale di vita di Gesù Cristo, il Mite e l 'Umile per eccellenza. - «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Matteo, 5,5), la mitezza è un atteggiamento che nasce dal cuore. Se fosse solo una qualità di superficie sarebbe spesso sovrapponibile alla acquiescenza, alla viltà, alla paura, al non prender posizione... Troppe volte la persona mite si identifica con un soggetto senza spina dorsale, pronto a cedere, a non opporsi mai, accondiscendente a tutto.
In realtà la mitezza, come frutto dello Spirito, è una una mitezza cosciente, spazia dalla arrendevolezza completa, quando è il caso, alla resistenza all'opposizione, richiedendo spesso una forte volontà. Possiamo quindi dire che la mitezza evangelica appare come una dote dello Spirito, come una disposizione interiore verso il prossimo, che si manifesta nel comportamento, in ogni forma di rapporti nei riguardi di esso. La mitezza evangelica dispone il figlio di Dio a non ricorrere alla forza per ottenere il bene della libera volontà del prossimo.

Canto di inizio

Signore Gesù Cristo, che sei e ti dichiarasti
l'unico, necessario Maestro,
ecco, noi amiamo professarci
attenti discepoli alla tua scuola di vita.
Come Maria di Lazzaro,
ogni giorno, seduti ai tuoi piedi, ti ascoltiamo.

Viatico la tua parola: luce, sapienza, sale e sapore.
Alla tua scuola impariamo a vivere la tua vita.
Tu, solo, sei amore:
tu, solo, fai scuola.
Donaci l'amore e saremo veri discepoli. Per il tuo sangue che del mondo il peccato deterge. Amen!

In ascolto della Parola - Matteo 11, 25-30
Alla scuola di Gesù per imparare da Lui la regola di vita. Mentre i saggi e gli scribi reclutano i tipi più intelligenti, da cui avrebbero potuto trarre delle soddisfazioni, Gesù riunisce gli umili e i poveri, anzi, egli stesso si fa umile e povero. La mitezza è la forza capace di confondere la sapienza e la logica di questo mondo.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone meditativo

In ascolto della Parola - Filippesi 2,1-11
In chi è «mite ed umile di cuore» non c 'è spazio per la rivalità o la vanagloria: tutti considera superiori a se stesso. Non c'è la ricerca dei proprio vantaggio ma di quello degli altri.
Occorre avere gli stessi sentimenti di Gesù, e questo porta a limitare le proprie esigenze in favore delle esigenze altrui.

In risposta alla Parola. Salmo 24
Breve pausa di silenzio

Dalle Fonti Francescane 464-465
La ferma volontà di Francesco, conformarsi in tutto all'unico Maestro, Cristo Gesù, lo rende docile e mite nei rapporti con i fratelli. Alla scuola di Gesù, sull'esempio di Francesco> ognuno di noi è invitato a rendere testimonianza alla Parola di Salvezza con docilità e determinazione.

Breve pausa di silenzio
Canto o canone meditativo
Silenzio di adorazione
Preghiere spontanee
Canto del Padre nostro

Preghiera conclusiva
Tu sei santo, Signore Iddio, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il re onnipotente. Tu sei il Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei.
Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio, vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà.
Tu sei pazienza, Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei pace.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza.
Tu sei giustizia, Tu sei temperanza.
Tu sei in sovrabbondanza ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mitezza.
Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza.
Tu sei la nostra vita eterna, grande a ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
(Lodi a Dio Altissimo, S. Francesco - Fonti Francescane, 261)

Canto conclusivo
p. Albino Tanucci

I frutti dello Spirito Santo /10



IL DOMINIO DI SÉ
È FRUTTO DELLO SPIRITO




INTRODUZIONE

Il segno della maturità

Ci sono dei segni molto concreti e molto visibili che manifestano la maturità cristiana ed umana di una persona: uno di questi è il «dominio di sé». La persona padrona di sé è affascinante, comunica sicurezza, manifesta ricchezza interiore, è strumento di riconciliazione e di pace. Dio ci vuole così: padroni dei nostri istinti, signori sulle nostre reazioni, capaci di riflessione e di azione, pronti a partire ogni istante per nuovi orizzonti sicuri della Provvidenza e dell'Amore del Padre.
Il dominio di sé è un preziosissimo dono dello Spirito Santo, un dono da invocare e davanti al quale rendersi disponibili. Sarà padrone della propria vita solo colui che è disponibile ad una dinamica diversa del reale e sarà aperto ad accogliere un progetto di novità che potrà mandare a monte i piccoli progetti personali. Chi giunge a questo livello potrà dirsi davvero padrone del mondo perché nessuno e nulla potrà mai più rubare la pace dal proprio cuore.
Dominio di sé è anche conoscenza sempre più profonda dei propri mezzi e dei propri limiti, in libertà e serenità, convinti che tutto è ricchezza nelle mani di Dio e sotto l'azione del Suo Spirito. Lasciamoci condurre in una riflessione che potrebbe rivelarsi preziosa per la nostra maturità umana e cristiana.


LA RIFLESSIONE

Dominio di sé,
frutto dello Spirito Santo


Nella padronanza di sé il cristiano dimostra rispetto verso se stesso e verso gli altri. Il dominio di sé significa, infatti, completa verità di noi stessi, della nostra realtà personale. Esso implica la conoscenza di sé in quanto si può gestire solo ciò che si è coscienti di possedere e si possiede realmente, ma significa, soprattutto, avere la capacità di orientare se stessi, le proprie capacità ed i propri limiti secondo la direzione che si reputa giusta, secondo una scelta di vita e una propria progettualità. Una progettualità che acquista una direzione precisa per chi si è posto in maniera seria alla scuola di Cristo e per mezzo della Sua grazia ha deciso di rispondere alla chiamata e divenire «uomo nuovo». Una risposta generata dalla libertà responsabile di un uomo che si mette alla sequela di Cristo e si lascia ispirare e guidare dal Suo Spirito.
Il dominio di sé è frutto dello Spirito perché il Signore chiede sempre una risposta totale, libera e dunque cosciente. Vuole che diamo tutto noi stessi a Colui che per primo ha dato tutto Se stesso a noi. Ma per dare qualche cosa a qualcuno bisogna prima possederla. Dominio dunque non inteso in senso di auto- costrizione, ma come vita coscientemente e responsabilmente vissuta. È frutto dello Spirito perché questo cammino - perché di cammino si tratta - avviene all'interno di un rapporto preciso.
Èsolo nel confronto con il Tu di Cristo che io posso vedere chiaramente la Verità del mio io. E' alla luce del Suo volto che imparerò a riconoscere i miei lineamenti. Tendere al dominio di sé conduce la persona ad uscire dalla propria insicurezza che gli deriva dal percepirsi tramite la "nebulosa" delle sue sensazioni, per fondare tale sicurezza nella certezza della sua realtà personale. L'uomo è un essere fatto per la luce e solo nella luce si muove sicuro ed a suo agio. Al buio sbanda e rimane disorientato, goffo nei movimenti. Per questo deve fare luce in tutta la propria realtà personale perché solo così non avrà paura di camminare con essa.
Dominio di sé significa allora un lavoro di conoscenza su se stessi, ma soprattutto capacità di accogliere tale realtà personale accettandone positivamente l'esistenza. Accettazione ha un significato opposto a rassegnazione. Accettarsi significa amarsi, anche nei propri limiti, perché, come diceva San Massimiliano Kolbe, «solo l'amore crea», e, possiamo aggiungere, «trasforma». Un amore uguale a quello di Gesù che sa sempre distinguere la persona dal suo peccato (cf: l'incontro con l'adultera). Amore che ci permette di riconoscere che tipo di terreno siamo noi e dal quale dobbiamo partire per costruire l'edificio della nostra comunione con Dio.
Da questo rapporto con noi stessi scaturisce il rapporto con gli altri. Infatti l'uomo agisce in un determinato modo e giudica gli altri e la realtà in base a come egli giudica se stesso. In definitiva si è con gli altri ciò che si è con se stessi, Non si può amare l'altro, né rispettarlo, se prima non si vive ciò nei propri confronti. Non si parla qui di un vissuto occasionale, autoimposto che poi è, in definitiva, fine a se stesso, bensì di un atteggiamento vitale, abituale, connaturale alla persona.
Sono tutti atteggiamenti che l'individuo riesce a riproporre nel rapporto con l'altro, proprio perché li sperimenta con se stesso. Non ha paura di darsi, perché sa che si possiede, e conosce troppo bene se stesso e quindi la realtà umana per non essere misericordioso con l'altro perché non è un essere perfetto, ma lo riconosce persona in cammino poiché egli stesso è in cammino. È proprio perché ha scoperto se stesso guardandosi, vivendo ciò che è, scoprendo la gratuità del suo essere, che riesce ad essere paziente con l'altro, rispettoso per le sue cose e della sua dignità. Sa, cioè, vedere «l'uomo» all'interno di ogni uomo, al di là della sua storia, del colore, dell'ideologia o altro e saprà, perciò, amarlo di vero amore in quanto immagine e somiglianza di Dio.
Essendo la risultante di un processo di integrazione di tutta la propria realtà (umana/spirituale) intorno ad un progetto di vita ritenuto valido e concreto, il dominio di sé comporta, di conseguenza, l'essere in grado di impostare non solo i rapporti interpersonali, ma tutta la vita in maniera attiva, non subendola ed adattandosi alla stessa, ma interagendo in maniera critica alle sue forme e contenuti. Infatti, forte della propria dignità personale costruita intorno a valori scelti come fondanti ed indirizzanti, frutto, come abbiamo visto, dell'incontro con Cristo e con il suo messaggio, la persona è in grado di porsi di fronte alla realtà con quel distacco necessario per riuscire a valutare le cose nella loro concretezza. Essendo un essere definito, sa porsi in maniera costruttiva proponendo nel contesto in cui vive forme e contenuto diversi da quelli pre-definiti socialmente.
Frutto della capacità di ascoltare, leggere ed interpretare se stessi alla luce di Dio, l'uomo impara a vivere tutta la sua vita in questa dimensione. Comincerà allora a saper leggere, ascoltare ed interpretare gli avvenimenti della sua vita, della sua comunità, della Chiesa e del mondo secondo il punto di vista di Dio, secondo i veri interessi del Regno. Saprà, cioè, essere «profeta» per il suo tempo e per il suo ambiente.

Jhonny Libbi




LA SCHEDA BIBLICA


Forti nello Spirito,
persone nuove nel mondo


2 Pietro 1, 5-7: «Mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l'amore fraterno, all'amore fraterno la carità. Se queste cose si trovano in abbondanza in voi, non vi lasceranno oziosi né senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo».

1 Pietro 2, 11: «Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima. »

1 Cor 9, 25: «... ogni atleta è temperante in tutto. Essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché ti on succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato»

Atti 24,24-25: «Dopo alcuni giorni il (proconsole) Felice arrivò in compagnia della moglie Drusilla che era giudea. Fatto chiamare Paolo lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro, Felice si spaventò e disse: "Per il momento puoi andare"»


Nell'elenco della lettera ai Galati (5, 22-23) dove troviamo elencati i frutti dello Spirito, troviamo all'ultimo posto la enkràteia che noi traduciamo con "dominio di se". Il termine nella sua verità di significato comprende varie realtà tutte riducibili ad una padronanza di sè circa il proprio comportamento, i propri sentimenti e soprattutto circa le proprie passioni con particolare riferimento alla sfera sessuale. Tale padronanza di sè così riccamente espressa, nella vita de! cristiano, tuttavia non è frutto di un atteggiamento stoico o di uno sforzo solo della propria volontà che reprime i moti negativi del cuore, della mente o delle varie concupiscenze. È frutto dello Spirito Santo e della carità e dell'amore che lui suscita nei nostri cuori. Per cui il dominio di sè è intimamente congiunto all'amore. Chi ama infatti domina i propri istinti e le proprie concupiscenze perché l'amore stesso diventa forza ordinatrice di ogni tendenza ordinativa. Il dominio di sè fa sì che il cristiano sia capace di governare tutti i settori della cupidigia, tutte le concupiscenze anche e soprattutto nell'ordine sessuale, da essere non solo gradito a Dio in tutto, ma anche pronto a rispettare gli altri nella loro dignità di uomini e di figli di Dio.
I testi che abbiamo riportato sopra devono essere letti in questa prospettiva. C'è un impegno sempre costante ad accrescere nella nostra vita la fede ed ogni genere di virtù (cf. primo testo). Tale impegno suppone una volontà forte, decisa e determinata, esige un "voglio" detto con sincerità e purezza interiore. A questo voglio lo Spirito Santo aggiunge la sua forza e nasce così il perfetto dominio di sé.
Il dominio di sè comporta anche una volontà capace di esercitare una forza, aiutata dallo Spirito, contro i desideri della carne e le sue concupiscenze (secondo testo). Il dominio di sé ci fa assomigliare ad un atleta che per vincere una gara si deve sottoporre ad una particolare disciplina. Lui lo fa per ottenere una corona corruttibile, noi per averne una incorruttibile, la vita eterna. Il dominio di sè è dunque un sapersi imporre una disciplina interiore finalizzata al regno di Dio (terzo testo).
Certo ci vuole una buona dose di forza (e soprattutto di coraggio) per mettersi sotto una disciplina interiore che sappia controllare e dominare le proprie passioni. Il proconsole Felice (terzo testo), quando sentì parlare Paolo di continenza e del giudizio futuro ebbe paura, si spaventò... Può accadere anche a noi! E' per questo che ci viene in aiuto lo Spirito Santo con la sua forza. Ma perché questo avvenga, dobbiamo sapere pregare, e per sapere pregare dobbiamo veramente volere che lo Spirito venga in nostro aiuto per superare le tentazioni. Non posso, per esempio pregare il Signore che mi aiuti a conservare la carità e la purezza se poi, in fondo al cuore, io non voglio essere casto e puro...

* Hai mai pensato seriamente di misurare la forza della tua volontà? Quale è il tuo desiderio di resistere fino in fondo al peccato?
* Sai dire un "voglio" forte e deciso quando ti accorgi che tante forze negative e tante cattive concupiscenze dominano la tua vita?
* Sai cogliere il valore positivo ed evangelico della castità e della purezza? Vivi secondo la volontà di Dio la tua sessualità?

p. Augusto Drago





IN CAMMINO CON MARIA

Maria,
colei che seppe rischiare nella fede


Paolo, nella lettera ai Galati, presentando i frutti dello Spirito in contrapposizione a quelli della carne, afferma, fra l'altro, che il "dominio di sè" è frutto dello Spirito ( cf. GaI 5,22).
Il "dominio di sé", proprio di una persona matura, sia umanamente che spiritualmente, è la capacità di domare le passioni che si agitano nella nostra mente, nel nostro cuore e nel nostro corpo.
Questa capacità non viene da noi, ma dallo "Spirito di fortezza" ed è commisurata alla libertà che lo stesso Spirito trova nel nostro intimo. Lo Spirito di fortezza sostiene il nostro spirito nel cammino dell'ascesi che è purificazione della mente, fino a donargli il dominio di sé.
Volendo percorrere questo cammino di docilità allo Spirito, cogliamo nell'esperienza di fede di Maria, il segno più autentico di ciò che lo Spirito opera con chi non gli pone ostacoli.
La "purificazione della mente" è di fondamentale importanza per giungere al "dominio di sé", il quale comporta necessariamente, prima di tutto, l'offrire a Dio ciò che abbiamo di più caro, vale a dire la libertà, per uniformarci alla sua volontà. Non vogliamo essere noi i "Signori" della nostra vita, ma vogliamo accogliere la volontà di Dio su di noi. Come Maria, la quale, prestando a Dio l'obbedienza della fede, non tiene in nessun conto il suo progetto personale per aprirsi ed accogliere quello di Dio (cf. Le 1,26-38). Maria si pone in ascolto della Parola di Dio e a partire da essa riflette sulla sua vita e sulla storia (cf. Le 2,19.51). Anche noi, sul suo esempio, cerchiamo di fare nostro il punto di vista di Dio, non quello del "mondo".
L'obbedienza di fede di Maria, unita a quella di Cristo, si oppone al primo peccato dell'uomo: il non voler dipendere dal Creatore. Lo Spirito di Dio suggerisce al nostro spirito il "sì" dell'obbedienza, come lo spirito del maligno suggerì ai progenitori il "no" della disubbidienza. Al vertice dell'obbedienza a Dio sta Maria che con il suo "sì" rende possibile il "sì" di Cristo al Padre (cf. Ebr 10,5-10). Ella, che ha fatto della Parola del Signore, l'unica norma della sua vita rimane accanto a noi come testimone di ciò che comporta l'essere seguaci di Cristo: «Fate tutto quello che egli vi dirà» (Gv 2,5).
La "purificazione del cuore" è elemento fondamentale del "dominio di sé". E' l'amore, infatti, che ci spinge a vivere come l'amato. Lo Spirito di Dio suggerisce al nostro spirito di amare Dio sopra ogni cosa. Se il Signore è al centro del nostro cuore gli idoli non troveranno posto facilmente.
Maria fu donna di un unico amore. Il suo cuore fu per Dio solo. Ciò non le impedì di amare i fratelli, al contrario, ella seppe amare senza appropriarsi di nessuno e sotto la croce accettò che il suo amore abbracciasse tutti gli uomini redenti dal Cristo Crocefisso (cf. Gv 19,25-27). In fine lo Spirito del Signore risorto fa di lei la Madre della Chiesa (cf. At 1,14). E' possibile, perciò, amare senza volersi appropriare della persona amata. La castità del cuore e del corpo è il segno più bello di una vita dominata dallo Spirito. Dov'è lo Spirito del Signore, infatti, non vi può essere impurità. La preghiera e l'affidamento fiducioso a Maria saranno un valido aiuto per costruire questo grande tesoro che portiamo in vasi di creta (cf. 2 Cor 4,7).
Se la mente e il cuore sono docili allo Spirito, sapremo dominare anche il nostro corpo, il quale è «tempio dello Spirito» (1 Cor 6,19). La "purificazione del corpo" consiste nel godere con gioiosa sobrietà dei beni della terra. Il piacere, le ricchezza, diventano relativi rispetto alla scelta di Dio.
Egli è l'unica sicurezza della nostra vita.
Maria visse una vita di povertà e lavoro, ma soprattutto seppe accogliere, come Abramo, il rischio dell'inatteso e dell'incerto che comportava la sua vita con il Figlio.
Ella aveva riposto la sua sicurezza in Dio il quale «innalza gli umili» e «ricolma di beni gli affamati» (cf. Lc 1,52-53). La sua, però, non fu facile alienazione, ma frutto di fede e di esperienza.
Viene spontaneo chiedersi dove risieda veramente la nostra sicurezza. Gesù ci ammonisce: «Lì dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).
In sintesi, nel dominio di sé sono riassunti i tre consigli evangelici di obbedienza, castità e povertà. Maria, sotto l'azione dello Spirito Santo li ha accolti pienamente; molti cristiani (i consacrati) li vivono come voti; tutti sono chiamati a farli propri nella sequela di Cristo.

«Maria, madre obbediente e povera, donna di un unico amore, aiutaci ad essere docili allo Spirito che ci spinge sulle vie ardue della castità, della povertà, dell'obbedienza e fa che possiamo essere graditi a Dio come sacrificio vivente e santo. Amen».

Anna Maria Calzolaro



CON FRANCESCO, «UOMO NUOVO»

Governare la «casa del cuore»
per amare con libertà


La padronanza di sé caratterizza l'intera vita di un figlio di Dio. Il dominio di sé non è la virtù del principiante, ma è la risultante di un lento e paziente lavorio interiore, di una costante apertura all'azione della Grazia.
Cercheremo invano tra gli scritti di San Francesco una trattazione esplicita ed organica del dominio di sé... Il Poverello più che riflettere e teorizzare sui valori e le virtù si adopera a viverli.
E difatti, tenendo presente il racconto biografico per esteso, dovremmo dire che egli raggiunse un raro dominio di sé che solo in spiriti illuminati tocca certe valenze.
A ragione il biografo, quando traccia il suo profilo, dirà: «... fedelissimo nell'adempimento dei compiti affidatigli..., di spirito sobrio, costante nell'orazione, tenace nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se stesso...» (FF, 464).
Se guardiamo questa descrizione della sua personalità, se analizziamo gli atteggiamenti evidenziati: fedelissimo, sobrio, costante, tenace, saldo, perseverante..., dobbiamo concludere che nel Poverello troviamo la padronanza di sé fatta vita, stile e modo di essere.
Ma anche di fronte a questa realtà sentiamo la tentazione di restare ammirati dalla sua vicenda umana, ma di non essere interrogati dalla sua testimonianza e dal suo esempio. Di fronte ai santi corriamo sempre questo rischio. Ne facciamo degli eroi, dei... big: loro sono dei fortunati e noi restiamo tranquilli, immobili, senza essere minimamente scalfiti dalla loro storia. Eppure una domanda dobbiamo farcela. Come è giunto il figlio di Pietro di Bernardone, vanitoso ed ambizioso, ad acquisire una così forte e matura capacità di governare se stesso? Lui che cercava di eccellere sugli altri, divorato dalla brama di gloria, ora sta radicato in una pace troppo grande, in una quiete così difficile per un uomo del suo temperamento?
Il prezzo da pagare per giungere ad un tale dominio di sé è alto! Occorre partire dall'oblio di sé per giungere, in compagnia della penitenza-sobrietà, a liberare le energie sopite, sonnecchianti dentro l'uomo.
E' un cammino educativo. Mai capirà il dominio di sé chi si vanta di essere un improvvisatore, chi si lascia guidare dal gusto del momento, da uno spontaneismo di dubbia provenienza che spesso è solo inconsistenza e superficialità.
Eppure il solo cammino educativo non basta. Si potrà giungere ad essere impassibili, a non farsi turbare dalle passioni o dominare dal dolore, ma non è ancora il dominio di sé, sereno e giocondo di Francesco.
Chi di noi non conosce asceti rigorosi ed intransigenti, precisi in tutto, puntuali, sicuri, severi ma tremendamente tristi, freddi e orgogliosi...? La categoria del "perfetto", così cara a questi asceti, se non è coniugata col "dono" non è cristiana. Il dominio di sé, di cui Francesco è esempio stupendo, è prima dono e poi frutto.
Possiamo allora andare a rileggere la pagina stupenda della perfetta letizia, il manifesto del dominio di sé tradotto in vita, e vedere che esso assomiglia molto all'amore di cui ci parla Gesù nel Vangelo.
Un dominio di sé che non è finalizzato all'amore e non è addestramento ad amare di più e meglio, serve poco.
Il dominio di sé ci rende vigilanti, ci dà saldezza di fede, ci trasforma in uomini forti, sostanzia di virtù la vita e ci apre alla gratitudine per i doni di Dio e alla magnanimità verso gli altri.
«... Un giorno il beato Francesco chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi..., scrivi quale è la vera letizia.
Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine; scrivi, non è vera letizia. Così pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltralpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d 'Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanare gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia".
Ma qual'è la vera letizia?
"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che all'estremità della tonaca si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite; e, tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: Chi è. Io rispondo: Frate Francesco. E quegli dice: Vattene, non è ora decente questa di andare in giro, non entrerai. E poiché io insisto ancora, l'altro risponde: Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te.
E io sempre resto davanti alla porta e dico: Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte. E quegli risponde: Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là.
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima » (Fonti francescane, 278).
Il dominio di sé rende lieta la vita.
p. Giancarlo Corsini




ALLA RICERCA DI CONCRETEZZA

Dominio di sé
è maturità umana e cristiana

Il «dominio di sé» è una dura arte! Lo raggiunge solo chi si apre totalmente alla grazia del Signore, perché solo il dono di Dio fa dell'uomo un vero uomo. Il peccato originale ha lasciato nel cuore di ogni creatura un pesante strascico le cui conseguenze invadono un po' tutti i campi dell'espressione dell'essere. La "reazione" come autoaffermazione personalistica ed egoistica provoca tanti danni... Possiamo individuare conseguenze disastrose come frutto della carenza del dominio di sé, conseguenze che vanno dalla rottura di un equilibrio sul piano dei rapporti umani alla mancata accettazione della propria personalità e individualità.
L'uomo che sa dominarsi è un saggio. La sapienza del cuore è frutto dello Spirito Santo che rimette ordine nel cuore riportando la creatura nel proprio ambito originario, ricreando quel rapporto di equilibrio che era nella mente del Creatore. Siamo stati creati per vivere nella "signoria": Dio ci ha fatti signori del creato e, quindi, signori anche del nostro creato, del nostro essere, dei nostri istinti. La non conoscenza o la superficialità circa i valori fondanti la vita porta lo squilibrio, il disagio, la ribellione. Un uomo scontento interiormente non è un uomo libero. E la più pesante e grave delle schiavitù la si sperimenta sempre nel rapporto con noi stessi.

Lo Spirito Santo, con il dono del «dominio di sé», rimette nell'uomo una nuova graduatoria dei valori. Frutto della Redenzione, il nuovo equilibrio dell'uomo con il creato, dell'uomo con il Creatore e con i propri fratelli, porta ad "apprezzare" tutto come dono (anche se spesso questo dono viene percepito, almeno inizialmente, come "sfida"). Solo chi possiede il dono della Verità conoscerà la Libertà, perché, come afferma Gesù, solo «la Verità fa liberi». E la verità dell'uomo è la sua povertà, il suo innato bisogno di punti significativi di riferimento; la verità è il bisogno che tutti abbiamo di un incontro costruttivo e qualificante con l'altro e con le situazioni della vita. Quando manca questa verità si finisce per essere schiavi delle cose, schiavi delle persone, delle situazioni... Allora nasce la paura, quella paura che porta a reazioni sconsiderate e sproporzionate che sono un sintomo maldestro del bisogno di autodifesa e di autoaffermazione.

Il gioioso incontro con lo Spirito Santo ricrea quell'equilibrio che fa dell'uomo un essere attento, libero e liberante, orientato all'essenziale, coinvolto nella storia e mai sconvolto dalle situazioni esteriori. Questo equilibrio dobbiamo ricercare nell'intimo per proiettarlo in ogni circostanza della nostra vita attorno a noi.

A. Giovanissimi

Ci si educa al «dominio di sé», invocandolo come dono dallo Spirito Santo. Tutti gli sforzi che un ragazzo può fare per apparire un "perbene" vengono vanificati da momenti di emergenza che fanno svanire nel nulla tutti i propositi... Solo il Signore può fare nuovo il tuo cuore e farlo crescere nella dimensione della vera libertà.

* Come reagisco alle situazioni difficili che mi si presentano davanti? Mi ribello, oppure mi fermo per scoprire il bisogno di essere aiutato e sostenuto dall'esterno?
* Riconosco i motivi che mi fanno perdere il controllo? Non vengono forse da una mancanza di chiarezza su cosa conti davvero? Chi può mettere nel mio cuore di ragazzo il metro giusto per valutare le cose e le persone?

B. Giovani

Un giovane padrone di sé ha in mano la vita! Ma per raggiungere questo "dominio" sul proprio carattere c'è bisogno dell'aiuto del Signore che solo sa quanto importante sia una mia crescita equilibrata ed armoniosa. Il giovane che sa far silenzio davanti alla propria storia scopre, pian piano la presenza del Signore accanto a sé e gode di questa vicinanza che è fonte di liberazione.
La preghiera genera riconciliazione del cuore, apertura agli altri, attenzione alle situazioni come "passaggio di Dio" nella vita quotidiana. La distrazione ci rende fragili alla sfida del male e ci porta alla disintegrazione del nostro essere, alla dispersione dei doni che abbiamo ricevuto.

* Riconosco nei miei fallimenti, nei miei cedimenti, nel mio qualunquismo un campanello di allarme che mette in evidenza il bisogno che ho di maggior controllo e, quindi, di maggior chiarezza sui "motivi" della mia vita?
* Riconosco in me la "legge del peccato " come una guerra sempre aperta alla mia vera libertà? Quale opposizione posso fare con le mie sole forze? Chi potrà liberarci da quell'istintualità che rende amara la vita?
* In positivo: riesco a vivere con serenità il rapporto con me stesso, a sperimentare una profonda riconciliazione interiore, come dono del Signore, così da poter essere portatore di pace e di riconciliazione anche attorno a me? Sono con gli altri come sono con me stesso: sono convinto di questo?

C. Giovani coppie

La coppia in cammino tra mille difficoltà quotidiane, rischia il disorientamento nel proprio rapporto sé non rimane costantemente e radicalmente agganciata ad una propria esperienza di intimità illuminata dalla presenza del Signore. Per essere padroni delle situazioni bisogna rinnovare la certezza della fede che non siamo mai soli, che tutto è molto piccolo di fronte al grande progetto che siamo chiamati ad incarnare, che il Signore tiene per mano chi a lui si affida...
L'accettazione del proprio limite aiuta ad accettare quello dell'altro e questa libertà davanti alle circostanze create da limiti umani fa sì che gli sposi pian piano si sentano serenamente distaccati dai problemi, saggi amministratori delle proprie capacità, portatori di una speranza che illumina il cammino guidando gli occhi del cuore «al di là delle cose».

* Confidiamo nelle nostre possibilità, oppure la nostra casa poggia sulla certezza dell'amore di Dio che ci ha voluti insieme? Tante piccole diatribe non nascono dal fatto che si dà troppo spazio al proprio punto di vista, invece che interrogare il Signore su cosa ne pensa Lui?
* La persona che sa dominarsi dimostra una grande maturità, anche sul piano affettivo. Riconosciamo nei nostri limiti il bisogno di crescere nella certezza dell'Amore che abbiamo ricevuto in dono?
* L 'esperienza della riconciliazione dopo il passaggio di qualche... nube ci aiuta a guardarci con maggiore misericordia, così da aiutarci nella coscienza e nella responsabilizzazione reciproca? Affidiamo al Signore la nostra fatica, oppure ci leghiamo ai momenti negativi, impedendo al Suo sole di riportare la gioia della vita insieme?

D. Catechisti

L'educazione nella fede comporta un impegno straordinario teso a coinvolgere l'intera persona. Il ragazzo che è in cammino di formazione deve trovare un aiuto per leggere, tramite la fede, le cose e le circostanze della vita in modo diverso, più sereno e più libero.
* La mia catechesi tende a promuovere la persona, nella sua interezza, convinto che il Signore vuole bene a "tutto" l'uomo, compresa la sua fatica e le sue contraddizioni?
* Oggi i ragazzi vivono in balia di una istintualità preoccupante: so trovare degli esempi concreti per dimostrare che l'inpulsività diseduca, porta fuori dai binari, demolisce la personalità? I miei ragazzi sanno che il Signore li vuole uomini e donne completi, realizzati, liberi e felici? Riescono ad accogliere questo messaggio ed a farlo scendere nella concretezza della loro vita? Verifichiamo spesso insieme come l'annuncio della fede li aiuta a crescere anche sul piano umano, plasmando positivamente il loro carattere?

A conclusione del nostro cammino possiamo dire che i frutti dello Spirito Santo sono tutti orientati alla maturazione piena dell'uomo. Il dominio di sé è il frutto che racchiude tutti gli altri perché è quel dono che fa dell'uomo una persona fedele, capace di amare fino a dare la vita, padrona dei propri istinti, capace di orientare in positivo tutte le spinte che sente dentro di sé. Il Signore ci vuole felici, per questo ha mandato a noi lo Spirito a comunicarci la gioia e la pienezza della Sua vita!

p. Silvano Castelli


PER LA PREGHIERA

È lo Spirito che ci rende forti


Tra le varie manifestazioni dello Spirito (cf Gal 5,22-23) troviamo anche il dominio di sè come un frutto dell'azione divina. San Paolo oppone alle opere della carne i frutti dello Spirito. Tra le opere della carne si trovano «fornicazioni, impurità, libertinaggio... ubriachezze, orge e cose del genere». Se tale "padronanza di sé", dato il contesto, va intesa soprattutto nel campo sessuale, essa caratterizza però in senso più ampio l'intera vita di un figlio di Dio..
Il dominio di sè fa sì che il Cristiano governi tutti i settori della cupidigia, da essere non solo gradito a Dio in tutto, ma anche capace di rispettare nei suoi fratelli, quali figli di Dio al pari di lui, la medesima dignità.
Nella padronanza di sè infatti il cristiano dimostra rispetto verso se stesso e verso gli altri, tutti chiamati a quel rapporto filiale con Dio.
Il dominio di sè, quindi benché personale dal punto di vista delle virtù, comporta anche una dimensione comunitaria: il cristiano non solo è in grado di governare i moti istintivi della natura conformemente al Vangelo, ma anche di convivere in una società con delicato rispetto verso tutti.


Canto di inizio

Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell'anima. Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all'intelletto, fiamma ardente del cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore. Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce di eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Amen.

Breve pausa di silenzio

In ascolto della Parola - Dalla Lettera di Giacomo 12-15.19-27
«La padronanza di sè richiede un atteggiamento attivo ed indica potenza della volontà rispetto ai momenti della concupiscenza, che può sedurre e sviare l'uomo.»

Breve pausa di silenzio

In ascolto della Parola - Matteo 22,34-40
«La disciplina personale non riguarda soltanto il governo della propria concupiscenza secondo la legge divina; ma anche, come s'è detto, una manifestazione squisita di amore nei riguardi del prossimo.

In risposta alla parola
Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l'Altissimo. Tu sei il re onnipotente.
Tu sei il Padre Santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dei.
Tu sei il bene, tutto il bene, Signore Iddio vivo e vero.
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei pace. Tu sei giudizio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei in sovrabbondanza ogni nostra ricchezza. Tu sei bellezza. Tu sei mitezza. Tu sei il protettore. Tu sei il custode e difensore nostro. Tu sei fortezza.
Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore. (S. Francesco: FF 261)

Breve pausa di silenzio

L'esperienza di Francesco FF. 1337 (se si vuole anche FF 366-367)
Anche se nel racconto si usano tinte forti tutto sta a dimostrare la grande 'padronanza" che uno deve esercitare su di sé. Francesco si è impegnato con tutte le proprie forze e capacità. Occorre una forza straordinaria, quasi disumana. Per questo è necessario invocare che tale dono ci venga concesso per la bontà del Signore, certi che lo Spirito del Signore verrà in nostro soccorso.

Pausa di adorazione - Canto o canone meditativo
Preghiere spontanee - Canto del Padre Nostro

Breve pausa di silenzio

Preghiera conclusiva
Ricordati, o Padre, di tutti i tuoi figli. Tu, o Santissimo, conosci perfettamente come, angustiati da gravi pericoli, solo da lontano seguono le tue orme. Dà loro forza per resistere, purificati perché risplendano, rendili fecondi perché portino frutto. Ottieni che sia effuso su di loro lo Spirito di grazia e di preghiera, perché abbiano la vera umiltà che tu hai avuto, osservino la povertà che tu hai seguito, meritino quella carità con cui tu hai sempre amato Cristo crocefisso. Egli vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen. (S. Francesco: FF 820)
p. Albino Tanucci
 
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