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Il Pranzo di Babette

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view post Posted on 14/4/2015, 16:37

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Il Pranzo di Babette

Titolo originale: Babette’s Feast.
Regia: Gabriel Axel.
Soggetto: da un racconto di Karen Blixen
Sceneggiatura: Annemarie Aaes.
Fotografia: (colore) Bierger Bohm.
Montaggio: Gabriel Axel.
Musica: Kobenhavns Kammertrio.
Produzione: Danimarca, 1987, Just Betzer.
Durata: 100’.
Interpreti: Stéphane Audran (Babette), Birgitte Federspiel (Martina), Bodil Kjer (Filippa). Premi: Oscar 1987, miglior film straniero.

Danimarca, costiera dello Jutland, 1883. In un piccolo paese vive una setta protestante, di pochi membri e rigidissimi costumi. A guidarla sono le figlie ormai anziane del pastore fondatore, Martina e Filippa. Da giovani erano state di una bellezza radiosa, ma il padre aveva sempre rspinto ogni corteggiatore. Tra questi, il giovane ufficiale Löwenhielm che, dovendo rinunciare a Martina, si era dedicato esclusivamente alla carriera. Stessa sorte era toccata a Papin, celebre tenore francese, conquistato dalla voce sublime di Filippa, ma messo alla porta dall’austero genitore. Dopo i tragici fatti della Comune di Parigi, Martina e Filippa avevano accolto come governante una profuga francese, Babette Hersant. In occasione del centenario della nascita del Pastore, Babette decide di impiegare i diecimila franchi vinti alla lotteria per offrire alla comunità “un vrai diner français”, preparato con l’abilità e la classe della grande chef che era stata un tempo, a Parigi.

Una possibile lettura

È possibile leggere il film di Gabriel Axel come metafora del banchetto eucaristico e del dono di sé che Gesù fa per amore.
Il Vangelo di Giovanni non riporta l’istituzione dell’Eucaristia come i sinottici, ma racconta la stessa ultima sera con alcuni elementi particolari, introdotti da una frase che è la chiave di volta: «Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). È proprio da queste parole che si può partire per rileggere l’esperienza di Babette e riconoscere in filigrana il volto di Cristo. Anche lei dona la vita per quelli che ama, dona tutto di sé, tutto ciò che ha perché altri abbiano la vita. Investe tutte le possibilità di futuro che le si aprono davanti con la vincita alla lotteria, per realizzare un banchetto specialissimo che non è solo una sinfonia di cibi d’alta classe, ma è prima di tutto un atto d’amore. Non trattiene nulla per sé, tutto è gratuito.
Un banchetto è il luogo in cui Gesù si rivela come Maestro e Signore, ed a Emmaus è ancora una cena l’occasione per manifestarsi risorto: l’identità di Babette si svela nella medesima occasione. Il regista suggerisce l’identificazione tra Babette e Gesù con diversi dettagli: il crocifisso che la donna porta sempre al collo e che, nel momento della decisione di realizzare la cena, ella stringe forte nella mano. Quando sta per iniziare a cucinare, c’è l’inquadratura prolungata di un quadro che rappresenta Gesù nel Getzemani: anche Babette sta per donarsi, allacciandosi il grembiule, gesto che ci rimanda a Gesù che si mette a servire i suoi con la lavanda dei piedi, proprio durante l’Ultima Cena.

Nella celebrazione Eucaristica confluiscono due ascolti: l’ascolto della Parola di Dio e l’ascolto del grido dell’umanità. Babette vive entrambe le dimensioni: va di fronte al mare, in atteggiamento di preghiera e si pone in ascolto dei bisogni della “sua” comunità. Poi chiede il permesso a Martina e Filippa di far loro questo regalo: l’amore non s’impone, non mette nessuno con le spalle al muro, non obbliga ad accettare: si offre.
Babette dà il meglio di sé per preparare la cena, stila con cura la lista dei cibi e si assenta per alcuni giorni per far arrivare gli ingredienti dalla Francia. A cena ormai conclusa spiegherà lei stessa che quel pasto è stato un modo di manifestare la sua interiorità. Con quel dono ha comunicato la sua identità, ha rivelato chi essa è veramente: «Per tutto il mondo risuona un lungo grido che esce dal cuore dell’artista: consentitemi di dare tutto il meglio di me!».
Vedendola all’opera in cucina, possiamo comprendere quanto sia stato grande il sacrificio che si è imposta nei lunghi anni a servizio delle due sorelle, mortificando la sua abilità, la sua creatività di vera artista, per farsi come loro: da chef si è fatta serva, imparando a preparare l’umile zuppa di birra e pan secco. Così Babette adotta la logica dell’Incarnazione, di un Dio che si abbassa a farsi uomo come noi. E sceglie il nascondimento, infatti gli ospiti non la vedranno nemmeno: rimane sempre dietro le porta della cucina, ma raggiunge ugualmente ciascuno con il suo dono.

Libera di esprimersi, si impegna senza risparmio nella cura dei minimi dettagli: non prepara solo le pietanze, ma anche l’ambiente, perché l’amore non è mai sciatto o superficiale. La sua è una vera liturgia e tutti i paramenti sono disposti con rispetto: le stoviglie pregiate, i candelabri, la tovaglia stirata direttamente sul tavolo perché sia perfetta. Spiega lei stessa: «Potevo renderli felici quando davo tutto il meglio di me». Mentre lavora, sudando tra i fornelli, Babette non viene meno alla sua grazia abituale nei modi e nel sorriso. Anche indaffarata, è serena, sorridente, canticchia tra sé e si rallegra del risultato. Il suo banchetto, come l’Eucaristia, è per tutti: gli ultimi sono trattati come i principi, così il vecchio cocchiere, che ha trovato rifugio in cucina, viene reso partecipe del pasto succulento e dei vini pregiati. È l’ospite d’onore, quasi, poiché è l’unico che ha il piacere di vedere le abili mani di Babette creare i cibi deliziosi al gusto ma anche alla vista, per l’eleganza con cui vengono disposti nei piatti. Sarà proprio il cocchiere il primo a ringraziarla, al termine della serata. Babette è generosa senza misura: il generale chiede un secondo bicchiere di Clos Vougeot e lei invita il giovane cameriere: «Lasciagli l’intera bottiglia!».
I commensali si erano seduti a tavola sospettosi e pieni di reciproci rancori. Dopo il pasto sono trasformati: i loro volti sono sereni e si scambiano il perdono. Gli sguardi si incontrano senza amarezza, le mani si intrecciano, ci si riconcilia con il proprio passato. La comunità ritrova attorno alla mensa la comunione e l’armonia: chiamiamo abitualmente il banchetto eucaristico “comunione”, proprio perché ci fa crescere in questa dimensione, verso il Signore e i fratelli, così come accade agli ospiti di Babette. La celebrazione Eucaristica è vera quando è vissuta disponendoci interiormente alla comunione autentica e lasciando che essa si accresca fra tutti coloro che vi partecipano. Quanti ci nutriamo di Eucaristia siamo chiamati ad essere segno credibile di comunione: «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli»
(Gv 13,35).

[email protected] (tratto dal sito delle Suore Paoline)

Nel dono di sé che Babette compie imbandendo una cena squisita, quali significati possiamo richiamare? Si può riconoscere, in filigrana, l’offerta di Gesù nell’ultima cena?


Quali sono i dettagli che caratterizzano lo stile di Babette a servizio presso Martina e Filippa?


Quali aspetti evidenzia il regista, durante e dopo la cena, per sottolineare il cambiamento interiore dei membri della comunità?
 
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