| ♦ Horus R. Sekhmeth
~ Fin da piccino, Horus non era mai riuscito ad amare completamente ciò che lo specchio rifletteva. Un bambino fragile, delicato come una bambola di porcellana, con quella voglia rossa che spiccava sulla pelle candida, raffinato certo, forse fino allo stremo. Diverso dai bambini delle altre famiglie, così scarmigliati, sudati, ma, semplicemente, liberi di essere quello che erano: bambini. Lui no, cresciuto prima del tempo, lui sembrava dover essere sempre avvolto da sbarre di cristallo per evitare che si sporcasse, che si ferisse, protetto fino all'inverosimile dall'attaccamento morboso di sua madre. Una volta a scuola, quando confrontarsi con gli altri divenne inevitabile, l'odio verso se stesso, fino a quel momento tenuto a bada quasi inconsapevolmente, divampò come le fiamme di un incendio e fu difficile guardarsi allo specchio ogni mattino e vedere una maschera immobile ed effimera al posto del proprio volto. Poi, semplicemente, si era risvegliato, come da un sonno profondo, e aveva scoperto che le sue mani, una volta così piccole, erano diventate abbastanza grandi e forti da spezzare le sbarre di cristallo attorno a sé, nonostante le schegge si conficcassero nei palmi. E scoprì, inoltre, che graffiare quella maschera non era poi così male: in fondo, era più bella, venata di scheggiature, piuttosto che immutabile come appena uscita dalle mani di un artigiano; era vissuta. Da quel momento, l'odio verso se stesso si era leggermente affievolito e ora, ora che stava diventando un uomo, che il viso da bambino aveva lasciato il posto ad un volto più adulto, quando la voce cristallina era mutata in una voce più profonda, quando il suo corpo era cresciuto, innalzandolo, le spalle più larghe, Horus era riuscito a guardare quel volto riflesso senza paura, riuscendo quasi ad apprezzare ciò lo specchio rifletteva. E ad amare quella chioma rossa tanto disprezzata dagli altri, quella voglia sull'occhio che contrastava con le pallide iridi. Osservando il piccolo Chris, questi pensieri emersero con incredibile facilità e chiarezza, forse più che in passato. Fu per questo, probabilmente, che Horus non notò l'evidente agitazione che prese corpo man a mano nel Serpino. Certo, era impossibile non notare che il ragazzino fosse turbato e che avesse un occhio... particolare per Horus, tuttavia il Caposcuola relegò quell'atteggiamento ad una sorta di innato servilismo che Chris poteva adottare verso le figure di spicco, come aveva mostrato del resto l'atteggiamento spaventato al sol nominare suo padre. Distogliendo lo sguardo dal giovane, Horus allungò una mano per raccogliere l'anello caduto, stringendolo delicatamente tra le dita.* E io che speravo in un proseguo più interessante* Pensò, indispettito, rialzandosi. Eppure, quasi a voler accontentare quell'egoistico pensiero, mentre il ragazzo si sollevava da terra, i suoi occhi notarono un particolare decisamente fuori luogo nella figura del Serpeverde che prima non c'era: la camicia di Chris, fino a quel momento abbottonata perfettamente, forse per l'ansia, forse per un improvvisa botta di calore, era stata sbottonata talmente tanto da lasciar intravedere una fitta fasciatura all'altezza del petto. Horus aggrottò la fronte, lo sguardo che saettava dalla fasciatura al viso rosso del ragazzo. Dire rosso, poi, era un eufemismo: Chris era diventato inspiegabilmente bordeaux. Sulle prime, Horus pensò che il ragazzo potesse sentirsi male, che quelle fasciature non fossero altro che la conseguenza di un trauma subito, eppure, c'era qualcosa che continuava a non quadrare. "Stai bene?" avrebbe voluto dirgli, eppure, qualcosa lo frenava. In piedi, il ragazzo strinse involontariamente l'anello nella mano, indietreggiando di un passo finché la schiena non cozzò contro il bordo della scrivania. Il fondotinta, le ciglia chiare, il viso e la corporatura minuta e quello sguardo, quello sguardo delicato e profondamente triste, quasi gli occhi di Chris avessero voluto urlare qualcosa a chiunque lo osservasse. Senza volerlo, Horus si portò una mano libera alla bocca, mentre prendeva piede in lui una consapevolezza inaspettata. Come aveva detto di chiamarsi, Chris?« Chris...Alide...Chrisalide...?» Domandò più a se stesso che al giovane, senza smettere di guardare la figurina seduta su una sedia troppo grande. « Sei... una ragazza? » Gli chiese, stupito, sgranando gli occhi, mentre la mano scivolava via dalla bocca e stringeva il bordo del tavolo. * Perché...?* Quel quesito, non appena venne pronunciato, fu soltanto l'apoteosi di una serie di domande che rapide confluirono nella mente del Tassino confondendolo. Ipotesi, teorie che si sovrapponevano l'una sull'altra finché, il buon senso non ebbe la meglio. Era strano certo, persino curioso, ma...« Scusami, non sono affari miei. Ma se vuoi tenerlo segreto ti consiglio di non sbottonarti così tanto la camicia. » Tagliò corto, stupidamente, distogliendo lo sguardo per non mettere ulteriormente in imbarazzo il ragazzo, e voltandosi verso la finestra, dove la sagoma di un gufo si era appena appollaiata sul davanzale. Dirigendosi verso di esso, ed approfittando così per allontanarsi da Chris e mitigare il disagio che egli stesso aveva provato nell'intrufolarsi così nell'intimità altrui, Horus si ritrovò a fare congetture pur ammonendosi che del resto non erano davvero cose che lo riguardavano. E se si fosse sbagliato? Se Chris si fosse fatto solamente male? Beh, si sarebbe fatto una risata e si sarebbe scusato. Ma se avesse avuto ragione... Chi è che si fasciava il petto a quella maniera? La sua teoria, d'altronde, spiegava il perché di tutti quei piccoli indizi e quell'impressione di osservare qualcosa di stonato ogni volta che guardava Chris. E non perché egli si travestisse da ragazzo quando in teoria era una fanciulla —quelli potevano essere affari suoi, poteva persino vestirsi da canguro se ciò l'aggradava—, quanto più perché quello sguardo esprimeva una sofferenza inimmaginabile che contrastava nettamente col viso immobile e forzato del giovane. Uno sguardo che, inevitabilmente, portò alla mente del ragazzo gli occhi di un'altra persona, conosciuta tanto tempo prima e ora scomparsa, perduta. Grandi occhi azzurri, tristi come mai ne aveva visti, malinconici, che tuttavia si illuminavano quando la ragazza disegnava o quando anche solo guardava lui. Horus aprì la finestra, lasciando che il vecchio Gufo della Gazzetta del Profeta volasse all'interno della stanza e facesse il proprio dovere, lasciando il giornale sul piano della scrivania, per poi andarsene. Osservando il cielo rosato, per un attimo Horus fu strappato a quella situazione, ed il suo pensiero corse a Sivra, colei che, del resto, aveva contribuito a rendere Horus la persona forte che era, ora, nonostante tutto. Il ragazzo scosse il capo, preferendo dimenticare e tornare presente. Tornando alla scrivania, il Caposcuola lanciò una fugace —quanto disgustata— occhiata all'articolo, decidendo di lasciarlo lì. Erano passati mesi dalla Coppa delle Case e ancora si ostinavano a scrivere della vittoria di Grifondoro, pensò, innervosito.* E fortuna che il Vice Redattore sono io* Sospirò. D'un tratto, il ragazzo si rese conto di star ancora stringendo tra le dita l'anello caduto. « Questo ti appartiene. » Si rivolse a Chris, abbozzando un sorriso e porgendo l'anello. Horus aprì la bocca, poi la richiuse, fermato da un improvviso impeto, posando le iridi argentee su quelle indaco di Chris. Che dire? Cosa fare? Indagare? Approfondire? Avvisare la Preside, nel caso in cui non lo sapesse?« Puoi andare, se lo desideri. » Disse, solamente.«It's too late: you're fading away.»
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