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| | Bella recensione di Marilia Piccone su StradaNove: MORTE DI UN UOMO QUALUNQUE, GLEN DUNCAN Esserci al proprio funerale
FORSE NON È L’UOMO QUALUNQUE NATHAN CLARK IL PROTAGONISTA DEL ROMANZO DELLO scrittore angloindiano Glen Duncan. Forse il vero protagonista è il Tempo la cui essenza è così paradossale da poter essere precisamente scandita da delle lancette di orologio e insieme da essere inafferrabile e soggettiva, di durata variabile secondo l’età o il momento in cui una persona si trova a vivere. La dimensione temporale di “Morte di un uomo qualunque” è duplice: c’è un tempo presente, quello del funerale di Nathan, che dura più o meno ventiquattro ore e pare essere lunghissimo, avvolto com’è, inestricabilmente, con il passato di Nathan, della moglie Cheryl e dei figli. E questo secondo strato, fatto di ricordi rivissuti, è elastico, può scorrere come un soffio (e sono i periodi felici a durare brevi come un lampo) o può dolorosamente ristagnare, perché la sofferenza sembra non avere mai fine. Lo spunto del romanzo non è nuovo, anche in “Amabili resti” della Sebold e “Ombre” di Neil Jordan il personaggio principale era morto prima dell’inizio del libro, e pure in questi due libri precedenti l’escursione temporale tra passato e presente era continua. Sia la Nina di Jordan sia la Susie della Sebold erano state assassinate; in “Morte di un uomo qualunque” Nathan assiste al proprio funerale, coglie tra i presenti la parola “ucciso” ma dobbiamo attendere la fine per scoprire, insieme a lui, come sia morto. E c’è un’altra morte che ha tragicamente segnato la famiglia Clark tre anni prima di quella di Nathan, quella della figlia minore Lois: anche di questa, di come sia avvenuta, raccoglieremo le tracce lungo le pagine, perché Nathan stesso ha cancellato tutto dalla sua memoria e i ricordi affiorano lentamente, il dolore è troppo- insopportabile, come vedremo. “Qual è la virtù più grande?”, aveva chiesto un giorno a Nathan la figlia Gina. “La verità”, aveva risposto lui, “No, il coraggio”, lo aveva corretto la moglie Cheryl, E aveva ragione, perché è vero che senza coraggio non ci può essere la verità, perché non avrebbe l’ardire di uscire allo scoperto. Cheryl ha coraggio, Cheryl riesce a sopravvivere sempre, non si lascia sconfiggere dalla vita. Cheryl rinuncia a scrivere dopo la tragedia della morte di Lois, ma intraprende un altro lavoro con successo, e si riprenderà pure da questo nuovo lutto. La figlia Gina le assomiglia- non è mancanza di amore per chi è scomparso, è amore per la vita sopra tutto. Che Nathan ammira (è per questo che ha amato solo e sempre Cheryl?) e che non ha. C’entra qualcosa il cattolicesimo in cui è cresciuto, la religione che ti insegna a considerare la vita come un passaggio? Certamente dietro Nathan c’è la certezza che non tutto finisce con la morte- si può chiamare ‘anima’, oppure ‘spirito’, quel qualcosa che si avvicina a coloro che sono rimasti nel mondo dei vivi e che riesce ancora a comunicare con loro, come attraverso delle onde o delle vibrazioni. E soprattutto può capirli meglio senza la barriera corporea. Ed ecco che si aggiunge un’ulteriore dimensione agli strati del tempo che già si allungavano all’indietro all’infinito, come lasciavano intendere gli scavi archeologici di Nathan. Che è addirittura atemporale: è a quello che allude la ricerca del mai-trovato Graal? “Storia di un uomo qualunque” è un romanzo sulla vita e sulla morte, ma soprattutto sull’amore e sulla ricchezza di sfumature di questo, sui rapporti famigliari e sul loro delicato equilibrio.
Glen Duncan, Morte di un uomo qualunque, Ed. Fazi, trad. Andrea Toscani, pagg. 251, Euro 16,00
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