già, perché?!

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  1. Spica
     
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    e dico solo: fantastico, se n'è accorto anche qualcun altro!
    [io me lo chiedo da anni, "perché?"]

    Approfondisce Jeff: "E’ come su Facebook. La gente vuole credere che agli altri interessi quello che fanno e pensano. E’ un modo di sentirsi importanti, su cui le imprese lucrano". Obietta Lucas: "Siete negativi. Se vedo un film che mi piace, ho voglia di consigliarlo. E voi, se leggete di un argomento che vi interessa, commentate su questo sito. Non siate ipocriti".


    e concordo abbastanza con la chiosa:

    Perché, spiegano, la maggioranza è sempre più disinvolta sulle questioni di privacy, si è convinta che fornire informazioni possa gratificare, e far partecipare ad appaganti conversazioni collettive. In cui si condividono film, canzoni, libri, ristoranti. E gli affari propri; che col tempo, chissà di chi diventeranno

    infatti è auto-gratificazione, darsi importanza e, soprattutto, sentirsi al centro.
    e diventare - da persone - oggetti d'uso.

    e non di scambio fra simili - o di condivisione come vien spesso sbandierato e creduto per ingenuità - di uso per il commercio che diviene in grado di collegare anche quelli che a volte sembrano solo brandelli, afferendoli a persone, zone geografiche, idee politiche e sociali.
    e di conseguenza manovrandole più o meno occultamente, dettando gusti e anche idee per un mero profitto.

    ******




    e se sposti il ragionamento sulle mini aggregazioni che sono anche questi "liberi forum" hai l'esempio chiaro di un'esplosione di stupidità collettiva, di gente che si illude di contare attraverso ciò che racconta di sé o - ancor peggio - di quello che finge di sapere degli altri, convinta di esser presa sul serio.
    e probabilmente senza rendersi conto della violenza che mettono in atto, e cosa si dimostrano: asserviti e rassegnati ad esserlo.

    pensa solo alla misere storie altrui che ci han fatto "conoscere" - tu ed io, nel senso di "notare" l'altro - a come sono iniziate: da un non-asservimento ideologico alla "maggioranza".

    ora anche i media cominciano ad accorgersene e a interrogarsi - ed è forse tardi - ma era una domanda da porsi già 15 anni fa, con i primi siti commerciali che t'invitavano ad "essere ciò che vuoi", facilmente traducibile con "dimmi come sei e cosa vuoi che te lo apparecchio e ti farò sentire importante. e sarai mio".
     
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  2. schmit
     
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    non l'ho moica capito...perche' che cosa?
     
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  3. schmit
     
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    non avevo letto che si doveva cliccare l'articolo:

    Eccolo:

    Film, ristoranti, stati d’animo: la smania di condividere tutto. Ma è per sempre
    Perché sul Web svendiamo i fatti nostri?
    Un fenomeno che interessa imprese e pubblicità
    Film, ristoranti, stati d’animo: la smania di condividere tutto. Ma è per sempre

    Perché sul Web svendiamo i fatti nostri?

    Un fenomeno che interessa imprese e pubblicità

    In Italia non siamo ancora arrivati, come succede agli americani, a mettere online il numero della carta di credito. Ma la tendenza è quella: condividere tutto, dai film visti agli stati d’animo, sui social network, senza rispetto per la propria privacy. E senza pensare che una notizia messa in rete resta lì per sempre.

    In Italia, non succede, al momento. Perché gli italiani sono malfidati, e non danno volentieri il numero di carta di credito online. Perché gli italiani non amano le ricevute fiscali; da noi non ci sarebbe un Mark Brooks di San Francisco, che «vuol far sapere a tutto il Web di aver speso 24 dollari in un ristorante e 6.450 dollari per una plastica al naso». Il ristoratore amico gli avrebbe fatto un piccolo sconto se pagava in contanti, il chirurgo avrebbe fatturato solo la sala operatoria facendosi pagare in nero. In futuro, chissà.

    Chissà, perché anche gli italiani sono presenti in massa sui social networks. E raccontano volentieri di film visti e trattorie visitate (i ragazzini postano anche i numeri di telefono, scrivendo «sono senza credito chiamami qui»; accidenti a loro). E condividono molto i loro stati d’animo. Dagli stati d’animo ai consumi dettagliati il passo, pare, è breve. Tanto che dall’autunno scorso sul Web americano fioriscono siti di condivisione di tutto. Il più noto è Blippy, che ha come slogan «cosa stanno comprando i tuoi amici?»; sta per venire affiancato da Swipely, sempre dedicato a diffondere notizie di acquisto; poi c’è Foursquare, che segnala dove si trovano gli utenti (uno studente olandese ha creato un contro-sito per segnalare le case da derubare, visto che gli occupanti raccontano sempre dove sono la sera); c’è Skimble, cronaca nonstop di attività sportive; e così via. I più interessanti, ovvio, sono i siti sugli acquisti. Piacciono a imprese e pubblicitari, che possono avere notizie continue e affidabili. Piace amolti utenti. Alla faccia della riservatezza. Il mese scorso, il sito di vendite online Amazon aveva bloccato Blippy per motivi di privacy. Blippy ha chiesto ai suoi utenti di poter entrare nelle loro caselle di posta Gmail; per leggere le ricevute degli acquisti su Amazon (libri, tra l’altro) e pubblicarle. In migliaia hanno detto di sì.

    Incredibile, che tanta gente permetta agli operatori senza volto di un sito dal nome scemo di accedere alle sue e-mail? Non tanto, se si pensa che quella stessa gente, al sito scemo (sempre Blippy) aveva già dato, per far pubblicare automaticamente i suoi acquisti, il numero di carta di credito. Anche se Blippy (guarda tu la vita) i molti numeri di carta li ha custoditi male: degli hackers hanno trovato il modo di rintracciarli attraverso Google. Blippy (finora valutata una cinquantina di milioni di dollari) ha replicato che è stato un incidente; e che comunque non è tanto rischioso, in fondo tutti diamo la nostra carta a infiniti commessi e camerieri. Ieri se ne è dibattuto su Tech Crunch, sito frequentatissimo della Silicon Valley. Gli intervenuti danno in difficoltà Blippy, ma non il concetto che lo ispira. In quanto «la gente ganza pensa che tutte le informazioni debbano essere condivise». Approfondisce Jeff: «E’ come su Facebook. La gente vuole credere che agli altri interessi quello che fanno e pensano. E’ un modo di sentirsi importanti, su cui le imprese lucrano». Obietta Lucas: «Siete negativi. Se vedo un film che mi piace, ho voglia di consigliarlo. E voi, se leggete di un argomento che vi interessa, commentate su questo sito. Non siate ipocriti». Ovvia risposta: «Ipocriti ma non fessi. Non abbiamo dato la carta di credito a Blippy». Però c’è chi lo ha fatto, magari sperando di essere parte di qualcosa, di influenzare col proprio stile di vita le vite degli altri. Rimuovendo i possibili pericoli. «La gente non si rende conto quanto a lungo queste informazioni saranno disponibili, come verranno usate, se verranno infastiditi, o peggio», ha detto al New York Times Chris Conley, esperto di tecnologie della American Civil Liberties Union. Ma nella Valley questi siti sono l’ultimo «big trend». Perché, spiegano, la maggioranza è sempre più disinvolta sulle questioni di privacy, si è convinta che fornire informazioni possa gratificare, e far partecipare ad appaganti conversazioni collettive. In cui si condividono film, canzoni, libri, ristoranti. E gli affari propri; che col tempo, chissà di chi diventeranno

    Maria Laura Rodotà
    25 aprile 2010

    Commento:

    Fra scrivere della vita privata per farsi pubblicita' e scriverla come racconto romanzato c'è differenza.
    Comunque, mantenere, oggi, la privacy è pressocche' impossibile, specie se si è persone pubbliche.
    Oggi, con l'avvento di Internet ,siamo tutti "monitorati", Orwel ce lo preannuncio' molti anni fa...
     
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  4. Spica
     
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    ^_^ meno male!
    [che hai notato il link. e se non l'avessi fatto da te, te lo avrei detto ora]

    io preferisco, lo sai, non copincollare. e per più di un motivo, non ultimo che diventa lungo e quindi non leggibile in questa "fame" di tutto un po' che dilaga e che par impedire un soffermarsi.
    o peggio, porta a una lettura "a singhiozzo" che spesso convince di quel che non c'è.

    ovviamente non sono del tutto d'accordo con quell'articolo:
    certo, la schedatura commerciale esiste, e non da oggi. e sono anni che lo dico, è come un puzzle che si compone fra piccole notizie e motori di ricerca, ad individuare il cliente-tipo più appetibile.

    però non è che "resti per sempre". o meglio, non resta nel web o - se resta - vien seppellito dalla e nella massa sempre nuova.
    il problema è che resta negli archivi privati del commercio. e servirà ad usarti.
    e con la psicologia sociale a convincerti che sei tu a scegliere, a decidere, a non poter far a meno di quel particolare oggetto per distinguerti.
    perché è proprio "distinguersi" che spinge tanti a raccontarsi senza freni.
    e con un'informazione via l'altra, tutte apparentemente innocue, vien costruito un quadro abbastanza fedele di una persona, delle sue idee e delle sue possibilità.
    e se poi questa persona si fa conquistare da quel "se non hai nulla da nascondere mettici la faccia", vanto dei superficiali, il gioco è fatto.

    e ai superficiali (per non usar termini più pesanti) non riuscirai mai a far comprendere che non si tratta di paura o vergogna ma di vero rispetto di se stessi.
     
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  5. Schou
     
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    Quanto hai scritto è nell'ordine logico della societa' di tutti i tempi,cambiano solo le tecnologie.
    In tanti secoli l'uomo non ha ancora imparato l'unica cosa necessaria per vivere in societa'. Il rispetto del genere umano e della natura tutta.
    Rispetto di ogni individuo che sta sulla terra, cosi' come la natura lo ha fatto.
    Oggi si vogliono cambiare gli omosessuali, i trans,coloro ai quali la natura non è stata prodiga...etc etc ognuna di queste nature sta nell'ordine di idee della natura stessa ed ognuna da un equilibrio alla stessa.
    Non esistono vite di serie A o serie B, tutto è vita e ha diritto al rispetto della sua natura.
     
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  6. fisichella.m
     
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    Il rispetto...hai detto nulla,non l'hanno più neanche verso sé stessi figuriamoci verso gli altri
     
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  7. schmit
     
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    hai veramente ragione
     
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  8. schmit
     
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    Tribunale civile di Monza, risarcimento per danno morale
    (ANSA) – MONZA, 29 APR – Aveva offeso pesantemente l’exfidanzata su Facebook commentando una foto: dovra’ pagare 15mila euro come risarcimento per il danno morale. Lo ha deciso ilgiudice Piero Calabro’ del Tribunale civile di Monza accogliendola richiesta di risarcimento della donna. Le motivazioni: ilcommento su Facebook e’ ‘‘una lesione dell’onore, dellareputazione e del decoro’‘. La donna ha quindi subito un dannomorale soggettivo’‘.
     
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7 replies since 25/4/2010, 10:15   98 views
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