L'rreprensibile tonino 2

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  1. schmit
     
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    Il ricordo Faceva l’amicone di tutti. Come una spia da manuale
    di Redazione


    aiuto La famosa fotografia in prima pagina sul Corrierone non è la semplice istantanea di una cena conviviale: è un racconto, una narrazione, una storia che, da sola, illumina la vicenda che va sotto il nome di «Mani pulite», la falsa rivoluzione incarnata dall’eroico Pm (delle manette).
    Costui ha sempre avuto intorno a sé, sull’abbrivio dell’inchiesta che si giovava di un impressionante fuoco di sbarramento mediatico giudiziario a proprio favore, un doppio alone: dell’eroe chiamato a fare pulizia e del personaggio ambiguo e doppiogiochista con tendenze ai giochi sporchi e con dietro qualche burattinaio.
    Per questo la fotografia del Corriere parla da sola e racconta il doppio Di Pietro, il Pm amico degli agenti segreti italiani e americani in una comunità d’intenti, al di là della cena, che manifesta una comune professione da nascondere.
    Troppe volte il Pm ha dato più che l’impressione, la certezza di comportarsi come un agente, non della Ps, ma di qualche Servizio segreto sia nei suoi viaggi all’estero, sia nelle sue frequentazioni, sia nel fare «bassi» servizi per qualcuno sotto il sole dei Tropici sia nei diversi comportamenti in quella che «dopo» chiamò sprezzantemente «Milano da bere», ma che «prima» amava frequentare, ne conosceva la piacevole way of life con tanto di fringe benefits, ne praticava i vizi e le virtù.
    Tecnicamente: faceva l’amicone in un gruppo di persone per infiltrarsi, frequentandoli in cene conviviali, in salotti, a casa sua ecc. Dopodiché cominciava a prender le «misure per qualcuno», un lavoro che comprendeva la richiesta di favori, di case, di introduzioni, di segnalazioni e promozioni di amici importanti nel settore dei Servizi segreti (erano il suo debole) che, talvolta, avevano come contropartita delle problematiche connesse all’ambito giudiziario.
    La sua disponibilità esprimeva una spergiurata lealtà che menti un po' più raffinate avrebbero catalogato sotto la voce: falsi d'autori, e del resto, l’agente infiltrato sorprende e colpisce proprio quelli che ha fatto diventare amici in virtù di un’arte affabulatoria funzionale a scambi vicendevoli ma anche a tradimenti repentini, trasformando gli amici in vittime, quando accorgersene è troppo tardi.
    Diventato l’eroe manettifero col coro assordante dei mozzorecchi, proclamava di non guardare in faccia a nessuno perché applicava la legge. Mentiva: perché alcuni furono dannati da lui, altri salvati. Per questo fallì «Mani pulite». Quanto alla legge, aveva certamente il potere di applicarla, ma arbitrariamente, il che terrorizzava tutti, compresi certi giudici.
    Ciò che emerge oggi, anche al di fuori del perimetro della fotografia, è una puntuale conferma della sua natura per così dire doppia, a parte il fatto che molte delle cose che si dicono oggi erano state dette molti, molti anni fa quando, però, venivano silenziate dal superomismo di questo funzionario dello Stato, diventato il paravento dietro cui annientare un’intera classe dirigente per regalare il paese ai poteri forti antipolitici che se lo sono mangiato a pezzi e a bocconi.
    Ciò che sta venendo alla luce, conferma una costante del suo comportamento: fare del male agli amici, abbandonarli nel momento del bisogno, lasciandoli al loro destino. Era lo stesso comportamento tenuto quindici anni prima, contro alcuni suoi amici personali, imprenditori, costruttori, funzionari dello Stato da lui traditi e finiti, grazie al suo contributo determinante, in rovina se non alla morte.
    E oggi? Beh, non è un caso la sua rottura con l’amico e sodale Elio Veltri (per ragioni di fondi) e quella con l’avvocato Di Domenico, l’amico del cuore col quale scrisse lo statuto dell’Italia dei valori, ma finendo espulso da questa strana associazione triproprietaria che accumula un catasto a gestione privatissima coi fondi pubblici.
    Agente doppio, o triplo, infiltrato, burattino? I dubbi sono pochi. E le sue reazioni di queste ore ne tradiscono il nervosismo perché si tenta di puntare i riflettori (finalmente) sulla zona grigia in cui è cresciuto e si è mosso. Non avremo da lui nessuna ammissione, nessun pentimento, soprattutto, nessun sentimento, che è tipico degli spioni al servizio di questo o di quello.
    Né avrà grane dai suoi giudici, essendo ormai evidente l’appartenenza alla dimensione dei grandi misteri del nostro tempo, come quelli imperscrutabili di Fatima, l’essersela cavata in una sessantina di procedimenti penali, come scrive l’ottimo Facci, e in una quasi ventina, come ha ammesso lui, contro Di Domenico.
    Infine, chi fa quella sua professione borderline non ha tempo per i sentimenti, non ha reazioni umane, non è strutturato per ammettere la propria natura «doppia», non può dire chi è. È come un robot teleguidato. Anche i robot, quando non servono più, finiscono nelle discariche.
    *Pubblicato dal
    quotidiano «l’Opinione»

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    Di Pietro, assegno misterioso da 50mila dollari
    di Paolo Bracalini

    Intestato all’Idv, fu firmato (postdatato) da un falso ingegnere a Miami, durante un viaggio di Tonino negli Usa. Ma lui nega e minaccia querela. Soldi pubblici, scoperto il bluff di Tonino


    aiuto Un assegno post-datato, firmato da un falso ingegnere che vive a Miami e intestato a «Italia dei Valori». Un viaggio negli Usa dimenticato da Di Pietro ma testimoniato dalle foto, una candidatura dai contorni misteriosi, gli incontri in cerca di finanziatori del partito appena nato, l’inevitabile dissidio con l’ex amico. E l’inevitabile minaccia di querela, stavolta al Corriere. Ecco l’ultima evoluzione della spy story di James Tonino Bond (copyright Di Pietro), con un altro viaggio in America, nell’ottobre 2000, tra Washington e la Florida, con l’ex amico e cofondatore dell’Idv, ora arcinemico, Mario Di Domenico. Ricordi però molto annebbiati dopo 10 anni. «Io in America con Di Domenico? Lo escluderei. Credo proprio di no» ha spiegato il leader Idv al Corriere solo due giorni fa. Invece, colpo di scena, la foto c’è, con i due «amici» seduti insieme, sorridenti, su un divano del «Ponte Vedra Beach Resort» di Miami, nell’autunno del 2000. Ma che ci facevano lì? La domanda conduce ad un assegno di 50mila dollari e ad un personaggio sfuggente, Gino A.G. Bianchini, sedicente ingegnere che - stando alla ricostruzione fatta da di Di Domenico - un bel giorno si sarebbe fatto vivo con una mail indirizzata alla sede Idv di Busto Arsizio (a quel tempo il quartier generale del partito), con un intrigante «oggetto»: la «Sanctuaryrome».

    Bianchini in altre parole lascia intendere (o millanta) di avere relazioni di alto livello, entrature in Vaticano, amicizie con imprenditori Usa sostenitori di Clinton... Un mitomane? Un amico disinteressato del nuovo partito dell’ex pm? No, secondo Di Domenico, solo una mossa per essere candidato al Senato.
    Nei ricordi dell’accusatore di Tonino c’è chiara una data: il 28 ottobre 2000. Quel giorno, lui, il leader Idv, la tesoriera Silvana Mura e altri due personaggi, un avvocato e un imprenditore americani, si imbarcano sull’aereo con destinazione gli Usa. Prima la capitale, poi l’East coast fino a Miami, «alla ricerca di dollari» scrive il Corriere citando l’autore del libello anti-Tonino. I soldi arrivano sotto forma di un assegno postdatato di 50mila dollari della Chase Manhattan Bank con scadenza 13 maggio 2001, la data delle successive elezioni politiche (sull’assegno, come causale sotto la cifra, si legge “elections”), consegnato da Bianchini a Di Domenico. Secondo Di Domenico, custode per tutti questi anni di quell’assegno, la somma (post-datata) sarebbe servita «come anticipo della ben più cospicua somma, si parlava addirittura di somme dieci volte superiori», da versare dopo l’elezione. Ma qui il mistero diventa ancora più complicato.

    La candidatura di Bianchini è un fatto certo, come la sua mancata elezione. Ma il finanziamento vincolato all’elezione? La risposta del sedicente ingegnere-finanziatore starebbe in una lettera pubblicata da Libero e datata 14 maggio 2001, il giorno dopo le elezioni, in cui Bianchini scrive che «è ormai penosamente chiaro che non sono stato eletto, quindi strappa il mio assegno che annullo. Nel caso di un miracolo, ve lo sostituisco con altro ben maggiore». Il destinatario della lettera però è Di Domenico, non Di Pietro, e in tutta la transazione il leader Idv sembra essere un convitato di pietra. «Non appena si parlava di quattrini (durante il viaggio negli Usa da Bianchini, ndr) Di Pietro si alzava e si allontanava con un pretesto qualsiasi. Mi lasciava da solo ad affrontare scabrosi discorsi», sostiene oggi De Domenico. Di Pietro come risposta non spiega chi fosse Bianchini e che rapporti avesse con l’Idv, non smentisce quel viaggio negli Usa «a caccia di finanziamenti», ma annuncia querela, attacca il Corriere («spero di poter stringere la mano a De Bortoli il prima possibile...) e promette un’indagine personale su «chi c’è dietro sto altarino»: «Questa storia dovrà finire con un provvedimento giudiziario», minaccia. Tonino esclude «di aver mai visto, ricevuto, nè tanto meno incassato, nè personalmente nè per conto dell’Idv, l’assegno a firma Bianchini che da ben nove anni era nelle mani di Mario Di Domenico senza che lo stesso ne avesse titolo». «Da una parte - prosegue Di Pietro - si è caduti molto in basso, dall’altra si è fatto in modo dozzinale. Che ruolo avevano Borrelli, Davigo, Ghitti, polizia e carabinieri, erano complici o vittime? Se tutta Mani pulite è stata un’invenzione, tutta questa operazione doveva servire a salvare gli americani per fare entrare i comunisti?». L’assegno però c’è, come le foto di Di Pietro con Bianchini e Di Domenico, su un jet privato in volo negli Usa. Soltanto un complotto di chi vuole delegittimare Mani pulite?


    da Il Giornale

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    Soldi pubblici, scoperto il bluff di Tonino
    di Gian Marco Chiocci


    aiuto Per i dipietrologi di professione questa è una puntata da non perdere. La saga è la stessa di sempre: «Soldi & affari di famiglia». Per aggiornarvi sui nuovi sospetti di presunta mala gestio del denaro pubblico nel partito di Antonio Di Pietro e sui consequenziali comportamenti del suo leader, occorre far presente come a Milano la procura sia ancora indecisa se dare seguito all’iniziativa del presidente del tribunale, Livia Pomodoro, che aveva chiesto ai colleghi pm di approfondire le gravi questioni sollevate da Veltri e Occhetto (ex alleati del leader Idv alle Europee del 2004) in merito alla gestione dei rimborsi elettorali da parte dell’ex pm. Una vicenda complicata, spinosa, questa delle finanze di Re Tonino che un bel giorno sentì il bisogno di costituire un’Associazione (che dopo la defezione di Mario Di Domenico, quello delle foto di Contrada, contava su tre soli soci: Di Pietro, la moglie Susanna Mazzoleni e Silvana Mura, oggi deputato), di chiamarla tale e quale al Partito e attraverso essa percepire ripetutamente i soldi pubblici, al posto del Partito, con un codice fiscale che col Partito non ci azzeccherebbe nulla così come nulla ci azzeccherebbe il conto corrente sui cui sono transitati i milioni di euro.
    La distonia Associazione-Partito venuta alla luce grazie all’inchiesta del Giornale sul patrimonio economico dell’Idv non poteva che essere constatata (essendo evidente per tabulas) attraverso un’ordinanza del tribunale di Roma del 23 luglio 2008, che ha sancito come l’«Associazione» e il «Partito» fossero due soggetti giuridici dotati ognuno di vita propria, e non dunque «la stessa cosa» come invece ha sempre sostenuto il paladino della trasparenza. A distanza di tempo, nonostante i tentativi ex post del politico molisano di ricorrere continuamente ai notai per sanare le anomalie pregresse, le cose non sono cambiate. Anzi, per certi versi son diventate ancora più grottesche. Vediamo come.
    Per provare che «Associazione» e «Partito»” fossero (sono) due cose assolutamente distinte, gli avvocati Francesco Paola, Luigi Gianzi e Paolo De Caterini, legali di Veltri e Occhetto, a fine novembre sono ricorsi al test più elementare: hanno spedito la medesima diffida a un unico indirizzo milanese (via Felice Casati 1/, dove insisteva la società immobiliare «Antocri» del socio unico Di Pietro e dove insiste la sede dell’«Associazione» oltreché la sede effettiva del «Partito») e l’hanno recapitata a due soggetti differenti: Antonio Di Pietro, quale presidente e rappresentante legale del «Partito Idv», e Silvana Mura quale rappresentante legale dell’«Associazione Idv». Se la notifica è andata a buon fine, come effettivamente è andata, la dualità ripetutamente smentita da Tonino è stata ancora una volta confermata e comprovata.
    Sarà per questo, forse, che tre giorni dopo quella doppia notifica, Antonio Di Pietro e Silvana Mura in compagnia – per la prima volta – dei componenti dell’ufficio di presidenza del partito Massimo Donadi, Leoluca Orlando e Felice Bellisario, si sono presentati da un notaio dichiarando che il codice fiscale del «Partito» è il numero 90024590128, che guarda un po’ corrisponde esattamente a quello dell’«Associazione» com’è riscontrabile leggendo la «delibera di associazione» del 26 luglio 2004 (che attesta, invece, che Antonio Di Pietro, Susanna Mazzoleni e Silvana Mura costituiscono la totalità dei soci dell’«Associazione»). Insomma, se per anni l’«Associazione» di famiglia attraverso quel codice fiscale ha introitato milioni di euro di rimborsi elettorali senza averne diritto, oggi il «Partito» tenta di appropriarsi (non potendolo fare per legge) di ciò che è, e resta, il codice dell’«Associazione».
    Come osservano i legali di Veltri e Occhetto, risulta disarmante la naturalezza con la quale i componenti dell’ufficio di presidenza dell’Idv tentino oggi, come se nulla fosse, di autoattribuire al «Partito» il codice fiscale di un’«Associazione» costituita ad hoc – secondo l’ipotesi sottoposta al vaglio della procura - per assicurare una gestione «personale» dei fondi da parte di Di Pietro su cui i tre esponenti dell’Idv non hanno mai detto nulla nel corso di questi anni. «L’Associazione – incalzano gli avvocati - si è sempre “sostituita” al partito mediante autodichiarazioni non veritiere depositate presso la Camera quale ente erogante dei fondi, sfruttando l’omonimia e l’assenza di controlli, specie ove si consideri la stretta concatenazione temporale dell’ultimo evento con la notifica della diffida che rendeva manifestamente palese la dualità» fra Associazione e Partito. Quando il caso esplose sul Giornale, Tonino corse (da solo) dal notaio e modificò (da solo) lo statuto dell’Associazione che venne spacciato all’opinione pubblica per lo statuto del Partito.
    Visto il protrarsi e l’aggravarsi di tali condotte, gli ex alleati della lista elettorale del Cantiere allargano il ragionamento non più ai soli tre soci dell’Associazione di famiglia ma «ai signori Massimo Donadi, Felice Belisario e Leoluca Orlando» che proprio per «i poteri derivanti dal loro ruolo di direzione e di rappresentanza nel partito» avrebbero avuto «l’obbligo di attivarsi onde non fossero consentite né agevolate condotte di sostituzione da parte di soggetti diversi, non legittimati». E invece il primo dicembre i tre parlamentari non avrebbero eccepito nulla di strano di fronte al notaio sottoscrivendo un atto che tenta di sanare il passato e – nelle intenzioni dei firmatari – di spacciare come proprio un codice altrui.
    La prova documentale dello «scippo» di codice fiscale da un soggetto giuridico non legittimato a recepire fondi pubblici (l’Associazione) a un soggetto giuridico che quella legittimazione ce l’avrebbe avuta ma essendo sprovvisto del codice fiscale non la poteva esercitare (il Partito), finisce sul tavolo del pm Eugenio Fusco. Che fino a poco tempo fa ancora tratteneva a «modello 45» (le notizie criminis infondate) l’esposto di Veltri-Occhetto che secondo il presidente del Tribunale era meritevole invece di approfondimento, dunque «iscrivibile» immediatamente a «modello 21», cioè a carico di noti. A monte delle presunte irregolarità nella gestione dei fondi pubblici ci sarebbe quel che Veltri ha definito lo «schermo fittizio» con cui l’Associazione si sarebbe facilmente sostituita, nella richiesta e gestione dei fondi elettorali, al Partito-Movimento «in modo che i soldi affluissero direttamente sul conto corrente intestato all’Associazione e non invece al Partito che mai ha potuto esercitare alcuna ingerenza tanto che non risulta aver mai richiesto un codice fiscale». E torniamo sempre lì: a quel prezioso codice fiscale, che dall’«Associazione», con le virtù di un alchimista, si tenta di transitare al «Partito» per scongiurare l’intervento degli vecchi colleghi in toga di Tonino e provare a salvare – direbbe Lui – capra e cavoli.

    da Il Giornale


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    Soldi pubblici, scoperto il bluff di Tonino
    di Gian Marco Chiocci


    aiuto Per i dipietrologi di professione questa è una puntata da non perdere. La saga è la stessa di sempre: «Soldi & affari di famiglia». Per aggiornarvi sui nuovi sospetti di presunta mala gestio del denaro pubblico nel partito di Antonio Di Pietro e sui consequenziali comportamenti del suo leader, occorre far presente come a Milano la procura sia ancora indecisa se dare seguito all’iniziativa del presidente del tribunale, Livia Pomodoro, che aveva chiesto ai colleghi pm di approfondire le gravi questioni sollevate da Veltri e Occhetto (ex alleati del leader Idv alle Europee del 2004) in merito alla gestione dei rimborsi elettorali da parte dell’ex pm. Una vicenda complicata, spinosa, questa delle finanze di Re Tonino che un bel giorno sentì il bisogno di costituire un’Associazione (che dopo la defezione di Mario Di Domenico, quello delle foto di Contrada, contava su tre soli soci: Di Pietro, la moglie Susanna Mazzoleni e Silvana Mura, oggi deputato), di chiamarla tale e quale al Partito e attraverso essa percepire ripetutamente i soldi pubblici, al posto del Partito, con un codice fiscale che col Partito non ci azzeccherebbe nulla così come nulla ci azzeccherebbe il conto corrente sui cui sono transitati i milioni di euro.
    La distonia Associazione-Partito venuta alla luce grazie all’inchiesta del Giornale sul patrimonio economico dell’Idv non poteva che essere constatata (essendo evidente per tabulas) attraverso un’ordinanza del tribunale di Roma del 23 luglio 2008, che ha sancito come l’«Associazione» e il «Partito» fossero due soggetti giuridici dotati ognuno di vita propria, e non dunque «la stessa cosa» come invece ha sempre sostenuto il paladino della trasparenza. A distanza di tempo, nonostante i tentativi ex post del politico molisano di ricorrere continuamente ai notai per sanare le anomalie pregresse, le cose non sono cambiate. Anzi, per certi versi son diventate ancora più grottesche. Vediamo come.
    Per provare che «Associazione» e «Partito»” fossero (sono) due cose assolutamente distinte, gli avvocati Francesco Paola, Luigi Gianzi e Paolo De Caterini, legali di Veltri e Occhetto, a fine novembre sono ricorsi al test più elementare: hanno spedito la medesima diffida a un unico indirizzo milanese (via Felice Casati 1/, dove insisteva la società immobiliare «Antocri» del socio unico Di Pietro e dove insiste la sede dell’«Associazione» oltreché la sede effettiva del «Partito») e l’hanno recapitata a due soggetti differenti: Antonio Di Pietro, quale presidente e rappresentante legale del «Partito Idv», e Silvana Mura quale rappresentante legale dell’«Associazione Idv». Se la notifica è andata a buon fine, come effettivamente è andata, la dualità ripetutamente smentita da Tonino è stata ancora una volta confermata e comprovata.
    Sarà per questo, forse, che tre giorni dopo quella doppia notifica, Antonio Di Pietro e Silvana Mura in compagnia – per la prima volta – dei componenti dell’ufficio di presidenza del partito Massimo Donadi, Leoluca Orlando e Felice Bellisario, si sono presentati da un notaio dichiarando che il codice fiscale del «Partito» è il numero 90024590128, che guarda un po’ corrisponde esattamente a quello dell’«Associazione» com’è riscontrabile leggendo la «delibera di associazione» del 26 luglio 2004 (che attesta, invece, che Antonio Di Pietro, Susanna Mazzoleni e Silvana Mura costituiscono la totalità dei soci dell’«Associazione»). Insomma, se per anni l’«Associazione» di famiglia attraverso quel codice fiscale ha introitato milioni di euro di rimborsi elettorali senza averne diritto, oggi il «Partito» tenta di appropriarsi (non potendolo fare per legge) di ciò che è, e resta, il codice dell’«Associazione».
    Come osservano i legali di Veltri e Occhetto, risulta disarmante la naturalezza con la quale i componenti dell’ufficio di presidenza dell’Idv tentino oggi, come se nulla fosse, di autoattribuire al «Partito» il codice fiscale di un’«Associazione» costituita ad hoc – secondo l’ipotesi sottoposta al vaglio della procura - per assicurare una gestione «personale» dei fondi da parte di Di Pietro su cui i tre esponenti dell’Idv non hanno mai detto nulla nel corso di questi anni. «L’Associazione – incalzano gli avvocati - si è sempre “sostituita” al partito mediante autodichiarazioni non veritiere depositate presso la Camera quale ente erogante dei fondi, sfruttando l’omonimia e l’assenza di controlli, specie ove si consideri la stretta concatenazione temporale dell’ultimo evento con la notifica della diffida che rendeva manifestamente palese la dualità» fra Associazione e Partito. Quando il caso esplose sul Giornale, Tonino corse (da solo) dal notaio e modificò (da solo) lo statuto dell’Associazione che venne spacciato all’opinione pubblica per lo statuto del Partito.
    Visto il protrarsi e l’aggravarsi di tali condotte, gli ex alleati della lista elettorale del Cantiere allargano il ragionamento non più ai soli tre soci dell’Associazione di famiglia ma «ai signori Massimo Donadi, Felice Belisario e Leoluca Orlando» che proprio per «i poteri derivanti dal loro ruolo di direzione e di rappresentanza nel partito» avrebbero avuto «l’obbligo di attivarsi onde non fossero consentite né agevolate condotte di sostituzione da parte di soggetti diversi, non legittimati». E invece il primo dicembre i tre parlamentari non avrebbero eccepito nulla di strano di fronte al notaio sottoscrivendo un atto che tenta di sanare il passato e – nelle intenzioni dei firmatari – di spacciare come proprio un codice altrui.
    La prova documentale dello «scippo» di codice fiscale da un soggetto giuridico non legittimato a recepire fondi pubblici (l’Associazione) a un soggetto giuridico che quella legittimazione ce l’avrebbe avuta ma essendo sprovvisto del codice fiscale non la poteva esercitare (il Partito), finisce sul tavolo del pm Eugenio Fusco. Che fino a poco tempo fa ancora tratteneva a «modello 45» (le notizie criminis infondate) l’esposto di Veltri-Occhetto che secondo il presidente del Tribunale era meritevole invece di approfondimento, dunque «iscrivibile» immediatamente a «modello 21», cioè a carico di noti. A monte delle presunte irregolarità nella gestione dei fondi pubblici ci sarebbe quel che Veltri ha definito lo «schermo fittizio» con cui l’Associazione si sarebbe facilmente sostituita, nella richiesta e gestione dei fondi elettorali, al Partito-Movimento «in modo che i soldi affluissero direttamente sul conto corrente intestato all’Associazione e non invece al Partito che mai ha potuto esercitare alcuna ingerenza tanto che non risulta aver mai richiesto un codice fiscale». E torniamo sempre lì: a quel prezioso codice fiscale, che dall’«Associazione», con le virtù di un alchimista, si tenta di transitare al «Partito» per scongiurare l’intervento degli vecchi colleghi in toga di Tonino e provare a salvare – direbbe Lui – capra e cavoli.

    da Il Giornale


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    L’ASSEGNO CHE METTE NEI GUAI DI PIETRO
    di Redazione
    ilGiornale

    aiuto Solo pochi mesi fa sembrava destinato a essere l'ago della bilancia della politica italiana. Oggi è in trincea, ferito dalle mezze verità che stanno emergendo dopo 18 anni di ambiguità, silenzi, cose e fatti mai chiariti in modo convincente e definitivo. Parliamo di Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei valori, la stampella della sinistra che dopo il crollo dei partiti comunisti italiani ha fatto da collettore al popolo sbandato rimasto orfano di bandiere rosse, verdi e arcobaleno da sventolare dentro il Parlamento e nei salotti televisivi, quel partito dell'odio che ha come obiettivo abbattere a qualsiasi costo Silvio Berlusconi.
    Nell'ipotesi a lui più favorevole, Di Pietro è vittima di quel metodo da lui inventato e che strada facendo ha messo a punto con compagni di viaggio capaci di usare la lingua italiana e i mezzi di comunicazione. In primis Marco Travaglio e Michele Santoro. In base a questa ricetta la lotta politica va condotta seminando sapientemente veleni e dubbi in modo che la parola del pentito di mafia diventi verità giudiziaria, una assoluzione per prescrizione una condanna, la fotografia di una festa un corpo del reato, una querela un attentato alla libertà di stampa, un silenzio una condanna. Eccetera.
    Così ha fatto carriera politica Antonio Di Pietro. E adesso che foto, verbali e documenti che lo riguardano, e gettano su di lui una luce sinistra, escono dai cassetti di rivali anonimi e amici traditi lui urla al complotto. I cattivi sono i giornali e le Tv, tranne la Repubblica e Annozero che tacciono e quando parlano, poco, lo fanno per difendere l'amico. I campioni della libertà di stampa non affondano, non cercano di capire se, come pare in modo sempre più evidente, Mani pulite fu inquinata dai servizi segreti italiani e stranieri, se il fiume di denaro finito nelle casse dell'Italia dei valori, come sostengono alcuni cofondatori, ha preso strade misteriose. Non si chiedono rogatorie per accertare voci su conti all'estero. E non indagano su un assegno da 50mila dollari consegnato all'Idv da uno strano personaggio durante un viaggio in America che Di Pietro ha negato di aver mai fatto e che invece alcune fotografie (pubblicate ieri dal Corriere della Sera) dimostrano essere avvenuto.
    Forse adesso è chiaro perché Di Pietro è contrario all'immunità parlamentare: lui ce l'ha già, per diritto divino e non solo. È intoccabile. Da qualche giorno però lo è un po' meno perché ciò che sta emergendo sembra essere qualche cosa di più di veleni e pettegolezzi. Che la questione sia seria lo hanno capito anche i suoi. Ieri si è aperto il primo congresso del partito. Dicono che il suo braccio destro, l'ex magistrato De Magistris, si stia preparando ad azzannarlo e a prenderne il posto. È possibile, anche se scommetto nel colpo di scena perché quando tira brutta aria lui, Di Pietro, di solito scappa prima di rimanere bruciato.
     
    .
  2. magnific
     
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    ma Tonino aveva messo le mani avanti per non cascare...

    da il Corriere della Sera del 15 gennaio 2010


    MILANO - Stanno preparando un dossier contro di me. E' l'accusa lanciata dal leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro. «Da giorni si aggira per le redazioni dei giornali e nel circuito politico della Capitale uno strano personaggio che sta offrendo a buon mercato un dossier di 12 foto che mi ritrarrebbero insieme indovinate a chi? No, niente escort. I miei interlocutori sarebbero, anzi sono, il colonnello dei carabinieri Mori ed il questore della polizia di Stato Contrada. Insieme a loro nella foto ci sarebbero anche alcuni funzionari dei servizi segreti» spiega Di Pietro che, dal suo blog, aggiunge che «naturalmente un acquirente si è subito fatto avanti: il solito quotidiano che, pur di buttare fango sul sottoscritto, acquista qualunque cosa, anche a prezzi esorbitanti, costi che poi si sommeranno a quelli che dovrà pagare per la querela che farò, e che si aggiungerà alla denuncia che ho già provveduto a depositare alla magistratura, perchè questa volta sono venuto a conoscenza per tempo della trappola».

    COPIONE GIA' VISTO - «Il copione - dice il leader Idv - si sta per ripetere anche questa volta, come per tutte le fasi elettorali precedenti. Questa volta il «bidone» che il solito giornale sta costruendo è davvero sporco e squallido: quello di voler far credere, utilizzando alcune foto del tutto neutre, che io sia o sia stato al soldo dei servizi segreti deviati e della CIA per abbattere la Prima Repubblica perchè così volevano gli americani e la mafia. Certo che ce ne vuole di fantasia... e anche di arroganza per ritenere che gli italiani siano tutti così allocchi da bersi una panzana del genere». «Vi anticipiamo il giochino che stanno mettendo in piedi», dice Di Pietro che si riferisce agli scatti che lo riguarderebbero rivelando che «ne hanno acquistate 4 di foto e, prima delle elezioni, le pubblicheranno. Questi scatti dovrebbero servire per veicolare il seguente teorema: siccome Mori è finito indagato per la nota vicenda delle agende rosse e Contrada è stato condannato per fatti di mafia, Di Pietro ha avuto a che fare, pure lui, con queste vicende. Siccome poi c'erano anche funzionari dei Servizi insieme a costoro, vuol dire che Di Pietro stava macchinando con qualche potenza straniera, se non addirittura con la mafia». «La verità, ovviamente, è molto più lineare e banale: all'epoca io ero un magistrato inquirente che svolgeva le indagini, chiedeva arresti e poi li faceva eseguire. Indovinate da chi? dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato, ovviamente, ed anche dalla Guardia di Finanza. Il colonnello Mori e il questore Contrada erano appunto esponenti di primo piano dei predetti organi ed è sicuramente capitato, anche se io ora, a distanza di quasi vent'anni, non ricordo tutte le circostanze, che a volte abbia chiesto anche agli Uffici da loro diretti, oltre ad una miriade di altri, di svolgere accertamenti e di eseguire provvedimenti».

    IL COMPLOTTO - E allora, aggiunge Di Pietro «magari sarà pure capitato che, nelle pause di lavoro, mi sia fermato a mangiare o a bere un caffè con loro, anche per approfondire meglio il lavoro. E allora? Dove sarebbe lo scandalo? Interloquire con un questore o con un colonnello dei carabinieri addetti alle investigazioni è il minimo che poteva, e può, fare un magistrato che, come me, stava svolgendo le indagini di Mani Pulite. Non potevo certo sapere - osserva il leader Idv - i guai che sarebbero loro capitati anni dopo. Essi all'epoca erano solo servitori dello Stato, non delinquenti». «E invece, ancora una volta, si sta tentando di costruire una bufala, grazie ai soliti prezzolati denigratori di professione del solito organo di informazione. Lo scopo è evidente ed è il consueto ritornello: screditare me e l'Italia dei Valori durante la campagna elettorale e, soprattutto, operare una falsa rivisitazione storica degli anni di Tangentopoli e di Mani Pulite nel tentativo di far credere che all'epoca non ci fosse una classe politica corrotta, ma una magistratura militante, al soldo di qualcuno». «Sì, proprio al "soldo" perchè si vorrebbe far credere che, in cambio del servizio reso, queste fantomatiche potenze straniere avrebbero poi versato ingenti somme di denaro in conti correnti esteri, sparsi fra gli Stati Uniti e addirittura la Nuova Zelanda. Sembra un film di fantascienza - osserva l'ex pm - ma la fantasia distorta non ha mai fine e, d'altronde, basta lanciare una balla nell'iperspazio dell'informazione e il piatto è servito! La falsa equazione è semplice: Mani Pulite è stato un bluff, una trappola, Di Pietro era un uomo dei servizi, i politici corrotti non sono mai esistiti, è tutto un imbroglio. L'obiettivo è ancora più evidente: riscrivere la storia di ieri per oscurare la continuità, ancora esistente, fra la classe politica corrotta di allora e quella ancora più corrotta e sfacciata di oggi. Anche i finti e gli ipocriti festeggiamenti per Craxi, che oggi gli tributano soprattutto quelli che ieri lo criticavano e lo tradirono, sono funzionali allo scopo». La chiusa del post è in stile borrelliano: «Ma noi "resisteremo, resisteremo, resisteremo". L'amore per la democrazia e la difesa della Costituzione ce lo impongono!».

    Redazione online
    15 gennaio 2010(ultima modifica: 16 gennaio 2010)

    poi dallo stesso Corriere della Sera spuntano dopo giorni le foto di tonino ripreso ad una cena con Contrada e con personaggi sospetti...e la foto in America, dove secondo lui,non c'era stato.
     
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  3. nanni
     
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    E', molto evidentemente, la stessa strategia utilizzata con Boffo, solo con uno spiegamento di mezzi molto più imponente. Non varrebbe la pena di commentare, solo una piccola osservazione sul famoso assegno.

    Come mai un assegno intestato a Di Pietro (o all'Italia dei Valori) non è stato mai incassato e non risulta in possesso del destinatario? E' molto facile compilare assegni solo per mostrarli in giro, non è nemmeno necessario che siano coperti, tanto non sono destinati ad essere incassati.

    Divertente poi l'idea che "Mani Pulite" sia stato un complotto della CIA. Ma come, gli amiconi americani avrebbero fatto una simile puttanata? Ma non erano stati i Comunisti? Non c'è più religione!

    In ogni caso aspetto di vedere se esce fuori qualcosa di penalmente rilevante, al momento non è nemmeno fango, solo puro delirio. Niente di tutto questo può monimamente smuovere l'opinione di chi ritiene che Di Pietro abbia fondamentalmente ragione nell'attaccare la disonesta di chi, da posizione di assoluto potere, manovra i mezzi di comunicazione.

    Forse qualche nemico di Di Pietro, piuttosto, potrebbe convincersi che chi utilizza simili mezzi sia indegno di stima. Non ci spero molto ma non si sa mai.
     
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  4. smilla_e_la_neve
     
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    CITAZIONE (nanni @ 7/2/2010, 06:16)
    E', molto evidentemente, la stessa strategia utilizzata con Boffo, solo con uno spiegamento di mezzi molto più imponente. Non varrebbe la pena di commentare, solo una piccola osservazione sul famoso assegno.

    Come mai un assegno intestato a Di Pietro (o all'Italia dei Valori) non è stato mai incassato e non risulta in possesso del destinatario? E' molto facile compilare assegni solo per mostrarli in giro, non è nemmeno necessario che siano coperti, tanto non sono destinati ad essere incassati.

    Divertente poi l'idea che "Mani Pulite" sia stato un complotto della CIA. Ma come, gli amiconi americani avrebbero fatto una simile puttanata? Ma non erano stati i Comunisti? Non c'è più religione!

    In ogni caso aspetto di vedere se esce fuori qualcosa di penalmente rilevante, al momento non è nemmeno fango, solo puro delirio. Niente di tutto questo può monimamente smuovere l'opinione di chi ritiene che Di Pietro abbia fondamentalmente ragione nell'attaccare la disonesta di chi, da posizione di assoluto potere, manovra i mezzi di comunicazione.

    Forse qualche nemico di Di Pietro, piuttosto, potrebbe convincersi che chi utilizza simili mezzi sia indegno di stima. Non ci spero molto ma non si sa mai.

    :OK:
     
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  5. schmit
     
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    CITAZIONE
    Come mai un assegno intestato a Di Pietro (o all'Italia dei Valori) non è stato mai incassato e non risulta in possesso del destinatario? E' molto facile compilare assegni solo per mostrarli in giro, non è nemmeno necessario che siano coperti, tanto non sono destinati ad essere incassati.

    nanni, adesso non sai piu' neanche leggere? chi ti ha detto che non è stato incassato?forse non si sa da chi e dove sono finiti i soldi...
    e delle sovvenzioni ai partiti incassati non dal partito ma dalla associazione?
    Rileggi nanni, rileggi...
    Poi questa concomitanza che vedi con Boffo non la capisco proprio...
     
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  6. nanni
     
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    Perché un assegno incassato viene annulato e se ne taglia via anche un angolo. Soprattutto resta in mano della banca, che si guarda bene di darlo in giro, per evitare sia incassato di nuovo e, alla fine, lo distrugge.
     
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  7. schmit
     
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    CITAZIONE
    La prova documentale dello «scippo» di codice fiscale da un soggetto giuridico non legittimato a recepire fondi pubblici (l’Associazione) a un soggetto giuridico che quella legittimazione ce l’avrebbe avuta ma essendo sprovvisto del codice fiscale non la poteva esercitare (il Partito), finisce sul tavolo del pm Eugenio Fusco. Che fino a poco tempo fa ancora tratteneva a «modello 45» (le notizie criminis infondate) l’esposto di Veltri-Occhetto che secondo il presidente del Tribunale era meritevole invece di approfondimento, dunque «iscrivibile» immediatamente a «modello 21», cioè a carico di noti. A monte delle presunte irregolarità nella gestione dei fondi pubblici ci sarebbe quel che Veltri ha definito lo «schermo fittizio» con cui l’Associazione si sarebbe facilmente sostituita, nella richiesta e gestione dei fondi elettorali, al Partito-Movimento «in modo che i soldi affluissero direttamente sul conto corrente intestato all’Associazione e non invece al Partito che mai ha potuto esercitare alcuna ingerenza tanto che non risulta aver mai richiesto un codice fiscale». E torniamo sempre lì: a quel prezioso codice fiscale, che dall’«Associazione», con le virtù di un alchimista, si tenta di transitare al «Partito» per scongiurare l’intervento degli vecchi colleghi in toga di Tonino e provare a salvare – direbbe Lui – capra e cavoli.



    l'armata brancaleone riconferma il suo leader al congresso...

    Gli irreprensibili!

    Tre signori sono stati protagonisti del primo congresso dell’Italia dei Valori. Ad applaudirli, in prima fila, il leader del Pd Pierluigi Bersani. Come dire, gente seria, garantisco io. Vediamo chi sono i tre. Il primo, ovviamente è Antonio Di Pietro, fondatore del partito, la cui immagine sta uscendo a pezzi da sospetti, supportati da fotografie, di collusioni con i servizi segreti italiani ed esteri ai tempi di Mani pulite e da accuse, da parte di suoi ex collaboratori, di scarsa trasparenza nella gestione dei fondi del partito (56 milioni di euro). Il secondo è un altro ex magistrato passato alla politica (è deputato europeo dell’Idv), Luigi De Magistris, che prima di entrare in politica fu trasferito e censurato dal Csm per «gravi anomalie» nelle sue inchieste, una delle quali provocò la caduta del governo Prodi (l’avviso di garanzia all’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, poi risultato completamente estraneo) e che forse per questo riceve oggi gli onori di Bersani. Il terzo è un ex poliziotto, Gioacchino Genchi, simpatizzante dipietrista, oggi consulente delle Procure di mezza Italia e balzato agli onori della cronaca per aver intercettato i telefonini di 350mila italiani, per questo finito sotto inchiesta e ancora al centro di una intricata vicenda giudiziaria che però non gli impedisce di continuare la sua attività, ben retribuita, al fianco di molti magistrati. Che non hanno ovviamente avuto nulla da ridire quando ieri, dal palco Idv, Genchi ha annunciato di sapere con certezza che l’attentato di Milano contro Silvio Berlusconi è stato una montatura organizzata dallo stesso premier per commuovere gli italiani e intimidire gli avversari.
    Insomma, due discussi e discutibili ex magistrati e un ex poliziotto farneticante, spione di professione, si candidano a guidare il Paese in compagnia del Pd e in alternativa al Pdl, il più grande partito liberale europeo. In attesa che il sogno si avveri suggeriamo al trio investigativo di tenersi allenato risolvendo il seguente rebus. Nel 2008 la maggior offerta spontanea all’Italia dei valori è stata fatta da una piccola emittente milanese, «Sei Tv». Si tratta di 50mila euro. Nulla di illegale, ovviamente, ma è legittimo chiedersi come mai una emittente che non trasmette più dal 2002, e che alla data dell’elargizione risulta alla Camera di commercio «inattiva» e con un solo dipendente, sia stata così generosa con Di Pietro. Proprietario di «Sei Tv» è Raimondo Lagostena, noto imprenditore televisivo, titolare del gruppo Odeon, che attualmente si trova in carcere. È coinvolto in una storia di presunte false fatturazioni e fondi neri sulla cessione di spazi pubblicitari televisivi a favore dell’assessore regionale lombardo Gianni Prosperini, anche lui agli arresti.
    Del resto Di Pietro conosce è apprezza le tv di Lagostena, tanto che alle ultime elezioni europee l’Idv utilizzò su quelle reti spazi pubblicitari per un valore di oltre 200mila euro. Che però, a quanto ci risulta, nonostante le rigide norme che regolano la pubblicità elettorale, non furono fatturati in prima battuta al partito dell’ex Pm, ma acquistati direttamente da Lagostena. Quasi 50mila euro di quei 200, finirono poi alla inattiva «Sei Tv», la benefattrice dell’Idv. Insomma, una storia sicuramente legale ma complicata, come tutte quelle che vedono protagonista Di Pietro. E che forse solo lui, insieme con De Magistris e Genchi, può dipanare e spiegare. E se questa volta, e su questo caso, qualcun altro, per esempio la Procura di Milano provasse a capirci qualcosa, così, tanto per dissipare inutili dubbi? Difficile, ma non impossibile.

    da Il Giornale
     
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  8. schmit
     
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    Il documento di Pancho Pardi viene stravolto e il partito tira un sospiro di sollievo Di Pietro: "Ingiusto discriminare mogli e figli". Ecco nome per nome tutti gli intrecci


    aiuto Roma - Trucco, parrucco e il gioco è fatto. La mozione sul familismo passa senza mai passare, inizia in un modo e termina in un altro, ovviamente quello che piace al capo. Ha voglia il volenteroso Pancho Pardi a distribuire le fotocopie in sala, con le due pagine fitte fitte sui danni della parentela che diventa criterio di selezione politica nell’Idv. Quando arriva alla votazione, nel marasma totale di 28 mozioni liquidate sbrigativamente o nemmeno discusse («sennò qui finiamo dopodomani» taglia corto Di Pietro), l’appello contro la pratica del familismo viene magicamente trasformato dal prestigiatore Tonino, sotto gli occhi di tutti, in una versione talmente soft che lascia tutto com’è, facendo però credere che cambi qualcosa.

    Il leader ritocca, modifica chiedendo sempre conferma all’assemblea che gli dice sempre sì, «ahò è la democrazia», e alla fine la proposta (che in un partito familiare sarebbe una contraddizione in termini) si torce nel suo opposto, perché «non è giusto che i parenti siano discriminati dentro il partito, giusto è invece che i parenti non vengano assunti nelle istituzioni solo perché sono cugini o fratelli». Tradotto: mogli, fratelli, figli e affini stiano tranquilli, potranno continuare ad essere candidati. E dalle prime file annuiscono concordi Cristiano Di Pietro, il figlio del leader e consigliere provinciale a Campobasso (candidato blindato per la Regione Molise al prossimo giro), Gabriele Cimadoro, deputato e cognato di Di Pietro, Ivan Rota, deputato e cognato di Cimadoro, Patrizia Bugnano, senatrice e moglie di Andrea Buquicchio, coordinatore Idv del Piemonte e capogruppo in Regione.

    Via libera ai parenti in lista (basta che poi non vengano assunti per chiamata diretta dagli eletti), e infatti alcuni già si scaldano ai blocchi di partenza per le Regionali. Uno è (ma è ancora un’indiscrezione) il figlio dell’onorevole Gaetano Porcino: probabilmente in corsa per la Regione Piemonte. In pista anche la compagna dell’onorevole ligure dell’Idv Giovanni Paladini, la bella Marylin Fusco, già piazzata come capogruppo al Comune di Genova, candidata non eletta al Parlamento europeo ora in corsa per la Regione Liguria. Per lei si parla anche di un posto da vicepresidente della Regione promesso dopo l’accordo col Pd del governatore uscente Burlando.
    Altri intrecci parentali emergono alla periferia, nei piccoli centri di potere che sono i coordinamenti provinciali o regionali.

    A Varese, per esempio, comanda il coordinatore Idv Alessandro Milani, prossimo candidato dell’Idv in Regione Lombardia, un fervente dipietrista. Così fervente che la passione politica è dilagata anche in casa sua. Risultato: la politica è entrata nelle mura domestiche e i parenti sono entrati in politica. La moglie di Milani, Vilma Borsotti, è stata candidata (ed eletta) al consiglio provinciale di Varese, mentre la figlia di Milani è diventata tesoriera dell’Idv in Emilia Romagna. Parenti ma non solo. La nuova tesoriera del partito a Varese? È la portinaia di Milani.

    Il politologo girotondino Pardi ha buoni motivi per scrivere che «il milione di cittadini scesi a San Giovanni a dicembre non voterebbe mai un partito indulgente verso il familismo», basta vedere a che velocità rimbalzano su internet, su Facebook o nei forum dei meet up grillini le notizie sulle parentele nell’Idv, ma probabilmente questa frase sparirà dal nuovo testo della mozione, quando verrà riscritta dopo la «revisione» congressuale. Difficile da digerire per l’ala vicina al rinnovamento di De Magistris. Ah, a proposito, sappiano i demagistrisiani anti-familisti dell’Idv che l’europarlamentare è sempre accompagnato da un collaboratore molto bravo che gli cura anche il sito internet: suo fratello Claudio.


    da Il Giornale
     
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  9. schmit
     
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    Il verbale della fantozziana deposizione dell’ex pm in tribunale: finge di non aver nulla a che fare con il fondatore del partito Mani pulite. Ma foto e documenti lo smascherano. L'ex leader della lista Mani pulite: "Era di destra, poi torna dagli Usa e passa alla sinistra".

    I MISTERI Di Pietro nega all'Idv la lista delle sue ricchezze La rivolta della base sul web: "Vergogna, non vi voterò più"

    aiuto Nega spesso l’evidenza incurante di smentire se stesso. Ai tempi della Milano da bere era specializzato nel tradimento degli amici, poi s’è perfezionato nel rinnegare qualsiasi frequentazione scomoda per l’opinione pubblica: dalla cena con Contrada ai rapporti col provveditore Mautone (quello intercettato col figliol prodigo Cristiano) fino agli incontri con Antonio Saladino, l’indagato principe dell’inchiesta Why Not di Genchi e De Magistris. Tre casi, decine e decine di casi. Un Giuda degli affetti e della politica, Antonio Di Pietro.

    Uno che s’è comportato alla solita maniera anche quando Piero Rocchini, un caro e vecchio amico psichiatra che per lui si sarebbe buttato nel fuoco e che insieme a lui inventò il «movimento politico Mani Pulite», ha avuto l’ardire di chiedergli spiegazioni in merito al cambio di strategia che Tonino fece al ritorno dal viaggio negli States: «Ebbi l’impressione che certi circoli americani gli avessero fatto intendere di preferire un Di Pietro dentro al sistema dei partiti anziché fuori. Era cambiato, non lo riconoscevo più».

    Anche Tonino non l’ha più riconosciuto, a Rocchini. Quando? Una mattina di maggio dell’anno 2000. Di Pietro è convocato dalla difesa di Rocchini a testimoniare in un processo per diffamazione. C’è da chiarire i reali rapporti fra i due, posto che un imprenditore, Giorgio Panto, ha dato a Rocchini del millantatore. Rocchini conta sulla testimonianza di Tonino. Alle prime domande del pm e del presidente, Di Pietro risponde però come un teste dell’accusa: inizia a dire che il presidente del movimento lui lo conosce appena, che agiva per conto suo senza averne diritto, che ricordava vagamente d’averlo incontrato in un viaggio all’estero, che era uno dei tanti simpatizzanti del pool, che tutti gliene parlavano male perché era vicino ai fascisti di Ordine Nuovo, eccetera. Insomma, per dirla in dipietresco napoletano, lo fa una chiavica.

    L’avvocato di Rocchini di fronte a quel disconoscimento non sa se ridere o piangere: «Ma scusa Antonio, non ti ricordi che Piero me lo hai presentato tu?». No, sì, forse. Balbetta. Quando capisce che in tribunale ci sono suoi scritti autografi, prove dei contatti «politici» e fotografie con l’amico carneade, il Molisano mette le mani avanti. E minimizza tutto, compresa quella foto che lo ritrae a casa sua (di Di Pietro) sdraiato sul petto di Piero Rocchini davanti a una bottiglia mezza vuota di vodka. Quel che segue è un ampio stralcio della sua deposizione shock. Giudicate voi.

    Pm: «(...) allora, se può sinteticamente riferire dei suoi rapporti personali con Piero Rocchini, se c’era un rapporto connotato d’amicizia o da frequentazione, e i risvolti politici (...). Di Pietro: «Dal punto di vista personale beh... non è che non lo conosco, però non lo conoscevo prima dell’inchiesta. L’ho conosciuto durante la mia attività di magistrato credo in relazione a un convegno in Australia o in Spagna dove l’ho incontrato con la moglie (...)».

    Dagli atti in possesso di Rocchini, visionati dal Giornale, Di Pietro non incontrò casualmente Rocchini in Australia perché fu proprio Rocchini a organizzare quel viaggio, gli incontri, le conferenze, gli spostamenti interni, vitto e alloggio inclusi. Rocchini accompagnò pure Di Pietro a Fiumicino.

    da Il Giornale

    ECCO CHI é DI PIETRO...PEGGIO DI GIUDA!!!
    UN PERICOLO PER L'UMANITA'
    HANNO TOLTO MORGAN DAL FESTIVAL DI SANREMO PERCHE' UN CATTIVO ESEMPIO PER I GIOVANI?E DI DI PIETRO COSA DOVREBBERO FARE?
    UN CATTIVO ESEMPIO PER TUTTI GLI UOMINI...

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    Di Pietro disse al giudice: mai visto quest'uomo
    e quete foto?
     
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  10. lupetto_sulla_zattera
     
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    15 Gennaio 2010
    Antonio Di Pietro


    Tempo di infamare: 12 bufale per un teorema

    Si avvicinano le elezioni, e' tempo di infamare!

    Il copione si sta per ripetere anche questa volta, come per tutte le fasi elettorali precedenti. Questa volta il "bidone" che il solito giornale sta costruendo e' davvero sporco e squallido: quello di voler far credere – utilizzando alcune foto del tutto neutre – che io sia o sia stato al soldo dei servizi segreti deviati e della CIA per abbattere la Prima Repubblica perché così volevano gli americani e la mafia.

    Certo che ce ne vuole di fantasia…e anche di arroganza per ritenere che gli italiani siano tutti così allocchi da bersi una panzana del genere.

    Ma vi anticipiamo il giochino che stanno mettendo in piedi. Da giorni si aggira per le redazioni dei giornali e nel circuito politico della Capitale uno strano personaggio che sta offrendo a buon mercato un dossier di 12 foto che mi ritrarrebbero insieme indovinate a chi? No, niente escort. I miei interlocutori sarebbero, anzi sono, il colonnello dei Carabinieri Mori ed il questore della polizia di Stato Contrada. Insieme a loro nella foto ci sarebbero anche alcuni funzionari dei servizi segreti.

    Naturalmente un acquirente si è subito fatto avanti: il solito quotidiano che, pur di buttare fango sul sottoscritto, acquista qualunque cosa, anche a prezzi esorbitanti, costi che poi si sommeranno a quelli che dovrà pagare per la querela che farò (e che si aggiungerà alla denuncia che ho già provveduto a depositare alla magistratura, perché questa volta sono venuto a conoscenza per tempo della trappola).

    Ne hanno acquistate 4 di foto e, prima delle elezioni, le pubblicheranno. Questi scatti dovrebbero servire per veicolare il seguente teorema: siccome Mori è finito indagato per la nota vicenda delle agende rosse e Contrada è stato condannato per fatti di mafia, Di Pietro ha avuto a che fare, pure lui, con queste vicende. Siccome poi c’erano anche funzionari dei Servizi insieme a costoro, vuol dire che Di Pietro stava macchinando con qualche potenza straniera, se non addirittura con la mafia.

    La verità, ovviamente, è molto più lineare e banale: all’epoca io ero un magistrato inquirente che svolgeva le indagini, chiedeva arresti e poi li faceva eseguire. Indovinate da chi? dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato, ovviamente, ed anche dalla Guardia di Finanza. Il colonnello Mori e il questore Contrada erano appunto esponenti di primo piano dei predetti organi ed è sicuramente capitato – anche se io ora, a distanza di quasi vent’anni, non ricordo tutte le circostanze – che a volte abbia chiesto anche agli Uffici da loro diretti, oltre ad una miriade di altri, di svolgere accertamenti e di eseguire provvedimenti. Magari sarà pure capitato che, nelle pause di lavoro, mi sia fermato a mangiare o a bere un caffè con loro, anche per approfondire meglio il lavoro. E allora? Dove sarebbe lo scandalo? Interloquire con un questore o con un colonnello dei carabinieri addetti alle investigazioni è il minimo che poteva, e può, fare un magistrato che, come me, stava svolgendo le indagini di Mani Pulite. Non potevo certo sapere i guai che sarebbero loro capitati anni dopo. Essi all’epoca erano solo servitori dello Stato, non delinquenti.

    E invece, ancora una volta, si sta tentando di costruire una bufala, grazie ai soliti prezzolati denigratori di professione del solito organo di informazione. Lo scopo è evidente ed è il consueto ritornello: screditare me e l’Italia dei Valori durante la campagna elettorale e, soprattutto, operare una falsa rivisitazione storica degli anni di Tangentopoli e di Mani Pulite nel tentativo di far credere che all’epoca non ci fosse una classe politica corrotta, ma una magistratura militante, al soldo di qualcuno. Sì, proprio al “soldo” perché si vorrebbe far credere che, in cambio del servizio reso, queste fantomatiche potenze straniere avrebbero poi versato ingenti somme di denaro in conti correnti esteri, sparsi fra gli Stati Uniti e addirittura la Nuova Zelanda. Sembra un film di fantascienza, ma la fantasia distorta non ha mai fine e, d’altronde, basta lanciare una balla nell’iperspazio dell’informazione e il piatto è servito!.

    La falsa equazione è semplice: Mani Pulite è stato un bluff, una trappola, Di Pietro era un uomo dei servizi, i politici corrotti non sono mai esistiti, è tutto un imbroglio. L’obiettivo è ancora più evidente: riscrivere la storia di ieri per oscurare la continuità, ancora esistente, fra la classe politica corrotta di allora e quella ancora più corrotta e sfacciata di oggi. Anche i finti e gli ipocriti festeggiamenti per Craxi, che oggi gli tributano soprattutto quelli che ieri lo criticavano e lo tradirono, sono funzionali allo scopo.

    Ma noi “resisteremo, resisteremo, resisteremo”. L’amore per la democrazia e la difesa della Costituzione ce lo impongono!

    17 gennaio
    Antonio Di Pietro

    Tonino 007 superbond

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    Capperi, chi l’avrebbe mai detto! Oggi, stando a quanto dicono i giornali (non tutti, solo i soliti due compagni di merende), ho scoperto di essere stato, e forse di esserlo ancora, un importante agente dei servizi segreti italiani ed internazionali, in particolare del SISMI e della CIA.
    Non ero mica uno qualsiasi. In veste di agente Sismi, mi sarei recato, quatto-quatto, alla fine del 1994, nelle lontane isole Seychelles, in compagnia di una conturbante “bionda”, come nei migliori film di James Bond, per arrestare il noto latitante Francesco Pazienza, in combutta anch’egli con i servizi di mezzo mondo e ricercato dalla magistratura italiana proprio perché aveva creato un SuperSismi cattivo e segreto che voleva sconfiggere quello buono. Ma, dicono i nostri cronisti, grazie a Dio, quello buono - agli ordini dell’ammiraglio Martini e dell’allora Presidente del Consiglio Craxi - poteva contare su di me, super agente senza macchia e senza paura che, armato di macchina fotografica e cavalletto, ero andato a stanarlo nel suo rifugio segreto.

    Non è finita, ho fatto di più: nel 1992, questa volta su ordine e disposizione della CIA, ho messo in piedi l’operazione Mani Pulite, ben più articolata e pericolosa della tua Operazione Tuono, caro collega James.

    M.P. (nome in codice di Mani Pulite) consisteva nella volontà dei Presidenti degli Stati Uniti dell’epoca di volersi sbarazzare della classe politica italiana, che loro consideravano corrotta ed inaffidabile e, soprattutto, contraria agli interessi americani, dopo il rifiuto di Craxi di prestarsi all’operazione Sigonella. In pratica, i massimi strateghi USA, dopo aver a lungo riflettuto su come fare per liberarsi del CAF italiano (Craxi-Andreotti-Forlani) e dei loro portaborse e sodali a tutti i livelli, e non potendo più ricorrere alla bomba atomica, escogitarono un piano diabolico (evidentemente in accordo con una parte della intellighenzia italiana:
    richiamarono un loro super-agente segreto, dislocato in Germania sotto le mentite spoglie di operaio metalmeccanico. Costui si faceva chiamare “Tonino” ed era un agente così segreto, ma così segreto, che non sapeva nemmeno parlare bene l’italiano, figurarsi l’inglese. Gli spioni d’oltreoceano e nostrani però lo indottrinarono per bene, ma così per bene che riuscì a laurearsi in pochissimo tempo (praticamente quasi un anno prima di quanto facevano i migliori studenti italiani).
    Superò - sempre grazie ai servizi segreti, si intende - dapprima il concorso da segretario comunale, perché doveva capire come muoversi nei meandri della Pubblica amministrazione italiana. Poi vinse anche il concorso da Commissario di Polizia e fu immediatamente inviato, così tanto per farsi le ossa, nei reparti antiterrorismo del generale Dalla Chiesa e del questore Plantone, mica scherzi (non fa niente se le date non tornano)! Quando l’intelligence americana ritenne che oramai il nostro uomo era pronto, Tonino fu mandato a fare il concorso in magistratura, che ovviamente vinse (d’altronde non ci voleva niente per vincere un concorso presieduto dall’allora giudice Corrado Carnevale, bastava convincerlo con un piccolo piagnisteo).

    Così l’operazione M.P. può finalmente partire. Dapprima viene usato come esca l’ignaro Luca Magni, (quello della mazzetta a Mario Chiesa, ricordate?). Poi, mano a mano, con precisione chirurgica e pazienza certosina, il nostro Tonino (che nel frattempo ha assunto il nome di Antonio Di Pietro e le sembianze di Sostituto Procuratore della Repubblica a Milano) risale la china fino a quando tutti gli esponenti politici italiani della famigerata Prima Repubblica non graditi agli americani (e nemmeno ai russi, che nel frattempo, a causa della caduta del muro di Berlino erano diventati amici) non vennero messi in condizione di non nuocere (perchè arrestati o rifugiati all’estero e anche, se proprio era necessario “lasciati suicidare”, tanto gli agenti segreti hanno licenza di uccidere, che diamine). Ovviamente ToninosuperBond non fece tutto da solo ma si servì anche di diversi stretti collaboratori (consenzienti o raggirati lo scopriremo alla prossima puntata), del calibro di Francesco Saverio Borrelli, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e una miriade di selezionatissimi collaboratori ed investigatori.

    Capperi!, mi sono detto! Tutto questo sono stato io e nemmeno me ne sono accorto! Quasi, quasi, non smentisco nulla e lo lascio credere:
    finirei nella storia come il più grande agente segreto di tutti i tempi! Peccato che – a finire nella storia – rischia di esser la più grossa balla del secolo, inventata dai soliti noti pennivendoli berlusconiani ed oggi rilanciata perfino dagli amici di Craxi in pellegrinaggio ad Hammamet. Come si fa a spiegare a questi quattro mentecatti che la verità è molto, ma molto più semplice e banale?

    Nel 1984 (e non nel 1994 come scrivono i maestri della disinformazione) mi trovavo sì alle Seychelles ma per le vacanze natalizie insieme a mia moglie (sì è vero, era ed è bionda e bella, ma era ed è pur sempre e solo mia moglie). Ci siamo fermati una sera a casa di un amico fotografo italiano e qui conoscemmo anche altre persone che segnalarono – fra una chiacchiera e l’altra - che nell’isola c’era anche un noto latitante italiano, appunto Francesco Pazienza. Io appuntai la notizia e quando tornai in Italia feci quello che avrebbe fatto e dovrebbe fare qualsiasi cittadino italiano, specie se Pubblico Ufficiale (ed io ero addirittura un magistrato): informare immediatamente le competenti Autorità.
    Fu solo per questa ragione che scrissi una relazione e la inviai al Dr. Sica, che era il magistrato che stava indagando proprio su Francesco Pazienza e che ne aveva disposto la cattura e le ricerche.
    Ma ve lo immaginate un agente segreto del “SISMI ufficiale” della portata sopra descritta che si mette a fare una relazione scritta con tanto di nome e cognome, alla fine di un lavoro fantasioso?
    Recarsi in terra straniera per intercettare un altro agente del “SISMI deviato”, rischiando di morire ammazzato, se non fosse intervenuto lo stesso agente “deviato” a salvarlo (sì, perché anche quest’altra panzana hanno raccontato i nostri autori di fotoromanzi che si sono bevuti le fantasticherie di un imbroglione del calibro di Pazienza che, come tutti sanno, una ne faceva e 100 ne inventava!).

    Quanto all’inchiesta Mani Pulite quel lavoro è ed è stato sotto gli occhi di tutti, perché tutti hanno potuto seguire in diretta l’evolversi dell’inchiesta. Le tangenti non le abbiamo inventate noi del Pool Mani Pulite, c’erano davvero. Ed io ed i miei colleghi, proprio e solo perché facevamo i magistrati, non potevamo fare altro che il nostro dovere. A meno che non si voglia far credere che anche gli oltre 2.000 miliardi di vecchie lire che sequestrammo, mi furono dati sottobanco dagli americani, perché appunto non solo scoprimmo che all’epoca di Tangentopoli giravano tante tangenti, ma ne sequestrammo anche un bel po’ e quei soldi stanno lì come pietre a dimostrare la bontà del nostro lavoro.

    Morale della favola: ma perché “due giornali, due” , con tutte le tragedie che succedono nel mondo, terremoto ad Haiti compreso, bruciano le prime 3-4 pagine del quotidiano per sparare simili cavolate? Attendo risposta (dagli altri, ovviamente, non da quei due che non hanno nemmeno il senso del ridicolo)

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    PS: grazie, schmit. Se non avessi aperto questo thread non avrei saputo dove incollare i post di Di Pietro senza essere accusato di far propaganda elettorale. Tu, invece, sei al di sopra di questo sospetto... vero?
     
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9 replies since 7/2/2010, 02:37   164 views
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