Palermo citta' bella

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  1. schmit
     
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    14/5/2009 - Un itinerario tra i profumi ei i coliri della città vecchia







    14/5/2009 - Un itinerario tra i profumi ei i coliri della città vecchia

    I mercati di Palermo




    La Vucciria non è più quella di Guttuso ma ci sono Capo e Ballarò


    GIULIA STOK

    Palermo non è una città di mare. Certo, si apre sul mare, tanto che i Greci la chiamavano Panormos, "tutto porto", e ancora oggi uno dei suoi quartieri storici, la Kalsa, arriva fino alle barche ormeggiate. Ma è un mare lungo il quale non si può passeggiare a lungo, un mare avido di scorci e persino di profumi salmastri, presto soffocati da altri più intensi: nel migliore dei casi, di origine mangereccia. L'unico profumo di mare ben vitale a Palermo appartiene a questa categoria: è quello che sale dai banchi dei pescivendoli nei mercati.
    Se il pittoresco miscuglio di botteghe e bancarelle di Vucciria, simbolo della città immortalato anche da Guttuso, ha purtroppo perso parte della sua vivacità, restano in ottima salute almeno altri due mercati meno noti: il Capo e Ballarò. Per attraversare il Capo si può iniziare a passeggiare alle spalle del Teatro Massimo e, zigzagando nei vicoli, raggiungere la Cattedrale. Si accavallano odori e colori forti, grida dei venditori e mormorio della folla, tra le quinte di palazzi nobiliari in parte ancora lussuosi, spesso cadenti e coperti di rampicanti. Le bancarelle sono incorniciate da filari di lampadine (il pesce deve essere illuminato anche a mezzogiorno per sembrare ancora più fresco), teste mozzate di pesci spada si sovrappongono a immagini sacre in scenografie un po' truculente, seppie e gamberi si adagiano sontuosi come in una vetrina di orefice, ma a prezzi competitivi. E ancora succulente olive condite in vari modi, capperi sotto sale e affollate botteghe di alimentari di altri tempi, di quelle che al Nord sono scomparse da decenni.
    Al termine del mercato si sbuca proprio dietro l'abside della cattedrale, cuore della città, un mix maestoso di stili diversi, normanni arabi e nordeuropei. Nel VII secolo qui esisteva già un tempio dedicato alla vergine, ma i saraceni lo trasformarono in moschea. Dopo l'anno Mille, con la dominazione normanna, si tornò al culto cristiano e nel 1185 fu completata la nuova chiesa. Ma la sua evoluzione non finì: nei secoli successivi si arricchì di uno splendido portale in stile gotico catalano progettato da Antonio Gambara e, molto più tardi, l'interno fu meno felicemente trasformato in stile neoclassico. Tra le principali attrazioni, le tombe dei sovrani di Svevia e la cappella dedicata a Santa Rosalia, la Santuzza qui veneratissima, che secondo la leggenda liberò la città dall'epidemia di peste del 1624.
    Oggetto di altrettanto intenso culto, benché profano, è il cibo di strada. In nessuna altra città italiana esiste una tradizione così antica: nell'agorà delle città della Magna Grecia esisteva già un angolo dedicato alla cucina pronta, dove si vendevano verdure e interiora bollite, pesce fritto ed interiora arrostite sulla brace. Oggi, l'offerta non è cambiata di molto: si trovano ancora le stigghiòle, interiora di vitello, agnello o capretto infilzate con uno spiedo e cotte alla brace, la quarume, bollito misto di interiora di agnello e vitello, e la vastedda ca meusa, fettine di milza e polmoni bovini bolliti, fatti raffreddare e fritti nello strutto di maiale, conditi con limone e caciocavallo o ricotta. Per i più impavidi c'è la frìttola, una specie di appuntamento al buio: si pesca in un calderone di olio bollente che contiene le parti grasse del vitello. Cosa si addenti esattamente, resta un mistero. Tra i sapori ormai più noti anche a chi non abita a Palermo, i classici arancini, alla carne o al burro con prosciutto e mozzarella, le panelle (frittelle di ceci) e lo sfincione. I posti migliori per assaggiare le specialità da strada sono sempre i mercati. Ballarò, ad esempio, che si estende nell'antico quartiere dell'Alberghiera, da Corso Tukory a Piazza Casa Professa. Il nome deriva dal dialetto abbaniate, e indica il villaggio di origine musulmane di Balhara, nei pressi di Monreale, da cui provenivano i venditori.
    Testimonianza eccellente dell'ambivalente importanza dei saraceni nella storia dell'isola è il teatro dei Pupi, col suo raccontare le imprese dei paladini in Terra Santa: a Palermo i massimi rappresentanti di questa antica tradizione sono i pupari della Famiglia Cuticchio (www.figlidartecuticchio.com), che nel Teatrino di Santa Rosalia del quartiere Olivella hanno realizzato anche un laboratorio di costumi e una scuola, perché i segreti di questa antica arte non si perdano nel tempo.
    Sempre dedicato allo spirito isolano, ma nelle sue manifestazioni più recenti, è il nuovo museo d'arte contemporanea della Sicilia di Palazzo Belmonte Riso (www.palazzoriso.it), aperto da poco nella sede settecentesca su Corso Vittorio Emanuele. Fino al 31 maggio ospita la mostra 1968-2008, Sicilia lo spirito del tempo.
    Informazioni utili
    Antica focacceria San Francesco, via Paternostro 58, tel. 091/320264, www.afsf.it
    Per assaggiare cibo da strada non per strada, ma anche piatti tradizionali siciliani. Sui 20 euro
    Trattoria Maestro del brodo, via Pannieri, 7, tel. 091/329523
    Alla Vucciria, un locale storico famoso per brodi e bolliti, ma anche ottimi piatti di pesce fresco. Sui 30 euro
    Osteria dei Vespri, piazza Croce dei Vespri 6, tel. 091/6171631, www.osteriadeivespri.it
    Enoteca con cucina siciliana elegantemente rivisitata. Sui 50 euro
    Palazzo Pantaleo, via Ruggero Settimo74, tel. 335/7006091, www.palazzopantaleo.it
    Accogliente bed and breakfast presso il Politeama. Camere ampie e silenziose, arredi piacevoli. 100 euro la doppia

    http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/admi...=63&ID_file=367

    il panorama che si vede dalla mia camera da letto

    da La Stampa
     
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