La bellezza di una terra baciata dalla natura

con una amministrazione che tende ad abbruttirla

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  1. schmit
     
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    Sciacca si trova a Nord- Ovest di una isola stupenda Italiana:La Sicilia.
    E' un porto di pescatori dove in ogni angolo trovi il passaggio di tante civilta' che si sono susseguite.
    Ma la sua bellezza piu' grande è un cielo che si tocca con un dito e migliaia e migliaia di stelle che puoi vedere tanto vicine come nessun altro posto ti offre.
    Un mare talmente limpido e azzurro da vederne il fondo. Una terra di sogno,un paradiso terrestre dove purtroppo si ono susseguite amministrazioni che invece di abbellirla l'hanno e continuano a deturparla.
    Ho passato due giorni in una atmosfera meravigliosa. Un giardino pieno di fiori illuminato solo da torce tremolanti che davano allo stesso una suggestione incredibile,sembrava di essere non in un tempo definito ma in un tempodi bellezza eterna.In lontananza la citta' illuminata sopra una collina, con nello sfondo il mare e il luccichio delle lampare.Sopra di noi il cielo stracolmo di stelle che se alzavi un dito ti sembrava di toccarle.Un venticello da sogno dopo una giornata caldissima.
    Meraviglie della natura dove l'unico tocco stridulo era la disattenzione e l'incuria dell'amministrazione che,avendo trovato l'acqua inquinata,aveva tolto l'erogazione per cinque giorni.
    Gli unici a rifornire d'acqua erano le autobotti che sentivi muoversi avanti e indietro per la citta', a ricordarti l'incuria e l'affarismo scorretto di una umanita' deturpatrice!!!

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    Edited by schmit - 8/8/2005, 18:52
     
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  2. filli
     
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    l'hai ben detto...una umanita' deturpatrice...
    Mai definizione è stata data cosi' appropriata!.
     
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  3. kkk-3
     
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    Sono stata in Sicilia parecchie volte e fra le zone che ho visitato sono rimasta entusiasta di Siracusa e dintorni. Lo sapete che in quelle zone crescono i papiri? smile.gif
     
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  4. schmit
     
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    eccoli
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    l'ho lasciata cosi' grande perche' vale la pena vederla per intero.

    Edited by schmit - 16/8/2005, 23:22
     
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  5. schmit
     
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    Sappiamo che i primi a ricavare carta di papiro per scrivere furono gli egizi, proprio perche' la loro terra era ricca di papiri,famosio i papiri del Nilo.
    Ma gli egizi non furono bravi solo in questa arte, ma anche nell'arte della cosmesi, trovando la materia prima proprio nella loro terra arsa e sabbiosa, esclusa la parte sulle rive del nilo,ricca di vegetazione.
    In altro loco abbiamo parlato della terra di ocra con la quale le egizie tingevano guance e palme di mani.
    I trucchi dei Faraoni
    I trucchi, per gli Antichi Egizi, avevano il fine di proteggere la pelle da riverberi e irritazioni causati dal clima asciutto e dalla sabbia. Dai papiri ritrovati si è scoperto come ad esempio la malachite (un minerale color verde smeraldo) e la galena (un composto del piombo colore grigio scuro) venivano applicate sulle palpebre per curare il tracoma (infezione dell'occhio), l'emeralopia (riduzione della vista) e la congiuntivite, mentre l'ocra rossa era utilizzata per le labbra e le guance come i moderni rossetti e fard. Recenti studi hanno rivelato la composizione chimica delle polveri: galena nera, cerussite bianca, laurionite e fosgenite.
    Queste ultime due sostanze non si trovano in natura, ma sono il risultato di processi chimici che, quindi, lasciano intravedere una grande conoscenza in materia. Le dettagliate istruzioni riportate dai testi antichi illustrano i metodi utilizzati: la galena nera veniva scaldata per produrre l'ossido di piombo (sostanza di colore rosso) che veniva macinata e mescolata con sale e acqua.
    Tutti i giorni seguenti, per un totale di quaranta, la mistura veniva filtrata e mescolata nuovamente con del sale in modo da ottenere la bianchissima polvere di laurionite. La fosgenite, invece, veniva ottenuta con lo stesso procedimento tranne che per l'aggiunta supplementare di natron (un tipo di carbonato di sodio facilmente ricavabile dai sali presenti nelle rocce). La varietà delle lavorazioni di queste sostanze (macinazioni più o meno fini) permettevano di ottenere diverse tonalità di colori e di lucentezza in modo che ognuno poteva personalizzare il proprio trucco.
    La laurionite e la fosgenite, a seconda del dosaggio, unite alla galena nera producevano la varie tonalità di grigio. A tali sostanze venivano poi aggiunti grassi animali, cera d'api o resine che esaltavano la densità e le proprietà curative dei prodotti. Per problemi di vista, ad esempio, veniva aggiunta dell'ocra rossa alla galena, mentre per il comune orzaiolo si applicava un miscuglio di malachite e legno putrefatto. I trucchi erano considerati "fluidi divini" e perciò appartenevano al corredo funerario del defunto. Alcune di queste sostanze sono giunte fino a noi perfettamente conservate.
     
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  6. schmit
     
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    Rocca di Comordino
     
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  7. schmit
     
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    Erice(Trapani)
     
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  8. schmit
     
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    Selinunte,a pochi km da Sciacca:
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  9. schmit
     
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    Porto Palo a pochi km da Sciacca
     
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  10. trombotta
     
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    Quest'anno in Sicilia non sono stato chiamato con la compagnia...
     
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  11. schmit
     
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    Lo so. Quest'anno pare che ci fossero pochi soldi da dedicare ai cartelloni dell'estate culturale. Speriamo nel prossimo anno. wink.gif
     
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  12. frichicchio
     
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    Letizia,so che ti trovi a Sciacca. A che punto sta il teatro Samona'?
     
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  13. schmit
     
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    Purtroppo allo stesso punto lasciato incompiuto ventanni fa.
    Ultimamente la regione Sicilia aveva promesso che avrebbero fatto in modo dio finirlo prima delle prossim elezioni,e data la posta in gioco ci avevamo creduto ma invece tutto tace.E pensare che Giovanni Michelucci, un architetto del secolo scorso diceva:
    "La bellezza non è ciò che gli occhi vedono, ma ciò che lo spirito vede senza occhi".

    di Domenico Cogliandro

    Un architetto del secolo scorso, e a dirlo così sembra un architetto di un secolo fa, di cento anni fa. Invece no. Però, si faccia attenzione al tempo, non tutti gli architetti del secolo scorso sono noti come Michelucci. Certamente, non tutti conoscono Michelucci. Male. Oppure, peccato. Eppure non tutti conoscono Quaroni, Ridolfi, Pellegrin, Scarpa, Mollino, Moretti, Samonà. Men che meno il loro pensiero che, tradotto in bellezza, corrisponde alle loro opere. L'invito che voglio fare è quello di viaggiare, di vedere con occhi nuovi le architetture del secolo scorso, di questi architetti del secolo scorso. Non è necessario guardare oltre il proprio naso, alcune opere fanno parte dei territori dai quali proveniamo. Eppure è ben meglio far scivolare tra gli appunti di una "materia" la fotocopia di un'opera, anziché prendere il coraggio a quattro mani e scoprire le cose dove risiedono, dove giacciono. Dove, dato il tempo, stanno.
    Ecco, questo è un tema importante dell'architettura: la giacitura, il luogo in cui una cosa vien posta.

    Il Teatro di Sciacca è di Samonà. Ed è collocato a metà strada tra il mio perbenismo e la mia ignoranza. Ho sempre creduto che fosse un'opera conclusa, e ho sempre associato, dalla volta che ne ho viste pubblicate alcune immagini su un vecchio numero di Casabella, l'opera alla città. Anzi, di più: la città all'opera. Sciacca = Teatro di Samonà. Senza mai muovere il culo per andare a vederlo, piuttosto passandoci accanto per andare a risvegliare istinti sopiti presso gli scavi ultramoderni di Gibellina. In questo la mia ipocrisia. Da architetto colto (si dice così) e interessato, avrei dovuto giocare il mio ruolo interlocutorio con l'opera di un contemporaneo: andare, guardare, disegnare, riflettere, imparare, recepire, decantare, comunicare, dire, spiegare, raccontare per permettere ad altri di andare, guardare…

    Samonà è morto, come sono andati via gli altri architetti nominati. Andremo via pure noi, non si sa quando ma accadrà. "Lo crederesti, Arianna?" disse Teseo. "Il Minotauro non s'è quasi difeso". Lo ha scritto Jorge Luis Borges. Non ci si può difendere dinanzi alla morte. Ma quel che rimane sono le opere, se non rispettiamo nemmeno il lavoro che le opere fanno (il loro brulichio metaforico, il rimando ai sensi e alla memoria) allora moriamo e uccidiamo noi stessi o, quantomeno, consentiamo un'eutanasia non richiesta. Le opere sono state costruite per tre motivi. Per verificare se le ipotesi teoriche possono essere prese in considerazione come tesi operative; per rispondere ad una richiesta precisa attraverso un programma che ha l'opera come esito concreto; per consentire ad altri di assimilare una sensibilità alle cose attraverso, almeno, la vista e il tatto. Bene. Il minotauro è morto, rimane il labirinto. Ma se il labirinto perde le sue capacità evocative, decade dal suo status di elemento significativo che produce altre forme labirintiche: altre architetture. Anzi, rischia di diventare elemento dissidente, e per questo motivo causa degenerativa di un tema.

    Nel frattempo, e contro qualunque prospettiva di vittoria, sono partito per una crociata. Parlare del Teatro popolare di Sciacca progettato nel 1975 da Giuseppe Samonà, e interrotto nel 1982. Provare a credere ad un progetto di ridefinizione dell'opera, alla sua conclusione. Michelucci è morto all'età di cento anni meno due giorni, nel 1989. Il suo progetto per un teatro a Olbia ha vissuto nella sagacia dei suoi collaboratori ed è stato terminato secondo le indicazioni di Michelucci, poco meno di un anno fa. Quel teatro, a Olbia, non è di Michelucci, ovviamente, perché le modifiche apportate per questioni meramente funzionali (sono cambiate le leggi, le norme, i materiali) hanno alterato l'opera. Ma non i princìpi. Vive ad Olbia il significato di un'opera più della stessa opera, da cui si può affermare che, se quel teatro non è di Michelucci, certamente quel teatro è Michelucci. Io credo che potremo affermare quanto prima che a Sciacca si potrà incontrare Samonà, il senso di alcune sue indicazioni progettuali, elementi del suo pensiero teorico, e scorgerlo scivolare tra le ombre degli attori potrebbe non essere del tutto impossibile.



     
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  14. schmit
     
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    Ed ecco la meraviglia delle meraviglie e...la vergogna delle vergogne...
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    Edited by schmit - 9/9/2005, 17:43
     
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  15. schmit
     
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    Maggio 1982, sono passati esattamente vent'anni. Nel maggio dell'82 Casabella, allora diretta dall'architetto Gregotti, pubblicò, tra le sue pagine, come altre volte e, credo, in maniera innocente (nel senso che non voglio vedere in quella pubblicazione un fato o una colpa), un progetto di Giuseppe e Alberto Samonà: il Teatro Popolare di Sciacca. Mi correggo. Non era un progetto, era l'evidenza di una realizzazione. Il teatro aveva preso forma, e Casabella ne dava atto. Non credo che molti abbiano più fatto caso alla cosa. Il Teatro di Samonà, in quanto realizzato, esisteva in quella periferia territoriale sicula quale è Sciacca. Luogo, peraltro, di tradizioni termali e di commercio ittico. Il teatro, realizzato, era entrato nella coscienza degli architetti, lettori e non di Casabella, tra le realizzazioni italiane in Italia. Basta. Una notizia come un'altra. Tra le pagine dello stesso numero di Casabella un breve saggio dello stesso Gregotti titolava un proprio "elogio della tecnica", da una parte rispondendo ad uno scritto di Portoghesi "pubblicato ­ uso le parole dello stesso Gregotti ­ su quella specie di minestrone di cultura che è la rivista Spirali", da un'altra dando le coordinate teoriche per quei progetti realizzati fondati sulla qualità tecnica della realizzazione. Un bel pezzo, non c'è che dire. Basta andare in una fornita biblioteca d'architettura e rifare il pieno d'idee. Idee del 1982, ma le idee non hanno tempo (e nemmeno prezzo). Così parrebbe. 2002, maggio, Sciacca. Il Teatro Popolare di Giuseppe e Alberto Samonà fa mostra di sé, esattamente nel luogo in cui il fotografo Francesco De Simone lo immortalò allora per Casabella. Una banalità, un'ovvietà. Se allora stava lì, perché adesso dovrebbe stare altrove? Nulla da dire. La questione va posta in un modo diverso. E riguarda proprio quelle fotografie. Anzi, riguarda il soggetto fotografato. Effetto di un cronosisma. Cos'è il cronosisma? Secondo Kurt Vonnegut, che ha inventato e romanzato la definizione, è "un terremoto, un improvviso difetto nel continuum spazio-temporale" che costringe un po' tutti e tutto "a ripetere ciò che si era fatto nel decennio precedente, buono o cattivo che fosse. Si trattava di dejà-vu della durata di dieci lunghi anni". Allora, diciamo pure che da allora si è avuto un dejà-vu della durata di venti lunghi anni, visto che il Teatro Popolare dei Samonà oggi sta nelle medesime condizioni di venti anni fa, se non peggio. L'incuria e il disinteresse sono categorie legate al tempo trascorso, per il Teatro Popolare (un termine che oggi nemmeno i comunisti usano più) il tempo non è trascorso per nulla, sta lì, anzi, congelato dal 1982. Cosa fare per uscire dal cronosisma? Nulla. Ci hanno tratto fuori, nemmeno volendolo, l' 11 settembre del 2001, rendendo vulnerabile anche il nostro perverso concetto di libertà. Ma allora, se si fa caso a questa piccola cosa (che è dell'architettura, che è della nostra storia italiana, che della nostra personale contemporaneità, che ci pertiene in quanto animali sociali: una sorta di ipernicchia dentro la quale viviamo, ma contro e per la quale combattiamo ogni giorno, per capire che ancora non c¹è nulla d¹intentato) che è il Teatro Popolare di Sciacca, ci si accorge che il cronosisma sta producendo effetti diversi dal dejà-vu. E' l'ultimo baluardo del non tempo, e se lo si fotografa oggi il centro sviluppo ci restituisce, miracolosamente e incongruamente, stampe fotografiche del 1982.
    Con i colori e i grigiori del tempo. Il soggetto è esattamente lo stesso.
    Da una parte ne ho piacere, da puro pornografo, perché posso toccare le nude carni dell'architettura che, nonostante il tempo, hanno mantenuto inalterate le proprie grazie; da altra parte penso che fino ad oggi chiunque (e se sto attento, includo me stesso) mi abbia parlato delle forme della modernità (siano essi concetti o effetti) in realtà abbia nascosto per sé e la sua setta di necrofili una serie di spersi corpi nudi a cui attingere per rivangare la questione irrisolta del rapporto tra forma e funzione. Balle. Adesso bisogna rimboccarsi le maniche, tutti. E dire che il Teatro Popolare di Giuseppe e Alberto Samonà bisogna completarlo per uscire a pieno titolo dal cronosisma nel quale siamo stati proiettati; dire che bisogna essere in tanti; dire che bisogna inventarsi le forme della petizione popolare che coinvolga gli abitanti e gli amministratori di Sciacca, a qualunque tempo politico e parte interlocutoria siano debitori; dire che non c'è architettura moderna in Italia se non si dà conto di ciò che non è concluso, e di quel che si è irreparabilmente trasformato. Gli uomini cambiano, lo so, e i loro spazi si trasformano, so anche questo. Ma il silenzio che è calato attorno al crollo del solaio di copertura della chiesa di Ludovico Quaroni a Gibellina è perlomeno incomprensibile. Sembra una sorta di rimozione intellettuale. Se a Sciacca c'è un'opera incompleta che va completata, secondo modi che vanno definiti, a Gibellina non ci sono soltanto oggetti d'artista immoti ed evocatori. Questa petizione passa per ChannelBeta, ma è presente anche su Antithesi e su Arch'it, sinora. La rete ha questa forza, che un elemento non esclude l'altro e, anzi, lo coinvolge come elemento nodale di un dire che non va smarrito. Eppure tale evidenza è abbastanza recente. Non va perduta. Vonnegut ha scritto che "nel sistema solare c'è un pianeta i cui abitanti sono talmente scemi da non accorgersi, per un milione d'anni, dell'esistenza dell'altra metà del pianeta. Se ne sono accorti solo cinquecento anni fa! Solo cinquecento anni fa! E dire che si danno reciprocamente dell'Homo sapiens!".



    Domenico Cogliandro


















     
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